IX
INTRODUZIONE
In oltre vent‟anni di letteratura economica si sono spesi fiumi di inchiostro per ribadire
l‟assoluta importanza di una solida regolamentazione sul patrimonio delle banche. La
complessità della materia ha acceso discussioni tra Stati e governatori dei paesi più
industrializzati al mondo. Dopo oltre dieci anni di preparazione e di dibattiti che hanno
coinvolto tutti i soggetti interessati, le regole di Basilea II sono state pesantemente
messe in discussione, a nemmeno due anni dalla loro introduzione in Europa e senza
aver neppur messo in campo tutto il loro potenziale. La crisi finanziaria, che ha investito
l‟economia internazionale, ha reso ancora più sentite le tematiche, contribuendo in
modo drammatico a mettere in luce la rilevanza di alcuni aspetti non adeguatamente
considerati, primi fra tutti l‟attenzione alla “qualità” del capitale delle banche e il
fronteggiamento del rischio sistemico. In seguito ai fatti che si sono susseguiti, mercato
e opinione pubblica sembrano aver perso fiducia nei bilanci delle banche, quindi il
Comitato di Basilea, nel perseguire l‟obiettivo di aumentare la stabilità del settore
bancario, con le nuove disposizioni identificate sotto il nome di Basilea III, intende in
tema di capitale rafforzare in modo più incisivo il quadro normativo, riformando gli
aspetti considerati “deboli” di Basilea II e rivedendo il modello generale per la vigilanza
internazionale. Ancora una volta dunque gli addetti ai lavori si sono seduti attorno allo
stesso tavolo a modificare, tagliare, aggiungere le disposizioni all‟interno del contesto
regolamentare, riflettendo sulle motivazioni per cui la crisi si sia abbattuta sul sistema in
modo così inatteso e la sua gestione sia risultata più complessa di quanto atteso.
Il presente lavoro vuole focalizzarsi sul tema del capitale nella banca ed analizzarlo
nelle sue diverse dimensioni di vincolo normativo e presidio dei rischi, ma anche di
fattore produttivo fondamentale. I diversi profili appaiono decisamente distinti tra loro,
ma non per questo devono essere inconciliabili. Al contrario, nell‟evoluzione della
normativa degli ultimi anni si è riscontrato un tentativo di avvicinare le diverse
prospettive, predisponendo le basi per un rapporto sinergico tra soggetti preposti alla
vigilanza e soggetti vigilati. I cambiamenti nel sistema di regole, già avviati con Basilea
II e che si profilano arricchiti dall‟esperienza negativa della crisi in Basilea III, risultano
ricchi di conseguenze importanti per chi ricopre, all‟interno degli intermediari bancari,
X
ruoli di responsabilità e gestione ed è particolarmente importante fare in modo che
progressivamente vengano percepite non solo le incombenze dovute agli adempimenti
normativi, ma anche i vantaggi prospettici in relazione all‟operatività e alla capacità di
creare valore.
Sulla base di quanto premesso l‟elaborato si articola in tre parti.
Nella prima parte, a carattere introduttivo, tratteremo della centralità del ruolo del
capitale, come promotore di efficienza e stabilità, per un‟azienda tanto particolare come
la banca. Allo scopo di fronteggiare e controllare l‟instabilità strutturale degli
intermediari, tutelandone la continuità operativa, si è andata nel tempo affinando
un‟articolata architettura di vigilanza nazionale ed internazionale. Tale impostazione,
per quanto articolata e complessa, viene centrata sull‟imposizione dell‟obbligo per gli
intermediari di operare con una dotazione minima di capitale, commisurata al grado di
rischiosità dell‟attivo. Per questo motivo è opportuno identificare uno specifico
aggregato patrimoniale e condurre una diversa analisi a seconda della prospettiva di
osservazione adottata: nella logica della normativa di riferimento potrà essere introdotta
la definizione di Patrimonio di Vigilanza fornita dalla Banca d‟Italia, nella logica
gestionale e strategica, sarà presa in considerazione la grandezza di capitale economico.
Nella seconda parte verrà analizzato il capitale nell'ambito dell‟Accordo di Basilea, con
particolare riferimento ai Pillar 1 e 2. Con riferimento al Primo Pilastro, l‟attenzione è
stata altissima anche da parte delle banche che hanno cercato di allinearsi ai requisiti, al
contrario i cosiddetti "Secondo e Terzo Pilastro", inizialmente considerati marginali,
hanno assunto solo successivamente un‟importante centralità. In merito al Pillar 2, la
connessione tra le attività di ICAAP e le necessità del management di gestire
efficacemente i rischi, ripropone l‟obiettivo della convergenza , data dall‟opportunità di
sinergie che possono venirsi a creare tra Vigilanza ed intermediario, qualora il binomio
ICAAP-SREP avesse l‟evoluzione auspicata. Viene inoltre proposto un
approfondimento sull‟aspetto applicativo del capitale economico con particolare
focalizzazione sullo stress testing e le metodologie di gestione strategica del capitale.
Ogni intermediario, al fine di verificare la propria adeguatezza patrimoniale, è chiamato
ad effettuare una prima valutazione della propria esposizione rischiosa con riferimento
alle singole attività ed impieghi. In questo senso viene adottata una triplice ottica di
XI
stima/misurazione: attuale, prospettica e sotto ipotesi di stress. La valutazione
dell'esposizione, inoltre, deve necessariamente tener conto delle strategie della banca e
dell'evoluzione del contesto generale di riferimento. A questa prima fase si aggiunge
l‟attività di quantificazione della quota di mezzi propri e quindi di capitale
potenzialmente assorbibile per la copertura dei rischi individuati.
Infine la terza parte, oltre al raccordo tra le precedenti, ha la funzione di contestualizzare
le tematiche critiche rispetto alla situazione attuale e prospettica, considerando le
potenzialità non ancora sfruttate appieno e le nuove sfide. Lo stato dell‟arte attuale e le
lacune di Basilea II, la nuova architettura di vigilanza in fieri per il 1 gennaio 2013, la
“qualità” del capitale, le possibilità di convergenza tra gestione del capitale in ottica
strategica e regole di vigilanza, in definitiva come potrà cambiare il modo di fare banca?
In prospettiva, è certo che il compito dell‟Autorità di Vigilanza sarà sempre più quello
di guidare gli intermediari nell‟opera di rafforzamento dei presidi di capitale e nella
predisposizione di un buon sistema di gestione aziendale, mediando tra la necessità di
mettere in opera un controllo più severo e l‟esigenza di non imporre soluzioni standard
ed eccessivamente rigide che di fatto potrebbero penalizzare l‟operatività e l‟efficienza
dei soggetti vigilati. Il nuovo sistema di regole, di cui si stanno ultimando i contenuti,
sarà focalizzato su concetti quali sviluppo equilibrato dell‟attività bancaria, trasparenza,
risk management, risk mitigation, funzionalità dei mercati. Nel periodo attuale “di
transizione” sarà ancora necessaria un‟appropriata gestione degli effetti della crisi da
parte di governi, Autorità di Vigilanza e singoli intermediari, affinché, in modo
coordinato, sia possibile prospettare un futuro basato su una crescita economica
duratura e non “virtuale”.
XII
1
CAPITOLO PRIMO
IL CAPITALE IN BANCA
1.1 Considerazioni introduttive
Una corretta gestione del capitale, intesa come strumento finalizzato al miglioramento
dell‟efficienza e dell‟efficacia del sistema azienda, rappresenta per la banca
l‟opportunità di perseguire adeguatamente attraverso il proprio patrimonio tre obiettivi
fondamentali: detenere un pool di risorse coerenti col grado di rischio sopportato, con i
vincoli esogeni regolamentari e con i piani di sviluppo aziendali, ottimizzarne la
composizione selezionando il mix di strumenti finanziari che, compatibilmente con i
vincoli imposti dalle Autorità di Vigilanza, consentano di minimizzare il costo del
capitale e investire adeguatamente le risorse provenienti dall‟attività di raccolta
bancaria. Ciò presuppone innanzi tutto di essere a conoscenza di quanto capitale la
banca abbia effettivamente a disposizione, quale sia la propensione al rischio, risk
appetite, attribuita all‟intermediario sulla base dei propri target di redditività e qual sia il
livello effettivo di esposizione ai diversi rischi. Complessivamente, il grado di
rischiosità assunto deve tenere conto del capitale disponibile, il quale deve essere in
grado di assorbire le perdite inattese ed, in quanto risorsa limitata, deve essere detenuta
nella quantità ottimale, allocata e gestita in modo razionale. Nella pratica, determinare
la dotazione patrimoniale ottimale a garantire l‟operatività delle diverse business unit
della banca in funzione dei rischi assunti ed in ottica di creazione del valore, implica
una serie di attività complesse che attraversano trasversalmente l‟intera struttura e deve
tenere conto delle due prospettive regolamentare e gestionale.
Di seguito introdurremo innanzitutto i motivi per cui è possibile affermare che sempre
più il ruolo del capitale è divenuto importante, in vista della creazione di valore
all‟interno della banca e ne daremo una descrizione a seconda del punto di vista con cui
lo si analizza, per poi analizzare le tematiche di possibile convergenza tra i diversi piani
regolamentare e gestionale.
2
1.2 Il ruolo degli intermediari all’interno del sistema economico
I fallimenti nel settore finanziario sono molto costosi, non solo per gli azionisti o i
creditori diretti, ma per tutti i contribuenti: l‟insolvenza di un intermediario produce
costi sociali che influiscono sul funzionamento dell‟intero sistema. La fiducia è un
elemento che permea ogni singolo aspetto del comparto bancario e, più in generale, è
una componente fondante della società. Gli addetti ai lavori da sempre cercano di
individuare un modo per preservare le banche dalla manifestazione delle conseguenze
negative relative ai rischi assunti. In letteratura economica si è discusso pesantemente
sul ruolo del capitale e sull‟efficacia o meno dei vincoli in materia di
patrimonializzazione imposti alle banche, come presidio di fiducia. Le peculiarità della
banca, tali per cui si giustifica una tale attenzione da parte di illustri studiosi nonché
delle massime autorità governative ed economiche, sono da ricercare in almeno tre
diversi filoni di motivazioni: il primo derivante dalle specifiche funzioni ed attività
svolte, il secondo dalla particolarità degli interessi trattati, il terzo dal ruolo ricoperto
all‟interno dell‟economia.
La banca trae le sue origini dall‟esigenza di coniugare le richieste espresse dai soggetti
in surplus monetario (tipicamente i risparmiatori) con quelle di unità che richiedono
temporanee concessioni di finanziamento (tipicamente le imprese). Possiede
competenze e tecnologie per svolgere questa peculiare funzione “creditizia”, facilitando
sistematicamente l‟incontro tra la domanda e l‟offerta di fondi. Le asimmetrie
informative, ostacolando la trasparenza sul mercato, limiterebbero notevolmente il
numero delle transazioni effettuate, innanzitutto perché l‟investitore diretto si
troverebbe a sopportare un rischio troppo grande, quando invece l‟intermediario è in
grado di sostenere e gestire i costi d‟informazione necessari per la valutazione dei
possibili investimenti. La funzione di investimento svolta dalle banche può essere infatti
ricondotta alla capacità di destinare il risparmio raccolto verso gli investimenti
particolarmente produttivi. Investimenti in valori mobiliari, concessioni di prestiti a
scadenza e, più in generale, l‟adeguata selezione degli investimenti permettono alla
banca di avere una composizione del portafoglio ampiamente diversificata, riducendo
sia il rischio derivante dal singolo investimento sia quello complessivo del portafoglio.
Quest‟ultimo aspetto è particolarmente rilevante in quanto la raccolta bancaria è
3
tipicamente negoziata a vista, mentre gli impieghi, pur se negoziati formalmente a breve
scadenza, tendono a protrarsi nel tempo. In quanto azienda, la banca impiega fattori
produttivi per la produzione di output a valore aggiunto e ha come obiettivi la creazione
di valore
1
ed il perseguimento di logiche di efficienza. Osservandone l‟attività dal punto
di vista del processo produttivo, potremmo dire che si tratta di un‟azienda che produce
servizi d‟intermediazione all‟interno di rapporti creditori-debitori, utilizzando lavoro e
tecnologia a disposizione. Dunque i depositi, frutto dell‟attività di raccolta del risparmio
tra il pubblico, si collocano tra gli input, i crediti concessi e le altre attività finanziarie
tra gli output. Data una certa quantità di denaro raccolta tramite depositi, l‟intermediario
non può ricercare la massimizzazione dell‟efficienza concedendo il maggior numero di
finanziamenti al tasso più alto possibile, in quanto non può prescindere dai rischi cui si
espone, primo tra tutti il rischio di credito, primo ad essere stato oggetto di studio, e a
cascata tutti gli altri rischi rilevanti, non necessariamente meno consistenti. La banca
infatti, nello svolgere l‟attività bancaria, decide di sopportare diversi tipi di rischi, alcuni
tipici della propria natura (rischio di credito, di mercato, di tasso, di cambio,…), altri
connaturati ad ogni tipo di azienda produttiva (rischio operativo, legale, reputazionale,
di business, strategico,…), allo scopo di gestirli all‟interno della propria struttura e
trasformarli in attività low risk o moneta. La deregolamentazione e lo sviluppo della
tecnologia in finanza hanno contribuito negli ultimi decenni a cambiare il progressivo
processo di integrazione e ad aumentare la concorrenza nel settore dei servizi finanziari.
Come risultato, questo processo ha condotto gli intermediari ad avere una
focalizzazione esasperata sull'efficienza, costringendo da una parte le banche a operare
secondo best practices, ma allo stesso tempo, ha spesso spinto, almeno nel breve
termine, ad una maggiore ed eccessiva assunzione di rischi.
Altro focus dell‟attività bancaria è rappresentato dallo svolgimento di funzione
monetaria: la moneta bancaria o scritturale, che si presenta sotto le diverse forme di
assegni circolari e bancari, trasferimenti di fondi, bonifici o altro ha valore di moneta
legale. L‟utilizzo di moneta scritturale viene spesso preferito per questioni di praticità
sia dalla parte debitrice che dalla parte creditrice, la quale solo raramente richiede la
1
Da intendersi nell‟accezione più ampia, non solo di creazione di valore per l‟azionista, ma per tutti i
soggetti stakeholder coinvolti nel processo produttivo (dipendenti, clienti, cittadini). Un simile approccio
alimenta il meccanismo della fiducia, presupposto fondamentale per la prosecuzione delle attività
bancarie.
4
conversione in moneta legale, trasferendo in modo più semplice il titolo ricevuto, con
ordine alla propria banca di accredito in conto. Dal punto di vista dell‟intermediario
l‟esercizio della funzione monetaria determina un ampliamento dei volumi operativi,
poiché è in grado di gestire e sostenere l‟intrecciarsi di operazioni attive e passive
provenienti da molteplici controparti mediante scritturazioni e senza necessità di
contanti. Presupposto alla base dell‟utilizzo della moneta scritturale è la certezza della
possibile conversione dei debiti bancari in moneta legale e dunque la fiducia da parte
del pubblico nella solvibilità della banca.
La specialità della banca deriva inoltre dalla tipologia di interessi toccati; si tratta
dell‟unica azienda autorizzata a svolgere “attività di raccolta del risparmio tra il
pubblico”, ovvero raccolta strutturata in modo tale da essere “rivolta a soggetti
bisognevoli di tutela da parte dell‟ordinamento”
2
. L‟espressione “raccolta del risparmio”
viene tradotta dalla disciplina giuridica in “acquisizione fondi con l‟obbligo di
rimborso”, si tratta cioè di un‟operazione attraverso la quale la banca acquista la
disponibilità temporanea di moneta, con l‟obbligo di restituirla secondo le modalità
specifiche previste (a vista, dopo un certo periodo, di importo pari al valore nominale o
di valore diverso, con o senza interessi,…). Il soggetto che porta il proprio denaro in
banca, non può sopportare in alcun modo il rischio dell‟insolvenza del destinatario
finale del suo risparmio. Nell‟ambito della raccolta bancaria siamo cioè in presenza di
capitale “di credito” e non “di rischio” e, nei confronti del risparmiatore, la banca
risponde con tutto il suo patrimonio. Deriva da ciò il fatto che la solidità finanziaria di
una banca è uno degli aspetti principali nel rapporto fiduciario con la clientela.
Altrettanto importante è soffermarsi brevemente sul ruolo che l‟intermediario bancario
riveste all‟interno del nostro tessuto economico e sociale di struttura promotrice dello
sviluppo diretto di famiglie e imprese e di canale principale attraverso cui la liquidità si
diffonde nel sistema economico
3
. Il credito concesso dalle banche, soprattutto per
quanto riguarda le imprese, dà importanti segnalazioni al mercato in tema di affidabilità
dei soggetti finanziati, cioè sulla capacità prospettica di produrre reddito ed adempiere
2
Paolo Ferro-Luzzi, Lezioni di diritto bancario – volume 1, Giappichelli Editore, Milano 2004 pag 130.
3
“Gli intermediari, in particolare le banche, contribuiscono al benessere sociale in due modi: creano
liquidità attraverso le loro passività e allocano risorse laddove questa funzione non sarebbe svolta (o
sarebbe svolta a costi più elevati dai mercati – Stefano Mieli (direttore per la vigilanza bancaria e
finanziaria), Intervento su Banca, Rischio, Vigilanza: riflessioni alla luce della crisi, Jesi 12 novembre
2010.
5
alle obbligazioni. In presenza di asimmetrie informative e costi di transazione gli
intermediari riescono a conseguire economie di scala nel processo di allocazione di
risorse verso usi maggiormente produttivi, raccogliendo informazioni e stimando la
qualità dei diversi progetti di investimento. La banca viene quindi chiamata ad una
valutazione ex-ante del merito creditizio del soggetto richiedente il credito, cui segue la
conseguente selezione e la realizzazione ex-post di un‟attività di monitoraggio continuo
sul comportamento dello stesso soggetto finanziato nell‟interesse proprio e dei
depositanti. Nonostante le accortezze in fase di istruttoria, l‟intermediario si espone
consapevolmente al rischio che parte dei fondi prestati non sia rimborsata e nel passivo
sono predisposti strumenti quali azioni, debito subordinato, depositi, che segmentano la
rischiosità dell‟attivo e si distinguono per una diversa capacità di assorbire le eventuali
perdite.
Nell‟ultimo ventennio il sistema finanziario è cresciuto moltissimo in dimensioni e
complessità. La deregulation, il progresso tecnologico ed il concetto di banca universale
che si è affermato hanno incentivato le banche, a divenire progressivamente aziende
multi prodotto, in grado di offrire anche prodotti strutturati, caratterizzati da nuove,
particolari combinazioni rischio-rendimento e servizi finanziari spesso del tutto
svincolati dal core business tipico. Sui mercati hanno acquisito un ruolo sempre più
centrale nuovi grandi operatori quali i fondi pensione e gli hedge fund e i mercati, a loro
volta, si sono espansi ed integrati. L‟integrazione ha riguardato anche l‟attività bancaria
tipica, sia dal lato dell‟attivo che del passivo: attraverso le cartolarizzazioni, gli
intermediari hanno potuto mobilizzare una quota crescente delle proprie attività,
riducendo, almeno in un primo tempo rischi e costi dell‟intermediazione. In Italia
l‟operatività è rimasta prevalentemente ancorata al modello tradizionale, ma la
globalizzazione dei mercati e della finanza ha interessato in modo più o meno marcato
tutti i paesi, contribuendo alla diffusione di “nuovi” prodotti finanziari. Quest‟ultimi,
proprio perché costruiti secondo logiche di profitto orientate alla massimizzazione nel
breve termine, si sono in definitiva dimostrati fattore di innesco e veicolo per la
diffusione della crisi.
È importante precisare come il “meccanismo della crisi” non sia da considerare come
un‟invenzione dei giorni d‟oggi e, al contrario, si tratta di una distorsione del sistema
economico finanziario storicamente conosciuta. La banca è per sua natura uno dei più
efficaci strumenti di mobilitazione del risparmio e di supporto alla crescita economica,
6
ma, allo stesso tempo, conserva al suo interno elementi connaturati di fragilità.
successivamente al momento in cui si manifesta il cosiddetto fenomeno di “corsa agli
sportelli”, dovuto ad una generalizzata perdita di fiducia nella qualità dell‟attivo da
parte dei clienti, l‟intermediario, proprio per la peculiare caratteristica di trasformazione
delle scadenze, può non essere in grado di rimborsare i fondi. In questo caso, la
necessità di smobilizzare rapidamente risorse investite a lungo termine può
compromettere la solvibilità della banca e, a sua volta, la fitta rete di interconnessioni
tra questa e gli altri intermediari trasmette rapidamente il segnale negativo all‟intero
comparto. La crisi finanziaria a questo punto inizia a delinearsi proprio in virtù delle
esternalità negative che il fallimento incontrollato di un intermediario, o comunque la
situazione di difficoltà, può determinare in termini di ulteriori ricadute sulla fiducia,
sulle dinamiche economiche reali, sull‟occupazione ed in definitiva sul benessere della
società.
In base a quanto descritto, la partecipazione delle banche ai sistemi di pagamento, il
ruolo ricoperto nel finanziamento agli attori dell‟economia reale e nell‟allocazione delle
risorse, fanno sì che la stabilità del sistema creditizio sia assolutamente essenziale per
avere uno sviluppo economico. In tutto questo scenario il capitale “non è una variabile
indipendente e incorrelata con le politiche di allocazione dell‟attivo, ma un termine in
continua e costante relazione con le opzioni strategiche compiute sul versante degli
impieghi fruttiferi, delle politiche di crescita, delle immobilizzazioni tecnologiche
4
”.
Esso rappresenta il fulcro dei modelli di vigilanza più recenti. Come avremo modo di
approfondire, infatti, proprio dopo una grande crisi, quella degli anni 30, si è avvertito il
bisogno di realizzare un impianto regolamentare specificatamente finalizzato al
controllo e fronteggiamento dell‟instabilità strutturale degli intermediari ed è nata allo
stesso tempo la funzione di supervisione, svolta da un‟autorità incaricata di verificare il
rispetto dei requisiti e di reprimere eventuali comportamenti rischiosi assunti dai
soggetti vigilati.
4
Per approfondimenti si rimanda : A. Resti, Il capitale in banca: significato e funzione economica, in
Sironi A., Saita F., Gestione del capitale e creazione di valore nelle banche, Edibank, Milano 2002 .
7
1.2.1 Relazione tra capitale, rischio ed efficienza nella banca
Esaminando alcuni articoli pubblicati negli Stati Uniti emerge come, osservando le
banche americane nell‟800, queste avessero indicatori patrimoniali molto alti, superiori
al 50% che progressivamente si sono ridotti fino a toccare il minimo storico a fine anni
ottanta. Il capitale azionario svolge funzione di tutela nei confronti dei soggetti creditori
dell‟azienda, nel caso della banca si tratta soprattutto di ignari soggetti depositanti e la
solidità finanziaria costituisce presupposto fondamentale per alimentare il rapporto
fiduciario con i clienti e con il mercato. Gli studiosi hanno quindi cercato una
spiegazione per questo trend discendente, che ha invertito la propria tendenza soltanto
con l‟applicazione del Primo Accordo di Basilea I.
Figura 1. Andamento del coefficiente di patrimonializzazione nelle banche
commerciali americane dal 1840 al 1990
5
.
L‟articolo di Berger, Herring e Szegö “The role of capital in financial institutions”
6
,
sebbene pubblicato nel 1995 e quindi non propriamente recente, è molto interessante ai
fini della comprensione del ruolo del capitale all‟interno delle istituzioni finanziarie:
perché sia importante e in che modo il mercato e le logiche operative richiedano un
grado di patrimonializzazione alle banche anche diverso rispetto a quello eventualmente
richiesto dalla regolamentazione. I mezzi patrimoniali permettono all‟intermediario sia
di cogliere le opportunità di sviluppo sia di assorbire le perdite inattese al momento
della loro manifestazione. Sulla loro determinazione incidono in modo congiunto la
5
Drew Dahl, Michael F. Spivey, The effects of declining capitalization on equity acquisition by
commercial banks, Journal of Banking and finance, volume 20, fascicolo 5, giugno 1996, pag. 901.
6
Per approfondimenti: Allen N. Berger, Richard J. Herring, Giorgio P. Szegö: “The Role of Capital in
Financial Institutions” Working Paper 1995-01.
8
logica gestionale di tipo aziendalistico e la logica regolamentare, se presente. Alla luce
di ciò, viene affrontato il tema dell‟evoluzione della grandezza capitale nella banca, con
particolare riferimento a cosa possa incidere sulla sua quantificazione ed in che modo.
La maggior parte delle analisi si concentra sulle banche commerciali negli Stati Uniti,
anche se gli autori stessi puntualizzano che gli argomenti sono trattati con un approccio
valido più in generale per le istituzioni finanziarie in altri sistemi di regolamentazione di
economie avanzate
7
.
Secondo Berger, Herring e Szegö una qualsiasi moderna ricerca sulla struttura del
capitale deve necessariamente partire dalla teoria Modigliani Miller, secondo la quale,
in un mondo ideale, di mercati perfetti ed in assenza di asimmetrie informative, la
composizione del capitale in un‟azienda non influenza il suo valore. Per gli studiosi è
stato allo stesso tempo necessario considerare gli altri articoli che ritengono rilevanti le
divergenze tra mondo ideale considerato nel teorema Modigliani Miller e mondo reale,
da cui ne consegue che le istituzioni finanziarie devono essere in grado di accrescere il
proprio valore di mercato realizzando un ottimale livello di leverage.
La struttura del capitale delle istituzioni finanziarie scaturisce solo in parte dagli stessi
elementi che determinano la struttura del capitale di qualsiasi impresa: le imposte, i
costi previsti di crisi finanziaria, i costi di transazioni ed i problemi derivanti dalle
asimmetrie informative tra azionisti e creditori, tra proprietari e gestori. Le banche si
differenziano dalle altre imprese per aspetti importanti che influiscono sulla struttura del
capitale. Se è vero che raccogliere capitali rapidamente è tipicamente oneroso, è anche
vero che le istituzioni finanziarie possono detenere un capitale addizionale in modo da
sfruttare impreviste opportunità redditizie e contemporaneamente premunirsi contro le
perdite inattese e possono indebitarsi sul mercato a tassi particolarmente vantaggiosi. È
inoltre presente una rete di sicurezza normativa che protegge la sicurezza e la solidità
delle banche, la cosiddetta “safety net”, che include l'assicurazione dei depositi, le
garanzie di pagamento incondizionato e le altre norme di sicurezza poste a garanzia dei
clienti (diverse rispetto a una regolamentazione del capitale).
7 “Most of the analysis focuses on commercial banks in the United States, although many of the
arguments apply more broadly to other financial institutions and regulatory systems” - Allen N. Berger,
Richard J. Herring, Giorgio P. Szegö: “The Role of Capital in Financial Institutions” Working Paper
1995-01, Wharton University of Pennsylvania, pag. 2.
9
Il mercato “richiede” alla banca, così come ad ogni altra azienda, un certo livello di
capitalizzazione, tale da mantenere la fiducia del sistema circa la propria solvibilità,
verso cui la banca dovrebbe tendere in ottica di lungo periodo. Tale requisito
patrimoniale si definisce come il rapporto tra patrimonio netto e le attività che
massimizzano il valore della banca in assenza di regolamentazione, ma in presenza del
resto della struttura di safety net che protegge la solidità e sicurezza delle banche. Il
valore della banca può essere visto come proxy della somma dei valori di mercato di
equity e debt. Per una banca non quotata si tratta semplicemente del valore attuale netto
dei flussi di cassa futuri attesi dagli azionisti.
Si è osservato come la rete di sicurezza permetta di fatto alle banche di accrescere la
propria operatività, diminuendo la propria patrimonializzazione e assumendo rischi
tendenzialmente maggiori rispetto al livello ottimale, in ottica di moral hazard. Questo,
secondo gli studiosi, può aiutare a spiegare perché le banche in generale presentino un
basso rapporto capital-to-asset rispetto alle imprese di qualsiasi altro settore, compresi
gli operatori finanziari con portafogli simili che non hanno accesso alla rete di
sicurezza; inoltre, l'evoluzione storica dei coefficienti patrimoniali della banca,
rappresentati nel grafico illustrato precedentemente, risulta compatibile con l'ipotesi che
l'introduzione di elementi di safety net ha svolto un ruolo importante quantomeno negli
Stati Uniti per la diminuzione delle quote di capitale detenute dalla banca.
Le banche giocano un importante ruolo nell‟economia globale e, anche per questo
motivo, sono state la prima categoria di soggetti sottoposta a una regolamentazione di
capitale coordinata a livello internazionale. Non solo, per le autorità nazionali e
sovranazionali proteggere le banche ed il sistema dalle esternalità negative è altamente
costoso. La preoccupazione principale deriva dal rischio sistemico, in grado di
infliggere pesanti costi sociali. Il fallimento di una o più banche può innescare un
meccanismo negativo, che investe tutta l‟economia, minando la fiducia della clientela,
senza contare gli effetti di paralisi sul mercato interbancario
8
e le ripercussioni sulla
politica monetaria.
8
“The failure of a large number of banks or the failure of a small number of large banks could set off a
chain reaction that may undermine the stability of the financial system. Public information about the
condition of individual banks is highly imperfect and so when a number of banks fail, it may be difficult
to tell whether the cause is idiosyncratic shocks to individual banks or a more widespread shock that
10
A dispetto delle teorie economiche più liberiste, è dunque ad oggi abbastanza pacifico il
fatto che il mercato non sia in grado di auto regolamentarsi da solo, ma abbia bisogno di
un supervisore, un regulator, esterno in grado di dare regole e pretenderne il rispetto. I
vincoli che le Autorità nazionali ed internazionali hanno cercato di imporre negli ultimi
venti anni, intendono salvaguardare in primis la stabilità del singolo intermediario ed
indirettamente proteggere l‟intero sistema, in considerazione degli elementi di
peculiarità che contraddistinguono l‟azienda bancaria. L‟efficacia dello strumento
“capitale minimo regolamentare” dipende dall‟accuratezza con cui i rischi vengono
evidenziati e misurati e quindi la principale sfida per le autorità di vigilanza bancaria
consiste nell‟individuare metodologie e strumenti più idonei possibile per quantificare
la relazione capitale-rischio.
Nel recente passato diversi economisti americani si mostravano scettici ritenendo che la
regolamentazione non avesse in definitiva un effetto positivo sulla solidità delle banche
e comunque andasse a ledere la loro efficienza dal punto di vista operativo.
L'introduzione dei requisiti previsti dall‟Accordo di Basilea del 1988 ha riacceso
interesse sull‟efficacia della regolamentazione sul capitale delle banche. Una nuova
ondata di studi, sempre in maggioranza provenienti dall‟America, tendeva a trovare che
i vincoli di capitale regolamentare fossero efficaci a tenere le banche lontane da
investimenti in attività particolarmente rischiose altri, nella medesima direzione,
rilevavano che le banche con più basso livello di capitalizzazione tendevano ad operare
con livelli di rischio di credito più elevato, in linea con l‟ipotesi di moral hazard.
In parallelo la letteratura più teorica offre risultati contraddittori per quanto riguarda gli
effetti dei requisiti patrimoniali sul comportamento della banca rispetto all‟assunzione
di rischi. In generale poi, la questione se coefficienti patrimoniali più elevati siano in
grado di ridurre il rischio complessivo è rimasta per diverso tempo sostanzialmente
irrisolta.
jeopardizes many other banks. Thus, the news that some banks failed may create destructive `panic' runs
on other solvent, but illiquid banks by uninsured creditors who are unsure whether the shock may affect
their banks. Interbank markets may be another channel through which the problems of one bank are
transmitted rapidly to other banks since interbank transactions are large, variable, and difficult for
outsiders to monitor” - Allen N. Berger, Richard J. Herring, Giorgio P. Szegö: “The Role of Capital in
Financial Institutions” , op. cit., pag. 17.
11
Un importante contributo al dibattito è venuto da Hughes e Mester, i quali hanno
sostenuto la necessità di considerare l'efficienza della banca alla luce del rapporto tra
capitale e di rischio. Secondo i due studiosi sia il capitale che il rischio sono suscettibili
di essere determinati dal livello di efficienza della banca. Per esempio, le autorità di
vigilanza potrebbero consentire alle banche efficienti, con un sistema gestionale di alta
qualità, una maggiore flessibilità in termini di capitale o in termini di rischio
complessivo. D'altra parte una banca dotata di una gestione meno efficiente, con un
capitale basso può decidere di assumere un rischio più elevato nel tentativo di
compensare
9
il diverso livello competitivo. Kwan e Eisenbeis su un campione di banche
americane hanno constatato che quelle più capitalizzate si rivelano più efficienti degli
istituti meno capitalizzati
10
. Williams e Altunbas hanno replicato la prova sul contesto
europeo, analizzando il rapporto tra capitale, rischio e rendimento su un campione
significativo di banche con riferimento agli anni 1990-1998 il primo e 1992-2000 il
secondo. In base a quanto emerge dalla prima ricerca, le banche gestite in modo
peggiore sono quelle che in portafoglio detengono una percentuale maggiore di crediti
problematici e uno dei principali problemi per le banche europee è proprio la cattiva
gestione. In netto contrasto con Williams
11
, una corrente minoritaria, tra cui lo stesso
Altunbas
12
, non sembra aver trovato un rapporto positivo tra inefficienza della banca e
grado assunzione dei rischi e, al contrario, banche europee inefficienti sembrano avere
più capitale e assumere meno rischi. Questo perché risulta che, alla forza in ambito
finanziario delle imprese del settore, corrisponde una generale riduzione del livello di
assunzione dei rischi e anche del capitale. Nel complesso dunque, gli studi europei degli
ultimi anni, hanno riportato in parte risultati contraddittori per quanto riguarda le
relazioni tra efficienza, capitale e rischio della banca.
9
Per approfondimenti: Joseph P. Hughes, Loretta J. Mester, Efficiency in banking: theory, practice, and
evidence, Working paper Research Departement, Gederal Reserve Bank of Philadelpia, gennaio 2008.
10
Per approfondimenti: Simon Kwan, Robert A. Eisenbeis, Bank Risk, Capitalization and Inefficiency,
Working paper – the Wharton financial Institutions center, University of Pennsylvania, 1995.
11
Per approfondimenti: J.Williams, Determining management behaviour in European banking, Journal of
Banking and Finance, 2004.
12
Per approfondimenti: Yener Altunbas, Santiago Carbo, Edward P.M. Gardener, Philip Molyneux,
Examining the Relationships between Capital, Risk and Efficiency in European Banking, European
Financial management - Blackwell Publishing Ltd - gennaio 2007.