2
«Oggi vorremmo coscientemente conoscere il bagaglio spirituale cui
dobbiamo partecipare, perché in esso parlano le potenze di ordini e di
modelli eterni. Non sappiamo se la nostra assimilazione della filosofia,
una volta che sia penetrata nei popoli, aiuti a superare il pericolo della
catastrofe o se renda capaci alcuni individui di sopportare chiaramente
ciò che avviene e di mantenersi nella dignità di una libertà
trascendentemente fondata. Sappiamo solo che per millenni i filosofi
hanno percorso la via che conduce alla ragione più profonda e che
insieme ad essi vorremmo arrivare a immetterci su questa via»
1
.
Con questo compito – che è il compito inaudito della filosofia come
philosophia perennis – Jaspers affronta l'ardita impresa di esporre la
propria assimilazione della tradizione filosofica occidentale,
consegnandola principalmente in uno dei suoi ultimi scritti, I grandi
filosofi. L'assimilazione del proprio fondamento storico è condizione
per raggiungere la verità per sé e da sé perché l'uomo, giacché
esistenza storicamente situata, domanda sempre qui ed ora, per sé.
«Ogni domandare metafisico deve essere posto in modo totale e a
partire dalla situazione essenziale dell'esserci che domanda»
2
,
situazione attuale del tutto particolare che, se da una parte vede
1
K Jaspers, I grandi filosofi, a cura di Filippo Costa, Milano, Longanesi & C., 1972, p. 121.
2
M. Heidegger, Che cos’è metafisica in Segnavia, Milano, Adelphi, 1987, p. 60.
3
profusi ingegni e fatiche per il pensiero e la ricerca scientifici, dall'altra
riconsegna alla filosofia non solo il compito di chiarificare i limiti e il
senso ultimo di questi, ma anche la possibilità di dichiararsi
indipendente - quindi né identica né antinomica – rispetto al pensiero
scientifico e così tornare ad essere quel pensiero nel quale l'uomo
giunge all'essere e a se stesso.
Animato da un pathos profetico, Jaspers richiama l'uomo del suo
tempo alla necessità di un risveglio interiore per contrastare
l'imminenza di un decadimento dell'umanità di tale portata da farla
ripiombare in uno stato di barbarie.
Inascoltato dai suoi, come i grandi profeti, Jaspers esamina
lucidamente la condizione di pericolo in cui l'uomo si viene a trovare
quando si allontana dalla propria origine; avverte con timore l'uomo
d’oggi dei rischi in cui s’imbatte quando – come la cifra del peccato
originale così essenzialmente annuncia – non pone dei confini a quella
hybris ontologica che lo sospinge ad interrogare persino gli dei.
Per la prima volta nella sua storia, l'umanità si trova a possedere
quelle conoscenze che prima restavano l'anelito delle sue ricerche: la
scienza, però, divenuta l’unica forma di conoscenza vera, ha immolato
se stessa sull'altare della tecnica che inneggia al potere dell’Uomo-Dio
di creare e distruggere, fornendogliene per la prima volta la concreta
4
possibilità. Questa preoccupata chiaroveggenza altro non fu per
Jaspers che l'approdo, che è sempre prima e poi naufragio, della sua
ricerca del vero, “della ragione profonda delle cose”, ricerca che
dovrebbe costituire ogni esistenza fedelmente peregrinante.
5
CAPITOLO I
LA FILOSOFIA COME FILOSOFIA DELL'ESISTENZA
1. Il senso e l’intenzione di Philosophie: provocare la memoria
dell’originarietà della filosofia e testimoniarla, nell’irrevocabilità
storica, come Existenzphilosophie.
L'uomo in quanto esistenza possibile situata nel tempo e nello spazio,
non può indagare e quindi conoscere le cose in modo genetico: non
appena, infatti, ci rendiamo consapevoli, problematizzando il mondo
come dato e prodotto, della reciproca implicanza, dell'inseparabilità di
io e non io, non appena destiamo la coscienza al grande insegnamento
kantiano, dovremmo riconoscere l'impossibilità di trovarsi al di là, al
di fuori, oltre, all'origine. Il nostro stesso questionare è già
determinato dalla nostra situazione particolare.
Lungi dall'essere questa una prigionia che incatena o una debolezza
da accettare sommessamente, si rivela piuttosto come lo stimolo unico
per mirare al raggiungimento della verità. «E la verità nella sua origine
6
la possiamo cogliere solamente nella nostra situazione storica, che si
determina volta per volta. La condizione per raggiungere la nostra
verità è l'assimilazione del nostro fondamento storico»
3
,
assimilazione
unica e irripetibile perché parte da un proprio motivo originario: non è
sufficiente quindi una trattazione puramente teoretica del passato, ma
deve intervenire un pensiero che è prassi, che implica un modo di
vivere, che coinvolge l'intera esistenza.
Sulla base di questi presupposti Jaspers consegnò nel 1933 alle stampe
e alla critica internazionale il suo testo più caro e per cosi dire più
classico nel senso della classicità della tradizione filosofica occidentale,
Filosofia.
Nel poscritto del 1955 Jaspers precisa l'intenzione che lo mosse
nella stesura di quest'opera imponente: testimoniare la filosofia
autentica, non solo fornendo gli strumenti del pensiero per
comprendere le grandi filosofie, ma anche e soprattutto ridestando la
coscienza dell'essere dell'uomo nella direzione dell'unica originaria
idea della filosofia: il mondo, l’anima, Dio, ovvero i tre temi in cui il
pensiero si snoda.
Filosofare significa quindi pensare un pensiero che orienta, sostiene
la vita e che guida l'uomo all'azione, significa sperimentare con le
3
K. Jaspers, La mia filosofia (titolo originale Ueber meine Philosophie, pubblicato per la prima
volta in italiano in «Logos», XXIV [1941]), Torino, Einaudi, 1946, p. 6.
7
proprie forze ciò che è: ogni uomo, infatti, che sia autenticamente se
stesso, filosofa; è filosofo, poi, nel senso stretto del termine, chi riesce
a rendere presente, in forma razionale e comunicabile, ciò che, nel suo
significato ultimo, è atemporale.
Sempre latente resta il rischio cui è andata incontro nei secoli la
filosofia (spesso soccombendovi), ossia la volontà di dominio delle
cose che si presume derivare dalla loro conoscenza. E' su questa
tentazione che l'uomo contemporaneo deve concentrarsi, disponendo
ormai dei mezzi per renderla innocua. Appropriarsi, infatti, dei mezzi
conoscitivi raggiunti dall'umanità nel corso del suo indagare significa
ricreare lo spazio per una filosofia che vivifichi e non pontifichi, che
annunci e non sentenzi, che resti sospesa e non si tramuti in ciò che
non è.
Infondate perché superficiali sono le accuse di disprezzo verso la
scienza mosse al pensiero jaspersiano: la scientificità, come
atteggiamento indispensabile del comprendere, del ponderare e del
giudicare quotidiani, è la condizione della veracità nel filosofare, è il
campo in cui deve orientarsi ogni filosofia che voglia pensare secondo
verità. Come ai suoi inizi, ordinando il mondo secondo cause, la
filosofia ha liberato l'uomo dal timore dell'imprevedibile, così oggi, in
un mondo che appare ordinato, calcolato, previsto, in una parola
8
conosciuto scientificamente e quindi universalmente, la filosofia come
scienza suprema, indicando i limiti di ogni scienza e di se stessa, deve
riconsegnare all'uomo il suo spazio, quello del possibile, fugando così
il pericolo incombente di un ordinamento totalitario che lo
incatenerebbe ad una condizione di minorità e di dipendenza.
Sempre nel poscritto del 1955, Jaspers congeda i lettori che
ripongono false aspettative nella ricerca filosofica: qui non si cerca
un’apprensione “della cosa stessa” promessa dalla scienza, valida per
tutti e una volta per sempre, né, tanto meno, quel terreno stabile e
sicuro di potenti valori cui sottomettersi per mancanza di ardimento e
fondatezza propri. “In filosofia si ha a che fare con la libertà che,
come ragione, riconosce ciò che nella concretezza storica, vale per
essa incondizionatamente”. Per questi lettori Filosofia non dice nulla e
resta anzi passibile di accuse da cui non si può difendere. Il “colpo
dell'altra ala” quello, cioè, della partecipazione del proprio-se-stesso ad
un pensiero che si comunica, è condizione necessaria e sufficiente -
insieme con l'ala della materiale comprensione dei testi - per spiccare il
volo filosofico verso l'assimilazione di quest'opera filosofica come di
tutta la storia della filosofia.
Considero la suddetta un'opera metafisica degna di nota e sicuramente
di costante richiamo per il filosofare critico che nel perseguimento di
9
una sempre maggiore comprensione del pensiero genuino, di “quel
manifesto segreto” di ciascun filosofo, si sforza di renderlo intelligibile
e fruibile esistenzialmente da ogni uomo pur nell’indefinibile
plurivocità delle singole e quindi uniche appropriazioni.
Mi auguro che la mia lettura del pensiero jaspersiano faccia emergere
precipuamente il suo spessore teoretico, che sempre si è
accompagnato ad un sincero pathos umanistico.
2. Orientazione filosofica del mondo.
Orientarsi nel mondo è un'esigenza che caratterizza l'uomo in quanto
uomo e che assume forme d’intendimento razionale e di realizzazione
pratica sempre diverse nelle diverse epoche storiche: la nostra volontà
di conoscenza e di comunicazione ci spinge, infatti, ad abbracciare la
totalità o, almeno, a sforzarci di cercarla. Questa è l'originaria spinta
filosofica che i grandi del passato riconoscevano nello stupore che
assale l'uomo quando si dispone ad indagare l'essenza intima delle
cose. «Nel mutamento della situazione permane quella situazione in
generale in cui io sono con un altro essere».
4
L’io si avverte in corrispondenza ad un non-io che è l’altro, o come
l’altro io con cui posso comunicare, o come l’esteriorità, la materia che
4
K. Jaspers, Filosofia, Milano, Mursia 1958, vol. I, p. 55.
10
mi resiste. «In nessun modo io posso essere senza contrappormi al
non-io , perché solo per esso possiedo l’esserci e solo in esso giungo
ad essere cosciente: (…) il mondo che posso conoscere non può
essere senza l’io che lo conosce. Non c’e dunque mondo senza io, né
io senza mondo»
5
. La polarità dell’essere del mondo ci costringe a
pensare due cose differenti con lo stesso nome: «(…) mondo come
totalità dell’altro che è possibile indagare come un che di unico e di
universalmente valido, o l’esserci, che come esser-io, si incontra nel
suo mondo, ossia nel suo non-io, e come totalità relativa è mondo
come mio mondo»
6
.
Nella sua immediatezza l’io si percepisce come vita, la cui relazione
fondamentale è l’essere in un mondo, la totalità relativa di un mondo
interiore riferito al suo mondo circostante, reciprocamente
implicantisi. L’uomo, però, in quanto esserci che si trova nel suo
mondo, si distingue da tutto l’esserci biologico, per il fatto di sapersi
tale: il mio esserci per questo si determina come coscienza in generale,
come quell’io penso che è comune a tutti gli uomini; io divengo così
indagatore del mio esserci, dotato di quelle strutture formali che
consentono all’uomo la ricerca di conoscenze oggettivamente fondate
5
K. Jaspers, Ibidem, p. 55.
6
K. Jaspers, Filosofia, vol. I, cit., p. 57.
11
e universalmente valide. Compiuto questo salto che mi consente,
mediante il pensiero, di divenire consapevole del mio esserci in quanto
tale, passo ad oggettivarlo in scienze che per il loro oggetto
pretendono l’universalità e che fanno dell’esserci in questione
(biologico, storico, psicologico…) una totalità in sé chiusa. Questo è
comunque soltanto uno dei “luoghi” verso cui ci dirigiamo una volta
compreso l’insegnamento kantiano che, nell’accertamento dell’esserci,
ritrova anche il suo oltrepassamento. Jaspers ne annuncia, però, altri
due: l’esser se stesso dell’esistenza e l’autentico essere della trascendenza, due
luoghi che impareremo a ravvisare come humus di tutto il pensare del
Nostro.
Jaspers fa emergere una sorta di onda teoretica che
dall’immediatezza dell’autoaccertamento dell’esserci passa alla sua
oggettivazione in totalità chiuse universalmente valide, per poi tornare
alla realtà della situazione presente, all’esserci nel mondo come
oggettività dell’esistenza possibile, ossia al fenomeno oggettivo
dell’esistenza che si rivolge solo all’esistenza. Quest’onda teoretica,
però, raccoglie pensieri che superano la pura orientazione nel mondo
che indaga solo le cose del mondo e non il mondo in generale,
restando questo per essa l’essere illimitato che, determinato nel
particolare, è indeterminato nella sua totalità. «Pertanto – conclude
12
Jaspers – sono possibili due gruppi di concetti del mondo, a seconda
che il mondo sia pensato in sé senza alcun riferimento ad altro,
oppure come fenomeno in relazione all’esistenza e alla trascendenza»
7
.
Dal punto di vista della pura orientazione nel mondo, il mondo è ciò
che per me non ha né origine né compimento, è l’essere sussistente
che riposa nell’indifferenza del suo esserci. Dal punto di vista del
trascendere, questo mondo non è un essere che sussiste da sé, ma è
solo fenomeno, diviene dimora temporale dell’esistenza, la quale cerca
in esso i segni della trascendenza.
E’ su questo assunto fondamentale che Jaspers può finalmente
delimitare i campi dei rispettivi ambiti di pensiero e riguadagnare così
alla filosofia il suo primato fra le scienze: l’equivocità del mondo sta
nel suo essere contemporaneamente sia il mondo conosciuto e
tecnicamente prodotto, l’essere opaco e cieco, sia fenomeno, luogo
della decisione dell’essere dell’esistenza riferita alla trascendenza.
«Per l’orientazione che indaga scientificamente nel mondo c’è solo la
mondanità infondata.
Il mondo nella sua trasparenza, come linguaggio e possibilità
dell’essere autentico, non costituisce alcuna conoscenza
7
K. Jaspers, Filosofia, vol. I, cit., p. 71.
13
universalmente valida che sia accessibile a tutti anche solo come
problema»
8
.
3. Limiti dell’orientazione nel mondo.
Non possiamo però astenerci dal sottolineare come anche la semplice
orientazione nel mondo non possa non essere di natura filosofica e
quindi un’orientazione che è già impulso alla chiarificazione, cautela
nell’oggettivazione e esigenza di accertamento. Ogni orientazione nel
mondo che voglia pensare secondo verità non dovrà scambiare mai
l’essere saputo con l’essere in se stesso.
Una volta che l’esserci, da puro e semplice vivere inconsapevole, si
desta e diventa indagatore, va alla ricerca di quel punto immaginario
fuori del mondo, di quel punto di vista esterno di fronte al quale tutto
risulta conosciuto in termini universalmente validi, di quella realtà
oggettiva che è tale perché prescinde dalla soggettività. L’esserci del
mondo non è più il mio esserci nel mondo, ma realtà oggettiva.
«Questa crisi che ridesta l’originaria volontà di sapere, è una delle origini del
filosofare»
9
.
8
K. Jaspers, Filosofia, vol. I, cit., p. 72.
9
K. Jaspers, Filosofia, vol. I, cit., p. 64.
14
E’ questo il cammino della conoscenza oggettiva, dell’orientazione
scientifica del mondo che l’esserci, destato dal torpore di un sapere
indiscutibilmente certo, perché non discusso, percorre come coscienza
in generale alla ricerca della realtà oggettiva. Il suo pathos lo vede
profondere energie alla ricerca del possesso di quel sapere che lo
garantisce nel suo bisogno di sicurezza che prima viveva
inconsciamente: cerca di sapere ciò che è valido sempre per qualsiasi
essere razionale, anche al di là dell’uomo.
Il sapere scientifico offre all’uomo quelle conoscenze che lo
proteggono dall’infondatezza nella quale si viene a trovare di fronte
all’indefinito del mondo. Angustiato dal non sapere, inquieto, l’uomo
si rivolge alla scienza che però rischia di incatenarlo a sé, offrendogli
un sapere logicamente vincolante e universalmente valido anche «di
ciò che, in base alla propria essenza, non è conoscibile. (…) Se si
pensa al mondo come totalità della realtà oggettiva - dice ancora il
Nostro - qualcosa nell’esserci dell’io si spezza»
10
.
Nel tentativo di afferrare l’oggetto nella sua purezza, il ricercatore
deve prescindere da tutto ciò che appartiene alla soggettività; ma, così
facendo, la separa da sé per renderla oggetto di studio tra gli altri e
quindi la snatura. Prendendo le mosse da questo limite, l’esistenza
10
K. Jaspers, Filosofia, vol I, cit., p. 64.
15
possibile deve rendersi conto che nell’indagine della realtà empirica
resta escluso ciò che non può essere conosciuto né avvertito nella sua
inseità, e che quindi la coscienza in generale non è la totalità.
L’altro limite dell’orientazione scientifica nel mondo è conseguente:
«se raggiungo una comprensione logicamente vincolante avverto che
ciò che è vincolante non è assoluto; se domino l’indefinito questo
rimane insuperato, se conquisto l’unità non conquisto mai l’unità del
mondo»
11
. La quiete di cui andavo in cerca, il controllo che desideravo
avere sull’esserci del mondo, identificandolo con l’essere assoluto, si
perdono. Il venir meno di un’apparente quiete comporta altresì la
distruzione di un’illusione che libera lo spazio dell’esistenza, almeno
quando è autentico l’impulso del ricercatore che si spinge fino ai limiti
consaputi del suo cercare. Diverso è il caso di quella ricerca che
muove dal falso presupposto della conoscibilità di tutto il reale:
sorgono allora i lamenti di chi non vede che il caos, l’indeterminatezza
senza fondamento, l’irraggiungibilità di un sapere universale certo,
perché gia sempre determinato, particolare. Questi lamenti esprimono
l’essenza della scienza inautentica che ha perso l’impulso esistenziale
che le è proprio.
11
K. Jaspers, Filosofia, vol. I, cit., p. 76.