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A maggior ragione nel contesto attuale di crisi della produttività e in vista della fase
recessiva che si prospetta per l‟economia mondiale, uno dei fattori di rilancio può essere
proprio il capitale umano: costituito da tutte le caratteristiche acquisite dai lavoratori che li
rendono pi produttivi, esso ha il suo nucleo fondamentale proprio nelle competenze,
conoscenze e abilità possedute da ciascun individuo. Il capitale umano è l‟elemento che
permette il salto di qualità dalla mera manodopera, sempre pi marginale in un contesto di
automazione, a funzioni qualificate che richiedono capacità di comprensione e di
rielaborazione critica delle informazioni. A livello globale, la conoscenza e l‟innovazione
possono diventare il motore della crescita e permettere la riduzione del gap di ricchezza tra
i paesi ricchi e quelli arretrati: ne ? un esempio la clamorosa crescita delle Tigri Asiatiche,
legata all‟innovazione elettronica e basata in buona parte su una manodopera ben istruita e
ben addestrata sui posti di lavoro. Si deve inoltre tenere presente che il principale fattore
produttivo della conoscenza ? la conoscenza stessa: soltanto persone istruite o esperte
possono trasmettere competenze, nozioni, capacità ad altri individui. Questa peculiare
caratteristica del processo formativo fa s che si possa innescare un circ olo virtuoso in cui
la conoscenza genera nuova conoscenza, aumentando esponenzialmente l‟ammontare di
capitale dell‟economia; certo è vero anche il contrario: una scarsa dotazione di capitale
umano rende difficile crearne di nuovo, esponendo al rischio di rimanere bloccati in una
trappola di povertà e arretratezza. Per questo motivo ? fondamentale che i paesi non
trascurino di investire in conoscenza, allo scopo di divenire o mantenersi competitivi nel
nuovo contesto economico mondiale.
È evidente che i benefici di una popolazione istruita vanno ben oltre gli aspetti
economici e produttivi: la società ne guadagna anche sotto numerosi altri aspetti che vanno
dall‟attenzione sanitaria alla partecipazione politica, dalla tolleranza al calo della
criminalità. A livello individuale inoltre una maggiore istruzione ? associata in genere ad
uno status sociale migliore, oltre ad avere aspetti di godimento culturale sia immediati
(durante gli studi) sia duraturi. L‟istruzione costituisce inoltre uno dei principali veicoli
della mobilità sociale, permettendo a chi consegue una buona qualifica di affermarsi sul
piano professionale indipendentemente dalla propria estrazione sociale.
Il processo di trasmissione delle conoscenze avviene in modo naturale e spontaneo
nelle relazioni sociali, familiari e lavorative quotidiane, ma è istituzionalizzato all‟interno
del sistema scolastico, principale canale di formazione delle nuove generazioni. Un sistema
scolastico efficiente, accessibile a tutti e di qualità ? cruciale per la cr eazione di capitale
umano e quindi per lo sviluppo economico e sociale di un paese. Negli ultimi decenni le
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nazioni avanzate hanno vissuto un‟espansione dell‟istruzione senza precedenti: l‟avvento
della scolarizzazione di massa, il progressivo aumento del livello medio di istruzione,
l‟accresciuta partecipazione scolastica sono stati fattori chiave del passaggio all‟economia
della conoscenza e costituiscono importanti elementi di differenziazione tra i paesi avanzati
e quelli pi arretrati. Sebbene anche ne lle economie mature vi siano ancora numerosi passi
da fare, è evidente che la quantità di istruzione di un‟economia non può aumentare
indefinitamente nØ verticalmente (in termini di numero di anni di istruzione formale degli
individui) nØ orizzontalmente (in relazione alla quota degli individui che partecipano
all‟istruzione). Recentemente, quindi, l‟attenzione si sta spostando dal tema della quantità
di istruzione a quello della qualità, un altro elemento cruciale che contribuisce a
determinare l‟ammontare di capitale umano acquisito dagli individui durante la formazione
scolastica. È infatti evidente che lo stesso numero di anni di istruzione pu avere diverso
valore se acquisito in sistemi scolastici differenti: oltre ad essere organizzati e strutturati in
modi variegati, i sistemi di istruzione delle varie nazioni possono fornire bagagli di
competenze anche molto diversificati, caratterizzati da tipologie di competenze differenti
che possono avere risvolti diversi in termini di utilità sul piano lavorativo. A parità di anni
di istruzione, l‟effettivo ammontare di capitale umano acquisito dagli individui può dunque
variare in modo rilevante.
Il compito di misurare la qualità scolastica ? ben pi impegnativo di quello, già
arduo, di quantificare il livello medio di istruzione della popolazione: ? infatti assai difficile
trovare misure di confronto internazionale per comparare la qualità di sistemi scolastici
cos eterogenei. La strada che si sta percorrendo ? quella delle rilevazioni dirette e ad hoc
sulle competenze degli studenti, condotte in modo standard e confrontabile tra diversi
paesi. Alcune organizzazioni internazionali hanno intrapreso questa missione in modo
sistematico e rigoroso: la crescente disponibilità di risultati permette di far nuova luce su
numerosi aspetti dei sistemi scolastici e di rileggere alcune relazioni già indagate in una
nuova prospettiva. Naturalmente qualunque misura di qualità scolastica costituisce una
semplificazione e un‟approssimazione, in quanto è impossibile tenere conto di tutte le
specificità dei sistemi educativi nazionali; le rilevazioni cognitive internazionali, ad
esempio, confrontano le conoscenze degli studenti in un punto preciso del loro percorso
scolastico, uguale per tutti i paesi: i risultati sono senza dubbio influenzati
dall‟organizzazione dei programmi scolastici e dalla tipologia di apprendimento richiesta
agli studenti. Le competenze utili possono essere inoltre variabili tra un paese e l‟altro in
base alla struttura dell‟economia; tuttavia i test internazionali misurano generalmente le
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competenze di base in lettura, matematica e scienze, materie considerate importanti in
qualunque contesto economico.
In ogni caso, una misura anche approssimativa della qualità scolastica specifica dei
vari sistemi scolastici ? molto importante in quanto permette di calcolare in modo pi
preciso l‟effettivo ammontare di conoscenza di un‟economia. Raffinare la misurazione
dello stock di capitale umano dei paesi ? cruciale per cogliere meglio la relazione tra
istruzione e crescita economica: l‟approccio tradizionale infatti prende in considerazione
soltanto gli anni di istruzione, studiandone l‟impatto sulla crescita e sulla produttività. I
primi tentativi di analisi che tengano conto anche degli aspetti qualitativi mostrano per un
netto miglioramento dei risultati rispetto agli studi tradizionali, suggerendo un ruolo
importante ricoperto dalla qualità scolastica nel determinare il potenziale produttivo.
Questo nuovo approccio pu gettare nuova luce sugli aspetti cruciali dell ‟istruzione,
fornendo indicazioni di policy importanti per avere un sistema scolastico di qualità e
mantenere un contesto nazionale favorevole allo sviluppo e alla produttività.
Osservando il panorama italiano, si riscontra quel notevole progresso dell‟istruzione
negli ultimi decenni che ? tipico di tutte le nazioni avanzate. La scolarizzazione di base
raggiunge ormai la quasi totalità delle nuove generazioni, le quali hanno pi che
raddoppiato il livello medio di istruzione rispetto alle coorti pi anzian e. Sono sempre di
meno i giovani che si fermano alla licenza elementare o media, mentre sono in aumento i
tassi di iscrizione all‟istruzione superiore e universitaria. Va detto però che, rispetto ad altri
paesi sviluppati e in particolare rispetto al resto dell‟Europa, l‟Italia si mantiene in
posizione di svantaggio e arretratezza: i tassi di abbandono prima del conseguimento del
titolo sono più alti della media europea con riguardo sia all‟istruzione superiore che a
quella universitaria, determinando un livello effettivo di istruzione inferiore al potenziale.
La vera debolezza dell‟istruzione italiana è però legata al divario territoriale che si riscontra
tra il Nord e il Sud del paese. Anche nell‟ambito dell‟istruzione, come in numerosi altri
aspetti economici e sociali, le regioni settentrionali si dimostrano pi avanti, generalmente
in linea con le performance degli altri paesi avanzati, mentre l‟area del Mezzogiorno tende
a rimanere arretrata nel processo di espansione scolastica. Sebbene le differenze regionali
in termini di anni medi di istruzione si siano ridotte rispetto al passato, l‟area del
Mezzogiorno ha ancora una quota di diplomati e di laureati notevolmente inferiore, anche
tra i giovani, a quella delle regioni settentrionali.
Sul piano della qualità, finora poca attenzione ? stata riservata alle iniziative di
verifica cognitiva a cui l‟Italia ha partecipato, i cui preoccupanti risultati sono rimasti
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confinati all‟analisi accademica o, più recentemente, alla divulgazione mediatica, senza
sfociare in azioni e piani migliorativi. Ciò che emerge è un distacco dell‟Italia dal resto
delle nazioni avanzate sul piano della qualità scolastica che risulta ancora pi netto rispetto
al piano puramente quantitativo: gli studenti italiani mostrano di conoscere meno rispetto ai
coetanei di altri paesi, di avere meno capacità di rielaborazione e applicazione delle proprie
competenze, di fare pi fatica nel risolvere problemi con gli strumenti cognitivi a propria
disposizione. Questa arretratezza si riscontra a partire dal livello della scuola media: mentre
alcune verifiche delle competenze degli alunni delle scuole elementari hanno dato esiti
soddisfacenti, i risultati per i livello superiori sono invece piuttosto negativi. Anche in
questo caso, il divario tra Nord e Sud risulta eclatante e trasversale, manifestandosi
indipendentemente dalle materie oggetto di esame, dall‟età degli individui coinvolti e dalle
metodologie impiegate.
Tali differenziazioni regionali lasciano supporre dotazioni di capitale umano anche
molto diverse tra loro, per l‟effetto congiunto della quantità e della qualità dell‟istruzione
acquisita dagli individui. Questo elemento pu quindi costituire uno dei fattori alla base
dell‟annoso divario di ricchezza tra regioni settentrionali e meridionali del paese e in
particolare pu avere effetti diretti sui diversi livelli di produttività riscontrabili nelle varie
regioni.
In questo lavoro tale ipotesi viene sottoposta a verifica empirica, tramite un semplice
modello che spiega la produttività aggregata regionale sulla base della dotazione dei due
fattori produttivi di base, il capitale fisico e quello umano. Quest‟ultimo viene calcolato
tenendo conto non semplicemente del numero medio di anni di istruzione tipico della
popolazione di ciascuna regione, ma anche dell‟effetto della qualità scolastica misurata
tramite un indice ricavato proprio dai risultati di diversi test cognitivi. Il periodo preso in
considerazione va dal 1981 al 2006 e l‟analisi riguarda tutte le regioni italiane, raggruppate
in cinque macroaree. Ci che ne risulta ? un impatto decisamente preponderante del
capitale umano rispetto a quello fisico nel determinare i divari di produttività tra le regioni
italiane: in particolare, l‟aspetto qualitativo dell‟istruzione è di entità pari, e anzi
leggermente superiore, all‟aspetto meramente quantitativo. Questi risultati sono robusti a
diverse specificazioni e all‟inclusione di altre variabili che possono avere un‟influenza sulla
produttività regionale; nonostante le semplificazioni, ? qu indi evidente come l‟istruzione
costituisca un elemento cruciale per lo sviluppo economico. Per ridurre i divari di
produttività tra le regioni si rende dunque necessario, da un lato, promuovere politiche che
favoriscano un‟ulteriore espansione dell‟istruzione, dall‟altro concentrarsi sul tema della
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qualità dell‟insegnamento. Questa andrebbe infatti migliorata soprattutto al Sud per
permettere la creazione di una forza lavoro pi qualificata e favorire il rilancio della
produttività e la riduzione dei divari territoriali.
Il lavoro ? suddiviso in quattro sezioni principali. La prima parte offre un
inquadramento del concetto di capitale umano all‟interno delle teorie della crescita:
vengono presentati i principali approcci teorici al tema dell‟istruzione, sia da un punto di
vista microeconomico sia in una prospettiva macroeconomica. Nella seconda sezione si
affronta il rapporto tra istruzione e produttività con un approccio pi empirico, tramite
numerosi contributi internazionali; anche in questo caso vengono presentati lavori che
analizzano gli effetti dell‟istruzione sia a livello individuale che a livello aggregato. La
terza parte presenta in modo descrittivo il contesto scolastico italiano, per quanto riguarda
l‟evoluzione dell‟istruzione, le indagini cognitive a cui gli studenti italiani hanno preso
parte, le risorse economiche dedicate all‟istruzione, approfondendo in particolare i divari
tra le regioni; viene offerta inoltre una panoramica sull‟andamento economico delle diverse
aree geografiche nel periodo considerato. Infine, la quarta sezione racchiude il lavoro
empirico vero e proprio: dopo una presentazione del modello utilizzato e della banca dati
viene spiegato il metodo di costruzione dell‟indice di qualità scolastica, incluso nelle stime.
I risultati ottenuti vengono sottoposti ad alcune prove di robustezza e sono letti e
interpretati alla luce della teoria del capitale umano: essi vanno a corroborare la tesi
dell‟importanza cruciale della conoscenza nel sostenere la produttività ed evidenziano
inoltre un ruolo di spicco in questo senso per la qualità scolastica. Infine, una breve sezione
finale riassume il lavoro svolto e trae alcune conclusioni e considerazioni pi generali.
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1. IL CAPITALE UMANO NELLE TEORIE DELLA CRESCITA
Le teorie della crescita nascono nell‟intento di spiegare le grandi differenze nella
ricchezza dei paesi: tali differenze invece di ridursi sono andate accentuandosi negli ultimi
decenni. All‟inizio del XIX secolo, il reddito delle nazioni più ricche era circa il quadruplo
di quello delle nazioni pi povere: oggi diventato oltre trenta volte pi grande.
Questo divario ha enormi conseguenze in termini di benessere, e comprenderne le
ragioni significa fare luce sulle dinamiche di funzionamento e di evoluzione delle diverse
economie. Alla base di livelli di ricchezza cos differenti, infatti, ci sono tassi di crescita
diversi che nel tempo determinano un gap crescente. L‟origine di questo scostamento così
drammatico risale a circa 200 anni fa, quando con la Rivoluzione Industriale alcuni paesi
diedero il via a un decollo senza precedenti verso tassi di crescita sostenuti, mentre altri
persero gradualmente terreno.
Se non si osserva la convergenza dei livelli di ricchezza a livello mondiale, ?
possibile invece ravvisare un cammino convergente all‟interno di gruppi di paesi tra loro
omogenei per condizioni macroeconomiche, istituzionali e sociali. Questo suggerisce che ci
siano alcune caratteristiche, presenti nei paesi in maniera differente, che influiscono sul
processo di crescita, in modo positivo o negativo: isolare queste variabili e comprenderne
gli effetti esercitati sull‟andamento economico di un paese è la sfida delle teorie della
crescita.
Questo lavoro si concentra su una di queste variabili, ritenuta da molti essere tra le
pi rilevanti: il capitale umano, ovvero tutte quelle caratteristiche che i lavoratori possono
acquisire tramite un investimento e che ne aumentano la produttività. Un forte ammontare
di capitale umano può costituire una grande spinta propulsiva per l‟economia e il benessere
del paese, e permettere una crescita economica sostenuta.
Prima di approfondire il concetto di capitale umano e i principali approcci teorici, ?
utile un inquadramento generale delle teorie della crescita e delle sue pi? importanti li nee
di sviluppo.
1.1 Le teorie della crescita
La radici della teoria della crescita risalgono agli anni quaranta e cinquanta del secolo
scorso, con i lavori di Harrod, Domar, Kaldor e il fondamentale contributo di Solow
(1956). Egli propone il modello neoclassico di un‟economia con rendimenti di scala
costanti, rendimenti dei fattori decrescenti e con un tasso di risparmio esogeno. In tale
contesto le economie tendono a collocarsi su un sentiero di crescita che tende allo stato
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stazionario: il rapporto tra i fattori produttivi (capitale e lavoro) converge verso un valore di
equilibrio, in corrispondenza del quale il tasso di crescita dell‟economia si azzera. Una
volta raggiunto l‟equilibrio, la crescita non dipende quindi dall‟accumulazione dei fattori
produttivi nØ dal risparmio, bens da variabili esogene come la dinamica demografica e il
progresso tecnologico. Questo risultato implica che, se l‟andamento di tali fattori esogeni è
simile tra le diverse economie, queste dovrebbero convergere verso lo stesso tasso di
crescita. Tale predizione non ha riscontro empirico: come si ? visto, nella realtà si
osservano tassi di crescita molto diversi anche nel lungo periodo.
Una possibile spiegazione ? che le economie si trovino nella lunga fase di
convergenza verso la crescita equilibrata, e presentino diverse velocità di aggiustamento
secondo il principio della convergenza condizionata: in virt dei rendimenti decrescenti del
capitale, le economie che partono da un livello pi basso di capitale per lavoratore rispe tto
al livello di equilibrio tenderanno a crescere pi velocemente rispetto a economie già
prossime al sentiero di crescita stabile. Inoltre, le economie possono differire tra loro per il
tasso esogeno di risparmio, di crescita demografica e di progresso tecnologico. Anche
assumendo questa ipotesi, per, gran parte dei differenziali rimane comunque non spiegata.
Inoltre, la crescita dell‟economia viene in ultima analisi ricondotta a fattori non
controllabili in termini economici: un risultato teorico poco soddisfacente.
Nel 1965, due economisti, Cass e Koopmans, ripresero il lavoro di Ramsey (1928)
sull‟ottimizzazione intertemporale delle scelte di consumo inserendolo nel contesto della
teoria crescita, rendendo quindi endogeno il tasso di risparmio. Anche qui l‟economia può
raggiungere uno stato stazionario grazie alla dinamica del consumo e del capitale: questo
modello ha permesso un‟analisi molto più precisa delle dinamiche di transizione, ma non
ha eliminato il problema della dipendenza del tasso di crescita di lungo periodo dal
progresso tecnologico esogeno.
Inquadrare l‟innovazione all‟interno delle teorie neoclassiche non è compito facile, in
quanto le nuove idee sono in parte beni non rivali e generano quindi rendimenti crescenti a
livello sociale che contrastano con le ipotesi della concorrenza perfetta. Tuttavia, diversi
tentativi sono stati fatti per includere l‟evoluzione tecnologica nel modello di crescita
economica, ovvero per rendere endogeno il progresso. Arrow (1962) propone un modello
di learning-by-doing: l‟innovazione è frutto dell‟investimento e si sviluppa all‟interno del
processo produttivo, diffondendosi immediatamente all‟intero sistema economico grazie
all‟effetto di spillover delle conoscenze. In altre parole, gli investimenti di una singola
impresa si diffondono all‟intera economia beneficiando in parte anche tutte le altre imprese.
Queste assunzioni determinano un risultato non Pareto ottimale per la società: a causa
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dell‟esternalità positiva degli investimenti, l‟accumulazione di capitale e quindi la crescita
economica complessiva sono inferiori al livello socialmente desiderabile.
Durante gli anni settanta gli sforzi degli economisti abbandonarono le teorie della
crescita per concentrarsi su un altro tema in quel momento prioritario, la grave ondata
inflazionistica che dilagava nel mondo. La ricerca macroeconomica si focalizz sugli shock
e sulle fluttuazioni di breve periodo, con la teoria delle aspettative razionali e i modelli di
real business-cycle. Soltanto nella seconda metà degli anni ottanta le teorie della crescita
tornarono alla ribalta, grazie soprattutto ai lavori di Romer (1986) e Lucas (1988). Con essi
si affermò la convinzione che le dinamiche di lungo periodo sono l‟elemento cruciale nella
determinazione degli standard di vita, ben pi che gli effetti immediati delle politiche
fiscali e monetarie. Secondo questa visione, la macroeconomia deve quindi focalizzarsi
sulle determinanti della crescita economica di lungo periodo, e superare l‟impostazione
neoclassica in cui questa ? influenzata soltanto dal tasso di progresso esogeno: nascono cos
le teorie della crescita endogena.
È a questo punto che assume un ruolo fondamentale il concetto di capitale umano,
introdotto precedentemente da Becker (1965) e Mincer (1974). Lucas (1988), riprendendo
un contributo di Uzawa (1965), lo inserisce tra i fattori di produzione insieme al capitale
fisico: in tale contesto, il livello di output ? funzione dello stock di capitale umano
dell‟economia, e nel lungo periodo la crescita è possibile grazie al continuo accumularsi di
capitale umano. Le esternalità positive dell‟investimento in capitale umano permettono
infatti di contrastare i rendimenti decrescenti e rendono possibile una crescita perpetua.
Altri autori, in particolare Romer (1990) e Aghion e Howitt (1992), hanno invece
sottolineato il ruolo del capitale umano nel processo di produzione di nuove idee. In questo
caso, il tasso di crescita dell‟economia è legato al livello (e non al ritmo di accumulazione)
di capitale umano, principale input dell‟innovazione. Ciò implica che anche da un aumento
sporadico dello stock di capitale umano deriva un incremento perenne del tasso di crescita.
Come avevano evidenziato nel loro lavoro pionieristico Nelson e Phelps (1966), perchØ
questo meccanismo avvenga è necessario però che l‟ammontare di capitale umano iniziale
sia superiore ad un certo livello critico, al di sotto del quale il processo di innovazione non
ha luogo e l‟economia rimane nella trappola della stagnazione e del sottosviluppo.
Il capitale umano è fondamentale anche nella diffusione dell‟innovazione da paesi
all‟avanguardia verso paesi più tecnologicamente arretrati, ovvero nell‟imitazione,
adattamento e adozione di tecnologie già esistenti. Questo meccanismo ? stato analizzato
ad esempio da Barro e Sala-i-Martin (1997), ancora basandosi sul lavoro di Nelson e
Phelps (1966).
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Recentemente alcuni autori hanno messo in discussione il ruolo del capitale umano
come motore della crescita. Bils e Klenow (2000) sostengono che anche il capitale umano
abbia un rendimento decrescente (come il capitale fisico) e ritengono che esso possa
spiegare soltanto un terzo, e probabilmente meno, dei differenziali di reddito tra i paesi.
Essi giustificano la relazione positiva che innegabilmente si osserva tra crescita economica
e capitale umano ipotizzando il rapporto causale inverso: ? la crescita economica stessa,
trainata dal progresso tecnologico e dal miglioramento dell‟efficienza produttiva, a causare
l‟aumento del capitale umano, rendendo più remunerativo l‟investimento in esso grazie
all‟aumento dei salari. Questo tipo di critica ha trovato diversi riscontri anche a causa di
risultati empirici contradditori relativi all‟influenza del capitale umano sulla crescita
economica.
Un'altra direzione verso la quale le teorie della crescita si sono recentemente
indirizzate ? lo studio delle dinamiche demografiche, un altro parametro che ha grande
rilevanza sulla crescita economica e che presenta notevoli divergenze tra paesi.
Attualmente i principali sforzi degli studiosi della crescita riguardano il tentativo di rendere
endogeni il tasso di fertilità, la migrazione e la scelta ottimale tra lavoro e tempo libero, con
lo scopo di incorporare sempre pi elementi che sono fonte di divario tra i paesi.
Per quanto riguarda il capitale umano, negli ultimi anni diversi economisti ne hanno
rivalutato l‟importanza riconducendo le incoerenze empiriche a problemi di misurazione e
proponendo nuovi strumenti per quantificarne in modo più preciso l‟ammontare nelle
diverse economie. In particolare, la direzione di ricerca pi importante e qui approfondita ?
quella che prende in considerazione la qualità dell‟istruzione nel calcolare lo stock di
capitale umano di un paese. Questo innovativo approccio prospetta la possibilità di
riconciliare i modelli teorici con i risultati empirici e riportare il capitale umano tra i
principali fattori all‟origine delle divergenze di reddito dei paesi.
1.2 Il capitale umano
Come si ? già accennato, il concetto di capitale umano comprende tutt e quelle
caratteristiche che i lavoratori possono acquisire tramite un investimento per aumentare la
propria produttività, e quindi la propria remunerazione. Il termine sottolinea l‟analogia con
il capitale fisico: entrambi necessitano di un investimento iniziale e permettono di produrre
pi output; inoltre, entrambi generano un rendimento e si deprezzano con il tempo (il
capitale umano si deprezza, ad esempio, per l‟adozione di nuove tecnologie che rendono
desuete le conoscenze acquisite). Vi ? per una di fferenza sostanziale: il capitale fisico ?
intrinsecamente legato al lavoratore che lo acquisisce, e genera un rendimento, sotto forma
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di un salario più elevato, soltanto quando l‟individuo effettivamente lavora, mentre il
capitale fisico fornisce un rendimento al suo proprietario senza che questo lavori in prima
persona.
I connotati tipici del capitale umano sono comuni a diversi attributi che i lavoratori
possono acquisire. La prima caratteristica di cui un individuo ha bisogno per lavorare in
modo efficace ? la salute: un lavoratore sano produrrà di pi di un lavoratore malato o
debole. Quando una nazione diviene pi ricca e sviluppata, la salute della popolazione
migliora: a sua volta, un miglior livello di sanità accresce la produttività. La salute ? q uindi
una forma di capitale umano, anche se difficile da misurare direttamente. Una migliore
sanità ? per frutto in primo luogo di una migliore nutrizione, per cui ? possibile misurare
indirettamente la salute tramite l‟assunzione nutrizionale giornaliera media (in numero di
calorie), oppure l‟altezza media della popolazione, a sua volta positivamente correlata al
livello di nutrizione. Se si mettono in relazione queste variabili con il livello di reddito si
pu verificare una relazione positiva. Questo as petto ? particolarmente importante nei paesi
in via di sviluppo, in cui gravi carenze nutritive e igieniche possono severamente incidere
sulla capacità della popolazione di intraprendere attività produttive, mentre assume
dimensioni irrilevanti nei paesi avanzati.
Un'altra tipologia di capitale umano è l‟istruzione, o più in generale l‟acquisizione di
competenze e abilità. Questa è l‟accezione più comune del capitale umano e quella più
confacente al concetto di capitale. Le competenze possono essere acquisite sia attraverso il
sistema scolastico vero e proprio sia tramite l‟addestramento e l‟acquisizione di capacità
specifiche direttamente sul posto di lavoro (on-the-job training). L‟individuo può definire il
proprio investimento ottimale, eguagliando i costi da sostenere per acquisire le conoscenze
con i benefici che si attende sotto forma di una maggiore remunerazione del lavoro.
Questo lavoro si concentra su una particolare tipologia di capitale umano, ovvero
l‟istruzione propriamente detta. Se non altrimenti specificato, il termine capitale umano
avrà d‟ora in poi questa accezione. Si possono distinguere tre componenti all‟interno di
questa ampia categoria:
- capacità generiche relative al linguaggio, alle competenze quantitative di base e pi
in generale alla capacità di recepire ed elaborare informazioni per la risoluzione di
problemi. Si tratta del tradizionale “leggere, scrivere e far di conto”, ma anche dell‟abilità
di organizzare le informazioni, ragionare in astratto, fare ipotesi e dedurre soluzioni. Queste
capacità si acquisiscono in genere nelle prime fasi del percorso di istruzione.
- capacità specifiche relative alla conoscenza di particolari tecnologie o processi
produttivi, all‟utilizzo di macchinari e strumenti di lavoro, all‟applicazione di tecniche o
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metodi particolari. Queste abilità necessitano spesso anche dell‟esperienza e sono
funzionali ad un particolare ambito di applicazione mentre possono risultare poco utili in
altri contesti.
- competenze tecniche e scientifiche riferite alla padronanza di un complesso
organizzato di conoscenza teorica e competenze analitiche, che possono essere applicate in
un processo produttivo o risultare utili per l‟avanzamento tecnologico in uno o più campi.
Sono frutto di uno studio mirato e approfondito, conseguito negli stadi pi avanzati del
percorso di studi, e si affinano spesso con il tempo e la pratica.
La relazione positiva tra istruzione e crescita economica ? riscontrata in modo
evidente a livello empirico. A livello aggregato, l‟incentivo individuale ad istruirsi
determina benefici diretti in termini di produttività per l‟intera economia. Vi sono poi
numerosi benefici indiretti per la società, che godono di diversi gradi di supporto teorico.
Innanzitutto un investimento in capitale umano da parte di un numero crescente di individui
pu portare ad un avanzamento tecnologico pi rapido e indurre altri lavoratori ad ampliare
le proprie conoscenze per godere anch‟essi dei benefici produttivi del progresso
tecnologico (riuscendo ad esempio ad accedere a un‟impresa con un vantaggio competitivo
e quindi maggiori rendite). In secondo luogo, il principale input nella produzione di
capitale umano è il capitale umano stesso: l‟istruzione richiede insegnanti qualificati,
l‟apprendimento sul lavoro necessita di lavoratori pi esperti che trasmettano le
conoscenze. L‟investimento in capitale umano quindi accresce la disponibilità degli input
per produrlo, abbassandone i costi. Si pu instaurare cos un circolo virtuoso in cui il livello
ottimale di investimento in capitale umano continua a crescere. Naturalmente pu accadere
anche il contrario: un capitale umano scarso o di bassa qualità rende difficile offrire un
sistema scolastico efficace che istruisca lavoratori qualificati e il livello di capitale umano
rimane basso.
1.3 Istruzione e produttività
Il ruolo del capitale umano nella produttività ? sempre pi riconosciuto come
cruciale, in particolare nel contesto attuale di “economia della conoscenza”. Gli
avanzamenti tecnologici richiedono lavoratori qualificati molto pi che semplice
manodopera ed ? particolarmente importante la capacità di utilizzare tecniche sofisticate e
in continua evoluzione.