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INTRODUZIONE
In questo lavoro di tesi sarà proposto un approccio all’utilizzo dei sistemi informatici
di ausilio alla progettazione che si basano sulla manipolazione della “conoscenza
ingegneristica”, K.B.E., (acronimo di Knowledge Based Engineering). Infatti, poiché sempre
più compagnie hanno accesso allo stesso processo tecnologico, agli stessi costi
d’organizzazione e di produzione materiali, l’unico fattore discriminante che differenzia le
varie imprese è il “capitale intellettuale”. Quindi conservare la base di conoscenza è
un’esigenza di business essenziale nel contesto della competizione globale.
La progettazione, e in senso lato l’ingegneria, non sono altro che un’attività di
manipolazione della conoscenza. Per cui la naturale evoluzione dell’“automation” in
ingegneria non può che essere orientata verso metodiche d’automatizzazione della
manipolazione della conoscenza, per affiancare e sempre più sostituire l’uomo in alcune fasi
della progettazione.
Siamo di fronte ad una svolta epocale, il passaggio dalla “Progettazione assistita”
alla “Progettazione automatica”.
La storia evolutiva del “ Computer Aided Engineering”, e cioè dell’ausilio dei sistemi
informatici nella progettazione, nasce negli anni ’80 con l’<<era dell’informatica>>,
attraverso l’introduzione dei personal computer PC, che hanno rappresentato un efficace
strumento di calcolo e d’immagazzinamento di quantità di dati via via crescenti. Dati che
diventano informazioni solo in un contesto specifico. Ma che presi in quanto tali, sono
oggettivi, semplici simboli che rappresentano qualcosa, e indipendenti dalla possibilità di un
osservatore di capirne il significato.
Lo step successivo avviene con l’<<era della comunicazione>>, quando negli anni
’90 ci si rende conto che non era sufficiente avere l’informazione ma bisognava
“comunicare”. Quindi nascono le prime reti locali di PC, all’inizio circoscritti all’ufficio
tecnico aziendale (Local Area Network: LAN), in seguito tra uffici tecnici dislocati in
differenti località (Wide Area Network: WAN), fino ad aprirsi al mondo intero attraverso il
Word Wide Web. Contestualmente sono cresciute le necessità d’integrazione tra i differenti
sistemi software (standardizzazione dei protocolli d’interscambio dati) e le esigenze di
garantire la sicurezza degli stessi.
Ora si schiude l’ <<era della conoscenza>>, della comprensione dell’informazione
comunicata. Ovvero è necessario che quando l’informazione ci giunge sia univocamente
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interpretabile e si può verificare la sua validità. La conoscenza è il risultato d’esperienza e dati
in forma direttamente utilizzabile. E per essere utilizzabile, la conoscenza, deve essere
catturata in forma accessibile, gestibile e formale. Il difficile non è costituito dalla
“conoscenza esplicita”, costituita dalle informazioni rintracciabili nelle specifiche di prodotto,
nelle norme aziendali, nei cataloghi dei fornitori, nei testi accademici, nei documenti tecnici,
quindi facilmente recuperabile, quanto per la “conoscenza tacita”, che è il know-how degli
ingegneri che danno vita al progetto e che è comunicata verbalmente all’interno di
un’organizzazione aziendale, ma che non viene formalizzata in nessuna maniera e rimane
nella testa dei progettisti, rappresentando la sua competenza e capacità di intraprendere
intuitivamente e inconsciamente la strada giusta nel problem solving.
Il lavoro di tesi riguarda lo studio applicato delle più recenti soluzioni per la gestione
della conoscenza all’interno delle P.M.I.. In particolare, partendo dall’ analisi del contesto
(analisi del mercato e caratterizzazione della realtà delle piccole e medie imprese), proporrò
alcune strategie utilizzabili per affrontare con vigore i competitors nelle nuove sfide del
mercato:
• Prodotti altamente personalizzati, con cicli di vita del prodotto sempre più
breve,
• La necessità di portare i prodotti sul mercato sempre più rapidamente;
• Prodotti altamente tecnologici, che richiedono il contributo collaborativo di
professionalità spinte;
• Margini di guadagno in riduzione;
• …
Strategie, che necessitano del supporto di sofisticati strumenti software in grado di
integrare tutte le fasi del processo creativo di un azienda (tasks organizzativi, progettuali e
produttivi). Focalizzando l’attenzione sull’aspetto progettuale, sarà data particolare enfasi su
un approccio innovativo del loro utilizzo: non semplicemente come semplici strumenti di
data-processing ma come manipolatori della conoscenza di prodotto (approccio KBE).
In conclusione, saranno ripercorse le varie fasi dello studio di fattibilità di una tale
implementazione all’interno di una piccola e media azienda, culminata in un prototipo di
configuratore automatico di prodotto.
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Capitolo 1.
CONTESTO E PROBLEMATICHE
Il “motore propulsore” che sta stimolando le Piccole e Medie Imprese (P.M.I.)
all’utilizzo di sistemi K.B.E. è dovuto alla necessità d’essere competitivi all’interno di un
mercato globalizzato che spinge verso l’innovazione. Quindi non posso esimermi
dall’introdurre un analisi del mercato e dalla trattazione delle peculiarità delle PMI
1.1 Analisi del mercato
Oggigiorno siamo di fronte ad un “Mercato Globale” sempre più dinamico e
spregiudicato. Infatti, la “Rivoluzione delle Telecomunicazioni”, attualmente in atto, e
l’avvento di Internet, ha garantito una facilità e una quantità d’informazioni che ha ristretto
sempre più la forbice innovativa tra le realtà industriali mondiali che hanno accesso a tale
risorsa e sono in grado di sfruttarla ai massimi livelli, stando al passo con l’Information
Technology, e realtà che si basano sulla sola “forza lavoro”. Ma la globalizzazione non si
limita all’accesso delle informazioni, ma anche alla velocità e all’abbattimento dei costi nella
movimentazione di uomini e merci da un capo all’altro del mondo. Per cui per sopravvivere in
queste condizioni di mercato ci sono due strade: una strategia miope e di breve periodo che è
il protezionismo economico, l’altra, che è il puntare sull’innovazione. Strategia che si sta
rilevando categoricamente necessaria. Per cui è necessario essere competitivi e innovativi su
scala mondiale. Per far ciò si ricorre massicciamente all’”outsourcing” con una distribuzione
geografica delle aziende in paesi diversi, per ragioni strategiche e di mercato. Per cui si sposta
la produzione verso località con più basso costo della forza lavoro, mentre la ricerca e lo
sviluppo sono dislocati in prossimità di attinenti poli industriali e d’eccellenza.
Questa elevata competitività nel mercato mondiale ha determinato l’innalzamento
delle aspettative del cliente, al punto che vuole essere libero di decidere su molti aspetti del
prodotto: prestazionali, estetici, dimensionali, …, quindi il mercato esige prodotti altamente
“personalizzati”. Ma, non solo, si sono create una serie di sovrastrutture culturali, per cui
l’acquisto di un prodotto rappresenta un riconoscimento ad una filosofia aziendale di impegno
ecologico, di risparmio energetico, di impegno sociale,… . Impegno, anche se non sempre
sostanziale, purché formalmente certificato. Inoltre si guarda anche all’economicità del
prodotto nel corso della sua vita utile e che possiamo individuare in consumo di energia ,
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manutenzione, parti di ricambio e anche nello smaltimento. Tutto ciò al prezzo più basso
possibile e nei tempi di progettazione più brevi possibili.
Per cui le aziende nell’ottica del “customer satisfaction” sono sempre più stimolate ad
assecondare le esigenze del cliente a scapito di economie di scala, ottimizzazione di lotti di
produzione, …, ma cercando di ottimizzare e automatizzare le fasi di progettazione che
rappresentano un aspetto cruciale nel “ciclo vita” del prodotto determinando a priori i costi
che si realizzeranno nelle fasi successive. Da ciò si desume che la produzione di massa,
secondo l’approccio storico di Henry FORD, si può ritenere più che morta e sepolta. Inoltre a
complicare il tutto c’è il rapido e schizofrenico cambiamento delle preferenze e abitudini dei
clienti alle quali bisogna rispondere con elevata flessibilità.
Tutto ciò ha determinato una drastica compressione del ciclo vita di un prodotto e una
conseguente riduzione del “Time to Market” per i nuovi prodotti, con la spinta al
miglioramento e all’innovazione continua. Questa compressione del ciclo di vita dei prodotti
raggiunge livelli tali che bisogna iniziare la progettazione di una nuova generazione di
prodotti prima che quella precedente abbia terminato il proprio ciclo di vita. Questo non solo
per i prodotti high-tech, com’era tradizionalmente, ma anche per i beni di consumo, pena la
perdita di quote di mercato dovute al ritardo nell’uscita dei nuovi prodotti.
Il mercato richiede un ampia gamma e tipologia di prodotti, in relazione alla pressante
richiesta di diversificazione dei clienti, ma sopratutto prodotti complessi e con funzionalità
sempre maggiori che richiedono quindi lunghi tempi di sviluppo. E tale complessità richiede
sempre più uno sforzo di collaborazione tra diversi campi (meccanica, elettronica, chimica,
ambiente, …) rendendo più intricato e laborioso il flusso informativo tra gli attori in gioco.
Inoltre il mercato richiede, quasi esclusivamente, prodotti certificati (certificazione di
prodotto), per sopperire quello sbilanciamento di conoscenza informativa di prodotto tra
produttore ed acquirente in una qualsiasi transazione economica. Tali “certificazioni di
qualità” sul prodotto, di conseguenza, determinano la necessità di certificare il processo
produttivo (certificazione del processo produttivo), in maniera tale da garantire la ripetibilità
del processo produttivo e quindi del suo risultato, il prodotto, e quindi una sempre crescente
condivisione di know-how tra le aziende. Ciò s’innesta perfettamente con l’utilizzo di
strumenti P.L.M. (Product Lifecycle Management) poiché concorrono entrambi alla
standardizzazione del processo di “storage” della conoscenza e dei metodi del processo
produttivo.
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Accanto al prodotto assume grande rilevanza il servizio fornito al cliente, quindi la
garanzia e l’assistenza post vendita; diventa quindi vitale l’attuazione di una cultura aziendale
<<cliente centrica>> tale da poter supportare gli appropriati processi di raccolta dati, e di
azione di marketing, vendita e fornitura di servizi per mezzo di applicazioni organizzative e
tecnologiche.
1.2 Tipicità delle P.M.I.
Le Piccole e Medie Imprese (P.M.I.) hanno dei limiti e delle risorse peculiari,
specifiche della realtà produttiva in cui operano. Però sono costrette ad affrontare le stesse
sfide delle grandi aziende: cicli di vita del prodotto più brevi, necessità di portare i prodotti sul
mercato più rapidamente, margini in riduzione e la concorrenza dei paesi emergenti con costo
del lavoro molto inferiore.
Uno dei limiti predominanti è dovuto alla non disponibilità di elevate risorse
economiche, per cui sono costretti a centellinare gli investimenti e sfruttare al massimo i beni
strumentali a disposizione (uomini e mezzi), ottenendo il massimo da poco. Per cui si
richiede una certa oculatezza negli investimenti, per aver il massimo ritorno economico nel
minor tempo possibile, a scapito di strategie di più lungo periodo. Per cui quest’approccio
“cost oriented” impedisce qualsiasi progetto di ricerca e sviluppo di natura più prettamente
metodologica e speculativa.
La scarsità di personale, se da un lato, determina lo svantaggio che non si possono
investire molte ore-uomo nell’innovazione, dall’altro lato, determina la fortuna delle P.M.I, in
quanto il personale è molto più flessibile e poliedrico, poiché si deve “naturalmente” occupare
di molti aspetti dell’iter progettuale e quindi è dotato di una maggiore predisposizione al
problem-solving. Però questa conoscenza poliedrica e flessibile si scontra con la crescente
esigenza di conoscenza specialistica sempre più richiesta per l’aumentare della complessità
dei problemi affrontati. E d’altro canto, le PMI a differenza dei loro competitori di maggiore
dimensione, non possono permettersi personale specializzato in particolari settori, per
esempio nell’I.T. (Information Technology) e nei sistemi di automatizzazione.
Questa dipendenza delle PMI da personalità carismatiche e d’esperienza, determina
una critica sensibilità delle stesse al turn-over dei progettisti. E questo è un fenomeno molto
diffuso nelle PMI, dove, per essere concorrenziali con Paesi Emergenti (Cina, India, …) con
costo del lavoro molto più basso, piuttosto che puntare su innovazione, design, qualità, …
spesso si è cercato di concorrere sullo stesso fronte dei prezzi, facendo ricadere le inefficienze
del sistema industriale sul sistema retributivo, abbassandolo ai minimi sindacali e/o attraverso
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contratti a tempo determinato. Infatti l’allontanamento del personale e quindi la contrazione
della forza lavoro è una tipica strategia d’abbattimento dei costi a cui le PMI sono costrette a
ricorrere per adattarsi alle fluttuazioni del mercato. E questa è una strategia tanto dolorosa
(per problematiche aziendali e sociali) quanto necessaria, in quanto a differenza dei
concorrenti di maggiore dimensione, le PMI non sono garantite da ammortizzatori sociali e
strumenti socio-economici di ausilio nei periodi di magra.
Quindi, l’allontanamento di un progettista comporta la perdita di know-how aziendale
ed in particolare di quella “conoscenza tacita” che costituisce la personale competenza dello
stesso e derivata da esperienze personali (tanto più preziose, quanto più concentrate in uno
stesso ambito industriale per molti anni). Perciò è un esigenza pressante per le PMI
“patrimonializzare” questa conoscenza tacita, facendola propria dell’Azienda e rendendola
facilmente usufruibile per le nuove leve. E come vedremo le applicazioni K.B.E. perseguono
esattamente questi obiettivi.
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Capitolo 2.
LE STRATEGIE
Le possibili strategie attuabili dalle PMI per incrementare la loro competitività non
possono che essere circoscritte all’ ambito aziendale. Per cui i due fronti su cui possono
focalizzare la loro attenzione è quello di una più efficace organizzazione della produzione e di
ridurre, ottimizzandoli, i tempi di progettazione.
2.1 Organizzazione del sistema produttivo
Le PMI basano il loro core business su prodotti specializzati e personalizzati, per cui
sono costrette ad assumere un’organizzazione produttiva di tipo a commessa singola, con tutte
le problematiche che ne conseguono, quali la progettazione ad hoc dell’impianto/macchina, la
non ottimizzazione dei lotti d’acquisto e di produzione e quindi degli elevati costi e tempi
necessari.
Per la scarsità di mezzi e risorse economiche è bene che le PMI si orientino verso
un’organizzazione produttiva snella (Lean Production), per ridurre le immobilizzazioni di
capitali nei beni a magazzino, e verso una produzione “Just in Time”. Tutto ciò richiede un
notevole sforzo organizzativo sia per evitare rotture di scorte ma anche per pianificare
correttamente la produzione e garantire che tutto si trovi dove serve, esattamente nel momento
giusto in cui serve.
Altra esigenza cruciale delle PMI è quello di garantire, oltre che un nutrito ventaglio di
tipologie di prodotti per assecondare le stringenti ed esose esigenze dei clienti, anche una
certa flessibilità di volumi. E poiché le commesse possono richiedere volumi di produzione
molto differenti, per le limitate risorse, le PMI sono costrette a far ricorso pesantemente
all’”outsourcing” e a costituire “Reti d’Impresa”. Nasce, quindi, il concetto di “Supply
Chain”, definita anche come rete logistica di supporto al prodotto, consistente nell’insieme di
fornitori, centri produttivi, depositi, centri distributivi e punti di vendita al dettaglio, e anche,
a monte, nell’insieme di materie prime, scorte di semilavorati e prodotti finiti che circolano
tra i diversi punti. La “Supply Chain” comprende, quindi, i processi di gestione degli
approvvigionamenti (sourcing), di programmazione (marking), e di gestione degli ordini
cliente e servizio post-vendita (delivering).
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Tutto ciò ha reso necessario un imponente flusso informativo tra le aziende che
collaborano organicamente alla realizzazione di un manufatto per condividere competenze e
metodi produttivi al fine di garantire prodotti certificati, affidabili e ripetibili; perché, come
abbiamo gia visto, la necessità di certificazioni di qualità del prodotto richiede la
certificazione di tutta la filiera produttiva. Quindi l’infrastruttura di gestione
dell’informazione è estesa oltre i confini fisici dell’azienda per includere fornitori (out-
sourcing), collaboratori (co-maker ship) e clienti fino a formare un’azienda virtuale estesa
(virtual enterprise).
Ciò ha determinato la nascita dell’“INGEGNERIA SIMULTANEA” in cui emergono
forme di collaborazione con i fornitori (co-design o co-engineering) che prevedono lo
sviluppo di soluzioni e prodotti attraverso il coinvolgimento dei fornitori in un gruppo
interfunzionale di progetto. Ciò consente al cliente di sfruttare le conoscenze tecnologiche e di
processo del fornitore, mantenendo nel contempo il pieno controllo del progetto/prodotto.
Questo ha determinato l’aspetto debole dei primi strumenti P.L.M. verticali di prima
generazione, molto laboriosi per l’elaborazione del flusso informativo e molto rigidi, mentre
l’esigenza di dover collaborare con situazioni differenti e variabili, dovuti alla varietà dei
giocatori in campo (ognuno con proprie capacità e caratteristiche produttive) richiede
notevole flessibilità d’uso. Ma d’altro canto ciò ne sta decretando il loro successo, nelle nuove
configurazioni, per l’esigenza di uno strumento di supporto a tale flusso d’informazioni, ma
specialmente affinché adegui automaticamente il progetto, in funzione dei cambiamenti
ambientali (per esempio esigenze produttive, di fornitura materie prime…).
Questo ha anche determinato la specializzazione spinta delle PMI che ormai si
occupano d’aspetti molto ristretti della produzione, per cui ci sono aziende specializzate nel
taglio laser, nella saldatura laser, nell’assemblaggio meccanico, … che ha portato allo
svuotamento dei task interni all’azienda e ad appesantire i compiti organizzativi.