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solida e compatta del romanzo di cui James resta l’ultimo
esponente. Quindi se, da un lato, può essere definito come ultimo
esponente del romanzo ottocentesco, dall’altro può essere
considerato il primo grande romanziere del Novecento.
E questo è vero sia perché è tipico di questo secolo il legame tra
attività critica e attività creativa, sia perché James sembra aver
anticipato le principali linee di tendenza del romanzo del
Novecento: lungi dall’aver messo in pratica principi teorici
consolidati, James, nei suoi studi, sembra metterli continuamente
alla prova, sottoponendoli a continui attacchi, a difficoltà
apparentemente insormontabili.
La sua è, pertanto, un’opera sottoposta a continua sperimentazione,
un’incessante ricerca sull’arte che arriva a raggiungere esiti molto
affini alle poetiche novecentesche.
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CAPITOLO I
Henry James: Un’ Introduzione
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1. CENNI BIOGRAFICI
Narratore puro, romanziere dei romanzieri, Henry James (New
York 1843 – Londra 1916) è stato definito il più inglese degli
scrittori americani e il più americano degli scrittori inglesi
1
.
Il padre era un filosofo convinto che ai figli sarebbe giovata
un’educazione più vasta di quanto l’America del tempo potesse
offrire. Li condusse infatti più volte con sé in Europa, dove Henry
frequentò irregolarmente le scuole di Ginevra, Parigi ed altre città.
Dal 1859 al 1869 James visse stabilmente in America, frequentò
per breve tempo la facoltà di giurisprudenza di Harvard, ma lesse
molto, soprattutto Gorge Eliot, Hawthorne e Balzac.
Tra il 1869 e il 1874 viaggiò ancora molto per l’Europa, iniziando a
produrre i primi racconti: The Passionate Pilgrim and Other Tales
(1875), Transatlantic Sketches (1875), Portrait of a Lady (1881).
In questo periodo James alternò il soggiorno europeo a quello
americano, entrò a Parigi nella cerchia prestigiosa di Flaubert,
conobbe Maupassant, Zola, Daudet, Goncourts e Turgenev;
soprattutto arricchì la propria coscienza creativa immergendosi
1
P. Milano, James o il proscritto volontario pg. 10
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nelle molteplici sottigliezze e convenzioni di una società assai più
stratificata e complessa di quanto lo fosse quella americana. Nel
1877 infatti si stabilì definitivamente a Londra e vi trascorse dieci
anni apparentemente privi di importanti avvenimenti e ritmati
dall’intenso lavoro di scrittoio.
La seconda fase produttiva delle sue opere (1891 – 1895) è
caratterizzata dalla consapevolezza di essere un autore “senza
pubblico” al di fuori di una élite devota. I lunghi e ambiziosi
romanzi come The Princess Casamassima (1886) e The Bostonians
(1886) furono accolti gelidamente; The Tragic Muse (1890),
ambientato nel mondo teatrale, non ebbe sorte migliore.
James cercò anche il successo nel teatro, ma la versione teatrale di
L’Americano ebbe poche repliche, e Guy Domville (1895) venne
accolta da fischi e schiamazzi.
I romanzi che seguono infatti, conservano la nota della scrittura
drammatica: The Spoils of Poynton (1897), What Maysie Knew
(1897), The Awkward Age (1899), nel susseguirsi dei dialoghi, si
arricchiscono di una tecnica di drammatizzazione che permette un
più duttile e ambiguo gioco psicologico.
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Con il 1896 ebbe inizio quella che è ormai nota come la fase
maggiore: a Lamb Hose, un cottage settecentesco nel Sussex, dove
si era definitivamente trasferito, James scrisse alcuni dei suoi
romanzi brevi più belli: The Turn of the Screw (1898), The Beast
in the Jungle (1903), The Sacred Fount (1901) e i tre grandi
romanzi The Ambassadors (1901), The Wings of the Dove (1902),
The Golden Bowl (1904).
In quest’ultimo periodo della sua vita, James si recò ancora una
volta negli Stati Uniti, per un vasto giro nel paese, dal quale tornò
ancora più pessimista sulla patria d’origine e sul suo futuro di
civiltà egemone: si vedano i saggi di The American Scene (1907).
Nel 1915, alla vigilia della prima guerra mondiale, quasi in segno
di fedeltà, lo scrittore divenne cittadino britannico. Così scriveva in
una lettera al Prime Minister, spiegando le ragioni per le quali
desiderava cambiare la sua cittadinanza:
I have assiduously and happily spent here all but 40
years, the best years of my life, and I find my wish to
testify at this crisis to the force of my attachment and
devotion to England, and to the cause for which she is
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fighting, finally and completely irresistible… I can only
testify by lying at her feet my explicit, my material and
spiritual allegiance, and throwing into the scale of her
fortune my all but imponderable moral weight – “a poor
thing but mine own.”
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Da allora, due gravi problemi di salute lo colpirono, problemi dai
quali non riuscì mai a guarire. Morì infatti alla fine del mese di
Febbraio dell’ anno 1916, qualche settimana prima del suo
settantatreesimo compleanno.
I funerali furono svolti a breve distanza dalla casa in cui visse gli
ultimi anni, nella Old Church di Chelsea.
2
Selected Letters, p. 228
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2. HENRY JAMES E IL TEMA INTERNAZIONALE
Il problema del confronto della civiltà americana – giovane e
innocente – con quella europea – antica e affascinante – preesisteva
a James almeno fin dalla nascita del romanzo in America, se non
dalla formazione delle prime colonie: l’Europa da sempre è stata,
per la cultura americana, un punto di riferimento con il quale era
inevitabile misurarsi, sia in positivo (cercando di imitarne
istituzioni, costumi, temi e forme letterarie), sia in negativo (nello
sforzo di costruire una cultura altra, in consapevole opposizione
rispetto ai modelli del vecchio mondo).
Non c’è scrittore americano che non si sia misurato in un modo o
nell’altro con qualche aspetto di questo confronto.
James si misurò in più di un modo con questo problema: lo fece sul
piano biografico, critico e letterario.
Al primo è appena il caso di accennare: è ormai noto il fatto che
all’età di trentadue anni lo scrittore iniziò a trascorrere la sua vita in
Europa e specialmente in Inghilterra. Decisione questa che aveva
molteplici aspetti: primo fra tutti è il disgusto per un paese (quale
l’America) sempre più volgarmente commerciale; c’è poi un mito
10
di un’Europa culturalmente ricca, culla dell’arte e di un senso del
passato caratterizzato da un’importante complessità culturale.
L’incessante ricerca che mette a confronto una patria che non sente
sua, rispetto ad un’ Europa del tutto affascinante, trova riscontro
non soltanto in diari, lettere, saggi e scritti autobiografici, ma anche
– ed è questa la novità – in romanzi e racconti. Trasforma quindi il
tema internazione in tema letterario: testualizza come racconto,
drammatizza come vicenda e conflitto di personaggi – l’Americano
in Europa, l’Europeo in America – un genere che era ancora in
ombra nella letteratura americana.
Si può, infatti, definire come il primo, l’iniziatore del personaggio
americano, e soprattutto dell’americano in Europa. E’ per questo
che personaggi come Daisy Miller o Christopher Newman
Colombo sono archetipi dell’americanità, incarnano, cioè, un tipo
riconoscibile, caratterizzato da innocenza, spontaneità, ignoranza
dei codici di comportamento europei, ricchezza non ereditaria e
presentandosi pertanto come self-made man alle prese con questo
incontro-scontro tra Europa e america.
Era un archetipo ormai noto all’interno del turismo americano in
Europa: ai figli delle famiglie americane che venivano a studiare in
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Europa, che come i coetanei inglesi compivano il “Grand Tour” sul
continente, si affiancavano ormai sempre più numerose le famiglie
degli industriali che si guadagnavano con il viaggio una nota di
prestigio sociale e tentavano di comprarsi una cultura.
Ma oltre all’opera di un osservatore attento agli usi degli americani,
il tema internazionale è anche la scelta di un romanziere.
La letteratura, si sa, è sempre descrizione metaforica di una cultura,
e di questa descrizione il tema internazionale è uno strumento
privilegiato
3
: la dislocazione spaziale è in questo caso una tecnica
di estraniamento. In Europa – uno spazio alieno – il personaggio si
manifesta pienamente, rivela per differenza ciò che è intrinseco
nella sua cultura, ciò che è legato al sua ambiente nativo, esplicita a
sé e agli altri i motivi del suo comportamento.
E’ il luogo della presa di coscienza di realtà non solo esterne,
artistiche, culturali, sociali, ma anche interiori – di codici di
comportamento profondi che, nella vita di tutti i giorni, rimangono
inespresse.
Comunque vadano le cose, quindi, l’Americano in Europa ha fatto
un’esperienza conoscitiva, ha preso coscienza della propria
3
D. Izzo, Henry James, pg. 8
12
identità, ha subito un’iniziazione. Ma contemporaneamente, anche
l’Europa subisce lo stesso processo: raccontata attraverso gli occhi
di un “alieno”, l’Europa si vede costretta a spiegare determinati
comportamenti, valori o disvalori altrimenti sottintesi.
L’immagine che viene fuori da questo incontro di due civiltà
diverse, non è un aspetto semplice della poetica di James. Può
essere spiegata infatti soltanto dallo studio di più opere che ci
permettono di mettere in luce ciascuna un aspetto diverso, dando
vita a figure complesse, se non addirittura ambigue.