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INTRODUZIONE
Nel corso del ‘900, si è avuto un aumento dell’impiego delle fonti di energia
per la produzione di beni e servizi, ed una continua ricerca, sia di nuovi modi per
poterle utilizzare, sia di eventuali possibili alternative.
Per fonti di energia si intende un insieme di prodotti vasto ed eterogeneo, che
comprende sostanze naturali reperibili con un processo più o meno difficoltoso di
ricerca, come il carbone, la lignite, il petrolio, il gas naturale e l’uranio, e materiali di
uso comune, quali la legna da ardere.
Tutte queste tipologie hanno come caratteristica comune, quella di essere
utilizzate per la loro capacità di bruciare in un certo modo, sprigionando energia
calorica o meccanica.
Le fonti energetiche sono considerate sia beni strumentali, in quanto adoperati
per le attività produttive, che beni di consumo, per soddisfare esigenze di
confort,come ad esempio per il riscaldamento nelle abitazioni, o di mobilità.
Questa duplice funzione ha due conseguenze principali: in primo luogo il
livello dei prezzi delle fonti di energia influenza i costi delle attività produttive, in
particolare per quanto riguarda le industrie di base, causando un’incidenza diretta sul
livello di benessere della comunità. In secondo luogo, l’aumento di fabbisogno di
energia e di reddito, risultano allineati, con un incremento più rapido in fase di
espansione economica, o meno rapido in fase di recessione o stagnazione.
Un livello alto dei prezzi delle fonti di energia ha anche altri effetti. In primis,
diminuisce la convenienza alla meccanizzazione delle fasi produttive, tenendo
quindi, bassa, la produttività del lavoro. Ha, poi, ripercussioni negative sui paesi non
autosufficienti, che devono importarne una quantità rilevante e che sono soggetti, di
conseguenza, ad un importante esborso di denaro, il quale può costituire un
deterrente allo sviluppo economico.
Parlare però di “prezzo dell’energia” risulta fuorviante, in quanto l’energia non
è un bene omogeneo, ma un insieme di elementi diversi tra loro. Esiste, invece, un
“mercato dell’energia”, poiché le diverse fonti hanno rapporti di stretta
interdipendenza, sia per quanto riguarda l’offerta, dato che molte di loro sono
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prodotte insieme alle altre, che per la domanda, in quanto alcune fonti possono
sostituirsi l’una all’altra.
Il concetto di sostituibilità può essere letto sotto un duplice aspetto: il primo
riguarda la possibilità, tecnica, di adoperare una fonte energetica piuttosto che
un’altra per un determinato risultato, e da ciò deriverebbe l’idea che tutte fonti
energetiche possono essere sostituibili.
Il secondo, la possibilità di usare l’una o l’altra, tenendo in considerazione i
prezzi, la comodità d’uso e la qualità del risultato che ve ne si ricava, e da questo
punto di vista, la sostituibilità, si riduce notevolmente.
Essa, inoltre, viene ridotta anche dal progresso tecnico, che crea una serie di
fonti derivate, specializzate per usi specifici e, quindi, meno sostituibili.
Gli idrocarburi
Nella nostra epoca, sono gli idrocarburi, quali il petrolio greggio ed il gas
naturale, ad essere considerati le fonti di energia per eccellenza per la produzione e i
consumi.
L’utilizzo del petrolio è iniziato a metà dell‘800 ed ha avuto una crescita
rapida, anche se in Europa occidentale ha soppiantato definitivamente il carbone solo
dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Questa sua definitiva affermazione è dovuta, dal lato della domanda, dallo
sviluppo della motorizzazione e dei fabbisogni termici, industriali e domestici,
poiché convenienti dal punto di vista economico. Dal lato dell’offerta questa
espansione si deve alla scoperta di enormi giacimenti a basso costo, trovati
soprattutto in Medio Oriente, che ha creato una distribuzione disomogenea delle
riserve, sia geografica, che per quanto riguarda i consumi e i costi di produzione.
Questo aumento di peso specifico nell’economia ha fatto nascere quella che
viene chiamata “industria petrolifera”, composta da tutta quella serie di operazioni,
attività e settori eterogenei, dalla fase iniziale di ricerca mineraria, alla fase di
produzione, una volta trovati i giacimenti, fino alle fasi finali di raffinazione per
trasformare i prodotti e venderli ai consumatori.
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Caratteristiche peculiari dell’industria petrolifera sono: l’alta integrazione
verticale, la grande dimensione delle imprese presenti ed il loro potere sul mercato
petrolifero.
Il primo aspetto è causato da un andamento discontinuo dei profitti, dal fatto
che gli impianti petroliferi richiedono grandi investimenti iniziali e, quindi, vengono
sfruttati al massimo delle loro capacità e, infine, un’organizzazione integrata ha
vantaggi nel programmare ed adattare i programmi operativi ai cambiamenti del
mercato.
In secondo luogo le imprese che operano nell’industria petrolifera sono di
grandi dimensioni, per reagire meglio ai mercati e sopportare la concorrenza. Inoltre,
essere grandi, risulta utile anche per il contesto internazionale in cui operano. Le
risorse di cui si servono, infatti, sono dislocate in maniera disomogenea ed in aree
geografiche diverse, per cui maggiori saranno le dimensioni di una compagnia,
maggiore sarà la possibilità che essa riesca ad operare nelle diverse aree del mondo e
riuscire ad aggiudicarsi riserve energetiche relativamente sufficienti, per agire ed
assumere un ruolo di primo piano nel mercato.
Infine le compagnie godono di molto potere, il quale è anche correlato
positivamente con i profitti che riescono ad ottenere: se aumentano i guadagni,
aumenta di conseguenza anche il potere, che ricade poi sui consumatori e sulle loro
scelte. Essi, infatti, non possono ridurre sensibilmente la domanda delle fonti di
energia, che è quindi rigida, nonostante si trovino di fronte a prezzi alti, poiché
l’energia non risulta sostituibile nei processi produttivi, e nei consumi, che risultano
difficilmente comprimibili.
Solo gli Stati hanno i mezzi più appropriati per intervenire e regolare l’offerta o
per evitare comportamenti monopolistici.
La politica petrolifera riguarda la programmazione di uno Stato per assicurarsi
un quantitativo di fonti energetiche per soddisfare i propri bisogni.
Ci sono Stati che sono produttori e, quindi, utilizzano le proprie fonti ed
esportano le eccedenze che hanno e ci sono, invece, Paesi che non sono
autosufficienti, ossia non dispongono di proprie fonti e devo acquistarle da altri
paesi.
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Quest’ultimo è il caso dell’Italia e, insieme, il punto di partenza della mia
tesi.
È noto infatti che l’Italia, con l’Eni di Enrico Mattei, ebbe un ruolo di
autentico pioniere non solo nell’affrontare in modo nuovo la questione energetica ma
anche, in questo quadro, di istituire rapporti diretti con la Russia, allora parte
dell’Unione Sovietica.
In primo luogo la mia tesi, sulla base dei materiali disponibili presso
l’archivio Eni e anche in virtù delle ultime pubblicazioni sull’argomento
1
, intende
ripercorrere le fasi salienti della genesi del rapporto Italia-Russia dal punto di vista
sopra citato a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta: quali sono i tratti peculiari di
questo rapporto? Quali dimensioni implica? Solo commerciali o anche geopolitiche e
ideologiche?
In secondo luogo intendo evidenziare i tratti principali degli accordi Italia-
Russia a partire dal 1989.
Le conclusioni del mio lavoro consistono proprio nel paragonare i due
periodi.
Quali le affinità, quali le differenze, quali le continuità, quali le rotture?
L’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha sempre visto come uno
dei maggiori risultati della sua quasi ventennale presenza sulla scena politica l’aver
creato una special relationship con la Russia, inedita rispetto al passato. Fino a che
punto questa affermazioni è vera, e sino a che punto invece egli si è inserito in un
solco tracciato da altri?
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Recchi Giuseppe, Nuove energie. Le sfide per lo sviluppo dell’Occidente, Marsilio Editore, Venezia,
2014
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1. ACCENNI DI POLITICA PETROLIFERA MONDIALE E LA
POLITICA PETROLIFERA ITALIANA DAL SECONDO
DOPOGUERRA AGLI ANNI ‘90
1.1 Gli albori della politica petrolifera italiana
La politica petrolifera italiana nasce prima della seconda guerra mondiale, ma
dopo tale periodo storico diventa sempre più un settore cardine per l’economia.
Sotto il regime fascista ci fu il primo impulso decisivo, con la costituzione, nel
1926, dell’AGIP (Agenzia Generale Italiana Petroli), il primo ente italiano con
compiti specifici nel settore energetico.
L’Agip si muoveva, quindi, sul mercato petrolifero, considerato in ascesa, e
non su quello carbonifero, nonostante all’epoca quest’ultimo fosse nettamente
predominante nei consumi.
Le vennero attribuiti compiti generali su tutti i settori di attività dell’industria
petrolifera: dalla ricerca dei siti fino alla distribuzione e vendita del prodotto finito.
Tuttavia, essa non agiva in proprio, ma da contrattista per lo Stato, il quale finanziava
piani di ricerca, approvandoli volta per volta e che affidava all’Agip.
La sua attività fu importante per la ricerca mineraria, soprattutto in Val Padana,
con la scoperta del gas naturale a Caviaga, vicino a Lodi, e per la ricerca di nuove
fonti energetiche, in particolare attraverso la lavorazione dei minerali poveri, anche
se non andò a buon fine.
Storicamente si rileva la nascita, nel 1940, dell’Ente Nazionale Metano, nel
1941 della Snam (Società Nazionale Metanodotti).
1.2 La politica petrolifera italiana nel secondo dopoguerra
La situazione italiana, alla conclusione della seconda guerra mondiale, vede un
paese in macerie, che deve pensare a ricostruire le infrastrutture e attrezzature
produttive della propria economia.
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Per quanto riguarda il settore energetico, strategico per la ripresa industriale, si
trovò di fronte a razionamenti e controlli quantitativi, come conseguenza della
distruzione lasciata dalla guerra.
Bisognava scegliere quali settori ricostruire o riconvertire, dato che non si
potevano disperdere le poche risorse disponibili.
L’AGIP, poi, subisce una battuta d’arresto, in quanto viene smantellata, per
decisione del governo, la divisione ricerche, mentre le permane la gestione
commerciale, assorbita però, dal Comitato Italiano Petroli, un organo amministrativo
istituito dagli alleati.
Tale provvedimento venne intrapreso sia per motivi politici, in quanto la nuova
dirigenza proveniva dalla Resistenza e vedeva l’AGIP come un ente dettato dalla
precedente politica autarchica, dannosa per la collettività, sia per un’attenzione a
privilegiare quei settori che avrebbero garantito risultati immediati per la necessaria
ripresa economica.
Infatti era opinione comune che il sito di Caviaga, ad esempio, potesse avere
maggiore potenziale, ma poiché le ricerche erano state a lungo infruttuose, si
nutrivano molti dubbi a riguardo.
Tuttavia nacquero resistenze alla smobilitazione all’interno dell’azienda al
Nord, dove vi erano i gruppi tecnici più importanti ed era stato eletto come
Commissario, dai Comitati di Liberazione, Enrico Mattei. Proprio il prestigio di
quest’ultimo fu determinante per il proseguimento delle ricerche, insieme alle
capacità tecniche delle divisioni.
Tale perseveranza venne premiata, all’inizio del 1946, con la scoperta di un
giacimento nello stesso sito, con capacità produttiva superiore al primo individuato,
importante poiché significava la presenza di altri nelle vicinanze.
Altro aspetto fondamentale di tale scoperta, oltre alla possibilità di accelerare le
ricerche, fu il fatto di impedire la privatizzazione dei cantieri. Il gas naturale ed il
petrolio, infatti, dovevano contribuire in maniera significativa alla ripresa ed allo
sviluppo dell’economia italiana e, per questo, il loro sfruttamento non doveva essere
ad opera di soggetti privati, i quali avrebbero curato prevalentemente i propri
interessi, rispetto a quelli della collettività.