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INTRODUZIONE
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Oggetto della presente tesi è lo jus variandi bancario; è questo un istituto che
permette a una delle parti contrattuali, in questo caso la banca, di procedere
unilateralmente a una variazione contrattuale quando se ne presentino i giusti
requisiti.
Tale figura è nota alla prassi da molto tempo, così come attestano l’articolo 15
e 16 delle NBU (riguardanti rispettivamente i depositi in conto corrente e i
conti correnti di corrispondenza), ma solo dall’inizio degli anni novanta entrò
anche all’interno dell’ ordinamento positivo (art. 6, l. 17 febbraio 1992, n. 154,
poi confluito nell’art. 118 TUB).
Tale facoltà della banca è di enorme rilievo perché permette a quest’ultima di
modificare il contenuto negoziale in peius e con piena discrezionalità per quel
che riguarda l’an della modifica; e, siccome dal riconoscimento teorico di
questo istituto discendono conseguenze di notevole impatto per il cliente,
soprattutto se consumatore, nel tempo è stato interpretato dalla dottrina e
dalla giurisprudenza in modo molto vario.
Da un lato, c’è stato chi ha sottolineato il carattere del tutto eccezionale
dell’istituto in parola, quasi che fosse un privilegio concesso alle banche in
virtù del loro potere lobbistico di influenzare le dinamiche del mercato del
credito italiano, con la conseguenza di interpretare la normativa esistente in
maniera restrittiva in modo da limitare il potere della banca e di proteggere in
modo più incisivo la clientela; dall’altro lato, si è sostenuto che lo jus variandi
ha delle giustificazioni teoriche compatibili con l’ordinamento privatistico in
generale, e in particolare con le dinamiche riguardanti i contratti d’impresa,
talché la sua previsione legislativa non concede un privilegio al soggetto forte
del rapporto, bensì regola una facoltà della banca che, se non fosse
disciplinata dalla legge, questa avrebbe comunque, ma potrebbe esercitare in
maniera molto più libera e senza limiti imposti dall’esterno.
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Che ci sia molta confusione e disparità di vedute riguardo l’istituto in parola lo
testimonia anche il fatto che non si è trovato un accordo su come scrivere il
termine in questione; nella prassi, infatti, capita di vedere scritto
indistintamente sia la lettera iniziale come i o j sia di usare l’articolo il o lo.
Tuttavia, dal punto di vista grammaticale, appurato che è la stessa cosa
scrivere i o j perché cambia la forma grafica ma il suono rimane lo stesso e,
cioè quello della semiconsonante iod (ossia della vocale non accentata i
seguita da un’altra vocale), è regola comunemente accettata che “Davanti alla
semiconsonante j, pur sussistendo ancora le varianti minoritarie il e l’, lo e il
rispettivo plurale gli sembrano ormai le forme prevalenti, almeno nell’uso
scritto se non nella codificazione grammaticale.”
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Anche da un punto di vista della normativa esistente, poi, la situazione è
molto complicata; negli ultimi anni, infatti, il legislatore è intervenuto più
volte sull’argomento, spesso su spinta di istanze comunitarie con la finalità di
una più forte tutela del cliente, con una certa frenesia che ha dato vita a una
pluralità di serie normative (distinte sia in funzione delle caratteristiche
soggettive del cliente- consumatore/microimpresa/macroimpresa- sia di
quelle oggettive dei contratti- a tempo determinato/a tempo indeterminato,
credito al consumo/ servizi di pagamento) non del tutto coordinate tra loro.
A questa difficoltà, derivante dal fatto che la legge in parola è alquanto
ambigua e lascia un notevole ventaglio di opportunità interpretative, si
aggiunge l’ulteriore particolarità che della materia in parola si hanno poche
pronunce giurisprudenziali; ciò deriva essenzialmente dal fatto che l’esercizio
dello jus variandi da parte della banca, la maggior parte delle volte, sebbene
possa dare fastidio al cliente, avviene senza un notevole impatto economico
di immediato rilevo.
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L. SERIANNI, Grammatica italiana, Torino, UTET, 1991, p. 116
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Si spiega meglio facendo un esempio. Si pensi al peggioramento del tasso
d’interesse in conseguenza dell’aumento del costo del denaro; in questo caso,
praticamente, la banca si rifà sul cliente del fatto che le condizioni di mercato
siano peggiorate. Ebbene, in un primo momento, il peggioramento del tasso
d’interesse non potrà essere troppo elevato e quindi le conseguenze saranno
di modesta entità; col tempo, invece, se le condizioni continueranno a
peggiorare e, quindi, la banca continuerà ad esercitare lo jus variandi per
modificare il tasso d’interesse lo svantaggio economico potrà essere anche di
notevole rilievo. Da ciò deriva comunque che il cliente non sarà invogliato ad
adire il giudice ogniqualvolta la banca proceda a un cambiamento delle
condizioni contrattuali che il cliente ritenga ingiustificato; vi è altresì da
segnalare che il tempo che il giudice impiega per prendere una decisione,
soprattutto in Italia dove purtroppo la situazione dei tribunali non permette
decisioni celeri, farebbe sì che anche l’eventuale accoglimento della domanda
del cliente sarebbe sostanzialmente inutile. Per questo motivo, le difese per il
cliente contro gli eventuali abusi delle banche risiedono in altri strumenti,
come la possibilità di recedere dal contratto qualora le variazioni effettuate
vengano ritenute non convenienti.
Negli ultimi tempi, tuttavia, la situazione è cambiata grazie all’introduzione
all’interno dell’ordinamento italiano dell’Arbitro Bancario Finanziario; questo
organismo di risoluzione delle controversie, che opera molto più velocemente
rispetto ai tribunali ordinari, ha permesso, da un lato, di far emergere
controversie in sé minute per ammontare, ma ricche d’interesse per quel che
riguarda le questioni di diritto affrontate (si pensi, ad esempio, alle varie
questioni attinenti alle modalità di esercizio dello jus variandi o all’onere di
allegazione dello stesso che grava sulla banca) e, dall’altro lato, ha fornito
orientamenti nell’applicazione della normativa vigente, dando un contributo
decisivo per l’individuazione di figure sintomatiche che possano semplificare
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l’attività sia per la banca sia per il cliente (si pensi all’individuazione della
nozione di giustificato motivo).
Da ciò che si è detto precedentemente discende che l’attività per l’interprete
risulta alquanto ardua; è, tuttavia, fondamentale, a causa dell’enorme
rilevanza che tale istituto ha nella prassi bancaria, pervenire a delle
conclusioni che, pur nella disparità di vedute tanto teoriche quanto pratiche,
possano aiutare, da un lato, il cliente a difendersi meglio dallo strapotere
bancario, e, dall’altro lato, la banca a gestire con più semplicità e senza troppe
controversie la sua attività d’impresa. Per far ciò si svilupperà il discorso in tre
capitoli.
Nel primo capitolo, si cercherà innanzitutto di dare una definizione della
nozione di jus variandi; è, infatti, questo un diritto potestativo che non esiste
solo nel settore bancario, pure se qua trova l’ambito in cui ha più operatività,
e che, invece, si trova anche all’interno del codice civile e i cui limiti sono stati
elaborati nel tempo dalla dottrina civilistica. I limiti all’esercizio dello jus
variandi servono soprattutto a proteggere il soggetto che subisce la modifica
e, da un lato, servono a far sì che la banca non possa procedere a variazioni
immotivate (obbligo di un giustificato motivo) ovvero a far sì che il cliente sia
consapevole dell’avvenuta variazione (obbligo di notifica e di allegazione) e,
dall’altro lato, permettono al cliente di uscire dal rapporto se quest’ultimo
non è più vantaggioso (diritto di recesso dato alla clientela). Quindi si
esaminerà la ratio e la finalità di questo potere concesso a una delle parti di
un contratto: si vedrà, allora, come mentre per i contratti conclusi tra due
privati, la finalità essenziale di questa facoltà è quella di riequilibrare il
sinallagma contrattuale a causa di un evento esterno e imprevedibile che ha
modificato l’equilibrio tra le prestazioni, quando il contratto è concluso da
un’impresa in un rapporto di massa, e per quel che qui interessa da una
banca, la finalità essenziale è quella di far sì che la banca possa registrare i
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cambiamenti che avvengono nel mondo macroeconomico in modo che la sua
attività rimanga economicamente efficiente.
In seguito, si vedrà come la disciplina dello jus variandi bancario sia collocata
all’interno del capo del Testo Unico Bancario che è dedicato alla trasparenza:
si esaminerà, quindi, in breve, questo concetto e si vedranno, da un lato, la
finalità di questa disciplina e, dall’altro lato, come essa si articola e più in
particolare quali sono gli obblighi di informazione e di azione che gravano
sulla banca sia nella fase che precede la stipulazione del contratto sia nella
fase di esecuzione dello stesso.
Una volta esaurita questa fase introduttiva, si cominceranno a esaminare le
serie normative, cui si è accennato all’inizio: si parlerà, quindi, di quando lo jus
variandi era disciplinato solo dalle NBU, si vedrà il momento in cui il
legislatore si occupò per la prima volta di tale istituto (prevedendo uno jus
variandi esercitabile ad nutum da parte della banca e con una comunicazione
al cliente che poteva essere anche generalizzata tramite pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale) e, successivamente, si esamineranno gli interventi
normativi più importanti che sono tutti andati nella direzione di limitare il
potere bancario e di rafforzare la tutela per la clientela.
In particolare, si esaminerà il recepimento della direttiva 93/13 avvenuto con
l’art.25 della legge n.52/96, la quale introduceva nel titolo II del libro IV del
codice civile il capo XIV-bis, dedicato alle clausole vessatorie nei contratti
conclusi con i consumatori; in questo modo, accanto alla disciplina dello jus
variandi prevista per la clientela in generale, se ne introduce un’altra dedicata
ai soggetti consumatori, in quanto ritenuti più deboli economicamente e,
quindi, meno capaci di contrattare con l’ente creditizio. Ciò, tuttavia, non è
avvenuto senza difficoltà: come vedremo meglio successivamente, infatti, lo
scarso sforzo fatto dal legislatore nazionale per arrivare a una disciplina
armonica, ha fatto sì che parecchi dubbi si ponessero di fronte agli interpreti, i
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quali spesso pervennero a delle conclusioni dettate più da esigenze di sistema
che da una interpretazione letterale della legge.
Fortunatamente, il legislatore interverrà per dirimere alcune controversie,
creandone però delle altre: vedremo così come l’intervento del 2006 se, da un
lato, fu appropriato in quanto servì sia per creare più armonia tra le diverse
discipline (il giustificato motivo dovrà essere addotto non solo per procedere
alle variazioni nei confronti dei consumatori, bensì nei confronti di tutta la
clientela) sia per eliminare alcune problematiche che c’erano
precedentemente (per fare solo un esempio, si stabilì definitivamente che non
solo le clausole economiche, ma anche quelle normative e regolamentari sono
modificabili), dall’altro lato, creò altre incertezze di notevole entità (si pensi
alla dizione “contratti di durata” e alla questione se il contratto di mutuo
rientrasse in questa categoria e se, quindi, i tassi d’interesse fossero
modificabili tramite il procedimento previsto per lo jus variandi).
Per ultimo, verranno esaminate le Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia
del 29 luglio 2009 con le quali si disciplinò in maniera più approfondita il tipo
di informazioni che il cliente deve ricevere (tra l’altro questo intervento
sostanzialmente anticipa alcune misure richieste dall’Europa e che verranno
successivamente inserite all’interno del TUB) e soprattutto si stabilì
definitivamente che ciò che conta per una tutela effettiva, e non
semplicemente formale del cliente, è la qualità, e non già la quantità delle
informazioni.
Poi, nel secondo capitolo, verrà esaminata la disciplina attuale, conseguente
alle ultime modifiche avvenute nel 2010 e nel 2011, e, successivamente, si
esamineranno alcune problematiche di ordine teorico e pratico di rilevanza
fondamentale riguardo il rapporto banca-cliente.
Si comincerà, quindi, esaminando la direttiva 2008/48/CE, riguardante il
credito al consumo, che aveva l’obbiettivo di allineare le diverse discipline
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nazionali, in modo da eliminare le difficoltà che intralciavano il credito
transfrontaliero; questa finalità, tuttavia, non si può dire raggiunta in pieno
perché sebbene la direttiva medesima si dichiari espressamente essere di
armonizzazione completa, la stessa affronta soltanto alcuni aspetti del
mercato del credito con la conseguenza che residuava in capo ai diversi
legislatori nazionali un ampio margine di manovra per aumentare ovvero per
diminuire la tutela nei confronti del cliente.
Come già detto, la direttiva in parola aumentò la tutela per il cliente andando
ad incidere sulle regole di trasparenza riguardanti la quantità e la qualità di
informazioni da dare nella fase precontrattuale e successivamente nella fase
di esecuzione del contratto; la novità più importante su questo punto è
l’obbligo gravante sulla banca di valutare il merito creditizio del cliente in
modo da non concedere credito a un soggetto che presumibilmente verrebbe
gravato in maniera intollerabile dall’esistenza dello stesso.
Quindi, verrà esaminato il decreto legislativo n. 141 del 2010 di recepimento
della direttiva appena commentata; questo intervento legislativo, lungi
dall’essere una mera trasposizione della normativa comunitaria, interviene
anche su altri punti con la finalità di mettere ordine tra le problematiche che
si erano create e di dare vita a una disciplina il più possibile armonica,
soprattutto per quel che riguarda lo jus variandi.
Dopo aver esaminato brevemente le variazioni legislative riguardanti la
materia della trasparenza in generale, infatti, si passerà a un esame delle
analogie e differenze intercorrenti tra il vecchio e il nuovo testo dell’articolo
118 TUB. Qui si possono notare alcune novità di grandissimo rilievo.
Innanzitutto, invece di parlarsi genericamente di contratti di durata, si
distingue finalmente tra contratti a tempo indeterminato e contratti a tempo
determinato, andando a prevedere due discipline in parte diverse; per i primi,
infatti, sarà possibile procedere a variazione unilaterale per cambiare ogni
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tipo di clausola contrattuale sempre che il cliente abbia firmato l’apposita
clausola che concede alla banca lo jus variandi; per i secondi, invece, sarà
possibile cambiare tutte le clausole contrattuali qualora sussista un
giustificato motivo, tranne quelle riguardanti i tassi d’interessi, in modo che
nei contratti di finanziamento, e soprattutto nei contratti di mutuo, sia
impossibile per la banca peggiorare unilateralmente il tasso d’interesse
originariamente pattuito (tale situazione viene, tuttavia, modificata, come
vedremo meglio successivamente, da un intervento legislativo del 2011).
Quindi, viene allungato il termine di preavviso che la banca deve dare al
cliente: si passa, infatti, da trenta a sessanta giorni. Con questo intervento non
viene soltanto allungato il periodo che passa dalla comunicazione all’effettiva
variazione contrattuale, ma viene essenzialmente cambiata la struttura dello
jus variandi, perché diversa si presenta la finalità del diritto di recesso
concesso al cliente. Mentre precedentemente, infatti, il diritto di recesso
poteva essere esercitato dal cliente anche successivamente all’avvenuta
modifica unilaterale del contratto ad opera della banca, e quindi si presentava
come un modo attraverso il quale il cliente poteva sciogliersi da un contratto
che riteneva non più conveniente a seguito della variazione decisa dalla
banca, adesso questo non è più vero: la variazione contrattuale, infatti, non si
può produrre prima che sia passato il lasso di tempo di due mesi entro il quale
il cliente può recedere dal contratto; e così è come se vi fosse una sorta di
assenso del cliente alla modifica contrattuale, riscontrabile a contrario dal
mancato utilizzo del diritto di recesso.
L’ultima variazione legislativa di rilevo da segnalare è che viene confermato
quell’indirizzo interpretativo, già prima esistente, che a forza di
un’interpretazione restrittiva della disciplina dello jus variandi, affermava che,
mentre si potevano modificare le clausole sia economiche sia normative e
regolamentari già inserite nel testo contrattuale, non era possibile introdurre