«La gente diceva che Jimmy era come Brando.
Non è affatto vero, non gli assomigliava per niente.
Era meno duttile di lui.
Era soltanto una persona profondamente vulnerabile;
e tutto quello che avrebbero voluto fare ragazze,
ragazzi e tutti quelli che lo conoscevano…
era abbracciarlo stretto e proteggerlo».
«Dean non voleva essere infastidito da dettagli come la
tecnica».
Elia Kazan
A mia figlia Irene.
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Introduzione
James Dean: uno spartiacque nello stile della recitazione e nel divismo hollywoodiano.
Senza timore di esagerare, si ritiene di poter affermare che l’impatto delle tecniche recitative messe
in campo da James Dean sia da considerarsi unico ed a suo modo rivoluzionario.
Insieme all’unicità che egli rappresentò in qualità di mito e divo, senza precedenti né eguali.
Ci occuperemo quanto più minuziosamente possibile di analizzare lo stile della sua recitazione ed il
suo animo tormentato, tribolato, frastagliato ed apparentemente ostile ma in verità fragile e
sofferente. Uno spirito a prima vista ribelle tanto quanto gentile e romantico, a ben guardare.
A nostro parere è stata proprio questa miscela a fondare le basi della singolarità artistica di James
Dean. Segnata da un’infanzia dolorosissima che, paradossalmente, ne è stata l’ingrediente
principale. Abbiamo intenzione di avvalorare questa tesi unendo indizi, fatti, storie, frammenti dei
suoi film e soprattutto testimonianze di amici e colleghi, come i tasselli di un mosaico che ci
portano a considerare James Dean tra i più innovativi attori della storia del Cinema.
Che una morte improvvisa, il 30 settembre 1955, ha reso “casualmente” un mito.
Tanti erano i divi di Hollywood nei classici anni ‘50. Ma James Dean è l’unico ad aver fatto
quest’incredibile volo pindarico: la metamorfosi di un timido ragazzo di campagna che si trasforma
in una star. Il tutto tramite sole tre pellicole con il ruolo da protagonista e nell’arco di circa un anno.
E forse non è un caso che proprio con lui volgeva al termine il periodo della “classicità” nel cinema
americano. Le nostre ipotesi ci vengono confermate anche da dichiarazioni ufficiali o interviste di
amici e colleghi che lo hanno conosciuto bene ed hanno lavorato con lui. James Dean è divenuto
dunque “involontariamente” un mito, nonostante fosse poco più di un teenager pieno di ansie, paure
ed insicurezze. Come ne abbiamo avute tutti, da giovanissimi, nessuno escluso.
Nel capitolo I verrà delineato il quadro di questo giovane ragazzo di umili origini contadine -orfano
di madre a soli nove anni ed abbandonato dal padre- che “spariglia” le carte in merito alla teoria ed
alla gestione del classico divo hollywoodiano, diventando suo malgrado un caso unico ed una
inconsapevole star senza precedenti. Ad Hollywood è infatti costretto a scontrarsi con un ambiente
nel quale il profitto era -ed è- il solo scopo principale.
Nel capitolo II analizzeremo l’atmosfera dell’arte della recitazione dall’inizio e fino alla metà del
secolo scorso, ovvero dalle tesi di Stanislavskij fino all’Actors Studio di Strasberg, per concludere
con l’avvento del ciclone James Dean, appunto.
Concluderemo il viaggio insieme al mito involontario nel capitolo III descrivendo (con una analisi
dettagliata di alcune delle più belle scene da lui interpretate) come mai James Dean sia da ritenersi
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ancora oggi probabilmente il più convincente e vero dei giovani attori mai esistiti, il mito, la grande
star, una spanna sopra a tutti, incluso Marlon Brando, considerato il più grande a metà anni ‘50.
Ovvio che le sue preziose doti umane e recitative fondate su estro, sensibilità e naturalezza non
potevano collimare alla perfezione con lo standard del tipico divo cinematografico imposto sino ad
allora dalle major americane. Sia chiaro: James Dean il successo lo aveva desiderato e rincorso.
Non c’è dubbio.
Ma fu anche un bisogno primario fondamentale al fine di poter esprimere la sua arte e trovare una
via di sfogo legale, sana e professionale ai tumulti interiori che egli viveva (e contro i quali
combatteva) sin da quando era bambino.
Durante tutto il percorso verrà “disturbata” anche la psicanalisi in generale: va tenuto presente ad
esempio che Freud (S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, Roma, Newton Compton, 2018) ha
esposto in maniera acuta e dettagliata come ogni processo psichico inconscio influenzi in modo
determinante il comportamento umano nonché le interazioni tra gli individui.
È indiscutibile, ribadiamo, come il tragico evento della perdita della madre da parte di James Dean
e l’essere abbandonato da suo padre, siano stati i due eventi traumatici che hanno innescato nel
bambino la scintilla di un duplice shock emotivo, lutto ed abbandono.
Quanto irreversibilmente venne ferito l’animo di James Dean?
Freud descrive due reazioni patologiche possibili a tragici eventi quali soltanto la scomparsa di una
madre può essere: si tenta in ogni modo di negare la perdita nel tentativo ostinato di aggirare
l’enorme dolore oppure ci si trincera in uno sfogo depressivo. In quest’ultimo caso “l’assenza è
sempre più presente” o meglio indimenticabile: non si può e/o non si vuole pensare ad altro.
L’adorata persona viene idealizzata e non vi è più modo di fuggire lontano da quel dolore.
Spesso si perde di vista il senso della vita, buttandola via, in molti casi. Qualcuno non riesce a
vivere più, qualcuno sfoga quotidianamente tale rabbia, vivendo senza freni.
E James Dean? È altamente probabile che vi sia uno strettissimo legame tra la sua dolorosa
fanciullezza e la reincarnazione di Jimmy
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nelle sue tre interpretazioni cinematografiche.
L’anima ed il corpo di James Dean si sono “trasfigurati” in tre personaggi vissuti impeccabilmente.
E che rappresentano ancora oggi preziosi insegnamenti, ispirazioni e linee guida per tutti gli attori
del cinema drammatico moderno. Da oltre sessant’anni milioni di ragazzi e ragazze amano oppure
imitano James Dean. La sua sensibilità, l’aria malinconica o imbronciata e la profonda umanità
hanno dato alla luce assoluta novità: dall’avvento di James Dean, niente è stato più come prima
all’interno dello Star System di Hollywood nonché nell’arte della recitazione.
James Dean: uno “spartiacque”, a suo modo.
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Jimmy è il diminutivo con cui veniva chiamato James Dean da amici intimi e familiari stretti.
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Capitolo I
L’AURA ED IL DESTINO DI JAMES DEAN. ERA GIÀ TUTTO SCRITTO.
1.1 Le star del cinema, le leggi di Hollywood ed il divismo negli anni ‘50
Quale star del cinema, dai suoi albori fino a metà degli anni ’50, avrebbe mai desiderato essere
fotografato con degli occhialini da sbarbatello miope, la tuta da operaio oppure indossando dei
sudici scarponi da bovaro…standosene impantanato nel fango tra i maiali (o tra le mucche) in una
umile fattoria dell’Indiana? Quale divo aveva mai avuto prima, come desiderio principale, quello di
esprimere completamente la sua vera anima? Questo era James (Byron) Dean.
Chiediamoci subito: fu anche lui “solo” il frutto di una geniale costruzione a tavolino, architettata
dagli Studios? Cominciamo da qui, ovvero dal fatto che esclusivamente tramite degli interrogativi
(e dunque una notevole quantità di dubbi) ci si può avvicinare alla personalità ed alla storia a dir
poco contorta e sfaccettata del giovane artista. È necessario precisare che ad Hollywood, il fine
principale da raggiungere era, come per ogni industria, quello di avere un bilancio in attivo.
Lo Studio System era una catena di montaggio. Si trattava meramente di una vera e propria industria
che produceva pellicole cinematografiche e non macchinari agricoli, così, solo per fare un esempio.
Già dagli anni ’30 era quindi una grande azienda che doveva fatturare, incassare ed andare in attivo.
Quel che sembrava romantico, appunto, lo “sembrava” e basta.
La quasi bancarotta attraversata da Hollywood verso la fine degli anni ‘60 annoverava tra le sue
concause -difatti- tutta una serie di «imprevisti e costosissimi insuccessi commerciali, come Mutiny
on the Bounty (Gli ammutinati del Bounty, di Lewis Milestone, 1962) con l’ingovernabile Marlon
Brando»
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. A tal proposito, ad esempio, l’IMDb
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segnala come Marlon Brando in persona «scrisse
una lunga lettera a Trevor Howard
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scusandosi per il suo comportamento durante le riprese».
Tradotto: noi “capi” degli Studios abbiamo lavorato sodo al fine di “confezionare” per Brando
l’immagine gloriosa di cui egli gode. Ed ora? Sborsiamo cifre da capogiro per un mega kolossal
senza precedenti e Brando si mette a fare “la diva” matta e capricciosa?
Dunque, se il divo non ci fa più andare in attivo -per noi- egli non è più automaticamente quel mito
vivente che abbiamo accuratamente “costruito”.
In verità, ci interessano davvero molto ma molto poco…le sue capacità artistiche ed interpretative!
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C. Jandelli, Breve storia del divismo cinematografico, Marsilio, Padova, 2007, pag. 139.
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Internet Movie Database
©
(owned by Amazon.com, https://www.imdb.com/title/tt0056264/trivia?item=tr0664078).
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Trevor Wallace Howard al secolo Trevor Howard, l’attore co-protagonista del film.