nell’opera letteraria di scrittori come Sterne, Borges, Joyce,
Saporta
1
. Queste indagini hanno portato in alcuni casi a una
traduzione in versione digitale (prevalentemente a scopo didattico)
di opere del passato, considerate anche come fonte d’ispirazione di
ulteriori sperimentazioni per altri autori (cito a tale proposito il
progetto del Decameron Web di Massimo Riva
2
, l’opera elettronica
di Micheal Groden che dovrebbe affiancare l’Ulisse di Joyce e i
richiami a Il giardino dei sentieri che si biforcano in Victory garden
di Stuart Moulthrop
3
).
Il confronto delle opere a stampa con l’ipertesto mette in
risalto alcune caratteristiche di questi classici che hanno cercato
trasformare la narrativa dall’interno, forzandone innanzitutto la
struttura lineare.
In questo contesto credo che Italo Calvino possa ritenersi, nel
panorama italiano, uno dei precursori degni di maggiore
considerazione grazie alle linee guida sulla nuova letteratura che ha
diffuso anche a livello internazionale.
La proposta avanzata vuole essere pertinente sulla base
dell’idea di iper-romanzo come «campionatura della molteplicità
potenziale del narrabile», «modello della rete dei possibili» dalla
«struttura accumulativa, modulare, combinatoria»
4
, oltre per i
1
Una breve panoramica è fornita da Jay D. Bolter nel capitolo dedicato alla narrativa
interattiva in Jay D. Bolter, Lo spazio dello scrivere, Vita & Pensiero, Milano 2002,
pp. 183-199.
2
www.brown.edu/Departments/Italian_Studies/dweb
3
Cfr. Jay D. Bolter, Lo spazio dello scrivere, cit., pp. 192-196.
4
Italo Calvino, Lezioni americane, Mondadori, Milano 2001, p. 131.
caratteri visivi e spaziali della sua scrittura e per la volontà
comunicativa che anima la sua produzione letteraria.
Il carattere innovativo delle idee di Calvino, soprattutto nelle
opere seguite all’incontro con l’Oulipo
5
, è stata osservato in diverse
occasioni soprattutto da parte di alcuni orientamenti critici
americani che ne hanno sottolineato le componenti moderne e
postmoderne.
Permangono però alcuni dubbi sulle effettive anticipazioni di
esperienze contemporanee. Per esempio Marco Belpoliti, al termine
di un’interessante argomentazione sull’eredità calviniana, osserva
provocatoriamente come sia arduo stabilire l’identità del
Viaggiatore: «ipertesto narrativo o finzione di un ipertesto
narrativo? Storia della lettura ipertestuale dei romanzi tradizionali o
storia tradizionale degli ipertesti?»
6
. Una critica più prudente infatti
preferisce vedere l’opera di questo scrittore e saggista non tanto
come una sintesi della modernità o di atteggiamenti post-moderni,
quanto piuttosto come un’indicazione puntuale dei cambiamenti
avvenuti durante il passaggio epocale, e del modo in cui poter
continuare a fare letteratura, a scrivere, dopo la ‘morte dell’autore’.
5
Vedi capitolo II.
6
Marco Belpoliti, Calvino dopo Calvino, in Giorgio Bertone (a c. di), Atti del Convegno
Internazionale Sanremo 1996, ed. Dell’orso, Alessandria 1998, p. 194.
CAPITOLO I
L’IPERTESTO
I.1 Una definizione
Delineare in modo preciso l’ipertesto non risulta semplice dal
momento che, come osserva Alberto Cadioli, quasi tutti i critici che
si occupano di questa tematica, tendono a fornire una personale
versione. Riporterò dunque alcuni pareri degli studiosi più
autorevoli, a partire dal fondamento comune per cui l’ipertesto si
offre come un nuovo tipo di testualità, in grado di generare un
nuovo spazio per la scrittura ma è anche una ri - mediazione della
stampa.
Ipertesto è un termine coniato da Ted Nelson negli anni
sessanta che si riferisce contemporaneamente a una forma di testo
digitalizzato, a una nuova tecnologia e a una modalità di
pubblicazione; egli intendeva l’ipertesto come una «scrittura non
sequenziale, testo che si dirama e consente al lettore di scegliere,
qualcosa che si fruisce meglio davanti a uno schermo interattivo
[…]; un ipertesto è una serie di brani di testo tra cui sono definiti
legami che consentono al lettore differenti cammini »
1
.
Il concetto nasce però con Vannevar Bush nel 1945, e
riguardava la possibilità di creare macchine collegate ad apparecchi
1
George P. Landow, L’ipertesto. Tecnologie digitali e critica letteraria, Mondadori, Milano
1998, p.8, nota 18.
meccanici per il reperimento di informazioni, allo scopo di
fronteggiare il numero già allora preoccupante di dati disponibili.
Anche Barthes, tra gli altri, aveva prefigurato l’ipertesto
descrivendo un testo ideale in S/Z come «galassia di significanti»,
senza un inizio preciso, all’interno della quale i blocchi di parole o
immagini potevano essere collegati secondo percorsi multipli
2
.
L’ipertesto viene considerato di volta in volta come un
costrutto testuale, un supporto per la diffusione del sapere o una
tecnologia della scrittura. Spesso infatti con questo termine si indica
sia il software, cioè il programma per computer che consente di
creare e gestire questi particolari testi, sia il prodotto testuale a
disposizione del lettore.
Giulio Lughi descrive gli ipertesti come «testi registrati su
memoria magnetica [o ottica] in cui le singole sotto- unità» non
sono disposte secondo un ordine sequenziale, «bensì secondo un
ordinamento reticolare. In questo modo, da ogni sotto-unità di un
ipertesto – che viene chiamata nodo - si può accedere direttamente a
qualsiasi sotto-unità ad essa collegata»; questi collegamenti sono
gestiti dai link, legami arbitrariamente stabiliti da chi legge
3
.
Landow, uno dei più famosi studiosi di informatica
umanistica, sottolinea soprattutto il valore dell’ipertesto come
supporto per la scrittura che determina anche una diversa fruizione
rispetto a un testo cartaceo. L’ipertesto «denota un testo composto
da blocchi di testo- ciò che Barthes definisce “lessie” - e da
2
Cfr. Ivi, pp. 22- 29.
3
Giulio Lughi, Ipertesti letterari e labirinti narrativi, disponibile a
http://www.univ.trieste.it/~nirital/lughi.htm
collegamenti elettronici che uniscono tra loro questi blocchi […]. I
collegamenti elettronici possono unire sia lessie esterne all’opera –
per esempio il commento all’opera stessa di un altro autore, o testi
paralleli oppure contrastanti- sia lessie interne a essa; in questo
modo creano un testo che viene concepito come non lineare o più
propriamente come multilineare o multisequenziale»
4
. E ancora:
«L’ipertesto è un testo composto di blocchi di parole (o immagini)
connesse elettronicamente secondo percorsi molteplici in una
testualità aperta e perpetuamente incompiuta descritta dai termini
collegamento, nodo, rete, tela, percorso»
5
.
Per altri, come Bolter, l’ipertesto è un tipo di testo
particolare, in grado di determinare anche uno specifico
atteggiamento culturale. Bolter sottolinea soprattutto il carattere
spaziale della scrittura ipertestuale. L’ipertesto si presenta come una
tessitura di segni grafici in cui la presenza dell’immagine diventa
determinante (lo studioso dedica a proposito un’ampia riflessione
sulla possibilità di “emancipazione del visivo” secondo una
«èkphrasis alla rovescia, in cui le immagini tendono a surrogare le
parole»
6
); come intreccio di segni grafici e fonetici, esso arricchisce
e potenzia la definizione di ‘testo’ che, di per sé, non è mai
assolutamente lineare.
Infine, se intendiamo l’ipertesto come una particolare
tecnologia della scrittura, si può pensare che il testo si specializzi in
una certa funzione: è la stessa tecnologia a definire le unità
4
George P. Landow, L’ipertesto, cit., pp. 23- 25.
5
Vedi Gabriella Alù, Ipertesto disponibile a http://lgxserver.uniba.it/lei/alu/definiz.htm
6
Jay D. Bolter, Lo spazio dello scrivere, cit., p. 81.
fondamentali caratteristiche del testo. Il rapporto simbiotico con
hardware e software diventa una dei tratti costitutivi dell’ipertesto.
L’ipertesto dunque non gode di una definizione univoca, e
anche le sue caratteristiche distintive spesso hanno contorni
sfumati. Si può affermare che esso rappresenta un potenziamento
del testo così come esso si è presentato sinora, con elementi tipici
quali la linearità, la coerenza di contenuto, la coesione interna,
l’intenzione comunicativa, la collocazione spazio- temporale.
Alcune di queste caratteristiche vengono ridefinite
nell’ipertesto secondo delle linee già anticipate nelle definizioni
prima esaminate. Mi sono occupata finora dell’ipertesto in generale,
ma vorrei d’ora in poi trattare delle sue caratteristiche facendo
riferimento soprattutto alla narrativa ipertestuale che, pur essendo
piuttosto recente (i primi esempi risalgono agli anni novanta),
sembra essere una delle espressioni più convincenti dell’idea di
ipertesto e vanta già un buon numero di realizzazioni e studi critici.
Questa narrativa esibisce elementi differenti rispetto a quella a
stampa, nei confronti della quale appare come una frantumazione o
reinterpretazione. Come la narrativa tradizionale, essa ha ripreso e
sviluppato diversi generi, oltre ad aver assunto forme diverse come
racconto o romanzo (narrazione principale, segmenti narrativi
collegabili a più storie, unione di narrativa interventi teorici e
saggistica…
7
).
7
George Landow, L’ipertesto, cit., p. 225.
I.2 Scrittura non- lineare e multilinearità
La non- linearità dell’ipertesto deriva dalla peculiarità di
essere costituito da blocchi di testo collegabili in modi differenti e
molteplici tra loro. Proprio la frammentarietà determina la resa
impossibile nella forma di un testo lineare. Del resto, bisogna anche
dire che un testo non lineare non è necessariamente equivalente a
un ipertesto, come ritiene Landow
8
, ma è una delle sue forme più
diffuse.
Negli ipertesti manca una linearità sequenziale poiché chi
legge passa da un nodo a un altro senza obbedire a nessun ordine,
avendo come limiti solo i link e i nodi stabiliti dall’autore.
L’ipertesto frammenta, parcellizza il testo che così abbandona
l’ordine sequenziale.
In ambito narrativo, se per la narratologia tradizionale la
linearità è qualcosa di intrinseco al racconto e determina una buona
trama in senso aristotelico, nell’ipertesto «la linearità […] diventa
una caratteristica dell’esperienza del singolo lettore all’interno di un
singolo testo e lungo un particolare percorso»
9
; come afferma
Coover, la linearità della lettura non va completamente perduta, ma
si organizza diversamente, tenuto conto che «lo spazio ipertestuale
della storia è ora multidirezionale e teoricamente illimitato»
10
. In
realtà sarebbe più corretto dire che, in virtù delle sue caratteristiche
8
Ivi p. 24.
9
George Landow, L’ipertesto, cit., p. 23.
10
Vedi ivi, p. 231.
costruttive, l’ipertesto «muta la sequenzialità della struttura del
libro, non la linearità dei singoli testi che lo compongono, che, per
essere pienamente compresi, continuano a essere letti
linearmente»
11
.
L’ipertesto richiede una lettura particolare in quanto al suo
interno la retorica dello spostamento- iperbato, che consiste in una
lessia diversa da quella seguita o in un ordinamento alternativo- non
ha una funzione ornamentale, «mentre la consecutio cronologica è
l’eccezione»
12
. Al testo di tipo lineare si sostituisce invece la
multilinearità, la possibilità di svolgere percorsi differenti - che
possono ignorarsi o contraddirsi- all’interno dell’ipertesto,
esplorabile in ogni direzione.
La multilinearità si realizza anche come polifonia, poiché
«l’ipertesto può adottare principi di organizzazione che associamo
alla moderna narrativa a stampa, come lo stream of consciousness
di un personaggio o l’adozione dei punti di vista di più personaggi»,
difatti «i medesimi eventi possono essere raccontati da prospettive
diverse»
13
, e alla costruzione dell’ipertesto possono collaborare più
persone, più autori. Il testo può essere sottoposto anche a letture
diverse da parte di uno stesso lettore o di più lettori grazie alla
presenza di collegamenti attivi.
11
Alberto Cadioli, Il critico navigante, Marietti, Genova 1998, p. 73.
12
Jay D. Bolter, Lo spazio dello scrivere, cit., p.182.
13
Jay Bolter, Lo spazio dello scrivere, cit., p. 172.
I. 3 La struttura reticolare
Negli scritti di molti teorici strutturalisti e poststrutturalisti
che rigettano la linearità della forma come Barhes, Derrida, Bachtin
e Foucault, il testo viene spesso descritto in termini di rete. Il
paradigma della rete appare ricorrente nei dibattiti sull’ipertesto e
nella teoria letteraria contemporanea. D’altra parte l’idea di
ipertesto si accosta frequentemente a quella di labirinto, tipo più
semplice di rete.
Umberto Eco, nella sua classificazione dei labirinti
14
, accanto
a quello unicursale o classico e al tipo ‘ad albero’ o Irrveg barocco,
individua in quello ciclomatico o reticolare la categoria più
complessa, dov’è possibile perdersi con facilità. Il labirinto
reticolare «è una struttura in cui ogni punto può essere connesso
con qualsiasi altro punto e in cui ogni percorso è possibile»
15
, può
estendersi all’infinito e, come il rizoma, «è smontabile e
reversibile»
16
. Il testo nella prospettiva ipertestuale diviene una
«rete dinamica di relazioni»
17
, dalla cui organizzazione interna (cioè
dalle connessioni attivate) dipende il significato.
L’ipertesto si presenta costituito da un insieme di unità
informative, i nodi, che sono anche entità discrete, e da un insieme
di collegamenti, i link. Rispetto al testo tradizionale, esso è spesso
14
Cfr. Ulla Musarra Shroeder, Il labirinto e la rete, Bulzoni, Roma 1996, pp. 74 - 76.
15
Ivi, p. 75.
16
Ibidem.
17
Jay Bolter, Lo spazio dello scrivere, cit., p.234.
percepito in senso spaziale: i link rappresentano un itinerario
virtuale, dei percorsi di significato, e il lettore è un viaggiatore o
navigatore di questo spazio, di una classe di testi possibili.
Questo tipo di struttura, comporta innanzitutto la possibilità
di un’estensione infinita del testo: nessuno infatti è in grado di
esaurire le possibili letture che un ipertesto offre, visto che
«esplorare tutti i nodi e percorrere tutti i passaggi non rende ragione
della reale modalità di lettura di un ipertesto, che è per definizione
parziale, frammentaria»
18
. Il sistema di collegamenti
nell’organizzazione reticolare determina anche un nuovo tipo di
immaginazione creativa, «più legata a ciò che si deve collegare e
sistemare che allo stile, o con quello che chiameremmo personaggio
o trama» dal momento che, nel caso dell’ipertesto narrativo, risulta
importante non solo la lettura ma soprattutto la capacità di
organizzare i testi a disposizione
19
.
L’espansione del testo riguarda anche la possibilità di
aggiungere sempre nuovi elementi al testo stesso (traduzioni,
commenti, nuovi collegamenti), purchè consentiti dal programma,
oltre a produrre estensioni multimediali di vario genere: immagini
fisse e in movimento, brani musicali e documenti formali di solito
esclusi dai romanzi tradizionali, come tabelle statistiche e referti
medici
20
.
18
Giulio Lughi, Ipertesti letterari e labirinti narrativi, cit..
19
Cfr. Robert Coover, The end of the book, in « New York Book Review», (21 giugno) 1992,
p. 5, disponibile a http://www.inuv.trieste.it/~nirital/lughi.htm
20
Ibidem.
Tutto questo ci fa comprendere il motivo per cui è
impossibile stabilire dei limiti definiti in un ipertesto. Esso manca
infatti di un inizio e una fine in senso tradizionale, producendo ciò
che Derrida indicava come “straripamento del testo”. Contro il
«feticismo dell’opera- concepito come un oggetto chiuso, compiuto,
assoluto»
21
, l’ipertesto è un ‘testo aperto’, per il quale le
connessioni intratestuali e intertestuali tra elementi interni e altri
appartenenti a testi diversi sono equivalenti, e i cui bordi diventano
permeabili.
Risulta difficile per esempio determinare un inizio, sia perché
cambia la nostra concezione di testo, sia perché un ipertesto
permette di avere molteplici punti di accesso, in teoria tanti quante
sono le lessie. Si impone comunque il bisogno di stabilire una base
di partenza che, in tal caso, sarà rappresentato da quella lessia che,
nel testo atomizzato, può produrre un’intenzione sviluppata poi
nella catena dei collegamenti
22
. Di solito, nella narrativa
ipertestuale gli autori tendono a suggerire un inizio per non
disorientare il lettore al suo primo contatto con il racconto.
Anche il concetto di fine risulta labile se non addirittura
inesistente, perché è sempre possibile estendere l’ipertesto: esso
terminerà quando il lettore, il solo che abbia la responsabilità della
chiusura, si riterrà soddisfatto dalla lettura di un certo numero di
informazioni o blocchi di racconto.
21
George Landow, L’ipertesto: tecnologie digitali e critica letteraria, cit., p. 113.
22
Cfr. George Landow, L’ipertesto, cit., p. 111.
Se non esistono più delimitazioni chiare, anche l’idea di
centro non ha valore in senso tradizionale. L’ipertesto è un sistema
decentrato e ricentrabile all’infinito, privo di un asse organizzativo
principale, dove ogni nodo considerato diventa un centro transitorio
e non esiste più una gerarchia, un testo principale e uno marginale
o secondario. Tutto ciò può causare un «disorientamento
cognitivo», conseguente all’assenza di inizio, fine, centro, ma anche
di coordinate come la pagina o la riga; ma una configurazione del
genere può anche trasformarsi in piacere per il lettore che scopre
così l’amore per le possibilità, lontano da ogni condizionamento
23
.
23
Cfr. George Landow, L’ipertesto, cit., pp. 156- 164.
I.4 L’intertestualità
Un ipertesto non conosce distinzioni tra percorsi principali e
secondari, e il fatto che possa realizzare liberamente collegamenti
con nodi appartenenti anche ad altri ambiti fa si che sfumino i
confini dei singoli testi, avvicinandoli tra loro. Il rapporto di
vicinanza e di rimando da un testo a un altro, l’intertestualità
appunto, si presenta come una caratteristica fondamentale della
scrittura ipertestuale ed è anche uno dei elementi in comune più
evidenti con la cultura post-moderna.
Secondo questo orientamento, l’esperienza delle avanguardie
appare conclusa ed entrata far parte della tradizione, ogni loro
forma di sperimentazione si è esaurita lasciando il posto nell’epoca
attuale a un senso del postumo in cui non esistono vere novità, ma
solo l’occasione di un riuso delle esperienze precedenti. Il recupero,
la rielaborazione di materiali letterari eterogenei del passato (sotto
forma di citazione, parodia, pastiche…) si lega alla concezione
della letteratura come sistema in cui le singole parti attuano delle
reciproche relazioni, e alla convinzione che nulla è assolutamente
originale. Nella definizione dell’intertestualità sono stati
fondamentali gli studi di Julia Kristeva, alla quale va il merito di
aver introdotto ufficialmente il termine nella teoria letteraria e che,
a partire dal dialogo bachtniano, ha visto nell’intertestualità un
incontro tra testi diversi in ogni testo come concetto dinamico; un
grosso contributo è stato fornito poi da Gérard Genette, il quale ha
elaborato varie realizzazioni all’interno della più vasta categoria
della transtestualità (indicante ogni forma di rapporto testuale).
Soprattutto il valore dinamico di queste relazioni è quello che
si concreta meglio in un ipertesto, cioè in una struttura di
intersezioni e contatti in continuo mutamento.
L’ipertesto vive di collegamenti unidirezionali e
bidirezionali, verso l’esterno o l’interno, che definiscono una
particolare «scrittura a collage» o, nel caso dei romanzi o dei
racconti, un «collage narrativo»
24
. L’ipertesto esplicita la sua
relazione con altri testi e rende attuale l’idea di biblioteca universale
di tipo borgesiano contenente tutti i testi possibili. In un ipertesto i
brani o nodi che riguardano un certo soggetto possono realmente
comparire insieme sullo schermo, infatti «non solo è possibile che
un testo alluda a un altro, ma l’uno può penetrare nell’altro e
trasformarsi in un intertesto visivo sotto gli occhi del lettore». Lo
spazio elettronico permette di concretizzare l’intertestualità che
risulta essere «la correlazione di tutti i testi resi affini
dall’argomento, dalla lingua e dalla cultura»
25
.
24
Cfr. George Landow, L’ipertesto, cit., pp. 248- 256.
25
Jay Bolter, Lo spazio dello scrivere, cit., pp. 234- 235.