all’autodeterminazione il razzismo
2
; tali sono state e sono ancora le luci e le
ombre di questa nazione
3
.
Questa dicotomia è legata allo “spirito missionario”
4
( interpretato, a volte,
a proprio uso e consumo) che ha sempre animato gli USA, nonostante
George Washington avesse ammonito i suoi connazionali: “ L’ Europa -
scriveva – ha un certo numero di interessi che le sono propri e che non hanno
alcun rapporto, o hanno qualche rapporto molto indiretto, con i nostri; essa si
trova, dunque, frequentemente impegnata in questioni che ci sono
naturalmente estranee; unirci con legami artificiali alle vicissitudini della sua
politica… sarebbe agire imprudentemente… La nostra vera politica è di non
contrarre alleanze permanenti con nessuna nazione straniera”
5
.
Ventisette anni più tardi, il 2 dicembre 1823, James Monroe, in quella che
sarebbe universalmente stata battezzata come la sua dottrina, avvertiva con
tono risoluto: “…non dobbiamo permettere che l’Europa interferisca nei
nostri interessi. Di fatto deve sussistere un sistema americano interamente
distaccato dal sistema mondiale…”
6
.
Su queste autorevoli prese di posizione sono stati eretti i due pilastri della
politica estera americana
7
- la dottrina Monroe, appunto, (no alle ingerenze
europee in America) e l’isolazionismo (no alle interferenze americane in
Europa) - che sono stati fedelmente applicati fino alla seconda guerra
mondiale.
Da quel momento in poi gli Stati Uniti da potenza insulare si sono
trasformati, loro malgrado, in superpotenza mondiale, costretti a trattare con
altri Stati in continui compromessi internazionali, fino all’adozione della
2
Del Pero M., Libertà e Impero: gli Stati Uniti e il mondo (1776-2006), Laterza, Bari, 2008, pp. XI-XII
3
Ibidem
4
Gozzano F., op. cit., p. 14
5
Messaggio di commiato dalla carica di presidente di George Washington del 17 settembre 1796, Ibidem,
p. 15
6
Teodori M., Storia degli Stati Uniti e il sistema politico americano, Newton Compton, Roma 2004, pp. 26-27
7
Kissinger H. Diplomacy, Sperling & Kupfer 2004, p. 12
2
dottrina Truman del 1947 e della politica del “contenimento” nei confronti
dei paesi comunisti, che hanno rappresentato la “rottura istituzionale” con la
tradizione isolazionista
8
.
Si è aperta, così, una nuova fase della storia statunitense: dopo la
costruzione di un “impero continentale” derivata dall’ambizione di realizzare
un unico stato dalla costa atlantica a quella pacifica, dopo la trasformazione in
“impero tra gli imperi” tra ottocento e novecento, si è assistito all’irresistibile
ascesa di un “impero globale”, interprete di una politica di potenza che, dal
secondo dopoguerra in poi, ha proiettato nel mondo l’egemonia degli Stati
Uniti facendone il garante degli equilibri geopolitici
9
.
Questa svolta, importante per tutti i Paesi europei che uscivano da un
conflitto che li aveva annientati, fu epocale per l’Italia.
Dato l’impegno assunto di prestare assistenza e protezione a paesi alleati e
poiché le riforme del sistema produttivo ed il miglioramento delle condizioni
di vita erano sempre state considerate dagli USA le condizioni base per
garantire la solidità politica di una nazione alleata, soprattutto di quella la cui
posizione geografica nel cuore del Mediterraneo le faceva assumere un ruolo
cruciale negli equilibri est-ovest
10
, fu messo in moto un meccanismo che
avrebbe portato ad alleanze permanenti con la nascita dell’Organizzazione
degli Stati Americani del 1947 e l’adesione al Trattato dell’Atlantico del Nord
del 1949.
Nell’ambito dei delicati equilibri che, negli anni successivi, andavano
prendendo forma, il legame che univa ed unisce tuttora, reciprocamente, Italia
e Stati Uniti fin dall’ultimo dopoguerra, inizialmente di dipendenza della prima
verso i secondi, si è poi allentato e stretto più volte, in un’atmosfera
altalenante derivante da situazioni nazionali ed internazionali in cui i due Paesi
8
Jones M. A., Storia degli Stati Uniti d’America: dalle prime colonie inglesi ai giorni nostri, Bompiani editore,
Milano 2005, pp. 473-474
9
Del Pero M., op. cit., pp. VII-XII.
10
Mastrolilli P. Molinari M., L’Italia vista dalla CIA (1948-2004), Laterza editore, Milano 2005, p. X
3
a volte hanno agito da bravi alleati, altre arroccandosi su posizioni
assolutamente contrapposte.
L’analisi di detti rapporti nel ventennio 1970-1990 sarà l’oggetto della
presente trattazione, con l’intento di capire quanto dei fatti accaduti fosse
dovuto alla situazione internazionale, quanto alla cronica “instabilità” della
vita politica italiana e quanto alla tendenza degli Stati Uniti all’egemonismo,
tendenza che si è scontrata, soprattutto negli anni Settanta del secolo scorso,
con la consapevolezza europea delle proprie potenzialità e dei propri mezzi,
consapevolezza che permise in più occasioni una reazione di inedita fermezza
nei casi in cui gli USA “alzavano la voce”
11
ed un’autonomia che sarebbe poi
cresciuta nel tempo.
Infatti, è inutile negarlo: per quasi cinquanta anni, sino agli anni novanta, gli
Stati Uniti hanno influenzato la politica italiana intervenendo come “alleato
maggiore”, stella polare della politica estera, garante della sicurezza,
finanziatore occulto dei partiti anticomunisti, controllore e censore delle
decisioni strategiche dell’economia nazionale, eminenza grigia dei servizi di
sicurezza e, naturalmente, capro espiatorio cui addebitare molti misteri
12
.
Apparentemente contraddittori, questi ruoli sono il naturale riflesso
dell’importanza che l’America ha avuto per l’Italia dalla fine della seconda
guerra mondiale a tutt’oggi.
Dopo il secondo conflitto, infatti, Pietro Nenni soleva ripetere che la
politica internazionale sarebbe divenuta sempre più importante per la politica
interna italiana: “…avremmo avuto la politica interna della nostra politica
estera…
13
”.
Il vecchio leader socialista aveva, infatti, compreso fin dall’immediato
dopoguerra che negli anni a venire vi sarebbe stato un nesso molto stretto tra
le scelte di politica internazionale e quelle di politica interna, e che il confronto
11
Del Pero M. - Romero F., Le crisi transatlantiche (continuità e trasformazioni), Storia e Letteratura,
Roma, 2007
12
Romano S., Lo scambio ineguale – Italia e Stati Uniti da Wilson a Clinton, Laterza, Bari, 1995 pag. VII
13
Nuti L., Gli USA e l’apertura a sinistra, Laterza editore, Bari 1999, p. VII
4
tra i blocchi formatisi tra il 1947 ed il 1949 avrebbe esercitato un’influenza
fortissima, seppur discontinua, sulla scena italiana
14
.
E’ incontrovertibile, infatti, e la maggior parte degli autori è d’accordo
15
che, per tutta la durata della guerra fredda, lo scontro tra Stati Uniti ed Unione
Sovietica costituì uno degli elementi condizionanti della politica europea ed
italiana in particolare, e nella raccolta di saggi sulle Interpretazioni della
Repubblica, pressoché tutti indicano il sistema internazionale come uno degli
elementi più importanti per capire l’evoluzione della politica italiana degli
ultimi cinquant’anni
16
: l’intervento concreto degli Stati Uniti nella prassi
politica italiana e l’evoluzione del sistema internazionale modificarono spesso
lo scenario nel quale gli italiani dovevano operare.
Ed invero, per un lungo periodo, non ci fu nazione europea che rinnovasse
in maniera più costante le proclamazioni di fedeltà all’alleanza perché le
relazioni tra i due paesi, profondamente ineguali per la fragilità e la
vulnerabilità della politica italiana - la DC era considerata da Washington il
gigante con i piedi d’argilla
17
- risentivano, naturalmente, dei rapporti di forza
(che sono un dato obiettivo).
La continuità di questa situazione, andata avanti per anni, era stata favorita
da una parte, dall’impossibilità (o incapacità?) dei governi italiani di proporre
linee politiche in contrasto con gli Stati Uniti; dall’altra dall’esistenza di un
grande partito di opposizione, il PCI, che aveva imposto una linea di
demarcazione con i partiti del governo, essendo molto vicino a posizioni
inizialmente staliniste e poi, nel tempo, comunque e sempre filosovietiche,
fino alla svolta del 1992.
14
Pietro Nenni cit. in Nuti. L., op. cit., p. VII
15
Giovagnoli A. a cura di, Interpretazioni della Repubblica, Il Mulino editore, Bologna 1998, p. 147; Olivi B.,
Carter e l’Italia: la politica estera USA, l’Europa e i comunisti italiani, Longanesi editore, Milano 1978, pp.
159-167; Di Nolfo E., Dagli imperi militari agli imperi tecnologici: la politica internazionale nel XX secolo,
Laterza editore, Bari 2004, pp. 213-215; Nuti , op. cit., p. VII
16
Giovagnoli A., op. cit.. p. 145
17
Mastrolilli P. Molinari M., op. cit., p. X
5
Addirittura, in alcune occasioni, l’Italia aveva mostrato un’imbarazzante
sudditanza: che forse derivava da una vocazione servile o da una indecorosa
scaltrezza
18
, volta a raggiungere il proprio vantaggio? Oppure si trattava solo
di un fallimento generale nella modernizzazione delle sue abitudini
politiche?
19
.
A mio parere, ambedue gli aspetti hanno giocato un ruolo, alternandosi a
seconda delle situazioni, ma tutti e due scaturivano da un atteggiamento di
titubanza (per paura o per accortezza?) nello “schierarsi”, la rapidità
nell’affiancarsi (quando è conveniente) alle decisioni altrui, il mantenere un
“basso profilo” in situazioni difficili, l’antitalianismo come vizio cronico del
nostro carattere politico o, come afferma il Senatore Cossiga “…gli italiani
sono sempre gli altri…”
20
, avevano creato negli alleati un’immagine non
edificante del nostro paese
21
.
Grande fu, quindi, negli anni ottanta, lo sconcerto creato da un
cambiamento nell’atteggiamento italiano che si accingeva ad assumere
tutt’altra veste nel teatro internazionale.
In quegli anni, infatti, si andava delineando un diverso rapporto tra Europa
e Stati Uniti: si stava vivendo una lunga fase di transizione dominata
dall’incertezza, con un quadro internazionale in pieno fermento e momenti di
tensione di grande intensità.
22
Anche l’Italia cercava di partecipare, con i suoi specifici interessi nazionali,
al generale assestamento dei rapporti Europa - Stati Uniti ed iniziava ad
intervenire nell’area mediterranea per ampliare la zona di autonomia ed
indipendenza rispetto agli spazi limitati stabiliti dall’alleanza atlantica, volendo
diventare una media potenza regionale.
18
Mastrolilli P. Molinari M., op. cit., pag.VIII
19
Gardner R. N., Mission Italy, Mondadori editore, Milano 2004, p. 46
20
Cossiga F., Italiani sono sempre gli altri, Mondadori editore, Milano 2007, pp. 5-6
21
Olivi B., op. cit., pp. 104-105
22
Primiceri E., Il sequestro dell’Achille Lauro e il governo Craxi. Relazioni internazionali e dibattito politico in Italia,
Piero Lacaita editore, Taranto 2005, pp. 9 - 10
6
La convenienza degli anni del dopoguerra, con l’Italia alleato minore,
militarmente passivo, politicamente instabile e incline, in molte circostanze, a
“tenere i piedi in due staffe”, si stava trasformando in consapevolezza di poter
cominciare a pensare ad un ruolo internazionale più incisivo, militarmente e
politicamente, rovesciando quell’immagine negativa che le era stata da tempo
assegnata di paese incapace di decisioni autonome
23
.
La fine della guerra fredda e lo spostamento dell’interesse militare alleato
verso il Mediterraneo ed il Medio Oriente coincisero, infatti, con i primi
tentativi italiani di trasformarsi, come già detto, in media potenza regionale.
L’Italia, infatti, voleva diventare un alleato prezioso, e per questo aveva
dato il suo assenso alla presenza di numerose e importanti basi militari
americane sul suo territorio: si sarebbe trovata così al centro del Mediterraneo
che era diventato il palcoscenico dei nuovi scenari di guerra che si stavano
prospettando in quegli anni.
Questo avrebbe richiesto una completa rivoluzione sia politica che militare;
infatti forze armate “in being”, cioè pronte, avrebbero dovuto essere soggette
ad un potere politico anch’esso “in being” per capacità decisionale
24
perché che
senso avrebbe avuto avere soldati pronti se la decisione politica avesse
ritardato o titubato, manifestandosi incerta ed imprecisa?
Ed ecco che la crisi dei vecchi partiti di governo, il desiderio di
rinnovamento e di riscatto che negli anni settanta-ottanta stava scuotendo il
Paese e l’affermazione politica di un Partito Socialista completamente
trasformato dalle idee di giovani leaders, avevano gettato le basi per una
radicale trasformazione.
Da questo nuova volontà di affermazione internazionale nacquero la
dottrina Lagorio ed il Libro Bianco della Difesa, due testimonianze del
23
Gardner R. N., op. cit., p. 302
24
Caligaris L. Santoro C. M., Obiettivo difesa: strategia, direzione politica, comando operativo, Il Mulino 1986,
pp. 4-5
7
cambiamento che si intendeva apportare all’apparato militare perché
diventasse finalmente competitivo con quelli degli altri alleati
25
.
In questa fase di transizione, sapendo quanto l’Italia fosse vulnerabile per
essere lasciata in balia dei suoi governi, Washington la controllava con
particolare attenzione: sia i “falchi” (usi ad utilizzare il territorio italiano come
proprio ogniqualvolta era necessario farsi sentire in un paese mediorientale o
africano) che le “colombe” (convinti che i rapporti con l’Italia dovessero
essere improntati a grande tolleranza pur di evitare la saldatura tra il fronte
della sinistra antiamericana e quello di un nazionalismo sopravvissuto ma
frustrato dalle esigenze internazionali)
26
, per motivi diversi, ritenevano che il
Paese, per quanto disordinato e ancora poco credibile, dovesse comunque
essere seguito e guidato
27
; se fosse crollato il sistema, infatti, avrebbe
trascinato con sé la fedeltà atlantica dell’alleato
28
.
L’Italia, dunque, “tentava di rialzare la testa”, mostrando da un parte una
volontà di parziale autonomia inaspettata, come nel caso di Sigonella, ed
offrendo, dall’altra, collaborazione e, con il tempo, alta competenza e
competitività tecnica che le hanno meritato l’attenzione internazionale, come
nel caso della partecipazione a numerose missioni di peace-keeping in teatri
caldi, soprattutto del Medio Oriente.
Le varie crisi degli anni ottanta (attentato sull’Achille Lauro e crisi di
Sigonella, del Golfo della Sirte e di Lampedusa) erano tutte strettamente
correlate e derivanti dalla nuova “fermezza” italiana in campo internazionale,
sia nei confronti di alleati che di aggressori.
La prima causa di attrito con gli Stati Uniti fu l’uso delle basi NATO in
Italia, uso che, a volte, si trasformava in abuso.
25
Gentiloni P. Spataro A. et al., Missili e mafia: la Sicilia dopo Comiso, Editori Riuniti, Roma 1985, pp. 31-35;
Mazzeo A., Sicilia armata: basi, missili, strategie nell’isola portaerei della NATO, Siciliano Editore, Messina
1991, pp. 47-53; Lagorio L, L’ultima sfida: gli euromissili, Loggia de’ Lanzi editore, Firenze 1998,
pp. 53-58, pp. 112-114, pp. 62-66
26
Silj A., a cura di L’alleato scomodo, Corbaccio, Milano 1998, pp VII-VIII
27
Ibidem
28
Mastrolilli P. Molinari M., op. cit., p. XI
8
“…Senza basi nel Mediterraneo gli Stati Uniti non avrebbero potuto fare
la politica che fanno in Medio Oriente…” affermava Alessandro Silj
29
. Il
problema delle basi rimase per un lungo periodo uno dei nodi della politica
estera italiana; impedirne, infatti, l’uso avrebbe comportato serie difficoltà
nella gestione della conseguente crisi.
Dopo il caso di Sigonella gli USA furono senz’altro più attenti nel fare delle
basi un uso conforme al loro status di strutture NATO, ma rimane il fatto che
i due paesi avevano un modo assolutamente diverso di sviluppare rapporti
con realtà potenzialmente pericolose come la Palestina, la Libia ed il Medio
Oriente in generale: mentre gli Stati Uniti erano un risk taker, l’Italia voleva
essere ed era un risk avoider
30
.
Anche questa è un’affermazione , a mio parere, incontrovertibile, perché gli
americani, volendo e sapendo assumere rischi, avrebbero agito comunque,
mentre gli italiani, tendendo ad evitarli, avrebbero cercato di guadagnare
tempo.
Non è difficile capire la ragione di questo diverso atteggiamento: gli Stati
Uniti avevano la convinzione di essere “la” superpotenza, il paese che poteva
imporre, se necessario anche con la forza, le decisioni che riteneva giuste.
L’Italia, al contrario, piccola nazione che si avviava a divenire potenza
regionale, doveva per forza valutare i rischi di azioni in un’area in cui le
conseguenze sarebbero state subite da essa stessa e dall’Europa, sia per
contiguità geografica , sia per interessi commerciali.
La convivenza, quindi, avrebbe potuto essere più vantaggiosa di un
conflitto, se si fossero accettati i limiti, ma anche i vantaggi, della propria
condizione di potenza regionale.
Ecco perché, a mio avviso, l’Italia si opponeva occasionalmente alle
“esagerazioni” dell’alleato.
29
Silj A.,op. cit., pp. 22-23
30
Ivi, p. 24
9
Naturalmente, parlare in termini equi ed equidistanti di questo argomento,
analizzare la trasformazione dell’alleanza, argomento di cui, come già
accennato, tratterà il lavoro, è molto difficile: il periodo in questione è, forse,
ancora a noi troppo vicino, e talmente colmo di fatti che hanno contribuito a
cambiare la storia italiana ed internazionale, che avrebbe bisogno dell’azione
del tempo per poter permettere un giudizio scevro da posizioni partigiane e
capace, quindi, di offrire una visione assolutamente priva di pregiudizi.
Periodo, questo, molto buio per l’Italia, sia in politica interna che estera,
periodo tra i peggiori del nostro Paese: il terrorismo, la crisi della politica,
l’assassinio di Aldo Moro, l’eurocomunismo, il pugno duro nei confronti degli
Stati Uniti, da cui derivò l’episodio di Sigonella, ed il caso degli euromissili
influenzarono profondamente i rapporti con l’alleato.
Dall’altra parte dell’Atlantico, neanche quest’ ultimo, però, stava vivendo
un periodo particolarmente favorevole: dopo lo scandalo del Watergate che
aveva costretto il presidente Nixon alle dimissioni per evitare l’impeachment, era
stato eletto James Earl Carter che aveva promesso una svolta culturale e
strategica della politica interna ed estera in senso altamente moralistico,
affermando che “…è impensabile adottare nelle relazioni con altri stati
comportamenti contrari agli standard etici e morali…”
31
e che “…bisogna
liberarsi dell’esagerata paura del comunismo, per impegnarsi in maniera
assoluta nella difesa dei diritti umani…”
32
.
I partiti comunisti dell’Europa occidentale sarebbero stati giudicati
dall’impegno concreto dimostrato nella causa dell’indipendenza dall’Unione
Sovietica, della democrazia e della collaborazione con la Comunità Europea e
con l’Alleanza Atlantica
33
.
Il PCI, in particolare, fu analizzato secondo un duplice punto di vista: da un
lato come partito che rappresentava gli interessi del nemico sovietico,
31
Intervista rilasciata da Carter al mensile Playboy, in Del Pero, op. cit., p. 368
32
Ibidem.
33
Gardner R. N., op. cit., p.41
10