3
L’espansione nei nuovi mercati può essere perseguita con varie
metodologie ma l’alleanza con un’altra impresa, magari locale, risulta
essere quella più efficace sia per raggiungere gli scopi che l’impresa si
prefigge, sia per contenere i costi ed i rischi che l’operazione
necessariamente comporta.
Il ventaglio di scelte a disposizione dei manager che decidono di
cooperare con un’altra impresa, è molto vasto.
Ogni modello associativo porta con se sia vantaggi sia svantaggi, ogni
azienda deciderà di adottare la tipologia d’alleanza che risulterà essere
più idonea a raggiungere i propri scopi, date le competenze possedute,
necessarie a governare la soluzione strategica adottata. La mancanza di
competenze relative alla gestione di accordi tra imprese, non potrà far
altro che aumentare la probabilità che si verifichino effetti collaterali
dannosi per l’azienda. Per cui, la scelta del modello cooperativo più
idoneo, non potrà prescindere dalle capacità possedute dai manager in
relazione alla gestione ed al governo dell’accordo stesso. Inoltre,
bisogna considerare anche gli effetti che si produrranno a seguito del
contatto tra le diverse culture di cui sono portatori i due partner.
Il presente lavoro si occupa in maniera specifica di una forma
particolare di alleanza qual è la joint venture societaria, ed analizza in
modo specifico come tale strumento sia utilizzato per entrare su nuovi
mercati internazionali.
Data la versatilità di tale opzione strategica e data la quantità elevata di
forme attraverso cui si presenta nella realtà operativa, tale strumento è
studiato in modo particolare in relazione al settore automotive. Tale
scelta è stata frutto sia della necessità di restringere il campo di
indagine, sia perché in tale comparto il fenomeno joint venture
raggiunge i suoi massimi livelli espressivi. Il settore auto risulta essere
infatti, uno dei settori all’avanguardia non solo per quanto riguarda
l’innovazione tecnologica, ma soprattutto per quanto riguarda le
tecniche manageriali utilizzate. Date le sue caratteristiche peculiari
quali: competizione serrata, elevati costi di ricerca e sviluppo,
4
accorciamento del ciclo di vita del prodotto auto e incremento dei costi
dei fattori produttivi, si è imposta ai manager la necessità di
massimizzare il valore fornito al cliente finale, pena la perdita di
competitività nei confronti della concorrenza. Per massimizzare tale
valore ogni funzione aziendale deve essere portata al suo estremo,
comprese le funzioni manageriali, per questo motivo le tecniche
produttive, gestionali e di marketing in tale comparto si esprimono ai
loro massimi livelli.
Come caso di studio è stato scelto l’accordo di joint venture intercorso
tra FIAT e TATA per la realizzazione di uno stabilimento produttivo
comune in India. Tale accordo risulta essere perfetto per lo studio della
joint venture come strumento per penetrare in un nuovo mercato, dato
che lo scopo principale perseguito da FIAT in tale accordo, è proprio
quello di entrare nel mercato Indiano, il quale risulta essere insieme al
mercato cinese l’area a maggior sviluppo potenziale per il settore auto.
Il lavoro si sviluppa in quattro capitoli, nel primo capitolo si evidenziano
le caratteristiche del settore automotive e i cambiamenti che in tale
settore si sono verificati, a causa delle molteplici forze interne ed
esterne cui il comparto è sottoposto. Inoltre si analizza lo scenario
competitivo mondiale in cui l’accordo di joint venture tra Fiat e Tata si
va ad inserire, attraverso uno studio dei concorrenti diretti di Fiat e
Tata.
Nel secondo capitolo si effettua uno studio generale sulle diverse opzioni
strategiche che le aziende possono utilizzare per spostarsi sui mercati
internazionali, con una maggiore attenzione al settore automotive. È
inoltre proposto un percorso strategico tipo, distinto in quattro fasi, che
un’impresa automobilistica può adottare per entrare in un nuovo
mercato.
Il terzo capitolo è dedicato interamente alle joint venture, alle sue
implicazioni teoriche e pratiche, all’impatto che ha sulla struttura e sulla
gestione aziendale e strategica dei due partner. Si è cercato inoltre di
5
mettere a confronto la joint venture con le altre soluzioni di
cooperazione interaziendale, in modo da poterne individuare gli aspetti
peculiari e determinare le situazioni in cui tale opzione strategica, sia
preferibile alle altre e quando invece sconsigliata.
Infine nel quarto capitolo si analizza l’accordo di joint venture tra Fiat e
Tata. Oltre ad esaminare gli aspetti operativi dell’accordo e le
implicazioni industriali e strategiche che lo stesso comporta, si è cercato
di effettuare uno studio prospettico, in modo da andare a delineare le
implicazioni future, in termini di rischi ed opportunità che l’accordo può
comportare per i due partner.
6
CAPITOLO 1
IL MERCATO DELL’AUTO NEL MONDO
1.1 INTRODUZIONE
Nel mondo sono prodotte più di 50 milioni di automobili l’anno, tutte le
famiglie nei paesi industrializzati ne possiedono almeno una sebbene sia
il bene più costoso dopo la casa.
L’industria dell’auto in Europa offre lavoro a circa 1.9 milioni di
lavoratori
1
, che sommandosi ai lavoratori di USA e Giappone raggiunge
circa 3,7 milioni di persone impiegate nel settore dell’auto nei soli paesi
industrializzati. Il comparto automotive rappresenta uno dei settori in
cui gli investimenti per R&D sono maggiori
2
, infatti, se si prendono in
considerazione i settori dell’elettronica, TLC, farmaceutici e aerospaziali,
gli investimenti delle prime cinque imprese del settore automotive,
superano nettamente gli investimenti delle aziende operanti nei settori
elettronica e TLC (vedi figura 1 e 2). Settori, in cui l’innovazione risulta
essere comunque fondamentale per la sopravvivenza dell’impresa.
Spesso quando si parla di innovazione nel settore automotive, si pensa
subito a nuovi dispositivi di sicurezza per il veicolo, a nuovi materiali per
la carrozzeria o innovazioni che coinvolgano direttamente l’auto. Invece,
proprio dal settore automotive sono arrivate molte innovazioni che non
hanno riguardano solo l’auto ma che hanno investito in modo
trasversale vari mercati anche molto distanti tra loro per prodotti e
clienti serviti. Basti pensare al sistema Just in Time sviluppato dalla
Toyota che modificando un metodo di produzione degli anni venti
utilizzato dalla Ford, che è stato adottato in tutto il mondo anche in
1
Sito della Commissione europea, “European competitiveness report 2004” pp. 156.
2
C. M. GUERCI, “Lo sviluppo tecnologico dell’industria Italiana:una sfida per la
competitività”, Le tavole rotonde di A.T. Kearney, 2002 pp. 13.
7
imprese che non hanno niente a che fare con l’auto; ancora, il sistema
di rilevazione dei costi nato nella GM l’ABC (Activity Based Costing)
creato per sopperire alle deficienze del sistema di rilevazione classico
dei costi.
Fig. 1 Spese in R&S
Fonte: Le tavole rotonde di A.T. Kearney
3
(Spese per R&D in migliardi di $ nel 2000
nei settori: Automotive, Elettronica, Farmaceutica, TLC, Aerospace/Difesa)
Fig. 2 Spese R&S in percentuale sul totale delle prime 5 imprese nazionali
Fonte: Le tavole rotonde di A.T. Kearney
4
3
C. M. GUERCI, “Lo sviluppo tecnologico dell’industria Italiana:una sfida per la
competitività”, Le tavole rotonde di A.T. Kearney, 2002 pp. 13.
4
Ibidem, pp. 23.
8
Inoltre bisogna sottolineare come gran parte del valore creato nel
settore automotive proviene dai fornitori dell’industria automobilistica,
che sviluppano una ricchezza pari al 75% del valore creato
5
. La rete dei
fornitori si è strutturata in una catena complessa con una struttura a
cascata, formata da fornitori di primo livello, secondo livello, terzo e
così via
6
.
Da ciò discende che il settore automotive, oltre ad essere un settore ad
alta attivazione di altri comparti in termini di acquisti diretti,
rappresenta un importante polo di sviluppo di tecnologie “intermedie”,
sia di prodotto sia di processo a grande diffusione orizzontale in altri
mercati.
Non bisogna in ogni caso dimenticare che il settore automotive spesso,
è esso stesso a prendere a prestito tecnologie e innovazioni da altri
campi e a sfruttarle per i propri impieghi, un esempio è il sistema di
proiezione sul parabrezza dei dati di guida della Citroen C6 preso a
prestito dall’aeronautica o ancora i vari sistemi Radar e di visone
notturna implementati su Volvo e Mercedes. Dall’industria dell’auto
arrivano purtroppo, anche notevoli conseguenze negative che
danneggiano l’uomo e l’ambiente in cui l’uomo vive. L’esempio più
eclatante può essere l’inquinamento prodotto dalle auto e non mi
riferisco alle sole esalazioni derivanti dalla combustione dei derivati del
petrolio, ma anche ai processi produttivi dell’industria dell’auto, allo
smaltimento degli autoveicoli alla fine del loro ciclo di vita e cosi via.
Paradossalmente il successo del prodotto “auto” sta mettendo in
pericolo il prodotto stesso. La funzione d’uso originaria per cui l’auto era
stata creata è messa in crisi, specie nelle grandi città.
Nonostante ciò il mercato dell’auto è fiorente con i suoi alti e bassi, tutti
desiderano o aspirano ad ottenerne una, nei paesi sviluppati è sempre
5
IPI, Istituto per la Promozione Industriale, “Le dinamiche competitive e le politiche di
sviluppo per il settore dell’auto”, Marzo 2004, pp. 7.
6
I. PIOTTO, “Dal just in time alla produzione modulare. Rapporti tra imprese e problemi
di relazioni industriali”, quaderno di ricerca, IRES 2002, pp. 13.
9
più desiderata non per soddisfare le semplici esigenze di trasporto,
bensì per appagare bisogni complessi e diversi. L’automobile è vissuta
come un piacere, come uno strumento di valorizzazione di se stessi e
distinzione dagli altri
7
. Le medesime esigenze si iniziano ad avvertire
anche nei paesi in via di sviluppo, i quali stanno diventando mercati che
crescono in fretta e non necessariamente seguendo le tappe che hanno
portato alla nascita dei mercati occidentali. In questi paesi si assiste ad
un aumento del divario tra poveri e ricchi come sta avvenendo in Cina
8
,
che permette la crescita di segmenti apparentemente insoliti per la
nazione. Ferrari ad esempio, ha deciso di creare una nuova divisione
commerciale per l’area Asia-Pacifico per far fronte alla crescente
richiesta di veicoli che proviene da tali nazioni.
7
G. CANALI, “Credetemi il meglio viene adesso”, intervista a Carlo Mario Guerci su
“Automobilismo” di Marzo 2007, pp. 22-23.
8
Y. SU, F. BARBARESCO “Le cause del divario tra ricchi e poveri in Cina” su
www.euro-china.org.
10
1.2 CARATTERISTICHE SETTORE AUTOMOTIVE
Per meglio comprendere l’evoluzione del settore automotive bisogna
dare uno sguardo alle dinamiche del mercato di riferimento. A livello
mondiale nel 2000 si è verificato un record nelle immatricolazioni che
hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 400 mila vetture
immatricolate. Nel 2001 si sono realizzati gli stessi numeri ma si è
avuta una leggera flessione a seguito della crisi congiunturale innescata
dagli attentati alle Twin Tower, che ha comportato una diminuzione di 3
punti percentuali rispetto all’anno precedente
9
.
Negli ultimi anni si sono abbassate le barriere protezionistiche erette in
passato da molti paesi. Ciò ha avuto un immediato riflesso sul settore
automotive e sulle sue prospettive di crescita nel lungo periodo, con la
conseguenza di accentuare la competizione tra i singoli marchi.
L’aumento della competizione a sua volta ha determinato una riduzione
del numero di produttori indipendenti, che sono passati da 40 nel 1970
a soltanto 12 nel 2001, mentre le previsioni per il 2010 stimano che il
numero residuo di produttori indipendenti a tale data scenderà a 7
10
.
Confrontarsi nel settore auto è diventato sempre più difficile, dato che il
ciclo di vita dei prodotti si è accorciato notevolmente, inoltre, è
aumentata la complessità di ogni singolo modello in termini di numero
di pezzi e di tecnologie adottate. Il tutto comporta un’accelerazione
dell’innovazione tecnologica e quindi dei correlativi costi che, associata
ad un incremento della competitività, porta ad una naturale selezione
da parte del mercato, di quei competitors che riescono ad offrire una
massimizzazione del valore per il cliente finale. Questo insieme di
circostanze ha imposto alle case di focalizzarsi nei loro “core business”
modificando sostanzialmente anche i rapporti con i propri fornitori
11
.
9
IPI, Istituto per la Promozione Industriale, “Le dinamiche competitive e le politiche di
sviluppo per il settore dell’auto”, Marzo 2004, pp. 9.
10
Ibidem.
11
A. ENRIETTI, R. LANZETTI, "Il distretto dell’auto: definizione, dinamica, politiche”, in S.
Rolfo, G. Vitali (a cura di) Dinamiche competitive e innovazione nel settore della
componentistica auto, FrancoAngeli, Milano 2001, pp. 203-228.
11
Negli ultimi venti anni il settore è stato investito da profondi
cambiamenti relativi ai metodi produttivi utilizzati, il modello fordista,
basato sul ruolo chiave della casa costruttrice/assemblatrice, è entrato
in crisi sia a causa dei problemi intriseci al modello stesso, sia a causa
dell’accentuarsi della competizione proveniente dalle case
automobilistiche giapponesi
12
. All’inizio non fu ben chiaro ai costruttori
occidentali come i giapponesi riuscissero a produrre auto con elevati
standard qualitativi a prezzi abbordabili. La ricerca delle cause portò ad
imputare tale capacità, alla particolare struttura sociale della nazione,
alle maggiori ore di lavoro annuali e alla forza dello Yen. Solo in seguito
si comprese che era il modello di produzione adottato che possedeva
un’efficienza superiore rispetto al sistema occidentale. Il modello
giapponese era basato su un elevato decentramento verso i fornitori e
di questi verso i sub-fornitori oltre che da intensi rapporti di
collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti. Nel corso degli anni novanta i
costruttori occidentali hanno assimilato le caratteristiche proprie del
modello giapponese attraverso il ricorso alla Lean Production,
produzione Pull, senza magazzino e così via. Questa nuova
configurazione di impresa estesa, permette di ridurre le dimensioni
ottimali minime e contemporaneamente assicura lo sfruttamento di
economie di scala attraverso la crescita esterna, tramite unioni, fusioni
ed acquisizioni. L’Outsourcing non è stato utilizzato solo per le fasi
produttive ma anche per quelle relative ai servizi come ad esempio la
fase di progettazione
13
. Gli assemblatori finali hanno fatto molti sforzi
per ridurre l’intensità di capitale delle loro industrie, allo scopo di
rendere le strutture aziendali più flessibili, capaci cioè di adattarsi
meglio ai rapidi mutamenti dei mercati moderni. Tutto questo è
possibile delegando sempre maggiori funzioni all’esterno, portando
quindi ad una riduzione del numero di fornitori diretti di cui una
porzione sempre maggiore, è chiamata a fornire interi moduli o
12
A. CMUFFO, G. VOLPATO , “Nuove forme di integrazione operativa: il caso della
componentistica automobilistica”, Milano, Franco Angeli 1997, pp. 13-30.
13
A. ENRIETTI, R. LANZETTI, op. cit., pp. 203-228.
12
sottosistemi assemblati invece che singoli componenti
14
. Inoltre, si è
modificata la qualità delle relazioni che intercorrono tra le parti in gioco
in cui non è più ravvisabile un semplice rapporto di fornitura, ma ci si
relazione come con dei veri e propri partner, a cui viene richiesto non
solo di fornire un prodotto o servizio ma di raggiungere determinati
obbiettivi in termini di prestazioni e qualità dell’output fornito. Tutti
questi cambiamenti di conseguenza hanno richiesto un processo di
adeguamento anche da parte dei fornitori della componentistica auto, i
quali si sono riorganizzati in strutture in cui sembra prevalere la
tendenza alla concentrazione, globalizzazione e specializzazione
produttiva
15
. Lo scopo è di creare strutture capaci di rispondere in
maniera appropriata a quelle che sono le esigenze e le richieste delle
case automobilistiche.
Sulla base di numerose ricerche si è evidenziato come i fornitori diretti
delle imprese automobilistiche, si stiano trasformando da un lato, in
grandi imprese globalizzate, specializzate nella produzione di sistemi
complessi o nell’integrazione di sottosistemi semplici, e dall’altro in
specialisti nella produzioni di singoli componenti
16
. Le nuove strategie
dei costruttori, costringevano le imprese della componentistica che
avevano intenzione di restare al primo livello della fornitura, ad
effettuare enormi investimenti che solo poche di esse erano in grado di
sostenere. Per cui si è assistito, specie durante gli anni novanta, ad
un’intensa ondata di acquisizioni e fusioni che hanno portato alla
concentrazioni delle forniture dirette nelle mani di poche aziende di
grandi dimensioni. Secondo dati di Automotive News Data Center, dei
cento fornitori globali solo sette (Delphi, Bosch, Visteon, Denso, Lear,
14
M. CAPUTO, F. ZIRPOLI, "A new organisation for supplier involvement in vehicle
design: the Italian automotive industry case", International Journal of Automotive
Technology and Management, Vol 1, No 2, 2001.
15
M. RICHIARDI, G. VITALI, “Organizzazione e struttura produttiva delle imprese della
componentistica per auto”, in S.Rolfo e G.Vitali (a cura di), Dinamiche competitive e
innovazione nel settore della componentistica auto, Franco Angeli, Milano, 2001, pp.
27.
16
F. VELOSO, The automotive supply chain organization: Global Trends and
Perspectives, Cambridge MA: Massachusetts Institute of Technology, 2000, pp. 13.
13
Johnson Controls, Magna International) avevano realizzato nel 2001 un
fatturato superiore a dieci miliardi di dollari.
Bisogna comunque considerare che spesso la scelta strategica di non
operare come fornitore di primo livello, può essere dettata, non
dall’incapacità di sostenere gli investimenti necessari, ma dal fatto che
un’impresa che possiede un’elevata specializzazione nella realizzazione
di un determinato componente, può realizzare profitti uguali o superiori
ad imprese che forniscono interi sistemi, anche se le prime operano al
secondo o terzo livello della fornitura
17
.
17
F. VELOSO, The automotive supply chain organization: Global Trends and
Perspectives, Cambridge MA: Massachusetts Institute of Technology, 2001, pp. 17.
14
1.3 STRUTTURA DEL MERCATO
Da come si è potuto intuire dai paragrafi precedenti, la struttura del
mercato dell’auto ha subito profondi cambiamenti, iniziati verso la fine
degli anni ottanta sino ad arrivare ai giorni nostri. Si è vista
innanzitutto una progressiva riduzione del numero dei concorrenti a
seguito dei motivi spiegati sopra, inoltre i mutamenti non attengono
solo alla quantità dei competitors ma si sono verificati dei cambiamenti
soprattutto sotto l’aspetto qualitativo degli stessi. Non si vuole fare
riferimento alla qualità intesa nel senso del prodotto distribuito, ma al
tipo di strategia che la casa ha adottato per competere sul mercato.
Infatti, attualmente il mercato si caratterizza per una riduzione del
numero dei marchi di volume, come ad esempio il marchio Fiat e Ford,
mentre guadagnano quote di mercato da un lato marchi con elevato
Value-for-money, che sono in larga parte rappresentati dai produttori
Coreani come Hyundai e SSangyong, dall’altra i marchi Premium quali
BMW, Mercedes, Audi (vedi figura 3).
Un caso a parte è rappresentato dalla Toyota che lentamente ha
conquistato quote di mercato a danno dei concorrenti sino a superare il
gigante GM, oramai in piena crisi.
In tale contesto i produttori cercano di differenziarsi dai concorrenti sia
attraverso una continua innovazione dei prodotti, sia attraverso una
gestione strategica dei marchi. Volkswagen ad esempio, ha
riposizionato la propria offerta attraverso la gestione coordinata dei
marchi Volkswagen, Seat, Skoda, Audi, Lamborghini, Bugatti e Bentley.
Mentre Toyota ha diversificato la sua offerta tra i marchi Toyota e
Lexus, quest’ultimo copre i segmenti premium ed ha eroso quote di
mercato importanti a marchi ben più blasonati come Merceds e Bmw,
specie negli Stati Uniti.