Laura Petrucci - L’acquisizione e potenziamento abilità di comunicazione- relazione in soggetto con Rm
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Introduzione
Alla fine di un corso di studi specialistico è stato piuttosto difficile orientarsi nella scelta di un
argomento che potesse essere oggetto di una trattazione approfondita qual è una tesi.
Le problematiche con cui si è venuti a contatto nel corso di questo periodo di studi si sono
rilevate, infatti, tutte ugualmente interessanti e meritevoli di essere ulteriormente analizzate.
Ma è chiaro che, al fine di dar vita ad un lavoro che potesse conciliare le acquisizioni teoriche
con un criterio operativo di carattere sperimentale, gli interessi specifici scaturiti dalle attività
di tirocinio svolte sono state determinanti nell’effettuare una precisa scelta. In altri termini, il
presente lavoro si propone come uno studio di un particolare tipo di abilità, quale quella della
comunicazione, che risulta essere deficitaria in soggetti con ritardo mentale.
Quindi nella prima parte, di carattere teorico l’attenzione sarà rivolta alla comunicazione intesa
come attività di relazione complessa e di fondamentale importanza per l’autonomia
dell’individuo ed il cui apprendimento ne costituisce un traguardo educativo talmente rilevante
da non poterne farne a meno in nessun caso e la seconda parte tratterà del caso che ho seguito
durante il tirocinio diretto.
La scelta dell’argomentazione relativa alla comunicazione rispetto ad altre abilità è stata
dettata dal fatto che il soggetto da me seguito nel tirocinio risulta essere particolarmente
deficitario in questo settore e dal fatto che ritengo questo tipo di autonomia quella più
importante.
Nel momento in cui ventilavo l’ipotesi di iscrivermi alla scuola di specializzazione, tutte le
persone che mi circondavano, amici, familiari, approvavano e mi incoraggiavano. Le frasi che
mi sentivo rivolgere frequentemente erano: “fai bene, avrai lavoro garantito perché c’è grande
richiesta di insegnanti di sostegno”.
Gli incoraggiamenti e le approvazioni anziché rassicurarmi e darmi conferme rispetto alla
scelta che stavo per fare, mi facevano sorgere mille dubbi ed interrogativi. E se la mia scelta
fosse stata dettata realmente ed esclusivamente dalla necessità di trovare un lavoro? E fare
l’insegnante di sostegno era veramente quello che volevo fare? Che tipo di insegnante avrei
potuto, diventare ed essere? Questi dubbi, questi interrogativi, mi hanno spinto a guardarmi
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dentro per cercare delle risposte e /a leggere argomenti relativi al tipo di preparazione che deve
avere un insegnante specializzato nella scuola oggi.
In questo percorso di autoriflessione, ci sono stati, non posso negarlo, diversi momenti di crisi
e non nascondo che il dubbio ricorrente da dissolvere riguardava proprio la motivazione della
scelta come “ripiego”, come sorta di stratagemma per entrare nel mondo della scuola. In questo
lavoro su me stessa, gli elementi che mi hanno guidata e in qualche maniera illuminata sono
stati: la rivisitazione della mia esperienza di studente prima, di insegnante dopo, le esperienze
maturate in qualità di consulente psico-pedagogista, progettista e tiflopedagogista, il
significato della parola “diversità”, ed infine il fatto di appartenere ad una famiglia di
insegnanti. Ho ripensato, con occhi adulti alle mie esperienze di alunna, ai miei compagni in
situazione di handicap e/o di svantaggio socio-culturale. Ho rivisto quelle situazioni e ho
incominciato a capire che forse le difficoltà di inserimento e di integrazione di questi
compagni, più che da deficit o dagli svantaggi che essi presentavano, derivavano da una sorte
di “isolamento”, di “circoscrizione” che rilevava l’incapacità degli altri di misurarsi con la
“diversità”. Mi sono soffermata a riflettere soprattutto sul “destino” al di fuori della scuola di
questi miei compagni. Quanti hanno potuto continuare gli studi? Quanti hanno potuto elaborare
un “progetto di vita”? Qualcuno, forse nessuno. Ad essi, dal mio punto di vista, non sono state
offerte, probabilmente giuste opportunità di una vera integrazione, anche se per fortuna oggi
nella scuola le cose sono notevolmente cambiate anche grazie a questa nuova figura, oserei dire
dell’insegnante specializzato legato al docente curriculare nel processo di integrazione reale.
Altro elemento fondamentale della mia riflessione: la mia famiglia, miei primi maestri. La
gioia e l’entusiasmo nel fare il loro lavoro da insegnanti, mi ha sempre incuriosita e stimolata a
farmi raccontare le loro esperienze. Mi hanno raccontato le difficoltà a comunicare ed entrare
in relazione con gli alunni cosiddetti “normodotati”, ma soprattutto con gli alunni diversamente
abili. Tutto ciò ha contribuito a farmi capire che fare l’insegnante di sostegno non è affatto
facile: occorre un’accurata sensibilità. Ricordo una metafora: “la preparazione può essere come
un vestito che ti sta addosso stretto e che diventa sempre più stretto fino a non farti respirare, se
non si aprono la mente e lo sguardo verso orizzonti di ampio respiro che mettono in gioco la
capacità di misurarsi con le “diversità”, in qualsiasi forma esse appaiono, in un mondo in cui è
proprio la “diversità” a diventare “normalità”. Sono profondamente convinta che “diverso”
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vuol dire risorsa, un opportunità di crescita per tutti. Se non si vogliono trasformare differenze
in disuguaglianze bisogna comprendere, nel senso originale della parola e cioè “prendere con”,
“portare insieme”, come capacità di ragionare e non, di vedere e non di parlare, perché c’è un
altro modo di comunicare, basta solo avere la voglia di scoprirlo.
Tutte queste mie riflessioni mi hanno incuriosito e spinto ad accettare forse la sfida più
importante della mia vita, di avventurarmi in un cammino sicuramente difficile, ma con la
consapevolezza che non ho fatto semplicemente “domanda d’iscrizione” per “fare” l’insegnate
di sostegno, io voglio “studiare” ed impegnarmi per diventarlo e per “esserlo”.
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Capitolo I La comunicazione
1.1 Fondamenti della comunicazione umana
Abitualmente per comunicazione si intende il passaggio di informazioni fra due o più esseri
umani. In realtà essa è un fenomeno molto più complesso, che non si limita alle componenti
verbali, e che è comune a tutti gli organismi viventi. Infatti, non si limita a facilitare il
soddisfacimento di alcuni bisogni circoscritti, ma è fondamentale ad ogni individuo per sapere
che esiste e per scoprire chi è.
L’essere umano, infatti, definisce la sua identità rapportandola alle diversità altrui e necessita
sia fisicamente, sia psicologicamente, di specchi per guardarsi e riconoscersi. Paradossalmente,
lo specchio più adeguato per conoscere la propria unicità sono gli altri, le persone diverse da
noi. Il processo comunicativo, pertanto, ha consentito all’uomo non solo la sua sopravvivenza,
ma anche il suo percepirsi e riconoscersi.
Nel film di Ettore Scola “La famiglia”, lo zio, giocando con Paolino, il nipote di tre anni, a un
certo punto fa finta di non vederlo più:
“Paolino dove sei”?
E il bimbo: “Sono qui”.
Lo zio continua a fingere: “Paolino dove sei”?
“Sono qui zio, sono qui”.
“Ma dove si sarà cacciato? Possibile che sia sparito”?
“Sono qui, sono qui”.
Il gioco va avanti finche il bambino scoppia in un terribile e inconsolabile pianto di
disperazione. Per un attimo non sapeva più chi fosse. Ognuno di noi, quindi, non solo è causa,
ma è anche l’effetto dei suoi atti comunicativi: la stima e la considerazione che abbiamo di noi
stessi è condizionata dalla qualità e dall’esito delle nostre interazioni. Dalle risposte
dell’esterno io posso, infatti, percepirmi più o meno capace, adatto, in armonia con me stesso e
l’ambiente che mi circonda.
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Qualsiasi sia lo scopo della comunicazione, non basta l’attenzione del parlante per ratificare il
successo di un atto comunicativo. Comunicare, infatti, etimologicamente significa “mettere in
comune”, condividere qualcosa con qualcun altro. Le possibilità per ogni individuo di “entrare
in comunicazione con” sono infinite: in ogni istante noi potremmo ricevere ed inviare
informazioni provenienti da ogni luogo, fuori e dentro di noi (Colli, Pietrosi,2002, pag12)
La realtà esterna e anche quella interiore, infatti inviano in continuazione messaggi ai nostri
cinque sensi. Tuttavia non tutti gli stimoli esterni destano la nostra attenzione, trasformando le
possibili “situazioni comunicative” in comunicazione vera e propria: perché avvenga un atto
comunicativo, oltre ad un soggetto che invia un messaggio, è indispensabile qualcuno attento,
“sintonizzato”, disposto a trovare interesse e a dare senso allo stimolo inviato. Durante questa
attività, selezioniamo informazioni che ci circondano e permettiamo solo a pochi stimoli di
arrivare a coscienza ed essere recepiti. Tutto ciò avviene in modo inconscio: non ci rendiamo
neppure conto di quanto sia parziale la nostra visione del mondo. Ma cosa succede in un
soggetto con ritardo mentale? Come far acquisire e/o potenziare le abilità comunicative?
Proprio perché comunicare è un’attività complessa mediante la quale viene allargata la libertà
dell’individuo, potenziate le sue capacità ed incrementate le possibilità che gli consentono di
affrontare in modo adeguato le diverse sfide provenienti dall’ambiente, l’apprendimento alla
comunicazione costituisce un traguardo educativo talmente rilevante da rinunciarvi solo in
presenza di ostacoli davvero insormontabili. Ma quali sono le difficoltà che si riscontrano nel
normale sviluppo dell’atto comunicativo?
Le anomalie nello sviluppo della comunicazione dipendono da almeno due ordini di fattori:
– da un lato dalle difficoltà a livello di intersoggettività e quindi nell’area dei prerequisiti della
comunicazione;
– dall’altra parte dalla rigidità che contraddistingue l’organizzazione cognitiva.
Da ciò possiamo dedurre che i deficit comunicativi riguardano sia un aspetto quantitativo che
qualitativo della comunicazione. L’aspetto quantitativo riguarda la difficoltà a comprendere e a
imparare il linguaggio in modo corretto. Il secondo aspetto è imputabile sia al concetto di
consapevolezza sociale, sia a mancanza di intersoggettività e del riconoscimento del valore
sociale della comunicazione e quindi, in breve, dell’effetto del messaggio sul ricevente.