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Stanley Donen e Gene Kelly che hanno sapientemente realizzato dei musical entrati a
pieno diritto nella storia del cinema, come Singin’ in the Rain (1952, Donen e Kelly) e
An American in Paris (1951, Minnelli).
Demy, in effetti, ha il merito di avere reinventato il musical, che fina a quel momento
era quasi esclusivamente appannaggio del cinema americano; un genere sì ripercorso
nei suoi cliché più tipici, ma soprattutto piegato alle proprie esigenze espressive. Il
musical di Demy trova le sue origini nel melodramma, nella fiaba, nella canzone
popolare e si sviluppa sui ritmi jazz del compositore Michel Legrand – suo partner
fondamentale in molti film – oppure sulla lirica moderna di un altro compositore,
Michel Colombier. Se la musica ha un ruolo fondamentale, a essa si aggiunge anche
un lavoro meticoloso nello stendere le sceneggiature e la scelta scrupolosa dei luoghi e
delle scenografie, particolarissime, dei suoi film. Demy è essenzialmente un poeta, un
artista sensibile e acuto che porta nel suo cinema la contraddizione che lo segnerà
sempre: quella di essere un regista che persegue il rigore e la purezza e che viene
frainteso sistematicamente a causa di un’ apparente superficialità e dei toni solo a
prima vista kitsch della sua opera.
Questo lavoro intende mettere in luce le caratteristiche salienti del cinema di Demy e,
in particolar modo, di alcune sue opere viste come rivisitazione del musical; queste
opere ne hanno fatto un regista del tutto fuori dagli schemi nello scenario del cinema
francese, un autore mai riconducibile a un movimento, unico e originale.
Il primo capitolo ripercorre l’infanzia del regista, individuata come momento chiave
per lo sviluppo di alcune tematiche del suo cinema, e in seguito offre una panoramica
delle sue opere cerando di delineare il profilo della sua poetica.
Il secondo capitolo propone un’analisi approfondita del film Les demoiselles de
Rochefort (1966), autentico capolavoro del regista, che rappresenta un chiaro omaggio
al musical americano e si avvale persino della partecipazione straordinaria di un’icona
del genere: Gene Kelly.
Il terzo capitolo presenta un’analisi comparata dei due lavori più originali di Demy,
Les parapluies de Cherbourg (1963) e Une chambre en ville (1982), film che
simbolicamente aprono e chiudono il periodo di notorietà del regista. Il primo infatti
3
vinse la Palma d’oro a Cannes, mentre l’ultimo passò quasi inosservato
nell’indifferenza generale. La caratteristica di questi due film è quella di essere delle
“opere in musica”, totalmente cantate dall’inizio alla fine: una rivisitazione in chiave
moderna e cinematografica dell’opera classica. L’analisi mette in luce similitudini e
differenze di queste due lavori, allo stesso tempo così lontani e così vicini.
Il quarto capitolo è dedicato a un film inedito in Italia, Peau d’Ane (1970), anche se
non si può certo dire che gli altri film del regista siano particolarmente noti nel nostro
paese. Questa pellicola vuole riproporre sullo schermo una favola in musica e in carne
ed ossa, oltretutto ispirata al film di Cocteau La Belle et la Bête (1946), come del resto
aveva già fatto Walt Disney con Snow White and the Seven Dwarfs (1937). La favola,
oltretutto, offre lo spunto per ripercorrere ancora una volta i temi e le ossessioni che
interessano il cinema di Demy.
Il capitolo conclusivo, infine, traccia alcuni punti rilevanti che caratterizzano la figura
del regista: come si colloca la sua esperienza all’interno del movimento della Nouvelle
Vague, l’apporto del suo cinema inquadrato nel panorama del musical francese e la
capacità di scegliere gli attori come figure referenziali di un cinema familiare.
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Capitolo 1
JACQUES DEMY: UN PROFILO
«Je pense que le cinéma est un art proche de la musique. […] Il y a une grande
complexité de rapport entre l’image, le rythme, la musique. Je suis un peintre, mais
surtout un musicien refoulé, si je ne suis pas un cinéaste refoulé».
1
Con queste parole Jacques Demy attribuisce una grande importanza alla continua
ricerca dell’equilibrio tra musica e immagine, esprimendo chiaramente la sua visione
del mezzo cinematografico come un’arte che si manifesta attraverso una complessità
di linguaggi legati tra loro su diversi livelli. La sua è una figura di artista poliedrico,
capace di maneggiare allo stesso tempo pittoricità e musicalità, perché quest’ultima
non si esprime solamente nella sua accezione “uditiva”, ma anche nell’immagine, con
il montaggio, i movimenti di macchina, creando un delicato equilibrio tra forma visiva
e suono che restituisce una perfetta “partitura musicale cinematografica”.
2
La fatidica “colonna sonora” dev’essere parte integrante del film, non deve essere un
semplice accompagnamento, né solamente creare un’atmosfera al momento opportuno.
Per Demy fare cinema è come fare della musica, è come dipingere un quadro. Il
cinema come opera d’arte totale, capace di unire tutte le arti e restituire un’idea di
mondo, una visione tutta personale del proprio sentire.
Questa concezione, che inscrive Demy perfettamente nella cerchia degli altri giovani
autori della Nouvelle Vague, è anche la chiave con la quale approdare alla
comprensione dell’opera di questo regista.
1
“Penso che il cinema sia un’arte simile alla musica […] C’è una grande complessità di rapporti tra l’immagine,
il ritmo, la musica. Io sono un pittore, ma soprattutto un musicista mancato, se non addirittura un cineasta
mancato.” Dichiarazione di Jacques Demy in ALAIN LACOMBE (a cura di), Cineastes et musiciens. Table
ronde avec Michel Colombier, George Delerue et Jacques Demy, in “Ecran”, n. 39, settembre 1975, p. 11.
Tutte le traduzioni, eccetto quelle segnalate, sono mie.
2
Per un approfondimento del rapporto tra musica e immagine nel cinema cfr.: MICHEL CHION, Le son au
cinéma, Cahiers du cinéma - Ed. de l’Etoile, Paris, 1985; GEORGES HACQUARD, La musique et le cinéma,
Presses Universitaires de France, Paris 1959; CRISTINA CANO / GIORGIO CREMONINI, Cinema e musica:
il racconto per sovrapposizioni, Thema Editore, Bologna 1990; ERMANNO COMUZIO, Prima la musica, poi
le parole, in FRANCO LA POLLA e FRANCO MONTELEONE (a cura di), Il cinema che ha fatto sognare il
mondo: la commedia brillante e il musical, Bulzoni Editore, Roma 2002, pp.285-314.
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L’universo creato da Demy appare come un mondo irreale, favolistico, dove le persone
cantano e ballano per le strade, le città e gli interni degli appartamenti sono resi
innaturali da colori sfavillanti, le situazioni sono incantate e le storie sembrano
paradossali.
Ma sotto l’apparenza della superficie, si agitano storie complesse, realtà amare, e ferite
mai rimarginate: storie raccontate con sapiente leggerezza e soavità magistrale.
Secondo Agnès Varda, sua moglie, e Camille Taboulay, autrice di un libro dedicato al
cinema del regista
3
, le origini di queste storie sono da ricercare nell’infanzia di Demy.
La prima con il suo Jacquot de Nantes (1990), film omaggio e dichiarazione d’amore
al marito ormai prossimo alla morte, cerca di ricostruire, attraverso gli aneddoti
raccontati da Jacques, la nascita della sua vocazione e della sua mitologia personale.
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De plus en plus, surtout tôt le matin, il me parlait de son enfance. […] Son enfance était
tellement présente pour nous deux que j’ai eu l’idée de la filmer. Pour lui faire plaisir mais
aussi pour filmer une vocation. Moi qui suis arrivée au cinéma par une école bien
buissonnière, je suis épatée depuis longtemps par ce Jacquot entièrement voué au cinéma dès
l’âge de treize ans.
5
Il film della Varda racconta l’infanzia e la giovinezza di Demy dagli 8 ai 19 anni,
cercando di ricreare atmosfere, sensazioni, emozioni del suo vissuto che possono aver
influenzato i suoi film: molti momenti ritraggono il piccolo Jacques felice mentre va al
cinema o assiste a uno spettacolo di marionette; altri ancora lo mostrano, adolescente,
quando attende impaziente l’apertura del cineforum o esce entusiasta dal cinema dopo
aver visto Les dames du Bois de Boulogne (Bresson, 1945) o Les enfants du Paradis
(Carné, 1945); altri ancora sono squarci di quotidianità a casa, nell’officina del padre,
con gli amici, a scuola; mentre altri ancora mostrano il piccolo Jacques di fronte agli
orrori della guerra, quando gli americani bombardano la città di Nantes.
3
CAMILLE TABOULAY, Le cinéma enchanté de Jacques Demy, op. cit., pp. 9-27.
4
Agnès Varda è autrice di altri due film dedicati al marito regista: L’univers de Jacques Demy (1995), che
ricostruisce l’opera del regista attraverso brani dei suoi film e testimonianze dei suoi collaboratori, e Les
demoiselles ont eu 25 ans (1992), girato in occasione della festa nelle città di Rochefort per i venticinque anni
dall’uscita del film di Demy Les Demoiselles de Rochefort (1966).
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“Mi parlava sempre della sua infanzia, soprattutto al mattino presto. […] La sua infanzia era talmente presente
per noi che ho avuto l’idea di filmarla. Per far piacere a lui, ma anche per filmare una vocazione. Io che sono
arrivata al cinema attraverso un percorso assai poco costante, sono da tempo stupita e affascinata da questo
Jacquot completamente votato al cinema da quando aveva tredici anni.” AGNES VARDA, Vers le visage de
Jacques, in “Cahiers du cinéma”, n. 438, dicembre 1990, p. 31.
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Anche nel suo libro Camille Taboulay parla dell’infanzia del regista come momento
chiave per la creazione del suo universo poetico: dai suoi ricordi Demy avrebbe preso
spunto per costruire le storie dei suoi film.
1.1 Nascita di una vocazione
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Demy nasce a Pontchâteau (Loire-Atlantique) il 5 giugno del 1931, suo padre,
Raymond, possiede una piccola officina, mentre sua madre, Marie-Louise, fa la
parrucchiera.
Jacques è il primogenito di tre fratelli e insieme a tutta la famiglia vive a Nantes. Fin
da piccolo è abituato a andare al cinema o al Thèatre Guignol almeno due volte a
settimana, accompagnato dai genitori o spesso solo dalla madre, e proprio in questi
luoghi il piccolo Jacques viene “iniziato” alla magia dello spettacolo. Il teatro lo
affascina tanto da spingerlo a realizzare da solo alcune marionette e a allestire piccoli
spettacoli.
Col passare del tempo i burattini lasciano sempre più spazio al cinema: Jacquot, come
viene appellato affettuosamente in famiglia, riesce a entrare in possesso di un piccolo
proiettore che gli permette di proiettare a casa un film di Charlot. Egli ha a
disposizione una piccola meraviglia, ma le scarse risorse economiche della famiglia
non gli permettono di poter acquistare altre pellicole da proiettare. Così un giorno
Jacques ha un’idea
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: immerge la pellicola nell’acqua calda, gratta via lo strato
superficiale ricavandone una pellicola neutra sulla quale disegna dei piccoli
fotogrammi creando un cortometraggio animato. E’ l’inizio: dopo questa esperienza
Jacquot non smetterà più di pensare al cinema.
Il pericolo della seconda guerra mondiale spinge i genitori a mandare i figli dai nonni
che abitano nella Valle della Loira, una zona più sicura. Qui Jacques entra in contatto
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Per la ricostruzione dell’ infanzia di Demy ho preso in considerazione le seguenti fonti: CAMILLE
TABOULAY, Le cinéma enchanté de Jacques Demy, op. cit., pp. 9-27 e 182-183. JEAN-PIERRE BERTHOMÉ,
Jacques Demy et les racines du rêve, l’Atalante, Nantes 1982, pp.27-47. Inoltre ho fatto riferimento al film di
Agnès Varda, Jacquot de Nantes (1990), che è interamente basto su memorie e ricordi effettivi del regista,
presente anche durante le riprese.
7
Aneddoto raccontato da Agnès Varda in Jacquot de Nantes.
7
con la vita semplice di questa gente: il nonno fa lo zoccolaio e gli insegna a fare degli
zoccoli di legno. Certamente questa esperienza lo colpì molto, tanto che nel ’55 girerà
il suo primo cortometraggio Le Sabotier du Val de Loire, dedicato proprio ai nonni
paterni.
Jacques ritorna a Nantes, ma le ostilità non sono finite: il 16 settembre 1943 gli
americani bombardano la città. Quest’evento lo segna molto, tanto che dopo questo
trauma egli odiò la violenza in ogni sua forma e cercò di non farsi mai coinvolgere in
situazioni violente.
Finita la guerra ancora una volta il cinema si offre come luogo dove poter dimenticare
gli orrori del conflitto: esce Le dames du Bois de Boulogne e Jacques rimane folgorato
dalla bellezza di questo film di Bresson che parla d’amore, vendetta e senso di colpa.
Inoltre arrivano anche i film americani, assenti da un po’ a causa della guerra, e
Jacques è travolto dal mondo dei musical, che influenzerà felicemente la sua futura
carriera artistica.
Passeggiando con un amico lungo le Passage Pommeraye, una galleria di negozi di
Nantes «Labyrinthe d’acier, stucs et verrières, avec ses escaliers ophulsiens, sa
lumière filtrées variant du glauque au diaphane selon le temps et l’heure du jour, ses
magasins attirants ou intrigants.»
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che sarà più volte set cinematografico dei suoi
film, Jacques vede nel negozio del vecchio rigattiere una Pathé-Baby 9.5mm. a
manovella e per averla baratta il suo meccano e dei libri della Bibliotheque verte.
Con questo nuovo prodigio in mano si appresta a girare un cortometraggio, L’aventure
de Solange, con protagonisti amici e compagni di scuola: il film racconta la storia di
una bambina che viene rapita dagli zingari ed è costretta a esibirsi come ballerina per
le strade, finché un giorno la madre non la riconosce durante uno spettacolo grazie al
medaglione che le vede al collo e la salva. Dopo le riprese però, la pellicola si rivelò
tutta bianca perché sovraesposta.
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“labirinto d’acciaio, stucchi e vetrate, con le sue scalinate ophulsiane, la sua luce filtra cangiante dal glauco al
diafano, secondo il tempo e l’ora del giorno, i suoi negozi attraenti o intriganti.” CAMILLE TABOULAY, Le
cinéma enchanté de Jacques Demy, op. cit., p. 11. Traduzione in FLAVIO VERGERIO, Origini di storie, destini
incrociati, traversata dello specchio, in FLAVIO VERGERIO e ANGELO SIGNORELLI (a cura di), Jacques
Demy e un po’ di Varda, Ed. Bergamo Film Meeting, Bergamo 2001, p. 14.
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A sedici anni, nonostante il padre lo indirizzi a seguire le sue orme, perché possa
imparare un lavoro solido all’istituto tecnico di Launey e diventare un meccanico,
Jacques continua a coltivare il suo amore per l’arte: frequenta un corso serale di belle
arti dove incontra Bernard Evein e Jacqueline Moreau
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, suoi futuri preziosi
collaboratori. Nel frattempo nasce l’idea di un nuovo progetto da cineasta, questa volta
un film d’animazione: Attaque nocturne (1947-48). Jacques mette anima e corpo in
questo nuovo lavoro, dedicandovi molti mesi e tanta pazienza: costruisce una piazza
completa di case con tetti, scale e selciato e dei personaggi di cartone che manovra lui
stesso. Di fronte a questo set piazza la sua nuova macchina da presa, regalo della
madre (molto più precisa della precedente Pathé-Baby), con cui realizza un film
animato con la tecnica stop motion
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.
Quando il lavoro è finito, lo mostra orgoglioso ai genitori, ma il padre non è molto
contento di questa inclinazione artistica del figlio, preferirebbe vederlo lavorare in
officina accanto a lui.
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Terminato anche l’istituto tecnico, ormai diciottenne, Jacques si trova di fronte a un
bivio: accontentare il padre o seguire il suo destino e andare a Parigi per provare a
diventare un cineasta. Nel 1948 Demy parte per la capitale.
1.2 A Parigi: il primo Demy
Nel 1949 entra all’Ecole Technique de la Photographie et du Cinéma di Parigi, dove
apprenderà tutte le tecniche necessarie per diventare regista.
Nel ’51 realizza un cortometraggio Les horizons morts, film-saggio di fine corso.
Questo lavoro, molto personale, è stato concepito in un periodo nero causato dalla
morte accidentale del suo fratellino più piccolo: mostra lo stesso Jacques (regista e
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Bernard Evein diventerà uno dei miglior scenografi teatrali e cinematografici del suo tempo, mentre Jacqueline
Moreau diventerà una delle principali creatrici di costumi del cinema francese.
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Nella tecnica stop motion si procede a passo uno (frame by frame), animando gli oggetti (pupazzi, sculture di
plastilina o altro) già dotati di una propria tridimensionalità e consistenza. Per ogni secondo il personaggio viene
mosso leggermente per 24 volte in uno scenario proporzionato. La proiezione in sequenza (24 fotogrammi al
secondo) darà l'illusione di movimento.
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Altro aneddoto raccontato da Agnès Varda in Jacquot de Nantes.