INTRODUZIONE
Cosa sono i kanji? Negli ultimi tempi soprattutto, a molti sarà
sicuramente capitato di sentire o incrociare questo termine “alieno”. Ebbene,
per kanji non s’intende nient’altro che quel grafema reso in Occidente, quasi
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unanimemente, col termine ideogramma. Certo, capita anche di sentirli
nominare nei modi più disparati dai “profani” della scrittura ideografica o
anche solo della linguistica, come, per esempio, “scritte cinesi”, “scritte
giapponesi” e chi più ne ha, più ne metta ma i kanji, o meglio in questo caso,
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gli hànzì sono, detto in parole semplici, le unità grafiche di base della
lingua cinese, adottati poi dai paesi vicini alla Cina, come, appunto, il
Giappone.
Nel presente lavoro, che consta di due capitoli, cercheremo quindi di
addentrarci, tentando anche di fare luce, nel mondo dei kanji, il quale risulta
ancora inesplorato e affascinate agli occhi di tanti.
Il primo capitolo contiene un’introduzione alla storia di questi caratteri
e alla loro composizione.
Il secondo capitolo invece verte sul rapporto dei kanji con la lingua
giapponese, affrontando in particolar modo quello che è uno dei più grandi
ostacoli nello studio di questa lingua da parte di qualsiasi straniero: la
realizzazione orale ossia la lettura.
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Cfr. inglese: ideogram; francese: idéogramme; tedesco: Ideogramm; russo:
идеог р ам м а (ideogramma).
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Kanji è il risultato di un adattamento alla fonetica giapponese del prestito cinese
hànzì. I significati sono quindi identici.
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Prima di iniziare, però, qualche precisazione terminologica e fonetica.
Si è scelto di usare il termine kanji perché, a differenza del cinese hànzì, del
coreano hanja e del vietnamita hán tự, risulta essere quello più diffuso nel
mondo occidentale. Il lemma “kanji” inizia, infatti, a essere incluso in alcuni
dizionari monolingui, soprattutto inglesi, come il Cambridge, mentre non lo
sono hànzì, hanja e hán tự. Nel corso di questo lavoro quindi la parola kanji
non sarà resa in corsivo in quanto usata come termine integrato. Un ulteriore
appunto è da fare a proposito delle possibili trasposizioni in italiano del
giapponese “kanji”. Il termine “ideogramma”, sebbene d’uso comune, tende
a essere evitato, quasi boicottato, dagli studiosi contemporanei, i quali si
schierano sempre in numero maggiore a favore del neologismo
“sinogramma”. Questa opposizione verso il primo non può essere sempre
giustificata, poiché il vocabolo “ideogramma”, in linguistica, sta per
carattere grafico che corrisponde a una parola indicandone l’intero
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significante o direttamente il significato e ancora, in un sistema di scrittura
di tipo ideografico, ad ogni simbolo (ideogramma) corrisponde un concetto,
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concreto o astratto. “Sinogramma”, invece, è un mero calco della parola
hànzì, in cui hàn sta per Cina e zì per carattere. Detto ciò, si evince che il
problema di base riguarda semplicemente le diverse funzioni che i due
termini svolgono: mentre il primo implica in sé una classificazione come
sistema di scrittura, il secondo è una traduzione vera e propria.
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Cfr. Tullio De Mauro, Il dizionario della lingua italiana per il terzo millennio,
Paravia, Torino, 2000.
4
Cfr. Giorgio Graffi, Sergio Scalise, Le lingue e il linguaggio, Il Mulino, Bologna,
2002, p. 70.
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Per quanto riguarda la parte fonetica, i termini giapponesi che ci
interessano direttamente sono resi in caratteri latini secondo il sistema di
trascrizione Kunrei. Questa scelta potrebbe sembrare di primo acchito
singolare in quanto, come si vede nella tabella successiva, la parte
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consonantica della resa latina di alcune more dei sillabari hiragana e
katakana si distacca maggiormente dalla sua effettiva realizzazione orale
rispetto al sistema Hepburn. Se si guarda meglio, però, si vede che
quest’ultimo – dal momento che nel corso del lavoro non si ricorrerà ogni
volta al passaggio intermedio che è la resa in kana dei kanji – può creare
equivoci in quanto le anzidette more vengono rese con i medesimi fonemi
latini. È il caso questo di じ/ジ, ぢ/ヂ, ず/ズ e づ/ヅ come si vede anche
dalla tabella successiva. Per la lingua cinese invece è usato il Pinyin,
sistema ufficiale della Repubblica Popolare Cinese.
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Il giapponese è una lingua famosa per le sue quantità moraiche. La maggior parte
delle sue varietà, inclusa la lingua standard, fa uso di more come base del sistema
fonetico piuttosto che di sillabe. Per esempio lo haiku in giapponese moderno, non
segue lo schema 5 sillabe/7 sillabe/5 sillabe, come comunemente creduto, ma piuttosto
quello 5 more/7 more/5 more.
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Nella tabella, le colonne indicano, da sinistra a destra, hiragana,
katakana, trascrizione Kunrei e trascrizione Hepburn.
Seion 清音 (suoni puri)
あ ア a a さ サ sa sa な ナ nanaま マ ma ma
い イ i i し シ si shi に ニ ni ni み ミ mi mi
う ウ u u す ス su su ぬ ヌ nunuむ ム mu mu
え エ e e せ セ se se ねネ neneめ メ me me
お オ o o そ ソ so so の ノ nonoも モ mo mo
か カ ka ka た タ ta ta は ハhahaや ヤ ya ya
き キ ki ki ち チ ti chiひ ヒ hi hi ゆ ユ yu yu
ku ku tu tsu hufu yo yo
く ク つ ツ ふ フ よ ヨ
け ケ ke ke て テ te te へヘhe he
こ コ ko ko と ト to to ほ ホ ho ho
ら ラ ra ra わ ワ wa wa
り リ ri ri を ヲ o o
る ル r u r u
れ レ re re ん ン n n
ろ ロ r o r o
Dakuon 濁音 (suoni impuri)
ga ga za za da da ba ba
が ガ ざ ザ だ ダ ば バ
gi gi zi ji di ji bi bi
ぎ ギ じ ジ ぢ ヂ び ビ
ぐ グ gu gu ず ズ zuzu づ ヅ du zu ぶ ブ bu bu
ge ge ze ze de de be be
げ ゲ ぜ ゼ で デ べ ベ
ご ゴ go go ぞ ゾ zozo ど ド do do ぼ ボ bo bo
Handakuon 半濁音 (suoni semipuri)
pa pa
ぱ パ
pi pi
ぴ ピ
ぷ プ pu pu
pe pe
ぺ ぺ
po po
ぽ ポ
Yôon 拗音 (suoni contratti)
kya kya tya cha bya bya
きゃ キャ ちゃ チャ びゃ ビャ
kyu kyu
きゅ キュ ちゅ チュ tyu chu びゅ ビュ byu byu
きょ キョ kyo kyo ちょ チョ tyo cho びょ ビョ byo byo
gya gya
ぎゃ ギャ ぢゃ ヂャ dya ja ぴゃ ピャ pya pya
ぎゅ ギュ gyu gyu ぢゅ ヂュ dyu ju ぴゅ ピュ pyu pyu
gyo gyo dyo jo pyo pyo
ぎょ ギョ ぢょ ヂョ ぴょ ピョ
しゃ シャ sya sha にゃ ニャ nya nya みゃ ミャ mya mya
syu shu nyu nyu myu myu
しゅ シュ にゅ ニュ みゅ ミュ
しょ ショ syo sho にょ ニョ nyo nyo みょ ミョ myo myo
じゃ ジャ zya ja ひゃ ヒャ hya hya りゃ リャ rya rya
じゅ ジュ zyu ju ひゅ ヒュ hyu hyu りゅ リュ ryu ryu
じょ ジョ zyo jo ひょ ヒョ hyo hyo りょ リョ ryo ryo
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CAPITOLO I. Il mondo dei caratteri cinesi
1.1 La scrittura ideografica
Come già accennato nell’introduzione, il presente lavoro affronterà il
rapporto tra ideogrammi e lingua giapponese moderna ma prima sono
necessarie alcune puntualizzazioni sul concetto di “scrittura ideografica”.
Nell’immaginario occidentale, questi due termini corrispondono al
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sistema grafico di alcune lingue dell’Asia Orientale, un punto in comune
tra queste lingue parallelo all’alfabeto latino per molte lingue europee.
Questo pensiero non può essere del tutto biasimato in quanto è vero, in
un certo senso, che i kanji ricoprono una funzione similare a quella dei
caratteri latini ma, come già si coglie dal termine “ideogramma”, i kanji,
oltre al significante, incorporano un’idea, un significato, per dirla in termini
saussuriani.
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Quando la Cina era ancora effettivamente la “nazione di mezzo”,
ossia la realtà culturale di riferimento per i paesi circostanti, i kanji non
costituivano solo un sistema grafico comune, bensì una vera e propria lingua
scritta franca. Si parla di lingua scritta perché le nazioni adottive adattarono
in seguito l’effettiva lettura cinese dei caratteri a suoni che erano più
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familiari alla fonologia delle loro lingue.
Ma veniamo a quelle che sono le differenze principali tra un sistema di
tipo fonetico e uno di tipo ideografico. Innanzitutto, come già detto, il
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Lingue cinesi, giapponese e coreana prevalentemente.
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I caratteri 中国 significano per l’appunto proprio questo.
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Vedi parr. 1.6 e 2.2.
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diverso rapporto tra significante e significato. Nel primo, un numero noto e
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facilmente gestibile di fonemi combinati in infiniti modi vanno a costituire
un significante che poi condurrà a un significato; nel secondo, invece, il
rapporto tra significante e significato è strettamente legato ma, come anche
fa notare Aldo Tollini, è anche vero che, dovendo ricorrere a un segno
diverso per esprimere un significato diverso, il numero dei caratteri è
cresciuto a dismisura col tempo, dando origine talvolta a numerose varianti
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non standardizzate, con piccole sfumature di senso, e quindi divenendo
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molto difficile da gestire. In secondo luogo, nella scrittura ideografica, un
problema non indifferente è quello di dover rappresentare, dal momento che
ogni lingua è in continua evoluzione, concetti che prima non esistevano.
Non ricorrendo più, dunque, né Cina né Giappone, alla creazione di nuovi
caratteri ormai da tempo, troviamo un sistema chiuso, gli ideogrammi, che
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deve far fronte alle necessità di uno aperto, la lingua. A questo proposito è
interessante il caso del carattere che esprime il concetto di elettricità. È
ovvio che si tratta di un concetto abbastanza recente e, in circostanze come
questa, si è ricorso a un carattere esistente, qui 電, traslandone il significato.
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La presenza dell’amekanmuri ci fa capire che ci troviamo nel campo
semantico dei fenomeni meteorologici e, in effetti, il significato originario
del carattere in questione era “fulmine”, che in fin dei conti è una scarica
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È inconfutabile che i fonemi usati in inglese, ad esempio, siano ventisei o che in
giapponese il numero dei kana sia noto, mentre non si conosce con estrema precisione
quanti kanji effettivamente esistano.
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Sempre nel rispetto della fonologia della lingua in questione.
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Cfr. Aldo Tollini, Kanji. Elementi di linguistica degli ideogrammi giapponesi,
Università degli Studi di Pavia, Pavia, 1992, p. 13.
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Vedi par. 1.2.
8
Cfr. A. Tollini, op. cit., p. 13.
9
Vedi par. 1.4.
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elettrica e da qui il suo significato traslato. Questo allontanamento dal
significato primario però può rendere i kanji ermetici e poco trasparenti.
In breve, questo strumento che è la scrittura ideografica, comparata
con i sistemi fonetici, si presenta come un sistema grafico che offre una
comprensione più immediata ma che necessita di maggiore abilità se se ne
vuole avere una discreta padronanza.
1.2 Breve storia dei kanji: origini e stili
Sul periodo storico dell’origine della scrittura cinese ci sono opinioni
divergenti. I reperti archeologici più antichi che riportano segni grafici sono,
infatti, databili al V millennio a.C. ma secondo alcuni studiosi si tratterebbe
solo dei marchi dei proprietari o degli artigiani degli oggetti stessi.
Generalmente, la teoria più accettata è quella che lega la nascita della
scrittura cinese alle incisioni sui gusci di tartaruga e su ossi di bue o altri
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animali, dette jiăgŭwén 甲骨文 in cinese, nel tardo periodo della
dinastia Shang, tra il XIV e l’XI secolo a.C. in un arco di tempo di circa 273
anni ovvero dal trasferimento della capitale a Yin fino alla caduta
dell’ultimo re Dixin per mano degli Zhou.
I primi caratteri furono scoperti nel 1899 nel villaggio di Xiaotun,
nella provincia dello Henan, nella Cina centrale. Tra ossi di animali e gusci
di tartaruga, si contano più di centomila reperti sui quali figurano testi
semplici e brevi di natura divinatoria o responsi di oracoli.
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Cfr. A. Tollini, op. cit., p. 31.
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Accanto al nome in caratteri latini sono riportati i caratteri cinesi nella forma
tradizionale o semplificata in uso in Giappone.
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In giapponese questi caratteri sono letti kôkotubun.
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All’inizio della dinastia Zhou risalgono invece le prime iscrizioni su
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bronzo, dette jīnwén 金文. Esse sono incise o fuse e divennero sempre
più lunghe durante il periodo degli Zhou (XI sec. – 770 a.C.) raggiungendo
anche i cinquecento caratteri e trattando argomenti politici, amministrativi,
militari, rituali, oracolari, commerciali ecc.
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Durante l’Epoca degli Stati Combattenti il (453 a.C – 221 a.C.) si
iniziò a scrivere su tavolette di bambù e sulla seta con i pennelli, i quali
saranno presenti in tutta la storia della scrittura di matrice sinica. Il bambù
sarà sostituito con la carta dal III secolo, mentre la seta continuerà a essere
utilizzata.
Benché si fosse arrivati ad avere un sistema complesso di scrittura, il
problema restava nel fatto che c’erano più possibilità di scrivere lo stesso
carattere, problema che nemmeno il re Zhou Xuanwang (827 – 781 a.C.)
riuscì a risolvere con la creazione dello Stile del Grande Sigillo, dàzhuàn in
cinese, daiten 大篆in giapponese. Questo stile presenta linee più lunghe e
armoniose e angoli smussati ma per un’unificazione dei caratteri bisognerà
aspettare fino al 221 a.C., anno in cui l’imperatore Qin Shihuang, dopo aver
sconfitto i sei stati rivali, emanò l’ordine di unificare la scrittura. Li Si,
primo ministro, eliminando omografi e riducendo il numero di tratti di
alcuni caratteri, riuscì a dare alla Cina un sistema di scrittura unitario detto
Stile del Piccolo Sigillo, xiăozhuàn, in giapponese syôten 小篆, usato in
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alcuni casi ancora oggi sia in Cina che in Giappone. Esteticamente curati
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In giapponese kinbun.
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Da non confondere con il periodo medievale Sengoku (1478 - 1605) in Giappone.
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I tipici timbri a inchiostro rosso, per esempio.
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