xv
chiesta quale ruolo potesse avere l’istruzione delle donne nell’avviare un
processo di sviluppo e di crescita.
Ho analizzato alcune teorie della crescita, allo scopo di rinvenire
delle basi teoriche per il genere di relazione che intendevo valutare.
Nell’analisi del modello di crescita neoclassico di Solow, ho riconosciuto
che alcune correlazioni sono, in effetti, corrispondenti alla realtà, come il
trade off tra capitale e lavoro, e i rendimenti di scala decrescenti del capitale
fisico, in quanto fattore cumulabile ma deperibile. Tuttavia, la sua
previsione della convergenza, basata sull’assunto che Paesi con reddito pro-
capite più basso e minore capitale hanno tassi di crescita potenziali più
elevati, non trova riscontro empirico nei PMS, laddove i redditi pro-capite
sono certamente più bassi e il capitale è più scarso, ma la crescita non è così
rapida come previsto da Solow. Mi sono, dunque, rivolta alla teoria detta
della crescita endogena.
I sostenitori di questa teoria hanno ipotizzato un modello che
riprenda quello di Solow, e vi aggiunga, tra l’altro, il concetto (e la
sostanza) di capitale umano. Le famiglie, secondo questo modello, possono
indirizzare il proprio risparmio in due direzioni: investimenti in capitale
fisico ed investimenti nell’istruzione, che aumenta la qualità della forza
lavoro. Appunto, il capitale umano. Nel modello più semplice, esistono solo
due fattori della produzione: capitale fisico e capitale umano. La differenza
fondamentale rispetto al modello originario di Solow è che ora il secondo
xvi
fattore è anch’esso cumulabile, grazie ad azioni deliberate degli agenti
economici. L’effetto congiunto dei rendimenti del capitale fisico ed umano
produce rendimenti di scala costanti: ciò significa che, anche in presenza di
rendimenti decrescenti del capitale fisico, non c’è necessariamente
convergenza.
Altra differenza fondamentale con il modello di Solow è che i
rendimenti costanti del capitale fisico e umano insieme fanno sì che il
motore della crescita sia interno, e non attribuito ad un fattore esogeno,
come il progresso tecnologico nel modello neoclassico.
La “nuova economia della famiglia”, formulata dalla scuola di
Chicago, ha poi fornito ampi spunti di riflessione sui criteri in base ai quali
le famiglie decidono di allocare i propri risparmi, o meglio le proprie
risorse, sia monetarie sia di tempo, nell’investimento in capitale fisico o in
capitale umano. L’analisi economica della fecondità di Gary S. Becker ha
ipotizzato che i genitori facciano un ragionamento economico quando
decidono di “produrre” un figlio, quando decidono quanti “produrne” e
quando decidono la “qualità” di cui questo figlio deve essere dotato. Esiste
un trade off tra la quantità di figli e la “qualità” di cui questi figli possono
essere dotati, poiché esiste un vincolo di bilancio familiare e poiché
esistono delle preferenze dei genitori, che fanno sì che il budget familiare
non venga di necessità speso interamente per la “dotazione” dei figli.
L’opzione a favore della “qualità” dei figli ha due importanti conseguenze
xvii
principali: un minore numero di figli per famiglia, e figli di qualità
superiore. Come lo stesso Becker ha affermato, un figlio di qualità
superiore significa un figlio che ha ricevuto un quantitativo di istruzione
elevato. Di nuovo, quindi, la rilevanza dell’investimento nell’istruzione,
ossia nel capitale umano.
L’analisi di alcuni modelli dello sviluppo economico mi ha portata a
soffermare la mia attenzione sulla teoria istituzionalista dello sviluppo. Gli
istituzionalisti credono che le istituzioni di un’economia – cioè le forme di
produzione, la proprietà, i processi di lavoro, le ideologie che s’intrecciano
per creare un’economia e una società – siano gli argomenti corretti di
un’analisi economica. Dato, poi, che queste istituzioni sono soggette ad
un’evoluzione, anche lo studio dell’economia dovrebbe essere propriamente
evolutivo. Al centro della struttura teorica di Ayres sul “come” dello
sviluppo economico campeggiano due forze fondamentali: la tecnologia e il
ritualismo (ceremonialism). La tecnologia, secondo Ayres, sorge dalla
combinazione di strumenti (tools) ed esseri umani, che egli definisce
esattamente come tool-users. Come egli stesso afferma:
Il processo tecnologico può essere compreso solo riconoscendo
che le abilità umane e gli strumenti attraverso i quali e sui quali
esse si esercitano sono logicamente inseparabili. Le capacità
utilizzano sempre strumenti, e gli strumenti sono tali in quanto
vengano utilizzati dagli esseri umani. Una volta compresa la
xviii
doppia natura del processo tecnologico, la spiegazione del suo
dinamismo diviene ovvia.
1
Sfortunatamente, il progresso tecnologico può essere trattenuto o limitato
dal ritualismo, l’esatto opposto del dinamismo tecnologico. Nella sua
essenza, esso è qualunque comportamento reazionario che tenda ad
ostacolare il progresso che la tecnologia comporta. Lo sviluppo economico
rappresenta, ovviamente, il successo della tecnologia sui comportamenti
ritualistici.
Nella visione di Ayres, il mezzo per ridurre gli effetti negativi del
ritualismo sul progresso tecnologico risiede nell’espansione
dell’educazione, che egli definisce come l’accumulazione di conoscenze e
abilità. Estese opportunità educative per un numero crescente di individui
(ossia l’accumulazione di capitale umano) sono il mezzo più sicuro per
promuovere in ogni società il progresso economico e sociale.
L’attenzione che egli pone sull’importanza e sul significato
dell’istruzione e della creazione di capitale umano, sul bisogno di creare
una struttura istituzionale adeguata a promuovere un progresso economico e
umano sostenibile, è decisamente compatibile con il punto di vista della
teoria della crescita endogena.
1
Ayres, C., (1991/1995), Economic development: an institutional perspective, in James Dietz
(ed.), Latin America’s economic development, 2nd edn., London and Boulder, CO: Lynne Rienner
Publishers, pp. 89-97
xix
Appurato il legame tra istruzione e processi di crescita e sviluppo, ho
voluto verificare l’esistenza di implicazioni particolari qualora oggetto di
analisi fossero state le donne e i loro livelli educativi. Rifacendomi alla
letteratura sociologica e demografica sulle questioni di genere, ho
analizzato le tematiche dell’empowerment femminile e del ruolo
dell’istruzione femminile in questo processo di emancipazione ed
acquisizione di autonomia e dignità.
L’istruzione viene indicata come il fattore principale attraverso il
quale le donne conquistano dei livelli di autonomia e dignità, che
permettano loro di decidere della loro esistenza fisica ed emotiva. In
particolare, ho rilevato che i livelli di istruzione influenzano decisamente le
decisioni circa la fecondità: essi sono, infatti, direttamente legati alla
capacità di decidere quanti figli mettere al mondo, con quale frequenza e, in
parallelo, quanto tempo dedicare alla cura dei figli e quanto, invece, ad
attività economiche e remunerate fuori della famiglia. Ho rilevato, in
quest’ultimo frangente, un’evidente corrispondenza con l’analisi economica
fattane da Becker.
Ho deciso, quindi, di utilizzare come case study lo Stato indiano del
Kerala, per due ragioni principali. In primo luogo, perché vi ho riscontrato
un’evidente anomalia, rispetto agli altri Paesi in via di sviluppo che avevo
osservato: i livelli di istruzione erano incredibilmente più elevati, nel loro
complesso, ma soprattutto con riferimento alla quota femminile della
xx
popolazione. In secondo luogo, perché la performance di crescita
economica del Kerala, almeno fino all’inizio degli anni ’90 del secolo
scorso era stata fra le più scoraggianti del subcontinente indiano; nonostante
ciò, mi era stato possibile rilevare, sin dalla metà degli anni ’70, dei livelli
invidiabili circa molti indicatori dello sviluppo: mortalità, fecondità,
speranza di vita alla nascita, livello dei consumi, dei risparmi, distribuzione
della terra, espansione del settore terziario. Un classico esempio di
“sviluppo senza crescita”: ho voluto verificare se non fosse stata proprio
l’istruzione ad innescare il processo di sviluppo prima ancora che
intervenisse una crescita economica a sostenerlo.
Questa tesi consta di tre parti, ciascuna composta di due capitoli.
Circa la Parte I, nel Capitolo 1 ho cercato di chiarire la differenza tra
crescita e sviluppo. Ho illustrato alcune delle teorie della crescita e dello
sviluppo, cercando di focalizzare le differenze scaturenti dalla
comparazione diacronica e mostrando come l’attenzione al capitale umano
si faccia via via più viva nei tempi più recenti.
Nel Capitolo 2, ho delineato le caratteristiche strutturali
dell’economia dei PMS, soffermandomi sul concetto e sulla sostanza del
dualismo economico, come caratteristica prevalente dei Paesi del Terzo
Mondo. Inoltre, ho analizzato le peculiarità demografiche dei PMS, con
particolare riferimento alla teoria della transizione demografica e ai fattori
xxi
che determinano la fecondità. Infine, ho osservato le interrelazioni tra
l’evoluzione demografica e la povertà nei PMS. Prima, ho analizzato il
concetto di povertà, sia nella sua accezione economica sia nel contesto più
ampio, che Amartya Sen ha definito di “povertà umana”. Quindi ho
considerato le conseguenze dell’evoluzione demografica per la povertà, e le
conseguenze della povertà per la famiglia. Infine, ho considerato il concetto
di povertà alla luce dei Rapporti dell’UNDP (United Nations Development
Program).
Ho aggiunto un’appendice al Capitolo 2, in cui ho illustrato
l’evoluzione del pensiero demo-economico, partendo dalla tesi malthusiana,
passando per quella marxista, per arrivare al neo-malthusianesimo del “club
di Roma” e del Rapporto Meadows, “I limiti dello sviluppo”, pubblicato dal
MIT (Massachussetts Institute of Technology).
Circa la Parte II, nel Capitolo 3, ho illustrato i fattori essenziali della
“nuova economia della famiglia” della scuola di Chicago, con
approfondimento delle tesi di Gary S. Becker circa l’analisi economica
della fecondità.
Nel Capitolo 4, ho invece esaminato il ruolo dell’istruzione
femminile nello sviluppo sociale ed economico dei PMS. Ho prima inserito
la questione dell’istruzione nel più ampio contesto dell’empowerment
femminile, così come risultava dalle conferenze del Cairo del 1994 e di
Beijing del 1995. Poi ho analizzato la funzione svolta dall’istruzione nel
xxii
processo di emancipazione sociale, sia con riferimento al contesto
demografico e della fecondità, sia nel contesto più ampio delle relazioni tra
istruzione ed autonomia della donna.
Nella Parte III, ho cercato di verificare con casi concreti le ipotesi
che ero andata illustrando nei capitoli precedenti. Nel Capitolo 5, ho dato
una panoramica della situazione economica e demografica dell’India. Mi
sono soffermata in particolare sulle strategie utilizzate dai vari Governi
indiani nella pianificazione sia dello sviluppo sia della pianificazione; poi
ho cercato di dare conto delle strategie implementate e degli sforzi profusi
dalle istituzioni indiane per integrare le due pianificazioni, dello sviluppo e
della popolazione, per realizzare una pianificazione congiunta che tenesse
in considerazione simultaneamente le caratteristiche e le necessità dei due
contesti. Ho infine dedicato l’ultimo paragrafo all’analisi di alcune
caratteristiche sociali dell’India, allo scopo di illustrare i fattori che possono
aver contribuito allo sviluppo o lo hanno ostacolato.
Il Capitolo 5 funge anche da contesto allargato al Capitolo 6, in cui
mi sono dedicata allo Stato indiano del Kerala. Di questo Stato, ho illustrato
anzitutto la storia economica, sociale e politica. Poi ho analizzato le
caratteristiche demografiche e sociali, e gli eccezionali risultati riportati nei
campi dell’istruzione e dell’alleviamento della povertà, enfatizzando il
ruolo primario giocato dalle donne; laddove possibile, ho effettuato
comparazioni con Stati indiani limitrofi, con altri Stati dell’area asiatica e
xxiii
ovviamente con l’India. Infine, ho esaminato la performance economica
dagli anni ’70 del secolo scorso ad oggi, con riferimenti anche agli anni ’50
e ’60; anche in questo caso, laddove possibile, sono state effettuate delle
comparazioni con altre entità statali e nazionali.
Ho infine concluso il Capitolo (e la tesi) riassumendo ed evidenziando il
ruolo giocato dall’istruzione in Kerala, nell’alleviamento della povertà
(economica e umana) e nell’avvio di un processo di sviluppo (sociale ed
economico) anche nell’assenza (temporanea) di una crescita economica
sostenuta.
1
PARTE I
CAPITOLO 1
TEORIE DELLA CRESCITA E DELLO SVILUPPO
1. MODELLI DI CRESCITA
1.1. La teoria classica
La scuola economica classica si sviluppa in Gran Bretagna tra la seconda
metà del XVIII e la prima metà del XIX secolo. L’emergere dell’industria
moderna e del capitalismo sono elementi centrali dello scenario sociale del tempo
come della sua riflessione. I classici osservarono, prima di tutto, che per svolgere
un’attività produttiva moderna occorrevano lavoro e mezzi di produzione, i quali
non erano più non-prodotti, come la terra coltivabile e le altre risorse naturali,
cioè le risorse fondamentali dell’economia agricola tradizionale. Quelli erano ora
in parte rilevante anche prodotti, come le macchine, le attrezzature e le materie
prime trasformate. L’industria moderna, con la divisione del lavoro, permetteva e
richiedeva, in effetti, grandi investimenti in mezzi di produzione prodotti; per
l’attività industriale occorreva, infatti, spendere un “capitale” e le macchine, le
attrezzature, le materie prime assunsero il nome di beni capitali. Capitalisti,
invece, erano coloro i quali possedevano i capitali finanziari per avviare tali
attività industriali. Infine, nel rapporto di produzione capitalistico, i lavoratori,
giuridicamente liberi, concorrevano all’attività produttiva vendendo ai capitalisti
la propria prestazione lavorativa.
1
Un problema fondamentale che i classici affrontarono è quello del
sovrappiù, inteso come quella parte del prodotto totale dell’economia che non
occorre reimmettere nel processo produttivo per mantenere il prodotto stesso al
livello corrente, e della sua destinazione; esso potrebbe pertanto essere
1
Boggio, L., Seravalli, G., (1999), Sviluppo e crescita economica, Milano, McGraw-Hill, p. 80
2
interamente consumato senza compromettere il livello futuro del prodotto e del
sovrappiù stesso. Se però viene almeno in parte reinvestito, esso consente di
ampliare le dimensioni del prodotto. La questione del sovrappiù diviene pertanto
essenziale nella fase del decollo industriale: senza sovrappiù, non si può avere
decollo economico se non interamente sostenuto dall’esterno.
2
Nel modello qui di seguito esposto si assumono tre particolarità tipiche
dell’impostazione classica. Si suppone:
• che nell’economia esista un solo bene prodotto, che pertanto può essere
interscambiabilmente consumato o reinvestito nel sistema produttivo;
• inoltre che i beni consumati dai lavoratori per la loro sussistenza e
riproduzione non appartengano al sovrappiù, perché necessari a mantenere
il livello preesistente del prodotto.
• Si prevede, inoltre, solo capitale circolante, allo scopo di porre il
problema del sovrappiù con la massima semplicità.
Si supponga che la terra sia identica ovunque e che per ottenere una unità di
prodotto al tempo t +1 occorra impegnare (al tempo t ) a
M
unità di prodotto come
mezzi di produzione e a
L
unità di prodotto per pagare i lavoratori. Sia a = a
L
+ a
M
,
ossia il capitale fisico che occorre anticipare al tempo t per ottenere un’unità di
prodotto dopo un anno, cioè al tempo t +1. Dopo un anno però questo capitale non
esiste più perché è interamente usato in mezzi di produzione (materie prime)
completamente consumati nel ciclo produttivo annuale, e in mezzi di sussistenza
erogati ai lavoratori. In questo senso si dice che il capitale è circolante,
intendendo con questa espressione che esso dura solo un periodo di produzione.
Sia q
t +1
la quantità prodotta al tempo (t +1). Allora aq
t
è tutto ciò che
occorre per la riproduzione del sistema, ovvero per il mantenimento al tempo (t
+1) del livello di produzione preesistente. Se a < 1, allora il sistema è in grado di
generare un sovrappiù, vale a dire di produrre più di quanto è necessario alla sua
riproduzione. Sia il sovrappiù S
t
= (1 – a) q
t
, suddiviso in profitti P
t
e rendite R
t
.
Chiamiamo K
t
il capitale investito nella produzione e chiamiamo
accumulazione di capitale l’espansione nel tempo di K
t .
2
ibidem, p. 81