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Mentre però i mercanti (con la sola eccezione di Marco Polo) non hanno
prodotto testimonianze scritte, i numerosi religiosi – in prevalenza francescani -
che si recarono in Cina per svolgere opera di evangelizzazione o perché
incaricati di missioni diplomatiche compilarono lettere e relazioni per i superiori,
lasciandosi andare anche a giudizi estetici (negativi sugli uomini incontrati,
molto positivi sulle donne intraviste).
Per contro, nei testi cinesi gli occidentali venivano caratterizzati con occhi
azzurri, capelli biondi e donne molto più formose rispetto alle cinesi.
A partire dal secolo XIV la Cina dei Ming, dopo essersi liberata dai dominatori
mongoli, si chiuse in una reazione nazionalistica, rinunciando alle spedizioni
oltremare e permettendo solo a pochi occidentali di stabilirvisi; tra questi
primeggiavano i gesuiti (denominati “mandarini occidentali”), in buona parte
nostri connazionali, apprezzati in quanto buoni conoscitori della lingua e della
cultura cinese, nonché ritenuti assai preziosi grazie alle loro conoscenze
tecniche e scientifiche (specialmente nei campi di astronomia e balistica).
Anche nei secoli a seguire, furono proprio i confratelli della Compagnia di Gesù
– Matteo Ricci in primis, che si distinse per i modi estremamente cortesi e per le
sue notevoli capacità linguistiche - a presentare ai cinesi un’immagine nobile
degli europei, in grado di compensare i contrasti che si susseguirono con
mercanti e marinai portoghesi prima, spagnoli e olandesi poi (contrasti che
suscitarono autentiche manifestazioni di xenofobia, diedero origine a epiteti
come “diavoli d’oltremare”, produssero accuse dei peggiori crimini, fra cui quello
di rapire e mangiare bambini).
La Storia dei Ming, che dedicò una sezione ai paesi stranieri, si sforzò di
distinguere l’Italia dal resto dell’Europa (che veniva descritta in termini poco
lusinghieri), assecondando la simpatia che la corte imperiale accordava agli
italiani. Tuttavia, per equivoco, l’Italia venne identificata con lo Stato della
Chiesa, percepito come un impero sopranazionale; ciò fece insinuare nelle
menti dei letterati cinesi il sospetto che la dottrina propagandata fosse un’arma
per corrompere la popolazione locale e avviare così una conquista della Cina.
Allorché alla dinastia Ming, decaduta a causa di corruzione e malgoverno,
succedette la cosiddetta epoca d’oro (durata tutto il secolo XVIII) dei mancesi
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Qing, la Cina intensificò gli scambi culturali al di fuori delle sue frontiere, in
particolar modo con l’Europa.
Cambiarono però gli attori sulla scena: nel 1773 la Compagnia di Gesù venne
soppressa, cosicché l’opera di evangelizzazione subì un brusco rallentamento,
in quanto i papi, mal informati e influenzati dalle posizioni centrifughe dei nuovi
evangelizzatori (principalmente francescani e domenicani) emanarono dei
provvedimenti che risultarono offensivi per i cinesi, in quanto negavano loro il
diritto a praticare le funzioni commemorative rivolte agli antenati e a Confucio.
Gli scritti dei gesuiti avevano generato un euforico entusiasmo in coloro che poi
avrebbero fatto la rivoluzione in Francia; in generale l’infatuazione per la Cina -
paese in cui “ognuno era fabbro della propria fortuna”, senza rimanere
incastrato in status sociali ereditari, o almeno così veniva riferito - si manifestò
in ogni campo (arte, teatro, letteratura).
Il primato nel campo degli studi sinologici, che spettava al nostro paese e che
raggiunse il culmine nel corso del secolo XVII, andò man mano scemando. A
quel tempo però i nostri connazionali potevano ancora vantarsi di essere stati i
primi in molti ambiti: Matteo Ricci nella testimonianza scritta - e vissuta in prima
persona - della Cina e della sua cultura, Michele Ruggeri nella primissima
traduzione di un classico confuciano ad essere pubblicata in Europa, Martino
Martini nella descrizione geografica della Cina corredata da atlante, nonché
nella ricostruzione della storia e della grammatica cinesi.
Nel frattempo un cinese produsse il primo resoconto della sua esperienza in
Italia: Fan Shouyi fu adoperato come tuttofare (domestico, traduttore) dal
gesuita Provana, il quale, ritornato in Italia, lo presentava ufficialmente come
ospite e letterato. In Annotazioni di cose viste di persona, Fan risponde
probabilmente ai quesiti che le autorità cinesi gli posero al ritorno in patria,
essendo il tono del trattato sospetto: arido di esperienze personali ed elogiativo
oltre misura, in particolare nei confronti del tema principale, Roma, quasi a
dover giustificare la scelta della conversione a una religione straniera (il
cattolicesimo).
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L’immagine della Cina iniziò ad offuscarsi nel momento in cui i classici
interlocutori - Italia, Portogallo e Spagna - vennero rimpiazzati economicamente
e culturalmente da Francia, Germania e, soprattutto, Inghilterra.
In Italia già nel corso del Settecento il riflessivo Vico, l’irruento Baretti,perfino il
celebre Vittorio Alfieri (che maltratta Confucio in una commedia), avevano
preannunciato il futuro atteggiamento europeo verso la Cina, che si sarebbe
sempre più costituito di feroci critiche, sino al disprezzo.
In ogni caso fu l’Inghilterra che, impostasi con la propria potenza navale e
impegnata nella colonizzazione commerciale dell’Asia, contribuì maggiormente
a proiettare sul virtuale schermo europeo una Cina decadente, popolata da
individui interessati solo al profitto materiale e corrotti dall’abuso di oppio, da
destinare insomma alla redenzione attraverso il commercio e
l’evangelizzazione. Di quest’ultimo aspetto si occuparono i missionari
protestanti; essi, a differenza dei gesuiti che li precedettero, s’impegnarono
nella evangelizzazione degli strati più bassi della popolazione, con esiti peraltro
alquanto scarsi, se non fosse che contribuirono tramite svariate opere a fornire
fonti originali per la conoscenza dei paesi dell’Occidente.
In linea di massima, però, le autorità cinesi mostravano un interesse
esclusivamente commerciale per gli stranieri (sentimento pienamente
ricambiato dagli occidentali), in quanto li consideravano semplicemente come
dei barbari.
Il primo ‘Marco Polo’ cinese fu Xie Qinggao, che con il suo Resoconto dei mari
si stupiva soprattutto della facilità con cui gli occidentali – compresi gli abitanti di
Roma, brevemente tratteggiati - dei due sessi si toccassero.
In definitiva, comunque, i cinesi ebbero idee molto vaghe sugli occidentali,
almeno fino a quando questi li sconfissero nella prima guerra dell’Oppio (1839-
1842), consolidandone le impressioni negative e la predisposizione alla
diffidenza, in virtù della supposta superiorità morale e culturale cinese.
Una voce fortunatamente fuori dal coro, che venne messa per iscritto in
Cronache illustrate dei paesi d’oltremare, fu quella del funzionario Wei Yuan, il
quale propendeva per uno sforzo di comprensione interculturale, piuttosto che
per una chiusura ermetica del paese. Nella sua opera, che rimase a lungo una
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guida per i letterati suoi connazionali, egli include tra l’altro un breve riepilogo
delle relazioni tra l’Italia e la Cina, oltre ad una rassegna abbastanza dettagliata
dei vari Stati italiani; c’è da dire che, essendo le sue fonti risalenti a periodi
molto disparati, l’idea che affrescò del nostro Paese non risultò molto coerente.
L’illusione che bastasse “apprendere la tecnica occidentale per vendicarsi
dell’umiliazione subita” e controllare gli occidentali si sgretolò quando, nel 1860,
le forze alleate occuparono la capitale, costringendo l’impero a capitolare al
commercio straniero e a gestire con essi rapporti paritari; altra conseguenza fu
la creazione di scuole di lingue occidentali.
Gli italiani che in quegli anni ebbero l’occasione di esplorare la Cina furono
pochi (annotazione tragicomica: Giuseppe Garibaldi vi si recò solo per vendere
escrementi di uccelli), poiché l’Italia strappò in ritardo (nel 1866) l’accordo per
un trattato commerciale analogo ad altri già ottenuti dalle altre potenze europee.
Ad ogni modo l’esigua comunità di marinai italiani stanziata in Cina ebbe non
pochi problemi con la giustizia locale, offrendo un’impressione non esaltante del
nostro popolo.
Probabilmente furono questi pregiudizi a scortare la prima missione in Italia nel
1868; nel relativo diario si reperiscono (oltre a quelle stesse espressioni di
sorpresa per alimentazione e fattezze , o di disapprovazione per un apparente
sottomissione nei confronti delle donne, che si ritrovavano riferite anche ad altri
paesi europei) informazioni relative a Torino, Milano, Napoli, agli scavi di
Pompei, agli acquedotti romani e – unica cosa realmente apprezzata – alle
ciliegie di Firenze.
Sull’onda della nuova apertura all’Occidente, i missionari protestanti
incrementarono le produzioni di testi di argomenti non più soltanto religiosi e
scientifici, ma pure di cultura generale (anche a proposito dell’Italia).
Nel 1888 il funzionario Hong Xun, di ritorno dalla nostra penisola, dimostrò
grande interesse per le bellezze incontrate in Cose viste e sentite visitando
l’Italia; venne imitato negli intenti di approfondimento da uno dei capi della
prima missione permanente in Italia, Xu Jindeng. Possiamo così sapere, ad
esempio, quanto i ministri cinesi si meravigliassero del fatto che il re li ricevesse
rimanendo in piedi.