2
Premessa
Domenica, ore 14:01.
Ci guardiamo intorno, sorpresi che ancora il telefono non suoni quando ecco,
finalmente, il vero suono della domenica. Rispondo e «Hello, Martina» si sente dalla
cornetta del telefono.
È la nostra zia d’America che chiama, come ogni domenica, alle 14 in punto perché
sa che in quel momento tutta la famiglia è riunita per il pranzo. Vuole parlare con la
nonna e così le due cognate resteranno al telefono per quasi mezz’ora, come se non si
sentissero da mesi, per parlare di ciò che accade ai parenti in Sicilia ma anche agli
atri, non pochi, che sono oltreoceano. È quasi una rassegna di nomi, uno dopo l’altro,
di notizie felici e di altre meno, dei nostri progressi a scuola e delle sue condizioni di
salute ma spesso, e questo lo capivo anche allora, non era tanto il “cosa” si diceva, il
che molte volte non aveva niente di nuovo rispetto alla domenica precedente, ma il
“come” si diceva, il continuare ad utilizzare certi suoni che fanno parte di te e che hai
dovuto abbandonare e il ripercorrere spesso con la mente certi sapori, certi odori,
certi rumori che mia nonna evocava nei suoi racconti e che zia Grace in quei
momenti sentiva, ancora per una volta, vicini.
Ogni domenica della sua vita quella chiamata. Così, a poco a poco, è diventata parte
integrante della nostra routine domenicale ed essenza stessa delle nostre giornate.
Crescendo, iniziai a riflettere sulla sua figura e su quella di tanti altri parenti che
dovettero lasciare la pur’amata Sicilia inseguendo un sogno di ricchezza…o d’amore.
E iniziai a incuriosirmi di quell’americano sicilianizzato o di quel siciliano
americanizzato che sentivo e che ci forniva grandi momenti di ironia che
riproponevano il parlare di zia Grace o di altri cugini, parenti e amici da tempo
emigrati.
Prima di scegliere l’argomento su cui basare la mia tesi universitaria mi è stato detto
che avrei dovuto fare qualcosa che sentivo dentro, qualcosa che era parte di me,
qualcosa che mi interessava davvero. Non ho avuto dubbi.
3
Ho deciso, così, di mettere a punto un metodo di ricerca che fosse quanto più
scientifico possibile, volto ad osservare da vicino non soltanto il perché si decide di
intraprendere un viaggio che ci lascerà per sempre monchi, ma anche cosa è accaduto
a tali “emigrati a metà” una volta giunti nella nuova terra, la terra che sarebbe
diventata un giorno casa loro, ma che non avrebbe mai posseduto quella potenza
affettiva che invece aveva l’isola in cui avevano lasciato il cuore.
L’analisi dell’emigrazione siciliana negli Stati Uniti d’America è stata condotta sia
da un punto di vista etnoculturale sia da un punto di vista prettamente linguistico.
La ricerca è articolata in tre grandi momenti.
Un primo momento è quello più prettamente storico. Ho voluto, difatti, iniziare
l’esposizione dell’argomento in maniera diacronica osservando l’emigrazione
italiana prima e siciliana poi, dal periodo postunitario al secondo Novecento,
soffermandomi in seguito su questioni relative all’emigrazione contemporanea,
ovvero quella che viene definita dai mass media “fuga di cervelli”.
Il capitolo successivo entra nel vivo della questione, zoomando l’attenzione sui
singoli migranti: chi sono, dove sono, cosa fanno?
Il migrante è visto da un punto di vista culturale, sociale e psicologico: si analizza,
infatti, il rapporto con la cultura dominante, il mestiere e le condizioni lavorative e
abitative di donne, uomini e bambini, si lascia spazio, infine, a quella che gli studiosi
chiamano “psicologia del migrante”, soffermandomi in particolar modo sulle
sensazioni di spaesamento e di vuoto che accompagnano il migrante lungo il tragitto
che va dal paese natio alla nuova terra ma che continuano ben oltre, fino a quando
non ci si renda davvero conto di essere una creatura ibrida con un passato magnifico
alle spalle, ma anche con uno splendido futuro da costruire.
Con il terzo capitolo si apre il terzo momento che riguarda essenzialmente la mia
ricerca. Questa è avvenuta tramite l’utilizzo del social network Facebook che mi ha
permesso di reclutare un grande numero di siculo-americani cui sottoporre il mio
test.
4
Il test si articola in tre fasi.
La prima fase consiste nella compilazione di un questionario generale volto ad
esaminare in che modo si manifesti il legame con la Sicilia anche dopo decenni di
distanza.
La seconda fase è quella prettamente linguistica e si prefigge l’obiettivo di indagare
la competenza di sostantivi, verbi, aggettivi e modi di dire siciliani all’interno delle
comunità siciliane in America.
Un’ultima fase ha voluto analizzare i pregiudizi linguistici presenti in tale comunità
anche in una linea di continuità con la mia tesi triennale dal titolo Tra ideologia e
comportamenti linguistici. Una ricerca nelle scuole di Terrasini, o meglio di
confronto tra le ideologie e i pregiudizi linguistici presenti nel nostro territorio e
quelli presenti oltreoceano, da parte di chi considera il siciliano la propria heart
language.
Si passano in rassegna le singole risposte, fornendo, in qualche caso, grafici e tabelle
utili per una rapida consultazione.
Alla fine del volume si potrà consultare, inoltre, l’appendice in cui sono riportati i
questionari somministrati al campione di ricerca.
5
CAPITOLO I
Il sogno americano
1. Dall’Italia all’America
Se migrare etimologicamente si lega al concetto di mobile, allora non può non
diventare immediatamente emblema della nostra Italia, di un territorio in cui, sin dai
primordi della storia, si sono mossi popoli all’interno di esso e dall’interno verso altri
paesi. Un territorio che ha visto realizzarsi uno dei più eccezionali spostamenti
dell’umanità, tanto da rendere lecito dire che «nelle sue caratteristiche principali,
essa non ha precedenti. Per il numero di persone coinvolte e per le rotte che ha
percorso, per la sua lunga durata e per il suo ruolo in altri paesi, essa rimane unica»
1
.
Dobbiamo, dunque, soffermarci brevemente sul fenomeno nazionale, prima di
focalizzarci, altrettanto brevemente, sull’emigrazione siciliana, grande protagonista
di questi eventi.
Audenino e Tirabassi
2
affermano che si può e si deve parlare di una migrazione
italiana ancor prima del compimento dello stato nazionale. Già nel XIV secolo si
attesta la presenza di artigiani e mercanti non solo nel Mediterraneo ma anche
nell’Europa settentrionale. È già dall’età medioevale e in particolare dall’età
moderna che la possibilità di maggiore guadagno, di valorizzazione delle competenze
professionali furono considerati fattori non irrilevanti nella propria vita, anche a
costo di trasferimenti che andavano oltre la sfera locale. È però alla fine del
Settecento, a causa di un sempre crescente impoverimento delle campagne e dei
contadini, che si assiste ad un notevole incremento dei fenomeni migratori, che
raggiungeranno l'apice a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo. Data
fondamentale il 1783, anno della fondazione della Repubblica americana, dove
giunsero i cosiddetti Pionieri:
1
Foesrster, R., The Italian Rmigration of Our Times, 1968, p. 3, In Alcorn, J., Forze e meccanismi in
atto nella Grande Emigrazione verso l’America, Neos, 2008, p. 47.
2
Audenino, P., Tirabassi, M., Migrazioni italiane. Storia e storie dall’Ancien régime a oggi, Bruno
Mondadori, 2008.
6
Molti di quelli che sono considerati i Pionieri erano per lo più
intellettuali, ovvero appartenenti alle categorie professionali tipiche
italiane. Giunti nel nuovo continente si concentrarono soprattutto
nel Nord-Est e nella bassa valle del Mississippi. Le loro intenzioni
furono subito quelle di rimanere, continuando le attività proprie di
commercianti, artisti, musicisti ed insegnanti. […] L’America, più
di ogni altro paese, necessitava delle competenze professionali e
delle abilità artistiche dell’Europa.
3
Tuttavia è solo con l’unificazione dell’Italia che si possono avere informazioni
dettagliate in merito alle emigrazioni, poiché soltanto dopo l’unificazione si iniziò a
registrare il flusso migratorio, attraverso i censimenti e il controllo nell’emissione dei
passaporti.
La storia postunitaria dell’emigrazione italiana può dividersi in tre grandi periodi: il
primo comprende il periodo tra l’unificazione e la prima guerra mondiale che vede
un incremento tanto imponente del numero delle migrazioni da passare alla storia
con il nome di “grande migrazione”; il secondo comprende gli anni tra le due guerre
mondiali; il terzo dalla seconda metà del Novecento agli anni settanta. Nel paragrafo
finale di questo capitolo cercherò di fare il punto sulla questione dell’emigrazione
italiana nel terzo millennio.
2. La grande migrazione
Gli anni ’60 dell’Ottocento sono fondamentali per l’emigrazione transoceanica e ciò
è dovuto a tutta una serie di importanti fattori: da un lato la rivoluzione dei trasporti
che, tramite l’introduzione del battello a vapore, ridusse notevolmente il tempo della
traversata e conseguentemente il costo di questa, dall’altro l’approvazione dello
Homestead Act nel 1862 che concedeva gratuitamente degli appezzamenti di terreno
nell’America occidentale, per sollecitarne l’insediamento. Non molti italiani in realtà
usufruirono di questo provvedimento che restò in vigore solo pochi anni: fu difatti
solo dopo il 1880 che gli italiani, in massa, raggiunsero gli Stati Uniti, ma
3
Guccione C., Il flusso emigratorio italiano verso gli Stati Uniti d’America. Studi e opinioni a
confronto. ISSPE, Istituto Siciliano Studi Politici ed Economici, 2002.