Ogni Azienda si distingue dalle altre, per il know how ed il know
what, che possiede, cioè le conoscenze e competenze che le persone
che lavorano al suo interno possiedono.
Le conoscenze che inizialmente sono patrimonio del singolo, si
trasformano in patrimonio organizzativo, e costituiscono il carattere
distintivo di ogni Azienda, oltre ad essere, insieme alla Risorsa Umana
che le possiede, il principale fattore di vantaggio competitivo.
La consapevolezza del vantaggio competitivo che scaturisce da una
corretta gestitone delle Risorse Umane, e di conseguenza delle
conoscenze da essa possedute, si è affermata solo di recente nelle
realtà Aziendali più avanzate, ma si sta facendo sentire anche in quelle
più giovani, o in quelle organizzazioni che sono passate dal
monopolio al mercato competitivo.
Da qualche anno a questa parte, nel mondo aziendale, si sente
parlare di Knowledge Management, letteralmente “gestione della
conoscenza”, un insieme di processi organizzativi e di strumenti
tecnologici, che favoriscono la comunicazione interna
all’organizzazione e, dunque, la circolazione di informazioni e
conoscenze tra i membri dell’organizzazione.
Tale approccio è figlio della recente consapevolezza
dell’importanza della flessibilità organizzativa, che permette di
affrontare i cambiamenti dell’ambiente circostante e la concorrenza,
attraverso la valorizzazione della Risorsa Umana e delle sue
conoscenze.
Gestire la conoscenza significa mettere a disposizione delle Risorse
Umane gli strumenti adatti all’archiviazione e diffusione delle
informazioni interne all’Azienda, ma anche avere un orientamento
culturale aperto alla condivisione delle conoscenze, quindi
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abbandonare l’individualismo che caratterizza i professionisti, e
lavorare con gli altri condividendo con loro la conoscenza.
La condivisione di informazioni e documenti riguardanti procedure,
progetti, risoluzione di problemi, ma anche conoscenza esterna
all’Azienda, favorisce l’arricchimento culturale della Risorsa Umana,
andando a vantaggio del singolo e, di conseguenza, dell’Azienda.
Avere la possibilità di consultare documenti riguardanti per
esempio, un progetto, o un problema, affrontato anni prima, può
facilitare lo svolgimento del lavoro attuale e ridurre i tempi di problem
solving.
Allo scopo di comprendere fino in fondo cosa si intende per
Knowledge Management, questo lavoro partirà da un breve excursus
storico che metterà in evidenza i cambiamenti che le organizzazioni, e
il lavoro in esse, hanno subito dall’inizio del ‘900 fino ad oggi,
trattando il passaggio dalla produzione Taylor – Fordista, fino alla
moderna globalizzazione.
In seguito vedremo il contesto nel quale si sviluppa il Knowledge
management, cioè la Knowledge based organization
un’organizzazione in cui viene data particolare importanza alla
circolazione e condivisione delle conoscenze, in modo da favorire
processi di apprendimento organizzativo.
Una Knowledge based organization, infatti, è un’organizzazione
che apprende, vale a dire un’organizzazione che, attraverso le
tecnologie di comunicazione e l’interazione tra i membri, permette il
continuo apprendimento di nuove e vecchie conoscenze, in modo da
creare un background di conoscenze comune a tutta l’organizzazione,
che faciliti la risoluzione dei problemi.
Anche se è molto recente, la questione del Knowledge
management, è già stata trattata ampiamente dalla letteratura
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manageriale, tanto che si sono formati due approcci che ne
considerano aspetti diversi: il Resource based view e
l’Apprendimento organizzativo.
Vedremo quindi il Knowledge management da un punto di vista
teorico, soffermandoci sui due approcci sopra citati, che hanno due
modi diversi di considerare la conoscenza come fonte di vantaggio
competitivo per le Aziende.
Dal momento che l’oggetto dei processi di Knowledge management
è la conoscenza, vedremo anche da un punto di vista teorico, cosa si
intende per conoscenza, qual è quella che costituisce vantaggio
competitivo, e come può essere creata e diffusa.
Dopo aver visto il Knowledge management da un punto di vista
strettamente teorico, vedremo quali sono gli elementi che distinguono
un sistema di KM.
Vale a dire quegli elementi che devono essere presenti in
un’Azienda per poter dire che al suo interno vengono attivati processi
di KM.
Tali elementi vanno dalla presenza di tecnologie informatiche, che
permettano l’archiviazione e l’accesso alle informazioni, alla
definizione di ruoli specifici dedicati alla gestione della conoscenza,
dalla presenza di processi di valutazione dell’efficacia della gestione
della conoscenze, alla gestione delle Risorsa Umana basata
sull’accrescimento culturale e professionale della risorsa, dalla
presenza di un orientamento culturale favorevole alla circolazione
delle conoscenze, ad un top – management che sponsorizzi e diffonda
tale orientamento.
Tra tutti questi elementi, quello da mettere in cima alla lista è
sicuramente la comunicazione interna all’Azienda, un elemento
fondamentale per favorire la gestione e condivisione delle conoscenze,
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se non c’è comunicazione interna, non è neanche pensabile
l’attuazione di processi di KM.
Un’Azienda che è già abituata a comunicare in modo verticale od
orizzontale, trova meno difficoltà ad attivare processi di KM, che
implicano la propensione, da parte di tutti i membri
dell’organizzazione, a comunicare tra loro, ad interagire.
Per andare sempre più in profondità nella questione, ho ritenuto
opportuno riportare gli studi che N.M. Dixon ha fatto nel 1998, in
collaborazione con Ernst&Young, su Aziende Americane ed Europee,
per andare a vedere la concreta applicazione di processi di KM.
Dal momento che fino al capitolo 4 si è trattato di Knowledge
management esclusivamente dal punto di vista teorico, lo studio di
Dixon rende più esplicita la questione, e ci fa capire meglio che cosa
significa per un’Azienda, applicare dei processi di KM.
Lo studio di Dixon mostra che il KM viene applicato soprattutto in
Aziende ad alta tecnologia, cioè quelle per cui la condivisione delle
conoscenze è sempre stata necessaria a causa delle specificità e
complessità del loro lavoro.
Vedremo, allora, l’applicazione del KM presso la IBM o la
Microsoft, che sono due Aziende per le quali la circolazione delle
conoscenze tecniche è fondamentale, ed essendo esse stesse
produttrici di software, non hanno avuto difficoltà ad utilizzare le
tecnologie necessarie all’archiviazione e consultazione delle
informazioni.
Lo studio di Dixon ci dimostra, però, che il KM non è solo
prerogativa delle grandi Aziende ad alta tecnologia, ma può essere
applicato anche in Aziende come Wella Italia e Recom, di cui una è di
produzione e servizi, l’altra e di servizi.
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Anche qui la consapevolezza del vantaggio competitivo
determinato dalla gestione e condivisione delle conoscenze, ha portato
ad adottare processi di KM, che hanno favorito la crescita aziendale.
Questo ci permette di capire che il KM è applicabile a qualsiasi
realtà aziendale, con i dovuti adattamenti.
Questa considerazione, mi ha spinto ad indagare sull’applicazione
del KM anche presso le Aziende della Campania, per capire a che
punto è la nostra regione rispetto a questo tema.
Innanzitutto ho contattato il Vice – Presidente dell’Associazione
Italiana Direzione del Personale della Campania (AIDP), il Dott.
Franco Cipriano, che conosce bene l’argomento del Knowledge
Management.
Questo perché è la Funzione del Personale, è quella che gestisce le
Risorse Umane da un punto di vista amministrativo, ma soprattutto
per quanto riguarda le conoscenze possedute dai singoli soggetti
operanti in Azienda.
La Funzione del Personale, infatti, è quella che si occupa di
selezionare le risorse da inserire all’interno dell’Azienda, in
conformità ad una serie di caratteristiche, che comprendono le
conoscenze e competenze possedute dai candidati, oltre ad aspetti
caratteriali.
La Funzione del Personale, inoltre, si occupa di individuare i gap di
conoscenze e competenze nei lavoratori, e di organizzare corsi di
formazione, interni o esterni all’Azienda, a cui inviare i soggetti
risultati bisognosi di un arricchimento di conoscenze.
In seguito ad un corso di formazione, è sempre la Funzione del
Personale ad occuparsi della valutazione dell’effettivo apprendimento
da parte delle risorse che sono state formate.
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Dunque, è evidente che la Funzione del Personale è quella che, più
di tutte, si trova a lavorare con le conoscenze e competenze interne
all’Azienda.
Ovviamente tale funzione, non è la sola ad occuparsi di conoscenze,
come lo stesso Dott. Cipriano afferma anche le Funzioni di Ricerca e
Sviluppo e Marketing, affrontano il problema della gestione delle
conoscenze.
Tutto dipende dall’uso che l’Azienda fa della conoscenza, la
Funzione Ricerca e Sviluppo è quella che produce le conoscenze
dell’Azienda, in questo caso si tratta di conoscenze tecniche che
difficilmente vengono fatte circolare, in quanto si preferisce
conservarle all’interno di un gruppo di professionisti.
In questo caso è sempre la Funzione del Personale a dover
sollecitare la circolazione e condivisione di conoscenze che, altrimenti
resterebbero patrimonio di pochi all’interno dell’Azienda.
La Funzione Marketing diventa fondamentale nella gestione delle
conoscenze, quando queste sono rivolte al cliente che deve avere tutte
le informazioni necessarie per decidere se acquistare i prodotti, o i
servizi, di una o dell’altra Azienda.
In questo caso la conoscenza è sempre un fattore di vantaggio
competitivo, ma siamo al di fuori della questione della circolazione e
condivisione interna delle conoscenze.
Dunque, la scelta di concentrarsi sulla Funzione del Personale
sembra essere la più adeguata, come lo stesso Dott. Cipriano ha
confermato durante l’intervista.
Con il Dott. Cipriano ho approfondito i temi salienti che riguardano
il Knowledge management, con particolare attenzione alla situazione
campana.
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In seguito, per avere un’idea di quale sia la situazione delle Aziende
campane, ho elaborato uno studio comparativo tra quattro Aziende
della Campania.
Le Aziende con cui sono entrata in contatto sono la Napoletana gas
che dal 1862 fornisce gas alla Campania, l’Unione degli Industriali
che fornisce servizi di vario genere alle Aziende campane, La Doria
s.p.a. Azienda alimentare, e la Cafè do Brasil s.p.a. Azienda
produttrice di caffè.
Attraverso un’intervista semi – strutturata, riguardante le variabili
che distinguono un sistema di Knowledge Management, ho
intervistato i Responsabili del Personale delle quattro Aziende,
cercando di individuare la presenza, anche parziale, di elementi di
gestione delle conoscenza.
Ho elaborato una tabella comparativa e ho confrontato le quattro
Aziende rispetto alle sette variabili, che ho considerato come distintive
di un sistema di Knowledge Management.
Essendo uno studio comparativo, non è stato possibile generalizzare
i risultati, ma le conclusioni che ho potuto trarre sono incoraggianti,
rispetto alla possibilità di applicare processi di Knowledge
Management all’interno delle aziende campane.
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CAPITOLO 1
Dal taylorismo al mercato globale
1. Taylorismo – Fordismo
Nel corso del ‘900 le attività produttive e le strutture organizzative,
hanno subito grandi cambiamenti, passando dalla struttura Taylorista,
basata su lavori ripetitivi, parcellari e standardizzati, alla catena di
montaggio di Henry Ford, fino ad arrivare alla produzione snella e
flessibile del post – fordismo, con l’avvento delle piccole e medie
imprese, per finire con il mercato globale.
Il taylorismo è un movimento di idee, oltre che l’applicazione alla
prassi organizzativa di tali idee, il cui padre fondatore fu Frederick
Taylor un ingegnere americano, che sviluppò una proposta di
management scientifico, che investì molteplici aspetti gestionali,
organizzativi e contabili delle aziende di inizio ‘900 (Costa, Vol 1).
Taylor propose un nuovo metodo di organizzazione del lavoro, che
teneva conto dell’evoluzione dell’industria, che essendosi ingrandita
impiegava un numero sempre più elevato di operai e si avviava verso
una produzione su vasta scala.
Le proposte di Taylor costituirono una vera e propria rivoluzione nel
modo di lavorare e in quello di comandare, il suo scopo era quello di
rendere la produzione più efficiente, attraverso uno studio scientifico
del lavoro; il sinonimo di Taylorismo, infatti, è “Organizzazione
scientifica del lavoro” (Osl) (Bonazzi, 2002).
L’obiettivo di Taylor era quello di conseguire un aumento della
produzione tale da superare gli standard precedenti.
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Per ottenere questo risultato era necessaria una trasformazione
radicale non solo del modo di produrre, ma dell’intera struttura
organizzativa.
L’Osl si fondava su quattro principi fondamentali:
1. Studio scientifico dei migliori metodi di lavoro in rapporto alle
caratteristiche dei lavoratori e delle macchine;
2. Selezione e addestramento scientifico della manodopera;
3. Instaurazione di rapporti di stima e di cordiale collaborazione tra
direzione e manodopera;
4. Distribuzione uniforme del lavoro e delle responsabilità tra
amministrazione e manodopera.
Alla base dell’Osl vi è poi un principio metodologico generale: il
cosiddetto one best way, ovvero l’assunto secondo cui esiste sempre
una soluzione ottimale per risolvere i problemi organizzativi,
individuabile attraverso metodi scientifici di ricerca (Bonazzi, 2002).
Secondo questi principi, ogni mansione doveva essere analizzata
scientificamente, scomponendola in operazioni elementari, per trovare
ed eliminare le operazioni comuni a più lavoratori, quelle più lente ed
errate, per poi ricomporre il tutto in operazioni standardizzate a cui
assegnare un tempo minimo di esecuzione.
I singoli lavoratori dovevano essere esaminati per individuare le loro
caratteristiche peculiari, in modo da addestrarli adeguatamente e
renderli più produttivi.
Tutto questo inserito in una separazione tra progettazione ed
esecuzione, infatti, alla direzione spettava il controllo e progettazione
scientifica del lavoro, mentre al lavoratore veniva attribuita solo
l’esecuzione del lavoro.
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