5
che si sono definiti ripperologi (da ripper, “squartatore”) che discettano, ormai da
più di un secolo, attorno alla sua controversa identità.
Certamente il fitto mistero sul suo nome ha rappresentato uno dei motivi
scatenanti per i quali la figura di Jack lo Squartatore abbia potuto radicarsi così
stabilmente nell’immaginario sociale.
Eppure, a ben osservare le cronache della fine del XIX secolo, le sue imprese
hanno avuto una durata assai limitata nel tempo (tra la fine di agosto e i primi
di novembre del 1888) e hanno interessato non più di cinque prostitute.
Cinque vittime, cinque prostitute del malfamato quartiere di Whitechapel della
Londra vittoriana. Ammettendo come plausibile un confronto di ordine
quantitativo, si potrebbe osservare che le imprese di Jack lo Squartatore
impallidiscono di fronte alla vastità degli omicidi di massa, o alla sconfinatezza
delle stragi perpetrate da selvaggi maniaci, di cui sono intrise le cronache di
questo secolo.
Eppure niente di tutto questo ha scalfito le idee di terrore che Jack lo
Squartatore suscita nel nostro immaginario, né ha minimamente messo in
discussione il suo diritto di ergersi a imperituro simbolo del Male.
Immaginiamo di chiedere agli studiosi di criminologia, di sociologia o di
letteratura nera o poliziesca perché Jack lo Squartatore evochi tanto orrore.
Le risposte sarebbero sempre le stesse.
Perché è stato il primo vero “serial killer” moderno, perché le sue imprese
hanno goduto dell’immensa (per allora) cassa di risonanza fornita dalla stampa
quotidiana inglese; perché, da accorto gestore della sua immagine, dotato di una
rara capacità intuitiva che preconizzò i tempi delle comunicazioni di massa, ha
costruito il suo mito attraverso l’uso sapiente di messaggi inviati alla stampa e
alla polizia, imponendo così un soprannome destinato a diventare famoso nella
6
fantasia delle masse, che si stavano affacciando ad una più ampia circolazione
delle informazioni, pronte ad entrare nella logica di una cultura condizionata
dai media.
L’idea di un assassino che sfidasse apertamente la polizia, firmandosi “Jack the
Ripper”, era oltremodo teatrale ma vincente. C’erano tutte le condizioni perché
l’oscuro assassino potesse entrare nella storia.
Capitolo 2.1
UN HIC E NUNC STORICAMENTE IRRIPETIBILE
1
Jack lo Squartatore godette dunque degli incredibili effetti di un hic e nunc
oscuro ed inquietante, storicamente irripetibile. A partire dagli ultimi decenni
del XIX secolo il mondo intero fu travolto da impetuoso vortice di caos e
rinnovamento, e ne venne fagocitato.
In questi anni ebbe inizio quella che molti storici chiamarono “seconda
rivoluzione industriale”. Si apre l’era del petrolio e dell’automobile, inizia lo
sfruttamento dell’energia elettrica, la chimica compie ampi progressi, i capitali
emigrano verso i paesi più arretrati in cerca di investimenti più vantaggiosi.
L’agricoltura si va meccanizzando, si moltiplicano le società di assicurazione, e
si fondano organismi internazionali atti a facilitare i commerci e le
comunicazioni.
Mentre la popolazione mondiale è in continuo aumento, le tendenze espansive
del capitalismo industriale e il progresso dei mezzi di trasporto favoriscono la
formazione di un unico sistema economico mondiale. Navi, ferrovie, aeroplani,
1
Le nozioni di questo paragrafo sono tratte da: Augusto Camera-Renato Fabietti, Elementi di storia. I primi
quarant’anni del ventesimo secolo, Bologna, Ed. Zanichelli, 1998
7
telegrafo, telefono e radio contribuiscono all’instaurazione di rapporti di
reciproca dipendenza anche tra regioni separate da grandi distanze, e a
conferire all’intero pianeta l’aspetto di un “villaggio globale”.
Produzione e commerci internazionali crescono a ritmo
vertiginoso ma il sistema mondiale è minato dai contrasti tra i paesi capitalistici,
e da quelli che sorgono tra la metropoli del
mondo industrializzato e i continenti ridotti alla condizione di colonia.
L’Europa è incalzata dalla concorrenza degli Stati Uniti, avviati a loro volta ad
occupare posizioni di primissimo piano tra le potenze imperialiste, tra le quali
emergerà più tardi anche il Giappone.
Alla profonda trasformazione delle strutture oggettive fa eco un non meno
profondo mutamento dei costumi. La vecchia famiglia patriarcale contadina va
scomparendo ed è sostituita dalla cosiddetta famiglia nucleare. Le donne
tendono ad emanciparsi, e in Gran Bretagna si formano avanguardie di
suffragette che rivendicano il diritto di voto.
La società si secolarizza, cercando di emanciparsi dalla soggezione alle chiese e
adotta regole di vita più libere. Le istituzioni democratiche si diffondono in
gran parte dell’Europa. Masse crescenti di popolo partecipano alla vita politica,
talvolta con attiva consapevolezza, talaltra lasciandosi trascinare da capi
carismatici.
Tramonta il patriottismo del primo ottocento, entrano in crisi gli ideali liberal-
democratici, e sorge un aggressivo nazionalismo, spesso accompagnato da
ideologie razzistiche.
Le minoranze ebraiche stanziate nelle regioni occidentali dell’impero russo,
sottoposte a durissime vessazioni e a ricorrenti massacri, alimentano un
8
cospicuo flusso migratorio diretto principalmente verso gli Stati Uniti, dove la
diaspora conquista presto posizioni di prestigio e potenza.
Capitolo 3.1
L’INDIVIDUO MODERNO
In un istante rovinosamente crolla il castello di solenni verità epistemiche
edificate dall’uomo nel corso dei secoli.
La stessa religione fu investita da questo roboante vortice di caos. Le idee di
Darwin rappresentarono un attacco durissimo contro l’intera ortodossia
cristiana. Il darwinismo negò la verità della Bibbia, gettò profondi dubbi sulla
dimensione metafisica dell’uomo, e asserì una profonda determinazione di gran
parte del comportamento umano da parte di una rigida pre-programmazione
biologica.
La voragine che travolse le secolari certezze dell’uomo trovò eco nell’intero
panorama culturale.
L’attacco più duro al mondo moderno venne da Sigmund Freud. Freud si
inoltrò nel proteiforme e tenebroso mondo dell’inconscio e ne indagò i
rapporti con la nostra vita cosciente. Dimostrò che dallo scontro tra le pulsioni
inconsce e le necessità della vita civile possono nascere forme più o meno gravi
di psicopatologia (dal banale lapsus alla vera e propria nevrosi).
L’inconscio prescinde del tutto sia dal principio di realtà (cioè dalla necessità di
tener conto della situazione reale in cui di volta in volta ci troviamo) sia dalla
coerenza logica e spazio-temporale.
9
L’inconscio è dominato dal principio del piacere, e mira a soddisfare ogni
desiderio, immediatamente e a qualsiasi costo.
Ma la vita cosciente obbedisce al principio di realtà e alle norme etiche che la
famiglia, la società e la cultura cui apparteniamo ci impongono. L’urto tra lo
sfrenato desiderio del piacere e l’insieme dei limiti che ci sono imposti dalla
realtà crea Il disagio della civiltà, da lui descritto in un’opera così intitolata.
Nell’opera Freud solleva una problematica ancora oggi attuale.
Egli è consapevole delle esigenze connesse con la convivenza intersoggettiva, e
non condanna la società e la civiltà in quanto tali. Freud denuncia le possibili
implicazioni di una pratica sociale eccessivamente repressiva. In fondo
ripropone la tematica tanto cara a Rousseau dell’antinomia tra bontà
dell’individuo ed esigenze dell’ordine sociale.
Freud ha demifisticato valori e principi morali ritenuti ovvi e universali, e ha
mostrato in quale misura possono turbare l’equilibrio psichico profondo
dell’uomo.
Quello di Freud si rivelò come un allarmante studio delle psicopatologie della
nascente, moderna comunità civile.
L’inconscio scoperto da Freud non fu altro che il vaso di Pandora che sempre
aveva racchiuso le pulsioni aggressive e autodistruttrici dell’animo umano.
L’individuo che faceva il suo ingresso nel XX secolo era un individuo fragile,
instabile, diviso, vittima del nomadismo dell’anima.
10
Capitolo 4.1
LA GRAN BRETAGNA
2
La stessa Gran Bretagna fu travolta dal vortice di caos.
L’apogeo vittoriano vissuto negli anni cinquanta e sessanta del XIX secolo
stava ormai sprofondando nel baratro della memoria.
Il decennio successivo avrebbe segnato l’inizio del declino.
La superiorità industriale della Gran Bretagna cominciò ad essere minata dalla
concorrenza americana e tedesca.
Anche sul teatro estero la guerra franco-prussiana costrinse la Gran Bretagna a
prendere coscienza della propria vulnerabilità nei confronti degli eserciti
europei. La paura di un’invasione dell’Inghilterra da sud stava assumendo i
tratti di un incubo.
Il disagio che regnava in Gran Bretagna appariva tanto più reale quanto più si
diffondevano incessanti rivelazioni sulle aberranti condizioni di povertà e
degenerazione fisica delle popolazioni urbane. A questo disagio dette
eloquentemente voce nel 1902 Rudyard Kipling nel suo poema dal titolo The
Islanders, in cui insinuava che gli inglesi stessero diventando una nazione di
fiacchi spettatori.
La povertà
2
Le nozioni di questo paragrafo sono tratte da: Augusto Camera-Renato Fabietti, Elementi di storia. I primi
quarant’anni del ventesimo secolo, Bologna, Ed. Zanichelli, 1998
11
Già negli anni Cinquanta del XIX secolo la società vittoriana era stata scossa
dagli allarmanti dati sull’estensione della povertà urbana, in particolare a
Londra. All’epoca era diffusa l’aspettativa che la crescita continua dell’industria
manifatturiera avrebbe generato occupazione.
Ma negli anni Ottanta un ottimismo del genere non sembrava più giustificato,
in quanto l’industria non aveva assorbito la forza lavoro.
Tradizionalmente il problema della povertà era affrontato in tre modi: con la
carità, con l’auto-aiuto nella forma di società di mutuo soccorso (Friendly
Societies), e con il sistema delle leggi sui poveri.
Ma verso la fine del secolo tutte e tre queste soluzioni erano sempre più
inadeguate.
Solo fra il due e il tre per cento della popolazione godeva di assistenza nel
corso degli anni Ottanta. Molti di coloro che si trovavano in stato di indigenza
rifiutavano di rivolgersi agli istituti di assistenza a causa delle condizioni
umilianti cui sarebbero stati sottoposti negli ospizi: mariti e mogli che venivano
separati, uniformi da indossare, e soprattutto la paura degli anziani di morire
all’ospizio.
Negli anni Novanta la funzione del sistema delle leggi sui poveri fu fortemente
screditata dagli studi sulla povertà urbana condotti da Charles Booth a Londra.
Egli contestò gli assunti tradizionali circa le cause della povertà, e segnalò come
la povertà fosse determinata da circostanze che andavano al di là del controllo
dell’individuo, come l’età avanzata, l’occasionalità o irregolarità del lavoro, e la
disoccupazione ciclica.
Successe così che la questione della povertà balzò all’attenzione delle classi
medie colte.
12
Tutta una generazione di studiosi (fra i quali il fondatore del Welfare State,
William Beveridge) si dedicò a lavorare con i poveri nell’East End di Londra e
a condurre indagini sulle condizioni di lavoro.
Anche i politici di Londra si allarmarono all’improvviso allorchè temettero che
la stessa povertà urbana potesse creare un fertile humus per la diffusione del
socialismo.
Ma ancora di più, capirono che difficilmente la Gran Bretagna avrebbe potuto
mantenere nel lungo periodo il suo grande impero, le sue forze armate e le sue
industrie interne con quelle condizioni socio-economiche.
Capitolo 5.1
L’EAST END DI LONDRA. FINE XIX SECOLO
3
Già nell’ultimo decennio del XIX secolo Londra era la città più grande del
mondo. La città era letteralmente divisa in due parti. Da un lato nell’elegante
West End le notti dei ricchi erano scandite da raffinati divertimenti. Il famoso
attore Richard Mansfield faceva rabbrividire gli spettatori con la sua brillante
recitazione nei due ruoli del dottor Jekyll e di Mister Hyde al teatro Lyceum. La
commedia Uncles and Aunts aveva appena esordito con un’ottima critica sul
Times, e anche The Paper Chase e The Union Jack andavano a gonfie vele.
Dall’altro lato, invece, nell’East End regnava la povertà.
I ricercatori del periodo tardo vittoriano e dell’epoca edoardiana tracciarono
vividi ritratti della sofferenza e del dolore che si appropriavano degli strati più
bassi della popolazione.
3
Le nozioni di questo paragrafo sono tratte da: Patricia Cornwell, Ritratto di un assassino, Milano, ed. Mondatori, 2002,
pp. 83-95
13
Charles Booth, ad esempio, descrisse in questi termini una delle zone più
malfamate di Londra in quegli anni.
“Le case, circa una quarantina, erano composte da uno scantinato, un piano
terra adibito a soggiorno, un primo, un secondo e un terzo piano, quasi tutti
costituiti da due stanze, e poche delle duecento famiglie che vivevano qui
occupavano più di una stanza che, in rari casi, veniva divisa da una tenda.
Quando non possedevano una tenda, in caso di visita, chiunque fosse coricato
sul letto veniva coperto dalla testa ai piedi, per essere nascosto, ma
probabilmente, non provava alcuna vergogna. Dominavano l’ubriachezza, la
sporcizia e le parolacce, la violenza era all’ordine del giorno e a volte giungeva
fino all’assassinio. Quindici stanze su venti erano sporchissime, e il mobilio di
nessuna di esse sarebbe valso cinquanta scellini, in alcuni casi cinque. Nessuna
stanza era esente da parassiti e in molte di esse la vita di notte era
insopportabile..”.
Non c’era modo di fuggire da quegli stretti alloggi sovraffollati, dove spesso
una famiglia di una mezza dozzina di persone o più rabbrividiva d’inverno e
sudava d’estate in un’unica squallida stanza. Le ragazze erano nate per
sopportare disagi e malnutrizione, cresciute nel rischio di subire violenza da
padri ubriachi o di essere vendute a una casa di tolleranza. E se in qualche
modo le fosse stato risparmiato un simile destino, era solo per entrare nei
ranghi delle misere domestiche che faticavano come schiave, delle cameriere, o
operaie nelle fabbriche.
Quando si recò sotto travestimento nell’East End per constatarne di persona le
condizioni, Jack London riferì storie terribili di povertà e sporcizia. Come
quella di una vecchia trovata morta in una stanza e così infestata di parassiti che
14
il suo vestito era grigio di insetti. Era pelle e ossa, coperta di piaghe, e i capelli
incollati tra loro dal sudiciume erano un nido di vermi.
Carri e furgoni trainati da cavalli si facevano largo in mezzo all’acqua fangosa e
piena di rifiuti, nelle stradine affollate dove le mosche volavano a sciami e la
gente frugava tra le immondizie alla ricerca di un penny.
In questo mare di desolazione una traballante oasi di salvezza era rappresentata
dalla dosshouse, il dormitorio pubblico.
Un tipico dormitorio pubblico era un edificio infernale e cadente dove uomini
e donne pagavano quattro o cinque pence per dormire in camerate comuni, in
cui erano stipati piccoli letti di ferro con coperte grigie. Nelle cucine uomini e
donne si radunavano per cuocere quello che avevano trovato o rubato durante
il giorno. Di tanto in tanto entrava qualche ubriaco con la mano tremolante in
cerca di un avanzo. I bambini mendicavano e se si avvicinavano ai fuochi
venivano picchiati.
In quei dormitori inumani si dovevano seguire regole severe e umilianti, fatte
rispettare dal guardiano. La violazione delle regole era punita con
l’allontanamento del deviante, che finiva sulla strada.
Le condizioni del tempo rendevano ancora più disperata la situazione degli
abitanti dell’East End.
La pioggia più intensa dell’anno cadde durante l’ultima settimana di agosto del
1888. Il sole mediamente non riusciva a penetrare per più di un’ora al giorno
attraverso la fitta nebbia. La temperatura rimaneva più fredda della media
stagionale e nelle abitazioni si bruciava carbone. Il fumo nero che si levava
nell’aria portava al peggior inquinamento che la città avesse conosciuto.
All’epoca non si calcolava di certo il tasso di inquinamento e la parola smog
non era ancora stata coniata. Ma il problema creato dal carbone non era una
15
novità. Fin da quando, nel diciassettesimo secolo, gli inglesi avevano smesso di
bruciare legna per riscaldarsi, si sapeva che il fumo prodotto dal carbone era
nocivo per la salute e per gli edifici, ma questo non aveva certo impedito alla
gente di continuare a servirsene. Già nel XVIII secolo si calcolava che in città
ci fossero 40 000 case con 360 000 camini. Alla fine del XIX secolo il consumo
di carbone era aumentato, soprattutto tra i poveri. Il visitatore in arrivo sentiva
l’odore di Londra molto chilometri prima di vederla apparire.
La pietra calcarea e il ferro battuto delle case venivano consumati dalla pioggia
acida.
La fitta nebbia da inquinamento durava più del solito e diventava
progressivamente più densa, prendendo una sfumatura diversa da quella del
passato.
Corsi d’acqua che scorrevano fin dall’epoca dei romani divennero fogne a cielo
aperto e si dovette interrarli. Un rapporto sulla salute pubblica del 1889 diceva
che, all’attuale velocità con cui aumentava l’inquinamento di Londra, gli
ingegneri sarebbero stati costretti ad interrare il Tamigi, che col salire della
marea avrebbe riportato in città gli escrementi di milioni di persone. In certe
giornate l’aria piena di fumo e puzzolente di zolfo era così infernale, il fetore
era così disgustoso, che i londinesi camminavano con un fazzoletto davanti alla
faccia, gli occhi e i polmoni bruciavano.
L’Esercito della salvezza riferì nel 1890 che su una popolazione che
ammontava approssimativamente a cinque milioni e mezzo di persone le
prostitute erano 30 000, in prigione c’erano 32 000 individui, tre uomini, donne
e adolescenti. L’anno precedente, 160 000 persone erano state condannate per
ubriachezza, 2297 si erano tolte la vita, e 2157 erano state trovate morte sulle
16
strade, nei parchi e nei loro tuguri. Un po’ meno di un quinto della popolazione
era senza casa o viveva nelle case di lavoro, nei manicomi o negli ospedali.
Gran parte di questo mare di miseria era concentrato nell’East End di Londra.
La popolazione dell’East End era valutata in un milione di persone e questa
cifra raddoppiava se si includevano i quartieri vicini dell’East London, che
comprendevano i porti e le fatiscenti aree di Whitechapel, Spitalfields e Bethnal
Green.
Gli abitanti dell’East End lasciavano la loro misera vita a causa di malattie
infettive e non, come tubercolosi, pleurite, enfisema e pneumoconiosi. Uomini,
donne e bambini morivano carbonizzati o ustionati negli incendi che
scoppiavano incidentalmente nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro.
Si moriva di inedia, di colera, di pertosse e di cancro. Le persone indebolite
dalla denutrizione e circondate da parassiti e sporcizia non avevano sistemi
immunitari capaci di vincere le malattie non letali. Raffreddore e influenza
diventavano bronchite e polmonite e portavano alla morte. Nel mondo
dell’East End, i bambini non vivevano a lungo. Il 35% non superava l’età dei
cinque anni.
Il London Hospital si era tramutato in un luogo di paura.
Il muro esterno era avvicinato da una lunga fila di panche scure, sulle quali
attendevano i pazienti prima di essere chiamati per la visita e le cure.
C’era sempre la solita massa di individui. Uomini anziani con vestiti da lavoro,
sporchi e sudati, e un numero assai superiore di donne vestite miseramente.
Alcune di loro tenevano in braccio dei bambini o avevano dei ragazzini per
mano.
A parte l’incessante eco di tossi convulse, non vi era altro suono ad indicare la
presenza di quanti stavano riuniti lì. Gli individui sedevano immobili, le labbra
17
serrate. Persino i bambini erano silenziosi. Gli occhi sbarrati, fissi sulle porte
buie di fronte a loro.
Un solo pensiero occupava l’immaginazione di tutti quei disgraziati. La visita,
l’esplorazione, la misteriosa medicazione, la puntura dell’ago e il terrore del
bisturi del chirurgo.
Andare in ospedale significava spesso peggiorare la propria situazione. Un
ascesso ad un dito del piede che richiedeva l’amputazione poteva portare
all’osteomelite, un’infezione ossea, e alla morte. Un taglio che richiedeva suture
poteva causare un’infezione da stafilococco e la morte.
Per alcuni c’era forse un’ancora più angosciante prospettiva.
Rassegnazione. Poi il breve congedo che esprimeva che non c’era più alcuna
cura né speranza.
Al London Hospital la paura era quasi una presenza palpabile.
La paura del dolore, la paura della morte.
Whitechapel
Il cielo grigio e nuvoloso, le strade coperte di fuliggine, e la fitta nebbia da
inquinamento dipingevano il quartiere di Whitechapel con i colori delle tenebre
dell’inferno.
Sotto la nera cappa di fumo che avvolgeva la città, i lampioni a gas emanavano
fiochi bagliori come anime perdute.
Il buio era impenetrabile.
A Whitechapel avevano dimora i demoni: spalatori ubriachi e barcollanti,
perdigiorno nascosti nei bassifondi, damerini imbellettati a caccia di lucciole.
18
Le strade erano percorse da una massa imponente di creature mostruose. I
selciati percossi da violenti scalpiccii, che si trasformavano in boati rantolanti
uniti a rauchi muggiti.
L’immondezza di questo luogo era inimmaginabile. Case in rovina dove la carta
sostituiva le finestre, ogni anfratto era sovrappopolato, mercati di frutta e
verdura nelle cantine, barbieri e pescivendoli al pianterreno, cadaveri ambulanti
nei solai, famelici individui ammassati nei corridoi, e ragazze già adolescenti che
vagavano nude con addosso solo un mantello rattoppato.
In quelle notti di fine agosto del 1888 il quartiere di Whitechapel era una bolgia
infernale.
Capitolo 6.1
LE MERETRICI
4
Per secoli era stata convinzione comune che le donne si dessero alla
prostituzione perché soffrivano di un difetto di nascita, che le portava a trarre
piacere dall’atto sessuale in se stesso.
L’attività sessuale doveva essere confinata entro l’istituzione del matrimonio ed
era stata prevista da Dio all’unico scopo di riprodurre la specie.
Le donne erano una razza diversa. La contraccezione era una bestemmia
contro Dio e contro la società. La povertà dilagava perché le donne
partorivano con allarmante frequenza. Il sesso poteva essere goduto dalle
donne per il solo motivo che, fisiologicamente, l’orgasmo era necessario per la
secrezione degli umori occorrenti per il concepimento. Provarne l’eccitazione
prima del matrimonio o da sole era una perversione e una grave minaccia per la
4
Le nozioni di questo paragrafo sono tratte da: Patricia Cornwell, Ritratto di un assassino, Milano, ed. Mondatori, 2002,
pp. 25-28