2
uscire dal proprio residuale statuto
“archeologico”, operazione complessa
poiché presuppone la riconsiderazione in
termini qualitativi e, soprattutto, un
grosso impegno quantitativo (in termini di
metri cubi da recuperare, di tempi e di
risorse da investire).
La situazione osservabile in tutta l’Europa
è quella di grandi giganti addormentati
nel ventre di una città piena di vita, una
città che continua a chiedere
disperatamente spazi per riprodursi, una
città che non ammette tempo per
pensare e che spesso dimentica sé
stessa per economie interne. I fatti
industriali solamente se visti come
monumenti, come eredità del passato e
segni di una memoria collettiva da
perpetuare possono entrare a far parte
legittimamente dei documenti che lo
storico porta come esempio, "moneo", ed
insegnamento, da "docere", per una
storia della civiltà più completa ed
esauriente. L’importanza assegnata a
questi particolari monumenti, più che a
quelli generalmente assunti in virtù della
loro firma o dell’appartenenza a una
storia remota, è determinata dallo stretto
rapporto esistente tra la fabbrica e la
manodopera che vi lavorava, tra il
paesaggio in cui questi elementi
s’inserivano, i mezzi di comunicazione e
il tempo della fabbrica, il ritmo del lavoro.
La classe operaia non ha costruito
testimonianza di sé poiché non ne aveva
i mezzi, l’unica testimonianza rimasta è,
dunque, quella che per essa è stata
costruita, la fabbrica.(1)
Il campo di discussione a riguardo
sarebbe amplissimo; il mio obiettivo, in
questo progetto, consiste nel dare
un’interpretazione di un manufatto
industriale, nello specifico la centrale
elettrica di Rummelsburg, cercando di
rivalorizzarlo con un nuovo progetto, ma
partendo dall’analisi quasi “archeologica”
delle componenti di valore della fabbrica.
1_ Manuale del restauro architettonico: AA.VV. (Mancosu editore)
3
Ciò che avvenne in Germania tra la
fine del XIX secolo e l’inizio del XX merita
una breve descrizione, in quanto le
tendenze culturali che si svilupparono in
quel periodo influenzarono ogni campo
artistico e particolarmente quello
industriale e produttivo.
È bene sottolineare che – fin dalla
prima della metà del XVIII secolo – era
l’Inghilterra a detenere il primato in
Europa per quel che riguarda lo sviluppo
industriale, tanto da intraprendere
l’investimento dei propri utili all’estero. La
Germania, forse anche grazie a questo
motivo, iniziò un proprio percorso di
industrializzazione, basato sullo studio
dei prodotti altrui per penetrare nei
mercati d’oltremanica: la selezione
tipologica, accompagnata ad un attento
re-design, diede l’avvio all’estetica della
macchina del XX secolo.
Semper, durante uno dei suoi
viaggi, pubblicò a Londra il libro
“Scienza, industria ed arte”, uscito in
Germania nel 1852, nel quale analizzava
l’impatto dell’industria in tutte le arti ed in
architettura: si iniziava a creare una
cultura artistico-industriale che poi
avrebbe influenzato la produzione nei
decenni successivi.
Il periodo che seguì vide però un
rallentamento dello sviluppo, per via di
alcune cause politico-economiche che
non favorirono la ricerca: dal 1870 si era
entrati infatti nella cosiddetta “era di
Bismarck”e solo dopo più di un decennio
si verificò un’ inversione di tendenza;
emblematica in proposito, l’azione della
AEG, che dal 1883 iniziò lo studio di
nuovi design più all’avanguardia. La vera
e propria svolta avvenne nel 1890, con le
dimissioni di Bismarck: la critica spingeva
per arrivare ad un livello qualitativo più
alto in modo da raggiungere un ruolo
primario nelle esportazioni mondiali e ne
sono un esempio gli scritti di Naumann,
nei quali si legge la volontà di avere un
popolo educato nel campo artistico ed
orientato verso la produzione industriale.
Iniziò così un periodo di ricerca e di
ispirazione dai paesi più sviluppati con
l’intenzione di cogliere il loro meglio per
poi svilupparlo in patria.
Con questo scopo, dal 1896 al
1904 fu mandato Muthesius come
rappresentante statale a Londra per
studiare architettura e design inglesi; al
suo ritorno, acquisita una maggiore
istruzione nel campo delle arti applicate
da coloro che detenevano il primato in
questo settore, iniziò a riformare il
progresso nazionale, sviluppando l’idea
che la base di una buona produzione
fosse legata all’economicità del prodotto:
BOOM INDUSTRIALE IN GERMANIA E IN EUROPA
P. Behrens: Turbinefabrik (1910)
4
per tale motivo, al fine di migliorare
l’istruzione artigianale, nel 1907 fonda il
Deutsche Werkbund , assieme a Schmidt
e Naumann.(2)
Da questo rapido excursus si può
forse iniziare a capire la cultura che si
venne sviluppando in Germania fra i due
secoli, in cui il ruolo che si dava
all’industria era primario non solo
limitatamente alla produzione, ma anche
per quel che riguarda l’estetica e per
l’arte. Behrens ne fu forse il maggior
esempio in architettura, in quanto riuscì a
creare il giusto edificio atto a contenere
una produzione industriale: la
TurbineFabrik, consapevole opera d’arte
in cui si reifica l’industria come unico
ritmo vitale della vita moderna, una sorta
di tempio del potere industriale. Sia lui
che Muthesius pensavano infatti che il
“tipo” fosse strutturato in due parti:
l’oggetto industriale, che
progressivamente raggiunge la
perfezione grazie all’uso ed alla
produzione, e l’oggetto tettonico, che
costituisce un irriducibile elemento
edilizio, unità di base del linguaggio
architettonico.
In tal senso si può ravvisare una
sorta di precursore nella figura di
Schinkel, che infatti già a fine XVIII
secolo, durante i propri viaggi, studiò le
architetture industriali inglesi, con una
particolare attenzione ai particolari
costruttivi e compositivi. Si nota nei suoi
schizzi un vasto numero di riproduzioni di
elementi metallici e un’attrazione verso il
mondo industriale di inizio XIX secolo:
seppure queste osservazioni non ebbero
un risultato concreto nelle sue
successive costruzioni in patria, è
indubbio che furono incentivo e stimolo
per le ricerche inerenti l’architettura
tettonica, con numerosi spunti presenti
nei suoi edifici. (3)
K.F. Schinkel: Schizzi delle fabbriche Manchesteriane dai viaggi in Inghilterra (fine XVII sec.)
2_ Storia dell’architettura moderna: K. Frampton, 1980 (Zanichelli), capitolo sul Deutsche Werkbund
3_ Tettonica e architettura: poetica della forma architettonica fra XIX e WW sec.: K. Frampton, 1999 (Milano, Skira)
5
L’affermazione dell’architettura
industriale si sviluppa parallelamente
all’uso, sempre più frequente, di un
nuovo materiale: il ferro, già usato nelle
prime fabbriche Manchesteriane ed
analizzato da Schinkel (4), la cui facilità di
lavorazione – assieme all’ economicità,
alla flessibilità e leggerezza – lo resero un
elemento di grande innovazione per le
costruzioni.
La sua poetica venne sviluppata
soprattutto in nord Europa, in cui
numerose furono le applicazioni: i primi
impieghi si ravvisano in Inghilterra, con la
scuola di Paxton (Cristal Palace), ed in
Francia, dove venne utilizzato per
numerosi mercati (Les Halles a Parigi
come esempio principale), oltre ad
essere oggetto di ibridazioni con
materiali tradizionali, come nella Borsa di
Amsterdam Di Berlage o nelle
applicazioni di Viollet Le Duc fra XVIII e
XIX secolo.
Inizialmente, infatti, il suo utilizzo fu
spesso affiancato a costruzioni in
mattoni, specie nelle fabbriche, in cui
esternamente veniva lasciata una facciata
in stile più tradizionale; mentre
internamente le esigenze funzionali
permettevano l’inserimento del nuovo
materiale, che regnava assoluto.
Proprio in Germania lo stile
architettonico dei primi edifici industriali
rispettava i canoni costruttivi guglielmini
vigenti all’epoca, di impronta
classicheggiante con facciate in muratura
o pietra. Internamente veniva esaltato il
nuovo materiale, presente in tutte le parti
costruite, anche attraverso l’uso di
tecnologie allora d’avanguardia: tutte le
strutture erano in ferro, la copertura per
permettere il massimo di illuminazione
entrante si alleggeriva con il ferro e vetro,
come in metallo erano le scale interne, la
struttura, i macchinari da lavoro etc.
esemplificative in proposito le fabbriche
costruite prima della II guerra mondiale,
connubio di diverse tecnologie (mattone-
ferro, legno-ferro) e autentiche
testimonianze dell’evoluzione tettonica
fra antico e moderno.
Per liberarsi dei canoni classicisti e
dell’antica struttura in mattoni fu
necessario aspettare del tempo, in un
processo graduale il cui avvio è
rintracciabile, in particolar modo, nella
crescente volontà della classe industriale
di manifestare l’importanza del proprio
ruolo all’interno della comunità, e dunque
l’intenzione di emergere il simbolo dello
sviluppo: si cercò pertanto di non
nascondere le fabbriche dietro una pelle
classica, ma di realizzare un linguaggio
UTILIZZO del FERRO NELL’ARCHITETTURA INDUSTRIALE
Antica fonderia nella Ruhr (fine XIX sec.) Esempio dell’uso del ferro nella produzione industriale
4_ Tettonica e architettura: poetica della forma architettonica fra XIX e WW sec.: K. Frampton, 1999 (Milano, Skira)
6
architettonico industriale, simbolo di
prosperità economica e sviluppo, che in
Germania si affermò con Behrens e la
sua TurbineFabrik a Berlino. È importante
sottolineare che il linguaggio acquisito fu
diretta conseguenza delle esigenze
prime degli edifici industriali, quali
leggerezza, praticità, funzionalità,
caratteristiche che solo successivamente
diventarono una sorta di autoreferenza
della nuova casta industriale,
identificatasi nelle nuove costruzioni a tal
punto da creare in alcuni casi dei veri e
propri “castelli-fabbrica”.(5)
5_ City of architecture, architecture of the city, Berlin 1900-2000.: Thorsten Scheer, Joseph Paul Kleinhues, Paul Kahlfeldt, 2000 (Nicolai)
7
Nella capitale tedesca il momento
del boom industriale è coinciso con
l’epoca di maggior pienezza culturale per
la città, ovvero durante la dinastia
Guglielmina, in cui Berlino era un
riferimento per tutta Europa, con una
produzione artistica ed architettonica tra
le più avanzate; lo stesso dibattito
architettonico vedeva nella città un
terreno fervido di sviluppo, nonostante
l’architettura “di stato” si rifacesse agli
stili classici, identificandosi nell’eredità di
K. F. Schinkel.
In questo contesto, l’architettura
delle fabbriche è stata la prima a
intraprendere nuovi ambiti costruttivi,
cimentandosi nella sperimentazione
tecnologica e nell’uso di nuovi materiali
metallici: essa esprimeva la voglia di
autorappresentazione della nuova casta
industriale, seppure inizialmente – e solo
in facciata – legata agli stilemi tradizionali
Guglielmini. Comunque, già il fatto che
molte fabbriche berlinesi di inizio
Novecento abbiano caratteristiche
formali simili a quelle di altri edifici a
funzione più “nobile” testimonia la nuova
importanza attribuita a tali costruzioni:
l’anima dell’edificio industriale era quella
tettonica, ovvero di una forma che fosse
diretta conseguenza della funzione, e
l’evoluzione in questo campo fu molto
rapida e con ottimi risultati anche nella
capitale tedesca.
Tra i pionieri di quest’ architettura,
Hans Hertlein ha anche il primato per
quel che riguarda l’elaborazione teorica
in proposito, fino a giungere forse agli
estremi per quel che riguarda la
derivazione della forma dalla funzione.
Emblematico in tal senso quanto si legge
nei suoi scritti:
“l’architetto deve soddisfare e
integrare la parte operativa,
costruttiva e dei macchinari in un
complesso tettonico; se il tutto
convivrà assieme la struttura sarà
autospiegata. In altri campi la
forma è il più semplice possibile,
questa deve essere il più
funzionale e pratica. Allo stesso
tempo non necessita di essere
schematica e noiosa perché nella
tecnologia tutto è in costante
flusso e il progettista sempre dovrà
stare attento ai vari aspetti
operativi, costruttivi e dei
macchinari, bilanciandoli in
relazione uno all’altro.”
COSTRUZIONE INDUSTRIALE IN GERMANIA e A BERLINO
H. Hertlein: Wernerwerk Hochhaus_1928-30, Berlino H. Hertlein: Blockwerk II_1924-25, Berlino
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Perfettamente in linea con le sue
elaborazioni teoriche è la Schaftwerk
Hochhaus, da lui realizzata tra il 1926 e il
1927, chiaro esempio di architettura
derivante dalla funzione: l’edifico
allungato per far entrare più luce
possibile, lo sviluppo in altezza permesso
dall’ energia elettrica trasportabile
verticalmente, i vani di servizi esterni e
posizionati a distanze ragionate per la
comodità; le pareti ritmate da contrafforti
richiamano stili classici ma permettono di
liberare la parete per la superficie vetrata,
la stessa altezza dei muretti dipende da
esigenze funzionali. In pratica la forma
risultante è l’espressione delle esigenze
del lavoro, non tanto culturali o artistiche.
I dettami di Hertlein furono di
fondamentale importanza per
l’architettura industriale tedesca: in essi
infatti si ravvisano gli elementi innovativi
che avrebbero influenzato l’esperienza
compositiva nel paese per tutto il secolo
quali l’idea di tettonica, l’uso di nuovi
materiali e la tecnologia usata.
Ciononostante, le influenze furono
molteplici, in particolar modo a Berlino:
ne è un esempio l’importanza che
assunse l’espressionismo , cui si
ispirarono architetti industriali quali Hans
Heinrich Muller e Richard Brademann,
seppure con esiti diversi uno dall’altro.
La tendenza espressionista fu
sperimentata anche da Peter Behrens,
sebbene le sue fabbriche non ne siano
state la massima espressione: egli, al
contrario, riuscì per primo a dare all’
edificio industriale quel senso di auto
referenza che poi divenne prerogativa,
inserendo nella sua TurbineFabrik AEG
(1909) tutti gli elementi della nuova
architettura e rendendoli espliciti. in
questo vero e proprio paradigma
architettonico Behrens riuscì a creare un
tempio della produzione: gli snodi
tecnologici sono trattati in modo
esemplare, semplificati alla semplice
struttura tettonica di basamento,
sostegno e copertura; la struttura
metallica non è nascosta dietro la
facciata ma dialoga esternamente con
l’ampia superficie vetrata e con la
facciata solida in pietra; mentre
internamente tutto diventa funzionale alle
necessità produttive.
L’evento-Behrens fu però una
sorta di unicum, perlomeno a Berlino, e
la costruzione delle fabbriche continuò
ad essere indirizzata verso forme
espressioniste, secondo le direttive dei
nomi precedentemente citati, ovvero
Muller e Brademann: il primo direttore
costruttivo della BEWAG, compagnia
elettrica di Berlino; il secondo architetto-
R. Brademann: Centrale di trasformazione Hallensee_1927-28,
Berlino
9
capo delle S-Bahn, linee ferroviarie
urbane. Entrambi preferivano l’utilizzo in
facciata dei più tradizionali mattoni rossi
(clinker) e Brademann continuò
addirittura ad adoperarlo anche
internamente, in risposta al problema del
fumo dei treni nelle stazioni.
Potrebbe quasi sembrare che, con
il ritorno al mattone di Muller e
Brademann, si regredisca rispetto al
percorso intrapreso da Hertlein e
Behrens, che già usavano il nuovo
materiale per l’intera costruzione delle
fabbriche, ma l’uso del clinker è
interpretabile come il tentativo di dare
una caratterizzazione nuova,
d’avanguardia alle industrie, disponendo
internamente alla facciata la parte
tettonica e creando in tal modo una
parete, una pelle rappresentativa, urbana
dell’edificio, che univa e separava il
mondo esterno ed interno; in Muller la
testimonianza del mondo interno restava
nelle bucature semplici e con un ritmo
dipendente dagli spazi retrostanti.
L’impiego dei mattoni, dunque,
legava questi due architetti ad una
tradizione regionale detta Backsteingotik,
ma allo stesso tempo il materiale fu da
loro reiterpretato, poiché si avvalsero del
suo aspetto “classico” con intenzioni
espressioniste. Ad essi si affiancarono
poi altri, e numerosi stabilimenti
nacquero con forme del genere, come la
fabbrica Scherk (1926) e la Klingeberg (
1925-26) vicino Rummelsburg.
Il termine espressionismo
potrebbe però essere fuorviante, in
quanto la vera natura delle fabbriche era
comunque di un’architettura funzionale,
la cui forma derivava dalle necessità del
lavoro; è dunque opportuno specificare
che gli stilemi desunti da questa
tendenza culturale erano adottati al fine
di dare una sorta di regola compositiva al
manufatto, superando gli insegnamenti di
Hertlein: quasi tutti gli edifici dell’epoca,
infatti, hanno strutture eterogenee e
asimmetriche, in modo da rispecchiare la
funzione, e pure le architetture pensate
da questi architetti rispondono ad ogni
esigenza del lavoro. Esemplificativo, in
tal senso, quanto detto da Brademann a
proposito degli edifici elettrici:
“Le apparecchiature elettriche di
questo tipo devono essere protette
e contenute in modo da assicurare
sia il proprio funzionamento sia
delle facili operazioni”
Brademann cercava infatti di adattare la
poetica espressionista a una pianta
estremamente funzionale ma eterogenea;
10
mentre Muller ricercava la compattezza
dei volumi con un trattamento in facciata
omogeneo, quasi a creare dei cubi,
come ad esempio fece nella centrale di
trasformazione in Leibnizstrasse. (6)
H.H. Muller: Centrale di trasformazione in Leibnizstrasse
1927-29, Berlino
H.H. Muller: Centrale di trasformazione Wittenau_1925-26,
Berlino
6_ City of architecture, architecture of the city, Berlin 1900-2000.: Thorsten Scheer, Joseph Paul Kleinhues, Paul Kahlfeldt, 2000 (Nicolai)