tale dicitura viene assunta solo perchè oramai è alla moda, ma in molti
hanno tralasciato il punto fondamentale, che è il seguente: “Come gli
individui e le organizzazioni arrivano alla conoscenza?”. La questione
della “natura della conoscenza
2
” è stata indagata sin dagli albori della
storia del pensiero filosofico e, nonostante le differenze sostanziali tra
razionalismo ed empirismo, i pensatori occidentali si sono ritrovati
concordi nel definire la conoscenza come “Una credenza dimostratasi
vera
3
”. Questo assunto costituisce un punto di partenza, perché da qui
deriva che la nostra credenza nella verità di qualcosa non costituisce di per
se una verità, in quanto è possibile che il nostro pensiero sia errato. La
storia del pensiero occidentale è profondamente segnata da questo
scetticismo. La filosofia occidentale è segnata dalla presenza di due grandi
tradizioni epistemologiche: il razionalismo e l’empirismo. Il razionalismo
sostiene che la conoscenza vera non è il frutto dell’esperienza sensibile ma
di un qualche processo ideativo all’interno della mente. La verità assoluta
può essere dedotta attraverso il ragionamento logico a partire da assiomi,
un esempio di ciò che stiamo spiegando è rappresentato dalla matematica.
L’empirismo d’altra parte nega nella maniera più assoluta ogni conoscenza
a priori e ritiene che l’esperienza sensibile sia l’unica fonte di conoscenza,
un esempio classico di questa visione della conoscenza è la scienza
sperimentale.
2
Per quanto concerne la storia dell’epistemologia occidentale si possono consultare Russell (1961;
1989), Moser e Nat (1987) e Jordan (1987). Per un panorama dell’epistemologia contemporanea si
vedano invece Ayer (1984) e Dancy (1985).
3
Concetto introdotto per la prima volta da Platone nel Menone, nel Fedone e nel Teeteto.
IL PROCESSO DI CREAZIONE DI CONOSCENZA
Il processo di creazione di conoscenza organizzativa, che ci apprestiamo ad
esaminare, non può prescindere dalla considerazione della dimensione
tacita ed esplicita della conoscenza. La conoscenza tacita è personale e
specifica del contesto ed è difficilmente formalizzabile e comunicabile. La
conoscenza esplicita sarebbe codificata e trasmissibile attraverso un
linguaggio formale e sistematico. La conoscenza esplicita può essere
assimilata al conoscere “cosa”, mentre quella tacita al “come”. Il processo
di creazione di conoscenza organizzativa potrebbe essere inteso come un
processo di sistematizzazione e di diffusione della stessa entro la rete di
conoscenze dell’organizzazione. Il fattore decisivo che porta
all’innovazione e anima questo processo è dato sicuramente dagli individui
nel momento in cui prendono coscienza di esserne protagonisti. Le
organizzazioni possono utilizzare dei meccanismi per supportare la
socializzazione e la condivisione del sapere. Nel caso della gestione della
conoscenza esplicita si tratta per lo più di applicazioni tecnologiche che
agevolano la condivisione di conoscenze già in possesso
dell’organizzazione. Infrastrutture tecnologiche come le “intranet”, “data
warehousing”, “data mining” agevolano la condivisione di conoscenze già
in possesso dell’organizzazione. Dove e come avviene l’interazione? Quali
sono le strutture che garantiscono la gestione e la conversione della
conoscenza tacita in innovazione? I sistemi per la gestione della
conoscenza tacita godono anch’essi dell’ausilio dell’information
technology, ma pongono maggior enfasi sul momento dell’interazione e
sullo scambio tra i membri dell’organizzazione. Diversi sono i sistemi per
la condivisione della conoscenza tacita ma ci soffermiamo in particolare
sulle comunità di pratiche e i teamwork. Le comunità di pratiche possono
avere dimensioni variabili, è possibile incontrarne alcune piccole e molto
ben organizzate, oppure grandi e caratterizzate da relazioni molto deboli al
proprio interno. I membri delle comunità possiedono un livello di
conoscenze superiore che li distingue da coloro che non appartengono al
gruppo ed inoltre devono possedere un ampio repertorio di storie,
esperienze e modi di risoluzione dei problemi. All’interno delle comunità
di pratiche i membri discutono, si aiutano e condividono informazioni. Un
esempio famoso e illustre nella storia può essere rappresentato dai pittori
impressionisti che si incontravano nei caffè e discutevano sulle tecniche e
sugli stili pittorici. In definitiva, il concetto di comunità di pratiche ha
trovato diverse applicazioni nelle organizzazioni; noi stessi partecipiamo
attivamente ad una comunità di pratiche nei diversi ambiti nei quali ci
troviamo ad interagire. I teamwork sono costituiti da un gruppo di persone
che hanno un obiettivo comune, il grande pregio del team è quello di
favorire una altissima coesione tra i membri che lavorano insieme
condividendo le informazioni per raggiungere il fine prefissato. Un rischio
e un limite dovuto all’alta coesione è l’isolamento nel quale si svolgono le
attività del gruppo di lavoro.
L’INNOVAZIONE NELLE ORGANIZZAZIONI
L’innovazione è un termine che viene usato in maniera differente a
seconda dell’ambito a cui ci si riferisce. Occorre distinguere tra
innovazione e creazione, Wan de ven afferma che una idea creativa diviene
innovazione nel momento in cui viene implementata con successo
all’interno dell’organizzazione. Swan enfatizza la natura sociale e
cognitiva del processo di innovazione quando le idee vengono acquisite e
poi messe in pratica. Esaminiamo ora il modello giapponese di
innovazione, che è intrinsecamente legato alla tradizione culturale del
paese. In Giappone non esiste una tradizione filosofica universalmente
nota, è possibile però parlare di un approccio giapponese alla conoscenza,
che è il frutto dell’integrazione della dottrina buddista, del confucianesimo
e dei più significativi orientamenti filosofici occidentali. Il pensiero
giapponese si sviluppa lungo tre direttrici che sono: la credenza nell’unità
dell’umano e del naturale; la credenza nell’unità del corpo e della mente; e
la credenza dell’unità del sé e dell’altro da sé. La lingua giapponese
rappresenta un valido esempio nel quale possiamo ritrovare gli
atteggiamenti associati alla credenza dell’unità dell’umano e del naturale.
Un altro aspetto distintivo della tradizione intellettuale giapponese è
rappresentato dalla valorizzazione della “personalità complessiva”, che
viene ben evidenziato nella credenza dell’unità del corpo e della mente . La
credenza dell’unità del sé e dell’altro da sé discende direttamente dagli altri
due approcci considerati precedentemente e ha spinto la cultura giapponese
a valorizzare le interazioni fra il sé e l’altro da sé. La visione delle relazioni
umane nella tradizione giapponese è collettiva ed organica, mentre nella
visione occidentale è atomistica e meccanicistica. Arriviamo ora a
descrivere il modello organizzativo middle- up- down, tipico di una
impresa giapponese, dove il soggetto creatore di conoscenza è
rappresentato dai manager intermedi, i quali sono spesso a capo di gruppi e
agiscono attraverso un processo a spirale che coinvolge sia il vertice che i
dipendenti di linea. Tale processo pone i manager intermedi al centro dei
flussi informativi verticale e orizzontale dell’impresa e la loro funzione è
di ponte all’interno dell’organizzazione, di nodo strategico che collega il
vertice con le linee produttive. In questo modello possiamo osservare come
sia enfatizzata la dimensione delle relazioni umane che discende
direttamente dalla credenza del sé e dell’altro da sé. Se andiamo ad
esaminare un caso pratico di creazione di conoscenza organizzativa, in
particolare quello della “Honda City”, ritroveremo tutta la particolarità e la
forza del linguaggio giapponese dispiegate negli slogan utilizzati e nella
loro evoluzione durante le tappe del progetto. L’utilizzo delle metafore che
consentono alle persone di integrare ciò che sanno ma che non riescono a
formulare. L’analogia consente, meglio della metafora, di distinguere fra
due idee od oggetti, in quanto permette di chiarire elementi di somiglianza
e di diversità. La conoscenza elaborata dagli individui trova
nell’organizzazione una cassa di risonanza a livello di gruppo di lavoro,
nei dialoghi, nelle discussioni. Questo caso mette in rilievo l’importanza
dell’interazione e di seguito del processo di negoziazione, nel momento in
cui si cambia lo slogan in più di una occasione.
DIFFERENTI MODELLI PER GENERARE L’INNOVAZIONE
I grandi progressi compiuti nel settore dell’information technology stanno
esercitando una influenza sempre maggiore sulle organizzazioni di ogni
settore. Le tecnologie informatiche hanno permesso alle organizzazioni più
grandi di ridurre i livelli di management e decentralizzare il processo
decisionale. Le informazioni possono essere condivise all’interno
dell’organizzazione a tutti i livelli e la tecnologia permette di poter
realizzare lavori a distanza. Diverse sono le organizzazioni che si
definiscono come “learning organization
4
”, dove ognuno è impegnato nella
identificazione e soluzione dei problemi, permettendo all’organizzazione
stessa di sperimentare, migliorare e incrementare le sue competenze in
maniera continua. La forte cultura organizzativa, che si crea in queste
organizzazioni, rappresenta un fattore positivo per favorire l’innovazione,
4
“Organizzazione aziendale” , Daft R. L. , 2001.
ma anche un potenziale pericolo, nel caso in cui tale cultura si
istituzionalizzi, perchè potrebbe costituire un freno all’innovazione.
L’organizzazione non è il frutto di un calcolo razionale e prestabilito, al
contrario, è il risultato di un processo continuo, costituito da interazioni e
negoziazioni tra gli individui che si trovano a lottare con due variabili
come l’incertezza e l’ambiguità. Possiamo definire l’organizzazione come
l’insieme globale di singole parti e allo stesso tempo unità nella quale
convergono elementi differenti. Weick la definisce come: “La cerniera
esistente tra i due aspetti
5
”. Possiamo paragonare il processo che porta
all’innovazione a quello della selezione naturale con le fasi di evoluzione,
selezione e ritenzione. In questo caso, evoluzione significa cambiamento
che non sempre porta ad un ordine stabilito. Arriviamo adesso a definire
gli attori della conoscenza o knowledge worker. L’operatore della
conoscenza è capace di lavorare in team sia locale che virtuale. Questa
caratteristica è importante, forse fondamentale perché consente di
condividere e diffondere la conoscenza. Il suo lavoro produce qualcosa di
intangibile, basato su un’ informazione elaborata. Svolge inoltre compiti
che prevedono l’assunzione di decisioni, essendo una figura importante e
decisiva, è naturale che sia direttamente coinvolto nei processi decisionali.
Questo è il capitale del knowledge worker, sia per l’organizzazione che per
il singolo. Sono stati scritti tantissimi documenti su queste figure e ne sono
state spiegate ampiamente le funzioni, però un aspetto che si dovrebbe
evidenziare è quello che io definirei la “socialità della loro opera”. La
proposta è quella di considerare l’operatore della conoscenza come una
figura sociale, un ponte tra i vertici e la base dell’organizzazione. Tale
meccanismo della “socialità” si può attivare solo in compagnie in cui
l’interazione costituisce il “Modus vivendi”, e il confronto e l’interazione
5
Weick K. , “L’innovazione come sense- making”.
ne rappresentano una degna esplicazione e attuazione. L’operatore della
conoscenza che stiamo presentando deve essere una figura viva, presente e
partecipe, né ristretta alla logica del team di lavoro e ai suoi obiettivi, né
tanto meno isolato in una stanza davanti al suo computer. Proviamo ora a
immaginare una possibile organizzazione che preveda ampi spazi per
l’interazione e il confronto, controllati e guidati da queste figure. Se
riscontriamo però nell’interazione e nella condivisione degli aspetti
positivi, l’ampio potere concesso agli operatori della conoscenza nel loro
ambito di selezione e negoziazione potrebbe attivare meccanismi di
competizione e lotta all’interno di queste strutture che da sociali
potrebbero presto diventare “concorrenziali”. Abbiamo provato ad
ipotizzare un modello come tanti altri e, giusto o sbagliato che sia, penso
che la caratteristica che debba animare il percorso per giungere
all’innovazione sia l’interazione e la partecipazione umana.