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molte sue norme in materia sociale sono perdurate fino
all’emanazione della legge Quadro. Proseguendo nella mia analisi
mi sono soffermata sui servizi e sull’assetto gestionale nel periodo
fascista, passando poi ad esaminare ciò che accadde con la
Costituzione del 1948 in materia di assistenza e servizi sociali.
Infine, ho presentato in maniera dettagliata quanto legiferato dalla
legge n. 328/2000 per la realizzazione di un sistema integrato di
interventi e servizi sociali.
Nel secondo capitolo, ho affrontato il tema dell’assistenza sociale,
che viene concepita come l’insieme delle attività inerenti alla
predisposizione ed erogazione di servizi gratuiti ed a pagamento
destinati a rimuovere e superare le situazioni di bisogno che la
persona incontra nel corso della propria vita. L’assistenza sociale
rientra nel quadro più generale del welfare state, conosciuto come
Stato sociale, ovvero come un sistema di norme con il quale lo
Stato cerca di eliminare le disuguaglianze sociali ed economiche
fra i cittadini, aiutando in particolar modo i ceti meno abbienti. Lo
Stato sociale, infatti, è un sistema che si propone di fornire servizi
e garantire diritti considerati essenziali per un tenore di vita
accettabile. Dopo aver ripercorso le tappe fondamentali della storia
del welfare state ne ho analizzato due classificazioni trattate, l’una
da Richard Titmuss e l’altra dal sociologo danese Esping-
Andersen, al fine di cogliere le differenze esistenti tra i sistemi che
si sono consolidati nei diversi paesi industrializzati.
Infine, per concludere ho ripercorso la storia dei servizi alla
persona e del welfare mix, ovvero di tutta una serie di difficoltà
che si incontrano nella realizzazione di servizi alla persona
effettivamente rispondenti ai sempre nuovi e crescenti bisogni.
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Nel terzo capitolo, ho voluto affrontare il tema del rapporto tra la
famiglia ed il sistema socio-assistenziale. In Italia, i mutamenti
demografici avvenuti negli ultimi sessant’anni hanno determinato
un mutamento dell’istituto familiare. Le trasformazioni della
famiglia che vive nella società postmoderna sono state dirompenti
rispetto alla famiglia che viveva nella società tradizionale, primo
fra tutti sono le trasformazioni socio-demografiche avvenute negli
ultimi tempi, tra cui l’invecchiamento progressivo della
popolazione che emerge da due processi convergenti:
l’allungamento della durata media della vita legata al
miglioramento delle condizioni ambientali ed ai progressi medico-
scientifici e la diminuzione del tasso di natalità. Questo ha
comportato un aumento del bisogno di cura ed assistenza verso
queste persone. E’ importante rendersi conto che la famiglia è una
realtà dinamica in continua evoluzione nei suoi rapporti
relazionali, ed un aspetto fondamentale per l’ impostazione di
politiche familiari è il concepire la famiglia come entità privata
deputata a svolgere specifici ruoli legati all’affettività, alla cura ed
al sostegno delle persone deboli. Di fronte al concetto della
famiglia come cellula base della società è dovere dello Stato
occuparsene sia attraverso la definizione per legge dei suoi assetti
istituzionali, sia attraverso la predisposizione di interventi e servizi
per far fronte alle difficoltà nelle quali può venire a trovarsi la
famiglia.
L’assistenza è sempre stata delegata alla famiglia ed in particolare
alla donna, che nella maggior parte dei casi non lavorando prestava
le cure necessarie. Con il mutamento della sua struttura, la rete di
sostegno è diventata più fragile e debole, conseguenza anche del
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maggior inserimento delle donne nel mercato del lavoro. Ciò ha
comportato, come conseguenza, un aumento della richiesta di
assistenza da parte delle famiglie che non riescono più a gestire
autonomamente le difficoltà.
Nel quarto ed ultimo capitolo, ho approfondito il ruolo del terzo
settore, ovvero di quel complesso di istituzioni che all’interno del
sistema economico si collocano tra lo stato e il mercato, ma non
sono riconducibili né all’uno né all’altro; sono cioè soggetti
organizzativi di natura privata ma volti alla produzione di beni e
servizi a destinazione pubblica o collettiva. In particolare ho
analizzato quello della Regione Umbria, dove ho svolto presso le
Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza di Todi e Gubbio,
delle interviste, grazie alle quali ho cercato di comprendere
l’impatto avuto dalla legge Quadro n. 328/2000 e dal successivo
decreto legislativo n. 207/2001. Queste interviste sono state
possibili grazie alla collaborazione ed alla disponibilità dei
Presidenti, dei Segretari e di tutto il personale che lavora
all’interno di questi Istituti.
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CAPITOLO 1
Storia dell’assistenza in Italia
Dall’Unità d’Italia ad oggi
Il sistema assistenziale inizia a strutturarsi in Europa nei primi
anni del 1600 sotto la spinta e l’egemonia della Chiesa. Furono
fondate congregazioni che si dedicavano alla raccolta di fondi
per i poveri e istituzioni di ricovero per poveri in condizioni
particolari come orfani, ammalati, ecc.
Nel corso del 1800 si affianca all’obiettivo assistenziale anche
quello educativo che fa aumentare i lasciti e le iniziative a
favore delle Opere pie le quali erogavano servizi e contributi a
titolo caritativo. L’assistenza viene ancora concepita come un
fatto individuale di carattere religioso e paternalistico svolto
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dalla Chiesa e da borghesi e aristocratici per lo più spinti dalla
volontà di redimere e rieducare gli immorali e gli emarginati o
quantomeno per controllarli e segregarli in strutture dove non
disturbavano l’ordine sociale e pubblico costituito.
Anche in Italia, prima dell’unificazione, la tradizione
assistenziale risponde a tali criteri:
1. L’assistenza è concepita come beneficenza di tipo privatistico
e con motivazioni etico-religiose volte ad alleviare i bisogni dei
poveri;
2. La Chiesa è l’unica depositaria e custode dell’attività di
beneficenza, della sua organizzazione e dell’amministrazione;
3. Le Opere pie dispongono di una indipendenza assoluta dal
potere civile, che rimane nella maggioranza dei casi
completamente estraneo a questo campo di intervento.
Con l’unificazione dell’Italia si rompe questo secolare
equilibrio, l’industrializzazione e l’urbanizzazione disgregano
la grande famiglia patriarcale che rappresentava l’unico sistema
di sicurezza sociale. La disoccupazione o la malattia del
capofamiglia, unico produttore di reddito, porta la famiglia alla
fame, costringe le donne a lavorare fuori casa con ciò che ne
consegue per quanto riguarda la crescita e la cura dell’infanzia.
Il movimento operaio comincia ad organizzarsi, nascono le
prime società di mutuo soccorso e casse come forma di
autorganizzazione in caso di perdita del lavoro per malattia o
disoccupazione.
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Lo Stato italiano si trova così a dover affrontare direttamente il
tema dell’assistenza e il suo rapporto con essa. Inizia con
un’inchiesta su tutte le Opere pie esistenti rilevandone la
consistenza patrimoniale, il numero di assistiti e la consistenza
delle prestazioni effettuate.
Secondo i lavori della Commissione reale d’indagine, le Opere
pie presenti nel regno italiano tra il 1880 e il 1888 sono 21.819.
Ne fanno parte ben 2.770 istituzioni dedicate al culto e alla
beneficenza, 1.923 dedicate ai sussidi dotali, 257 conservatori,
ritiri o convitti volti al recupero morale delle donne “cadute”,
823 ospedali, 13 istituti che si occupano di sordomuti e 2 che si
dedicano all’assistenza ai ciechi. Dall’inchiesta emerge così una
quantità ingente di risorse private, immobili e mobili, frutto di
donazioni, lasciti ereditari ecc., per lo più gestite dalla chiesa.
Le prime e principali tappe della legislazione statale in materia
di assistenza sono le leggi del 1862, del 1890 (legge Crispi) e
del 1904 (legge Giolitti). La legge del 1862, mira a dare la
massima autonomia alle Opere pie.
1.1 La legge Crispi del 1890
Dopo circa un trentennio di studi o modificazioni parziali con la
legge Crispi
1
, n. 6972 del 17 luglio 1890 su “Norme sulle
istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza”, dove
1
La filosofia del diritto consente di ravvisare nella legge Crispi le più recenti teorie
del pensiero, che negli anni successivi porteranno, alla costituzione dello “Stato
Etico”.
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l’articolo 1 afferma:
“Sono istituzioni di beneficenza soggette alla presente legge le
opere pie ed ogni altro ente morale che abbia in tutto od in
parte per fine: a) di prestare assistenza ai poveri, tanto in stato
di sanità quanto di malattia; b) di procurarne l’educazione,
l’istruzione, l’avviamento a qualche professione, arte o
mestiere, od in qualsiasi altro modo il miglioramento morale ed
economico. La presente legge non innova alle disposizioni delle
leggi che regolano gli istituti scolastici, di risparmio, di
previdenza, di cooperazione e di credito”. Questa legge
introduce importanti innovazioni, esse consistono nella
definizione precisa dell’intervento dello Stato nel merito stesso
dell’attività assistenziale e non più nel solo controllo della parte
patrimoniale ed amministrativa. Risale in realtà al 1862 la prima
legge dello Stato Italiano che si occupò di questo settore (legge
753/1862), istituendo le Congregazioni di carità, i primi organi
di assistenza pubblica generica nei confronti dei bisognosi.
Accanto ad esse, continuarono a svolgere proprie attività
assistenziali le associazioni e le organizzazioni private, le
società di mutuo soccorso e la rete assistenziale della Chiesa.
La legge Crispi trasforma le Opere pie in istituti pubblici di
beneficenza, in seguito IPAB regolate nella formazione e nel
funzionamento, inoltre prevedeva la parziale laicizzazione delle
stesse introducendo la nomina pubblica dei consigli di
amministrazione, l’introduzione di controlli statali sui loro
bilanci e l’obbligo di investire i patrimoni in titoli di stato e
immobili. Istituisce inoltre gli Enti di Carità e Assistenza (eca).