IUS AD BELLUM E IUS IN BELLO NEL CONFLITTO TRA STATI UNITI E LORO ALLEATI CONTRO
L’IRAQ
2
tramite la quale il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite condannò,
all’unanimità, «the Iraqi invasion of Kuwait», chiese «that Iraq withdraw
immediately and unconditionally all its forces» e sollecitò l’Iraq ed il
Kuwait «to begin immediately intensive negotiations for the solution of
their differences», riservandosi di «consider further steps» qualora Baghdad
non avesse rispettato il provvedimento
3
.
La Risoluzione 678 del 29 novembre 1990, adottata con 12 voti a
favore, l’astensione della Cina e il voto contrario di Cuba e Yemen,
autorizzò gli Stati membri che cooperavano con il governo kuwaitiano «to
use all necessary means to uphold and implement resolution 660 (1990) and
all subsequent relevant resolutions and to restore international peace and
security in the area», nel caso in cui l’Iraq fosse rimasto inadempiente
rispetto a queste disposizioni «on or before 15 January 1991»
4
.
Nella notte fra il 15 e il 16 gennaio 1991 iniziò l’operazione «Desert
Storm» come conseguenza della persistente violazione da parte irachena del
disposto delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che condannavano la
sua aggressione nei confronti dell’Emirato del Kuwait. Le operazioni
militari durarono poco meno di un mese e mezzo e si conclusero con la
sconfitta delle forze armate irachene.
Il 3 aprile 1991 fu adottata la Risoluzione 687 in cui si affermò «that
Iraq shall unconditionally accept the destruction, removal, or rendering
harmless, under international supervision, of (a) all chemical and biological
weapons and all stocks of agents and all related subsystems and components
and all research, development, support and manufacturing facilities related
thereto; (b) all ballistic missiles with a range greater than one hundred and
fifty kilometres, and related major parts and repair and production
facilities»
5
. Con questa risoluzione si istituì un sistema di verifica e di
3
S/RES/660 (1990) del 02.08.1990. parr. 1-4.
4
S/RES/678 (1990) del 29.11.1990, par. 2.
5
S/RES/687 (1991) del 03.04.1991, par. 8.
INTRODUZIONE
3
controllo del rispetto del bando, dando vita alla missione UNSCOM (United
Nations Special Commission), e si impose a Baghdad l’accettazione, entro
15 giorni, della risoluzione e la descrizione completa e dettagliata dei suoi
arsenali. Il governo iracheno si adeguò solo tre giorni dopo circa il primo
punto e temporeggiò a lungo sul secondo.
Il primo catalogo degli armamenti iracheni fu inviato da Baghdad al
Segretario Generale delle Nazioni Unite soltanto nel maggio dell’anno
successivo, con una lista completa, però, solo dei programmi missilistici e
per le armi biologiche. Nel giugno del 1992 arrivò un resoconto del
programma chimico. Nel marzo del 1995 il governo iracheno inviò un
secondo rapporto sui suoi programmi biologici e chimici. Si arrivò in tal
modo al settembre del 1997, allorquando fu presentata la quinta versione sul
programma biologico, che seguì la terza versione, risalente al giugno del
1996, sul programma chimico e su quello missilistico. Anche queste
versioni, come le precedenti, furono giudicate incomplete dagli esperti
dell’UNSCOM, nonostante i dirigenti iracheni continuassero a definirli
«finali e completi», come richiesto dalla risoluzione.
In seguito alle cruente repressioni del 1991, gli Stati Uniti, il Regno
Unito e la Francia intervennero nello stesso anno e nel 1992, senza mandato
ad hoc del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per creare due “no-
fly zones”, due zone di non sorvolo, a nord del 36° parallelo e a sud del 32°.
In tali zone fu impedito all’aviazione irachena, principale arma usata da
Saddam per perseguitare curdi e sciiti, di levarsi in volo e il controllo di
queste zone fu affidato alle aviazioni alleate, che nel corso degli anni
bombarderanno anche le installazioni radar irachene, la cui attivazione sarà
considerata una minaccia e un attacco per gli aerei alleati. Dal 2000 la
Francia non partecipò più al controllo aereo. La zona di non sorvolo
meridionale fu ampliata sino al 33° parallelo, appena sotto Baghdad. La
creazione di una zona di non sorvolo nel nord del Paese consentì, di fatto, ai
curdi di realizzare un’entità autonoma.
IUS AD BELLUM E IUS IN BELLO NEL CONFLITTO TRA STATI UNITI E LORO ALLEATI CONTRO
L’IRAQ
4
L’imposizione duratura - dodici anni – delle no-fly zones sarà
formalmente dichiarata dalla Russia e dalla Cina una violazione diretta della
sovranità territoriale dello Stato iracheno da parte anglo-americana. I dubbi
della dottrina internazionalistica riguardarono la base giuridica delle due
zone di non sorvolo. Chi sostenne la legittimità della loro istituzione, tra i
quali lo stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite, rilevò che esse
costituivano un uso della forza autorizzato dal Consiglio di Sicurezza
conseguentemente alla violazione da parte irachena del cessate il fuoco
disposto dalla Risoluzione 687 (1991), che di per sé non autorizzava l’uso
della forza ma che permetteva un richiamo alla Risoluzione 678 (1990) sulla
quale gli Stati alleati fondarono, a suo tempo, l’intervento contro l’Iraq
6
.
Il 17 giugno 1991, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottò
la Risoluzione 699, con la quale al mandato della missione UNSCOM
affiancò quello dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA),
per le operazioni di monitoraggio della distruzione degli arsenali di armi di
distruzione di massa in Iraq
7
.
I rapporti tra UNSCOM ed Iraq furono sempre molto difficili. L’Iraq
cercò di ostacolare costantemente le operazioni degli ispettori, nonostante le
plurime risoluzioni ad hoc di condanna del Consiglio di Sicurezza. L’Iraq,
inoltre, accusò gli ispettori dell’UNSCOM di non essere imparziali.
L’esperienza dell’UNSCOM si caratterizzò, comunque, per la distruzione di
un certo quantitativo di armi proibite dalla parte C della Risoluzione 687.
Con la Risoluzione 1051 del 27 marzo 1996 entrò in vigore un sistema
di controllo delle esportazioni ed importazioni irachene, un provvedimento
reso necessario dalla scoperta in Giordania, nel novembre dell’anno
6
Per una breve analisi della questione della legittimità giuridica delle zone di non sorvolo
nel nord e nel sud dell’Iraq si veda N. RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti
armati, Torino, 2001, pp. 266-267; sull’uso della forza da parte delle forze alleate
successivamente alla fine delle ostilità si veda, più ampiamente, C. GRAY, After the Cease-
Fire: Iraq, the Security Council and the Use of Force, in British Yearbook of International
Law, 1994, pp. 160-169.
7
Si veda D. BYMAN, A farewell to arms inspections, in Foreign Affairs, 2000, p. 122.
INTRODUZIONE
5
precedente, di un grande quantitativo di componenti missilistiche dirette in
Iraq. Precedentemente, con la Risoluzione 986 del 14 aprile 1995, si diede
vita, invece, al programma “Oil for Food”
8
.
La Risoluzione 1060 del giugno 1996 deplorò la proibizione
dell’accesso degli ispettori dell’UNSCOM a otto diversi siti, definiti dal
governo iracheno “siti presidenziali” e, in quanto tali, esclusi dai controlli
dell’UNSCOM, nonostante includessero più di mille costruzioni tra palazzi
e magazzini, e sollecitò Baghdad ad assicurare l’accesso immediato e senza
restrizioni. La crisi sembrò risolversi solo nel febbraio dell’anno successivo
con la visita del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, a
Baghdad e la firma di un memorandum di intesa che offriva ai complessi di
Saddam uno statuto speciale
9
.
Il successo diplomatico del Segretario Generale durò molto poco. La
crisi, infatti, si riaprì con la decisione del Parlamento iracheno del 5 agosto
1998 di sospendere la collaborazione con l’UNSCOM. A ciò seguì la
Risoluzione 1194 del 13 ottobre 1998 che definì «del tutto inaccettabile» la
decisione irachena, che sarà ribadita dal governo baathista il 31 ottobre
10
. Il
Consiglio di Sicurezza reagì con la Risoluzione 1205 del 5 novembre nella
quale si condannò nuovamente l’Iraq, richiamando il memorandum di intesa
di nove mesi prima e la Risoluzione 1154; si qualificarono le sue decisioni
come manifeste violazioni della Risoluzione 687 del 3 aprile 1991 sulle
condizioni per la cessazione delle ostilità, oltre che delle altre risoluzioni
rilevanti; si chiese l’immediata e incondizionata cooperazione con
l’UNSCOM e l’AIEA; si ricordò che il mancato riesame, da parte dello
8
Tramite esso, le Nazioni Unite permisero la produzione di limitati quantitativi di petrolio
da parte dell’Iraq in cambio di cibo, medicinali e beni di prima necessità, in considerazione
della grave emergenza umanitaria che nel frattempo aveva colpito la popolazione irachena.
9
Il testo del memorandum di intesa firmato da Kofi Annan e Tarek Aziz il 23 febbraio 1998
e approvato dal Consiglio di Sicurezza con la Risoluzione 1154 del 2 marzo 1998 può
leggersi in International Legal Materials, 1998, p. 501 ss.
10
U. VILLANI, La nuova crisi del Golfo e l’uso della forza contro l’Iraq, in Rivista di
diritto internazionale, 1998, p. 454.
IUS AD BELLUM E IUS IN BELLO NEL CONFLITTO TRA STATI UNITI E LORO ALLEATI CONTRO
L’IRAQ
6
stesso Consiglio di Sicurezza, della durata delle sanzioni precedentemente
inflitte era dovuto all’inadempimento degli obblighi facenti capo all’Iraq
11
.
Come risposta alle crescenti e frustranti difficoltà che gli ispettori
dell’UNSCOM trovavano nell’esecuzione dei loro compiti in territorio
iracheno, gli Stati Uniti e il Regno Unito bombardarono per tre giorni, nel
dicembre del 1998, il territorio iracheno. L’operazione prese il nome di
“Desert Fox”.
L’espulsione degli ispettori sancì la fine della missione UNSCOM, che
venne sostituita da quella UNMOVIC (United Nations Monitoring,
Verification and Inspection Commission) con la Risoluzione 1284 del 17
dicembre 1999
12
. Tutti gli ispettori dell’UNMOVIC erano funzionari delle
Nazioni Unite: ciò fu deciso per evitare il ripetersi delle accuse di Baghdad
circa le presunte attività di spionaggio dei tecnici in favore degli Stati Uniti.
La crisi, tuttavia, non trovò soluzione. L’UNMOVIC, infatti, assieme ad una
missione dell’AIEA, potè entrare in territorio iracheno soltanto il 27
novembre del 2002, sulla base della Risoluzione 1441 che, nel frattempo, il
Consiglio di Sicurezza aveva adottato all’unanimità l’8 dello stesso mese.
La ratio di quest’ultima risoluzione, che rappresenterà il punto di
partenza del nostro studio, è spiegabile con le parole che il Presidente
statunitense Bush spese nel già menzionato discorso tenuto in occasione
dell’apertura della 57
a
Assemblea Generale delle Nazioni Unite. In
quell’occasione egli sottolineò la gravità del persistente inadempimento
iracheno ai suoi obblighi e quanto tale situazione fosse lesiva del prestigio e
del futuro delle Nazioni Unite, affermando: «We created the United Nations
Security Council, so that, unlike the League of Nations, our deliberations
would be more than talk, our resolutions would be more than wishes. (…)
The conduct of the Iraqi regime is a threat to the authority of the United
Nations, and a threat to peace. Iraq has answered a decade of U.N. demands
11
Ibidem, p. 455.
12
N. RONZITTI, Diritto internazionale, cit. , p. 334.
INTRODUZIONE
7
with a decade of defiance. All the world now faces a test, and the United
Nations a difficult and defining moment. Are Security Council resolutions
to be honored and enforced, or cast aside without consequence? Will the
United Nations serve the purpose of its founding, or will it be irrelevant?»
13
.
Il resto degli avvenimenti costituiscono l’oggetto del presente lavoro.
Qui basterà ricordare che, la sera del 17 marzo, gli Stati Uniti, per
bocca del proprio Presidente Bush, lanciarono un ultimatum a Saddam
Hussein e alla sua famiglia
14
. Poche ore dopo la scadenza di questo
ultimatum, il 20 marzo, il conflitto iniziò ufficialmente.
Il 9 aprile l’ambasciatore iracheno alle Nazioni Unite, Mohammed
Douri, ammise la sconfitta del regime iracheno.
Il 1° maggio 2003 ci fu la dichiarazione di fine delle principali
operazioni militari da parte del Presidente Bush, che aprì, in tal modo, la
laboriosa e non meno complessa fase di post-conflict peace building.
Infine, il 14 dicembre, il governo degli Stati Uniti dichiarò di aver
catturato Saddam Hussein. Il rais, fuggiasco per otto mesi, fu trovato in uno
scantinato di una fattoria, distante solo 15 km dal suo paese natìo, Tikrit.
Sin qui i fatti.
I tredici anni di crisi tra l’Iraq baathista e la Comunità internazionale
hanno sollevato infiniti dibatti di natura politica, economica, morale, se non
anche ideologica. Il recente conflitto ha messo a dura prova non soltanto i
rapporti diplomatici degli Stati membri, permanenti e non, del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite, ma ha anche inciso politicamente negli
assetti dell’Alleanza Atlantica, dell’Unione Europea, dei Parlamenti
nazionali e dell’opinione pubblica.
13
Citato in M. CARNELOS, La lingua come arma: così i Grandi combattono al Palazzo di
Vetro, in LIMES, n° 1/2003, pp. 129-130.
14
Corriere della Sera, 19.03.2003, p. 1. Il testo integrale si trova in Address to the Nation
on Iraq, in Weekly Comp. Pres. Doc., n. 39, pp. 338-339 (17.03.2003). Si veda anche
Letter to Congressional Leaders Reporting on the Commencement of Military Operations
Against Iraq, in Weekly Comp. Pres. Doc. , n. 39, p. 348 (21.03.2003).
IUS AD BELLUM E IUS IN BELLO NEL CONFLITTO TRA STATI UNITI E LORO ALLEATI CONTRO
L’IRAQ
8
Fondamentale risulta il dibattito giuridico sorto intorno alla questione.
Questo scritto si propone di analizzare l’ultimo conflitto tra Stati Uniti e
loro alleati contro l’Iraq alla luce del diritto internazionale.
La prima parte concernerà lo ius ad bellum. Innanzitutto, ci si
soffermerà sulla questione fondamentale della liceità del ricorso alla forza
armata contro il regime iracheno, tentando di chiarire la tesi della legittimità
dell’intervento anglo-americano e l’approccio dottrinario all’intera
questione, tentando un raffronto, inoltre, col conflitto in Kosovo del 1999,
alla luce del c.d. “diritto di intervento umanitario”. Successivamente, sarà
considerata la “non belligeranza” italiana e i limiti posti dall’articolo 11
della Costituzione, tenendo presente la qualificazione di tale “non
belligeranza” da parte del Consiglio Supremo di Difesa, la sua ratio alla
luce del diritto internazionale e il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione
in relazione al concetto di “guerra di aggressione”. La seconda parte
riguarderà il rispetto delle regole relative allo ius in bello. Si tenterà di
individuare il diritto applicabile al conflitto e di definire l’interoperabilità
giuridica tra le forze della coalizione, di valutare la liceità dei mezzi e dei
metodi di guerra ed il rispetto delle regole sulla protezione del patrimonio
artistico, oltre che degli obblighi derivanti dall’occupatio bellica. Il lavoro
terminerà con una riflessione sui crimini di guerra nel conflitto in esame,
definendo i margini di un possibile coinvolgimento della Corte Penale
Internazionale o dei Tribunali ad hoc ONU ed analizzando gli esiti della
giurisdizione interna americana per i crimini di guerra commessi dalle
proprie truppe durante il conflitto.
PARTE PRIMA
Ius ad bellum
CAPITOLO I
LA QUESTIONE DELLA LICEITA’ DEL RICORSO
ALLA FORZA ARMATA CONTRO L’IRAQ
SOMMARIO: 1. La Risoluzione 1441 (2002) del Consiglio di Sicurezza –
2. La tesi della legittimità dell’intervento anglo-americano – 3. La
dottrina a favore della tesi anglo-americana – 4. La dottrina contraria
alla tesi anglo-americana. L’errato richiamo alla “dottrina della guerra
preventiva” – 5. Un possibile confronto: l’intervento della coalizione
NATO in Kosovo del 1999 ed il conflitto in Iraq del 2003 alla luce del
c.d. “diritto di intervento umanitario”.
1. La Risoluzione 1441 (2002) del Consiglio di Sicurezza.
La questione della liceità del ricorso alla forza armata contro l’Iraq è
stata, ed è tuttora, al centro di un acceso dibattito politico-diplomatico, quasi
sempre caratterizzato, nell’analisi dei fatti e delle motivazioni, dalla
dimenticanza dei fondamentali strumenti giuridici
1
.
1
In tal senso si esprimono i pochi internazionalisti italiani che, al momento, hanno
analizzato la questione. Si veda, per tutti, N. RONZITTI, Per il processo al regime
iracheno la strada dei Tribunali ONU è in salita, in Guida al Diritto, 2003, p. 111 e, più
analiticamente, P. PICONE, La guerra contro l’Iraq e le degenerazioni dell’unilateralismo,
in Rivista di Diritto Internazionale, 2003, p. 330.
LA QUESTIONE DELLA LICEITA’ DEL RICORSO ALLA FORZA ARMATA CONTRO L’IRAQ
11
A rendere più facile il fraintendimento sulle basi, in particolar modo
giuridiche, della scelta a favore dell’intervento armato in Iraq da parte
statunitense e britannica, ci sono stati, principalmente, due fattori. In primis,
la mancanza, nel periodo più conflittuale del dibattito, di una formale
dichiarazione concernente la posizione del governo degli Stati Uniti
d’America in relazione alle basi giuridiche della propria scelta. In altri casi,
si pensi, uno su tutti, all’intervento in Kosovo del 1999, il governo
statunitense si preoccupò di fornire prontamente un documento che
permettesse, insieme alle deliberazioni adottate in sede NATO, di poter
definire la propria tesi in termini giuridici. In secondo luogo, la contestuale
enunciazione di una nuova dottrina strategica, quella del «preemptive use of
force in respect of weapons of mass destruction and terrorism», ha reso più
facile, per gli osservatori meno attenti, affermare che l’inizio delle ostilità
contro l’Iraq, nel marzo 2003, abbia costituito la prima manifestazione
storica di questa dottrina
2
.
In realtà, come è stato giustamente notato, il ricorso alla forza armata
da parte anglo-americana non trova il proprio fondamento giuridico in un
documento politico del tutto interno agli Stati Uniti, ma su ben tre
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
3
.
Al di là dei limiti di questo dibattito, comunque, preme sottolineare il
fatto che l’intera questione e le sue complicazioni giuridiche non sono
completamente nuove. Già dal 1993, infatti, la questione della liceità del
ricorso alla forza da parte anglo-americana contro l’Iraq si manifestò in tutta
la sua complessità
4
. Non sorprende, pertanto, la stretta “parentela” tra le
2
Così L. F. DAMROSCH e B. H. OXMAN, Agora: Future Implications of the Iraq
Conflict. Editors’ Introduction, in American Journal of International Law, 2003, pp. 553-
554. Il testo della “National Security Strategy of the United States of America” del
17.09.2002 è online all’indirizzo http://www.whitehouse.gov/nsc/nss.pdf.
3
Così N. RONZITTI, Per il processo, cit. , p. 111.
4
Il riferimento è ai raids aerei ai quali parteciparono gli Stati Uniti, il Regno Unito e,
inizialmente, la Francia al fine di tutelare le no-fly zones nel nord e nel sud dell’Iraq (N.
RONZITTI, Per il processo, cit. , p. 111). Si veda anche supra, nell’Introduzione.
IUS AD BELLUM E IUS IN BELLO NEL CONFLITTO TRA STATI UNITI E LORO ALLEATI
CONTRO L’IRAQ
12
motivazioni giuridiche di allora e di oggi addotte dai governi di Londra e
Washington a sostegno del loro intervento armato
5
.
Il corso diplomatico, nei lunghi mesi antecedenti all’inizio della Terza
Guerra del Golfo, si caratterizzò per la presenza di due blocchi di Stati le cui
posizioni, in relazione alla questione della liceità di un possibile intervento
armato in Iraq, furono nettamente contrapposte: da un lato, principalmente
gli Stati Uniti ed il Regno Unito; dall’altro, i restanti tre Paesi aventi diritto
di veto in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Francia,
Federazione Russa e Cina). Infine, un terzo blocco fu guidato
rispettivamente dalla Spagna, membro temporaneo del Consiglio di
Sicurezza dal 1° gennaio 2003 e apertamente schierata a favore dell’asse
Londra-Washington, e dalla Germania, entrata nel Consiglio di Sicurezza
insieme alla Spagna e dichiaratamente orientata, invece, a sostenere l’asse
Parigi-Mosca-Pechino
6
. La posizione della Santa Sede, inoltre, nettamente
contraria all’intervento armato, contribuì a rafforzare politicamente la scelta
dei Paesi contrari alle ragioni addotte dalla parte anglo-americana.
La discussione sul ricorso alla forza armata nei confronti dell’Iraq
tornò alla ribalta nell’estate 2002, allorquando il tema dell’inosservanza
irachena delle risoluzioni ONU relative al disarmo nei settori chimico,
batteriologico e nucleare tornò a monopolizzare l’attenzione del governo
americano, in seguito alla fine dell’operazione militare alleata in
Afghanistan, nell’ambito del nuovo scenario internazionale conseguente agli
storici atti terroristici dell’11 settembre 2001
7
.
5
Si veda, ad esempio, la dichiarazione dell’Attorney General britannico, Lord Goldsmith,
in risposta ad un’interpellanza parlamentare (Attorney General Clarifies Legal Basis for
Use of Force Against Iraq, 18.03.2003, par. 7). Il testo è on line all’indirizzo
http://www.fco.gov.uk.
6
Il tutto creò un “gioco” di dichiarazioni comuni, progetti di risoluzioni e memorandum tra
i Paesi citati, a testimonianza del carattere chiaro della contrapposizione tra i vari governi
sul merito della disputa (S. D. MURPHY, Use of Military Force to Disarm Iraq, in
American Journal of International Law, 2003, p. 421 ss.).
7
Così in M. CARNELOS, La lingua come arma, cit. , p. 129.
LA QUESTIONE DELLA LICEITA’ DEL RICORSO ALLA FORZA ARMATA CONTRO L’IRAQ
13
Le forti parole pronunciate dal Presidente Bush il 12 settembre 2002,
in occasione dell’apertura della 57
a
Assemblea Generale delle Nazioni
Unite
8
, indussero Francia, Federazione Russa e Lega Araba, insieme al
Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan, ad esercitare fortissime
pressioni sul regime baathista, che accettò, il 16 settembre, il rientro
incondizionato degli ispettori ONU, assenti dal Paese dalla fine del 1998. In
tal modo, il Consiglio di Sicurezza fu investito nuovamente del problema.
I cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza furono
immediatamente coinvolti in febbrili consultazioni per redigere una nuova
risoluzione che disciplinasse definitivamente la ripresa delle ispezioni in
territorio iracheno. In realtà, il negoziato diplomatico sulla Risoluzione 1441
impegnò quasi esclusivamente i cosiddetti “P5”, ossia Francia, Cina,
Federazione Russa, Stati Uniti e Regno Unito. Al contrario, gli Stati
convenzionalmente definiti “E10” nel gergo delle Nazioni Unite, ossia i
membri non permanenti, che in quel momento erano Norvegia, Irlanda,
Bulgaria, Siria, Guinea, Camerun, Mauritius, Singapore, Messico e
Colombia, giocarono un ruolo sostanzialmente marginale
9
.
La Risoluzione 1441 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite fu
adottata sotto il Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite
10
, all’unanimità
e dopo difficili trattative, l’8 novembre 2002
11
.
8
Si veda supra, nell’Introduzione.
9
Così in M. CARNELOS, La lingua come arma, cit. , p. 130, nota 2. Secondo l’Autore,
diplomatico della Rappresentanza Permanente d’Italia alle Nazioni Unite, l’unico apporto
degli “E10” al testo finale della 1441 consistette « nell’inclusione di alcuni rituali paragrafi
preambolari che esprimevano apprezzamento per il contributo del Segretario Generale nel
processo, riaffermavano il principio dell’indipendenza e sovranità dell’Iraq ed auspicavano
che il Medio Oriente divenisse una zona libera da armi di distruzione di massa »,
rispettivamente i paragrafi preambolari 15, 16 e 3 (Ibidem, p. 137).
10
Il Capitolo VII della Carta concerne le azioni da intraprendere per far fronte a minacce o
violazioni della pace e della sicurezza internazionale, permettendo al Consiglio di Sicurezza
di autorizzare anche il ricorso all’uso della forza.
11
S. D. MURPHY, Use of Military Force, cit. , p. 419. La bozza definitiva della risoluzione
fu presentata, nello stesso giorno, dagli Stati Uniti e dal Regno Unito. Questa rappresentò il
frutto di poco più di un mese di continui negoziati al Consiglio di Sicurezza (la sua prima
versione fu sottoposta all’attenzione degli altri Stati membri il 1° ottobre).
IUS AD BELLUM E IUS IN BELLO NEL CONFLITTO TRA STATI UNITI E LORO ALLEATI
CONTRO L’IRAQ
14
Il nodo cruciale del negoziato fu il cosiddetto “trigger mechanism”
dell’eventuale azione militare, consistente nella possibilità, derivante da
un’eventuale inadempimento iracheno degli obblighi fissati dalla risoluzione
in discussione, di poter immediatamente intraprendere azioni militari.
Parigi, infatti, si oppose al meccanismo automatico per l’avvio delle
operazioni militari, ritenendo tale sistema uno stratagemma per evitare una
seconda ed ulteriore risoluzione. In tal modo, le differenze tra Parigi, Mosca
e Washington si acuirono ulteriormente. Il governo statunitense, d’accordo
con quello britannico, riteneva sufficiente la sola risoluzione in discussione;
quello francese, come si è appena detto, chiedeva due risoluzioni; Mosca,
invece, dichiarò di ritenere sufficiente la vecchia Risoluzione 1284 del
dicembre 1999, sino a quel momento rimasta lettera morta a causa del
persistente rifiuto iracheno, non trovando alcuna necessità di adottare una
nuova risoluzione sulla questione
12
. In seguito, l’impasse fu parzialmente
risolto, rendendo possibile l’adozione all’unanimità della risoluzione, ma
ponendo le basi per la diatriba successiva, tuttora aperta, sulla liceità o meno
di un intervento armato, anche in assenza di una seconda risoluzione, come
chiesto fortemente dalla Francia
13
.
La parziale concessione anglo-americana, unitamente al successivo
tentativo dei due governi di ottenere l’adozione di un’ulteriore risoluzione,
considerata ex post, è da ritenersi un errore diplomatico, che rafforza le
12
M. CARNELOS, La lingua come arma, cit. , p. 133. La 1284 (1999) fu adottata dal
Consiglio di Sicurezza per istituire l’UNMOVIC e regolarne le funzioni. Sul punto si veda
supra, nell’Introduzione.
13
Fu prevista la possibilità di un secondo passaggio in Consiglio di Sicurezza ma
unicamente per un dibattito sull’eventuale situazione prodottasi a seguito di un
inadempimento di Baghdad, senza alcun impegno in relazione all’approvazione di una
seconda risoluzione (Ibidem, p. 134). La posizione sostenuta sin dall’inizio da Parigi fu, in
seguito, appoggiata dalla Federazione Russa e dalla Cina. Quest’ultima, comunque, pur
mantenendo sempre un atteggiamento like-minded, non assunse mai un profilo significativo
nella crisi. Ciò, molto probabilmente, fu dovuto ad una scelta strategico-diplomatica di
Pechino volta a preservare, nonostante la differenza di vedute sul “caso Iraq”, i rapporti con
Washington (Ibidem, p. 133).
LA QUESTIONE DELLA LICEITA’ DEL RICORSO ALLA FORZA ARMATA CONTRO L’IRAQ
15
argomentazioni franco-russo-cinesi ma che nulla toglie, come si vedrà, alla
tesi giuridica fatta propria da Londra e Washington.
Veniamo ora all’analisi della Risoluzione 1441. Essa dichiarò che
«Iraq has been and remains in material breach of its obligations under
relevant resolutions, including resolution 687 (1991), in particular through
Iraq’s failure to cooperate with United Nations inspectors and the IAEA,
and to complete the actions required under paragraphs 8 to 13 of resolution
687 (1991)»
14
. Le risoluzioni rilevanti, così come specificate nel primo
paragrafo preambolare, «in particular […] resolutions […] 678 (1990) of 29
November 1990, […], 687 (1991) of 3 April 1991,…»
15
, insieme alla stessa
1441, permettono già di ricostruire la tesi, in seguito sostenuta dai governi
del Regno Unito, degli Stati Uniti, dell’Australia e della Spagna, proprio
richiamando queste tre risoluzioni, della liceità del ricorso all’azione
militare contro l’Iraq
16
.
Questo rappresenta il punto cruciale della questione. La 1441 ricordò
al governo iracheno che si trattava di «a final opportunity to comply with its
disarmament obligations under relevant resolutions of the Council»
17
e che
esso era tenuto a presentare, entro trenta giorni, «a currently accurate, full,
and complete declaration of all aspects»
18
dei suoi programmi relativi alle
armi di distruzione di massa. Conseguentemente, il Consiglio decise che
qualsiasi falsa dichiarazione o, più semplicemente, omissione, così come
qualsiasi ostacolo posto da parte irachena alla cooperazione con gli staff
dell’UNMOVIC e dell’IAEA, che sulla base del combinato disposto dei
14
S/RES/1441 (2002) del 08.11.2002, par. 1 (corsivo nostro). Per definire cosa si intenda
per material breach si può richiamare l’art. 60, par. 3, lett. b) della Convenzione di Vienna
sul diritto dei trattati, il quale, in relazione ad una violazione sostanziale di un trattato,
disciplinata dal medesimo articolo della Convenzione, chiarisce che con essa si intende « la
violazione di una disposizione essenziale per il raggiungimento dell’oggetto e dello scopo
del trattato » (Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, art. 60, par. 3, lett. b).
15
Ibidem, par. 1 preambolo.
16
N. RONZITTI, Per il processo, cit. , p. 111.
17
S/RES/1441 (2002) del 08.11.2002, par. 2 (corsivo nostro).
18
Ibidem, par. 3.