2
l’espressione «fattore residuo» (the Residual).
5
Tra i componenti di quest’ultimo,
il capitale sociale, cioè l’insieme delle istituzioni di cui ci occuperemo, è quello
che ha ricevuto con maggiore ritardo l’attenzione degli economisti.
Un primo tentativo di riavvicinare l’economia alle istituzioni fu quello degli
Istituzionalisti americani. Con questa espressione si intende indicare quella
corrente di studiosi che, tra gli anni ‘90 dello scorso secolo e gli anni ‘30 del
nostro, proposero un approccio sociologico all’economia politica. I rappresentanti
principali di questa corrente furono T. Veblen, W.C. Mitchell e R. Commons.
6
La svolta decisiva verso lo studio delle istituzioni in economia si ha però
con Coase, con la sottolineatura del peso dei costi di transazione e del ruolo che,
quando questi sono presenti, le istituzioni acquistano per permettere gli scambi.
7
Dal lavoro di Coase prendono spunto diverse correnti che vengono
convenzionalmente raggruppate sotto il nome di New Institutional Economics
(NIE). Le diverse correnti si sono specializzate in particolari segmenti di
indagine.
Una prima corrente è costituita dagli studiosi che si sono occupati di diritti
di proprietà
8
e della common law
9
. Altri hanno analizzato i processi di scelta
5
Cfr. Abramovitz M., Thinking about Growth, Cambridge, Cambridge University Press, 1989, p. 15 e sg.
6
Per un analisi del pensiero degli “istituzionalisti americani” si veda: Dorfman J., Ayres C.E.,
Chamberlain N.V., Kuznets S., Gordon R.A., Institutional economics: Veblen, Commons and Mitchell
reconsidered: a series of lectures, Los Angeles, University of California press, 1963.
7
Cfr. Coase R., ”The Nature of the Firm”, in Economica n. 4, 1937, pp. 386-405; e, sempre di Coase R.,
“The problem of social cost”, in Journal of Law and Economics, 1960, pp. 1-44.
8
Cfr. in particolare Demsetz H., “Towards a Theory of Property Rights”, in American Economic Review
57 (Maggio), 1967, pp. 347-359 e Alchian A. e Demsetz H., “The Property Rights Paradigm”, in Journal
of Economic History 33 (marzo), pp. 16-27.
9
Cfr il lavoro di Posner R.A., The economics of Justice, Cambridge Mass., Harvard University press,
1981.
3
pubblica e in particolare il rent seeking e l’attività delle coalizioni distributive
10
.
Un terzo filone è costituito da coloro che si sono occupati delle organizzazioni e
le opere più significative sono quelle di Jensen e Meckling sulla teoria
dell’agenzia
11
e il lavoro di Williamson
12
che ha ampiamente utilizzato l’opera di
Coase sui costi di transazione. Inoltre non si può dimenticare la corrente di neo
istituzionalisti che si è occupata dello sviluppo della teoria dei giochi, utilizzata
per creare dei modelli per analizzare le istituzioni
13
. Molti di questi elementi si
trovano combinati nelle opere di North, che ha utilizzato le teorie degli
istituzionalisti per analizzare la storia economica.
14
Se ormai è normalmente accettata l’idea di una forte relazione tra contesto
istituzionale e sviluppo economico, l’attenzione degli studiosi si concentra
principalmente sull’analisi di contesti istituzionali caratterizzati dalla presenza di
una autorità centrale che pone le norme e le fa rispettare principalmente con
mezzi coercitivi. Vengono invece lasciati in secondo piano quei fenomeni che qui
chiameremo istituzioni intermedie.
Una volta accolta la definizione che North dà delle istituzioni, intese come
“le regole del gioco di una società o, più formalmente, i vincoli che gli uomini
10
Cfr. il lavoro di Olson M. [A], The Rise and Decline of Nations, New Haven, Yale University press,
1982, in trad. it., Ascesa e declino delle nazioni, Bologna, Il Mulino, 1984; dello stesso [B], The Logic Of
Collective Action, Cambridge Mass., Harvard University press, 1965, in traduzione it., La logica
dell’azione collettiva. I beni pubblici e la teoria dei gruppi, Milano, Feltrinelli, 1982; v. anche il lavoro di
Mueller D.C., Public Choice II, Cambridge, Cambridge University Press 1989.
11
V. Jensen M.C. e Meckling W.H., “Theory of the Firm: Managerial Behaviour, Agency Costs and
Ownership Structure”, in Jurnal of Financial Economics 3 (ottobre), 1976, pp. 728-741.
12
V. Williamson O.E., Markets and Hierarchies: Analysis and Antitrust Implications, New York, Free
press, 1975 e dello stesso, The Economic Institutions of Capitalism, New York, Free press, 1986.
13
La letteratura sulla teoria dei giochi è oggi molto vasta; si segnala una delle opere da cui qui si trae
suggerimento e si rimanda alla bibliografia della stessa: McMillan J., Game Theory in International
Economics, Chur (Switzerland), Harwood Academic Publishers, 1986, in traduzione italiana di G.
Graziola, Teoria dei giochi ed economia internazionale, Milano, Giuffrè, 1991.
14
Per un approfondimento sui neo-istituzionalisti v.: North D.C., “The New Institutional Economics”, in
Journal of Institutional and Theoretical Economics 142 (n
o
1), 1986, pp. 230-237; Williamson O.E.,
“Reflection on the New Institutional Economics”, in Journal for Theoretical and Institutional Economics
141 (n
o
1), 1985, pp. 187-195; Furubotn E.G. e R. Richter, Institutions and Economic Theory, Ann Arbor,
University of Michigan press, 1997; Drobak J.N. e J.V. Nye (a cura di), The Frontiers of the New
Institutional Economics, San Diego, Academic press, 1997. Per un confronto tra istituzionalisti americani
e neo-istituzionalisti v. Rutherford M., Institutions in Economics: The Old and the New Institutionalism,
Cambridge, Cambridge University press, 1994.
4
hanno definito per disciplinare i loro rapporti”
15
, possiamo inquadrare le
istituzioni intermedie come segue: quelle norme che i soggetti, sia gli individui
che le organizzazioni, decidono di rispettare volontariamente, senza che vi sia
un’autorità che le imponga e le faccia rispettare con mezzi coercitivi. Le
chiameremo istituzioni intermedie proprio perché si inseriscono tra i soggetti
(individui e organizzazioni) che rispettano le norme e lo stato. Tali insiemi di
norme hanno la peculiarità di fondare la loro esistenza sul proprio successo e non
sul fatto di essere mantenute con la coercizione. L’esempio più efficace di
istituzione intermedia, così intesa
16
, è costituito dall’insieme di norme che nel
Medioevo hanno dato vita alla law merchant, norme di origine spontanea che i
mercanti generalmente rispettavano nonostante mancassero dei mezzi coercitivi
di sanzione.
Nel nostro lavoro ci proponiamo di mostrare il ruolo fondamentale che
queste istituzioni hanno avuto e tuttora hanno nell’influenzare lo sviluppo
economico, sia in positivo che in negativo. In particolare metteremo in luce gli
aspetti positivi dei meccanismi di sanzione alternativi a quelli coercitivi. La
nostra ipotesi è che l’economia contemporanea funzioni in buona misura grazie
alle istituzioni intermedie, mentre lo spazio delle istituzioni che fanno riferimento
ad una autorità è relativamente limitato. Come dire che molte attività funzionano
e prosperano senza il bisogno di leggi con meccanismi di sanzione caratterizzati
dall’uso della coercizione.
Dopo aver chiarito i concetti fondamentali che useremo nel corso del
lavoro, soffermandoci in particolare sulle istituzioni e sui vari meccanismi di
sanzione delle norme, presenteremo vari esempi che mostreranno come le
istituzioni intermedie si affermino e funzionino, sia nel passato che ai nostri
giorni e, in particolare qual è il loro rapporto con lo sviluppo economico.
Termineremo con un’analisi dei rapporti che intercorrono tra le istituzioni
15
North D.C., Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell’economia, Bologna, Il Mulino,
1991, p. 23.
16
Nel I
o
capitolo vedremo che la stessa espressione è usata per indicare anche fenomeni diversi.
5
intermedie e le altre istituzioni, che chiameremo istituzioni ad adesione coatta o
centrali e che normalmente si possono identificare con le norme poste dallo Stato
e da ogni sua emanazione periferica (comuni, regioni, cantoni, ecc.).
6
CAPITOLO I
O
: LE ISTITUZIONI.
ISTITUZIONI E INCENTIVI.
Le istituzioni sono insiemi di norme. Costituiscono quindi i vincoli che
condizionano le scelte degli individui, dando forma a incentivi e disincentivi, e
riducono l’incertezza, determinando una struttura stabile di relazioni sociali.
L’incidenza degli incentivi sullo sviluppo economico di una comunità è ben
dimostrata da una semplice comparazione tra economie di mercato ed economie
di piano. Nelle prime, una delle istituzioni fondamentali è l’insieme dei diritti di
proprietà privata dei mezzi di produzione. Tali istituzioni incentivano i privati a
impiegare al meglio quei mezzi di produzione per ottenere il massimo profitto. In
un sistema ad economia di piano vige la regola opposta: i mezzi di produzione
sono in mano pubblica e quindi non c’è un rapporto di dipendenza diretta tra
l’iniziativa degli individui e la parte di profitto che gli stessi ottengono. Gli
individui saranno allora poco incentivati ad investire delle risorse personali, quali
ad esempio l’impegno nella gestione dei mezzi di produzione: invece di fare gli
imprenditori economici, gli individui preferiranno impegnarsi in altri campi più
fruttuosi, come ad esempio la politica.
Un’istituzione può anche creare incentivi alla sua modifica: il passaggio
dall’economia di piano all’economia di mercato che si è avuto nei paesi dell’Est
europeo può essere visto come un cambiamento istituzionale stimolato dalla
inefficienza delle istituzioni che sostenevano l’economia di piano.
7
Tuttavia, la semplice esistenza di una regola non assicura che essa venga
rispettata, anzi ci potranno essere degli agenti che valuteranno l’infrazione come
fonte di profitto. Serviranno allora dei meccanismi volti a individuare le eventuali
infrazioni e a punirle, tutte attività che hanno dei costi e la cui intensità può
variare, comportando la variazione dell’efficacia dei meccanismi stessi. Solo
tenendo presenti i costi dell’accertamento delle infrazioni e la severità della pena,
unitamente all’insieme di regole formali e informali, si potrà avere una chiara
idea dei vincoli che disciplinano i rapporti tra gli individui.
17
Pensiamo ad esempio al mercato della droga: essendone vietato il
commercio, pur in presenza di una domanda, il prezzo può diventare molto alto
proprio per i rischi legati al divieto. Visto che non c’è un controllo efficace al
100%, c’è una certa probabilità di commerciare droga senza essere scoperti: ci
saranno degli individui disposti ad affrontare il rischio a causa dei maggiori
profitti ottenibili. Di conseguenza esistono organizzazioni di commercianti di
droga che operano a livello internazionale e che si sono specializzate a convivere
con un certo contesto istituzionale fatto di divieti che non possono essere fatti
rispettare completamente.
17
Cfr. North D.C., op. cit. supra a nt. 15, p. 24 e sg.
8
CLASSIFICAZIONE DELLE ISTITUZIONI.
Le istituzioni possono essere classificate seguendo diversi criteri.
18
Si può fare riferimento all’origine di una istituzione: può avere origine
spontanea, cioè essere creata pur in mancanza di un precedente disegno
dell’uomo, come il corpo di norme da cui è costituita la Common Law inglese.
Oppure può essere progettata intenzionalmente, come la Costituzione Italiana del
1948.
Un altro criterio per distinguere le istituzioni consiste nel fare riferimento al
modo in cui ciascuna di esse viene sancita: se è regolata da una autorità si potrà
chiamare istituzione formale, come è ad esempio una legge ordinaria italiana; se
invece è autoregolata sarà una istituzione informale, ad esempio una
consuetudine.
Si ha un’altra possibilità di classificazione se si guarda al maggiore o
minore grado di applicabilità di una norma, cioè alla sua generalità. Questo
criterio può parzialmente sovrapporsi al precedente, tuttavia si possono trovare
consuetudini più generali di alcune leggi.
Ci sono istituzioni che funzionano in modo semplice, si pensi alla regola di
tenere la destra sulla carreggiata, e altre che invece sono molto complesse: la
società può essere indicata come l’istituzione più complessa in quanto è il
risultato dell’interazione di moltissime istituzioni.
Un ulteriore criterio di discriminazione si può ottenere guardando al fatto
che una istituzione sia imposta coattivamente, dall’alto, oppure che ci siano dei
soggetti che scelgano di adottarla aderendovi volontariamente. Questa è la
distinzione più importante ai fini della nostra ricerca. Con le prime
18
Cfr. Goglio S., op. cit. supra a nt. 1, p. 31 e sg. e North D.C., op. cit. supra a nt. 15, p. 24.
9
identificheremo le istituzioni che sono espressione di una autorità, in particolare
dello Stato. Con le seconde identificheremo le istituzioni intermedie. Come
abbiamo detto, il termine “intermedio” sta ad indicare che queste istituzioni
trovano spazio tra i soggetti, individui o organizzazioni che siano, e le autorità
che normalmente producono le istituzioni ad adesione coatta. Tuttavia, il confine
tra queste due tipologie di insiemi di norme non è tracciato in modo chiaro: può
capitare che una norma, inizialmente posta coattivamente, finisca per rientrare
nell’altra categoria grazie ad un processo di internalizzazione. Vi possono essere
casi di rapporti regolati da norme ad adesione coatta che tuttavia necessitano di
un ulteriore disciplina adottata con l’accordo, molto spesso tacito più che
esplicito, tra le parti del rapporto stesso. Ad esempio, nella schiavitù la disciplina
del rapporto sembra molto semplice: il padrone ha diritto di vita e di morte sugli
schiavi, i quali lavorano per non essere uccisi. Queste semplici norme, sanzionate
con la pena di morte, sono senza dubbio ad adesione coatta per gli schiavi, che
hanno pochissimo potere contrattuale
19
. Tuttavia, se il padrone vuole che gli
schiavi lavorino, dovrà controllarli, sostenendo quindi dei costi: se non vuole
spendere in controlli più di quanto guadagna con il loro lavoro, dovrà raggiungere
un implicito “accordo” con gli schiavi stessi, ad esempio garantendo determinati
standard di sussistenza in cambio di una certa collaborazione nel lavoro. Si
scopre così che, anche in questo caso estremo, in cui il rapporto sembra definito
drasticamente da una istituzione ad adesione coatta, le parti conservano uno
spazio in cui possono aderire volontariamente ad altri accordi, e cioè ad altre
norme che disciplineranno ulteriormente il rapporto. In questo caso, come in
molti altri, ciò dipende dal fatto che esistono dei vincoli, come quello del
19
L’esempio della schiavitù è utilizzato da Eggertson, in Alston L.J., Eggertson T., North D.C., Empirical
Studies in Institutional Change, Cambridge, Cambridge University Press, 1996, pp. 14 sgg., per
dimostrare come anche in un rapporto caratterizzato da assolute “asymmetric power relations”, la parte
più debole conserva comunque de diritti di proprietà di cui può disporre per vedere migliorata la propria
condizione; uno studio interessante sulla schiavitù intesa come contratto ci viene da Barzel Y., Economic
analysis of property rights, Cambridge, Cambridge University Press, 1989, pp. 105-113.
10
“pareggio del bilancio”
20
, che una istituzione da sola non riesce a far rispettare
senza l’aiuto di altre norme che finiscono con l’essere complementari.
L’importanza del rispetto di questi vincoli per il sorgere di istituzioni
positive per la pacifica convivenza e lo sviluppo economico, è dimostrata
paradossalmente dall’esperienza del regime Hitleriano, in cui questi vincoli
venivano artificialmente eliminati o, perlomeno, ignorati grazie all’ideologia.
Come ben ci spiega la Arendt
21
, l’opera di quel regime è stata caratterizzata,
soprattutto durante la guerra, dalla pratica di ignorare sistematicamente la
necessità di compiere delle azioni vantaggiose. Si vede questo sia nella gestione
dei lager, dove i detenuti venivano fatti lavorare senza tenere conto di alcun
criterio di buona gestione economica, ma con il solo fine di annullarne l’umanità,
pur con gravi danni per il bilancio dello Stato, sia nella gestione dei territori
occupati nell’Europa dell’Est, destinati al sistematico spopolamento, sia nella
gestione di talune operazioni militari, criticate dagli stessi vertici militari
tedeschi. In queste condizioni risultava impossibile arrivare ad “accordi”, ad
esempio all’interno dei lager tra detenuti e sorveglianti, che forse avrebbero
potuto evitare gli estremi orrori cui si è arrivati in quel triste periodo.
L’esperienza nazista, assieme a quella stalinista, dimostrano anche che un
sistema in cui tutto è sottoposto a controlli, al punto di divenire un insieme
apparentemente esaustivo e coerente di istituzioni ad adesione coatta, non solo
non dà risultati migliori di un sistema più flessibile, ma viene impoverito in
quanto finisce col perdere il precedente patrimonio di istituzioni di ogni livello.
Un complesso apparato di controllo, inoltre, non può essere mantenuto a lungo
20
Ciò significa che il padrone degli schiavi deve comunque comparare il costo marginale del controllo
con il beneficio marginale misurabile in termini di maggiore produttività degli schiavi; v. Barzel Y, op.
cit. supra a nt. 19 e, dello stesso, “An Economic Analysis of Slavery”, in Journal of Law and Economics,
20, 1977, pp. 87-110.
21
Arendt H., The Origins of Totalitarianism, New York, Harcourt, Brace & World, Inc, III ed., 1966, in
traduzione italiana di A. Guadagnin, Le origini del totalitarismo, Milano, Mondadori, Edizioni di
Comunità, 1996.
11
per il costo eccessivo: anche per la quantità di controllo che si immette in un
sistema economico vale il principio dei benefici marginali decrescenti
22
.
Se da una parte c’è un limite alla necessità di avere controlli e norme ad
adesione coatta, dall’altra non si può nemmeno pretenderne la assoluta mancanza.
Come sostiene James Buchanan
23
, anche se “la forma ideale di società è quella
anarchica, nella quale nessun uomo né gruppo di uomini prevarica l’altro, poiché
dal punto di vista del singolo individuo, la situazione ideale è quella che gli
permette piena libertà di azione ed in cui il comportamento degli altri viene
condizionato in maniera da costringerli ad adeguarsi ai suoi desideri, tuttavia, in
un assetto sociale più vasto ed in una situazione più plausibile per l’individuo, il
regime anarchico degli uomini liberi, ognuno dei quali rispetta i diritti degli altri,
diventa un sogno utopistico; e infatti gli ordinamenti sociali esistenti si scostano
da tale sogno, e gli uomini (e gli studiosi) che si considerano potenziali cittadini
ideali sono condannati ad essere frustrati dalla realtà”.
Nello stesso lavoro Buchanan sostiene che una assoluta anarchia è
controproducente anche per una persona che viva in completo isolamento. Così
Robinson Crusoe che, fin quando non incontra Venerdì, è libero di comportarsi
come gli pare, può decidere di condizionare la propria attività giornaliera per
adeguarsi a dei vincoli esogeni. Ad esempio può costruire ed usare una sveglia
per sfruttare la temperatura fresca del mattino per lavorare. Una volta che Crusoe
ha deciso che lavorare al mattino comporta dei benefici superiori al sacrificio di
svegliarsi prima, sa che sarebbe difficile vivere spontaneamente secondo le
decisioni prese. La sveglia diviene l’ente coercitivo, esterno alla persona che
conosce le proprie debolezze, che fa rispettare i contratti
24
. Si vede allora che,
anche per una persona isolata, i vincoli esogeni, in questo caso le condizioni
22
V. infra, p. 19 e sg.
23
Buchanan J.M., The Limits of Liberty. Between Anarchy and Leviathan, Chicago, University of Chicago
press, 1975, in traduzione italiana di I. Schralffl e D. Plini, a cura di D. da Empoli, I limiti della libertà,
Torino, Biblioteca della libertà, 1978, p. 3.
24
Cfr. Buchanan J.M., op.cit. supra a nt. 23, pp. 7 sgg.
12
climatiche, possono portare alla creazione di istituzioni che indirizzano i
comportamenti verso soluzioni più efficienti.
Nel momento in cui vi sono due persone che riconoscono la necessità di una
norma, diventa tuttavia difficile trovare un ente coercitivo con le caratteristiche
della sveglia: “la struttura e la localizzazione di questa istituzione (coercitiva)
diventeranno importantissime. Nessuna delle due parti affiderà l’attività
coercitiva all’altra e, in effetti, la delegazione di tale attività a una delle parti
contraenti pregiudicherebbe l’obiettività della funzione coercitiva. [...] Ambedue
le parti preferiranno che le norme, scelte reciprocamente, siano fatte rispettare da
un terzo estraneo, da forze esterne al gruppo interessato.”
25
Gli individui quindi riconoscono la necessità di avere delle norme per una
pacifica convivenza, ma non è facile trovare un meccanismo capace di far
rispettare le norme senza prevaricare chi è soggetto alle norme stesse.
Molti studiosi hanno affrontato questo problema ed elaborato interessanti
teorie, quale ad esempio la teoria dell’agenzia
26
, che mettono in luce le difficoltà
insite in qualsiasi sistema in cui sia necessario delegare a qualcuno il far
rispettare le norme. Indagando sulle norme ad adesione volontaria e sul loro
funzionamento, spiegheremo quali sono e quali sono stati nella storia i
meccanismi con cui si possono superare queste difficoltà.
Tra coloro che si sono occupati di istituzioni ad adesione volontaria, R. D.
Cooter
27
ha proposto una nuova via per analizzare alcuni fenomeni dell’economia
moderna che si possono raggruppare sotto il nome di “specialized business
communities”. Cooter prospetta l’ipotesi che si sia creata una nuova Law
Merchant, per certi aspetti molto simile a quella che permetteva gli scambi nel
Medioevo, basata su “consuetudini in evoluzione” (enacting customs), che
sarebbero appunto ad adesione volontaria. Mentre la pianificazione centralizzata
25
Buchanan J.M., op. cit. supra a nt. 23, pp. 7 sgg.
26
Per la teoria dell’agenzia si veda Jensen e Meckling, op. cit. supra a nt. 11; questa teoria sarà ripresa
più avanti in questo capitolo quando si parlerà del funzionamento delle istituzioni.
27
Cooter R.D., “Structural Adjudication and the New Law Merchant: A Model of Decentralized Law”, in
International Review of Law and Economics, 1994 , vol. 14, pp., 215-231.
13
come via di creazione di norme, procedendo dall’alto verso il basso, finisce col
non dar luogo alle informazioni e alle motivazioni necessarie per un’economia
efficiente, tali necessità possono essere soddisfatte dal sistema decentralizzato di
creazione delle norme (decentralized lawmaking) che procede dal basso verso
l’alto e può avere diverse forme.
Una espressione di sistema decentralizzato per Cooter sono appunto le
enacting customs: quando, ad esempio, una corte determina da che parte stanno la
colpa e la responsabilità per un incidente applicando le convenzioni e gli standard
vigenti nella comunità in cui avviene l’incidente, quella corte crea una legge, ma
la trova già pronta e si limita ad applicarla
28
.
Cooter, pur insistendo sull’importanza di norme di questo tipo, riconosce
che da parte di molti studiosi c’è un certo scetticismo sul loro ruolo: registra
infatti una diffusa tendenza ad intravedere nella storia un inevitabile movimento
dalle norme decentralizzate a quelle centralizzate. Il ruolo del diritto
consuetudinario viene così riconosciuto solo nei primi stadi dello sviluppo del
diritto e delle attività economiche, dando per scontato che prima o poi esso sia
costretto a lasciare il posto al diritto centralizzato. Per Cooter questi studiosi non
sono dissimili a quegli intellettuali che consideravano inevitabile l’avanzata del
sistema socialista e che sono stati smentiti dal corso della storia. A suo parere il
processo storico va nella direzione opposta: quando un’economia diventa più
complessa, l’efficienza richiede più diritto decentralizzato, non meno
29
A sostegno di ciò, nello stesso articolo, propone delle interpretazioni di
alcuni fenomeni che gli permettono di individuare una nuova Law Merchant che
starebbe sorgendo ai nostri giorni. Sarà quindi l’analisi della Law Merchant, sia
quella del passato sia quella “nuova”, ad impegnarci nei prossimi capitoli, quale
esempio principale di istituzione intermedia.
28
L’autore si riferisce al sistema americano di Common Law in cui si ha la figura del “judge made law”.
29
Cfr. Cooter R.D., op. cit. supra a nt. 27, p 216.
14
ISTITUZIONI E ORGANIZZAZIONI.
Molti degli studiosi delle istituzioni distinguono nettamente tra queste e le
organizzazioni
30
. Tale distinzione permette di analizzare il comportamento degli
individui di fronte alle istituzioni non solo come singoli, ma anche quando sono
associati tra loro. Gli individui possono decidere oppure essere costretti o
persuasi ad associarsi e a mettere in comune delle risorse, delle informazioni e
delle capacità per conseguire i propri obiettivi. Per questo si formano le
organizzazioni, che possono essere definite come reti di relazioni sociali create
dall’uomo per uno scopo. Esse permettono il controllo più efficace del
comportamento opportunistico, la riduzione del rischio totale e la sua più ampia
distribuzione.
31
Quindi le organizzazioni, al pari degli individui, sono dei soggetti che,
muovendosi in un determinato contesto istituzionale, cercano di raggiungere
determinati obiettivi, non necessariamente compatibili con le istituzioni presenti.
In questo senso sono organizzazioni i partiti politici, il parlamento, un consiglio
comunale, le imprese, i club, le università e, in genere, tutti i gruppi di persone
unite dal comune proposito di raggiungere un fine.
Il fatto di muoversi in un determinato contesto istituzionale comporta per le
organizzazioni due principali conseguenze. Da un lato è il contesto di vincoli
istituzionali che determina le condizioni in cui esse sorgono e si modificano: alla
luce degli incentivi e dei costi esistenti, gli individui potranno decidere di dar vita
ad una organizzazione per sfruttare appieno quegli incentivi ed abbassare il più
possibile i costi e, procedendo “per tentativi”, selezioneranno l’organizzazione
che raggiunge la maggiore efficienza. Tuttavia gli individui potrebbero
30
Per una spiegazione di questo approccio si veda: Goglio S., op. cit. supra a nt. 1, pag. 35.
31
Cfr. Goglio S., op. cit. supra a nt. 1, p. 33 e sg.
15
organizzarsi con l’obiettivo di modificare il contesto istituzionale esistente,
creando dei nuovi incentivi a loro più adatti. Inoltre, anche senza un esplicito
obiettivo di questo genere, con la loro azione possono comunque contribuire a
modificare le istituzioni. Da quest’altro punto di vista, allora, sono le
organizzazioni che influenzano l’evolversi del contesto istituzionale.
32
La distinzione qui descritta tra istituzioni e organizzazioni non è
pacificamente accolta. Altri studiosi, pur riconoscendone l’utilità, non la
ritengono sempre adeguata. Un recente lavoro
33
sullo sviluppo italiano sostiene
che una parte rilevante delle attività delle organizzazioni nell’ambito della
produzione di beni pubblici si collochi ad un livello intermedio tra le “istituzioni
centrali” (espressione con cui si intende sinteticamente la legge) e le “istituzioni
di base” (sinteticamente la cultura). A queste attività, che non sarebbero né
puramente organizzative né di regolazione vera e propria, ma entrambe le cose
insieme, viene dato il nome di istituzioni intermedie. Una simile concezione può
rivelarsi utile per molti aspetti: permette ad esempio di considerare in una stessa
categoria le amministrazioni pubbliche periferiche dello stato, le organizzazioni
private e le loro regole, sia quelle interne sia quelle che hanno effetto al loro
esterno, poiché tutte queste attività sono finalizzate all’offerta localmente
differenziata di beni pubblici
34
. Nonostante ciò, non seguiremo questo approccio
per due motivi.
Innanzitutto perché il fatto di non distinguere tra regole del gioco e
giocatori, porta ad escludere dalla analisi i diversi modi in cui istituzioni e
organizzazioni interagiscono.
32
Cfr. North D.C., op. cit. supra a nt. 15, p. 25 e sg.
33
Arrighetti A. e Seravalli G., “Istituzioni e dualismo dimensionale nell’industria italiana.” in Barca F.,
Storia del capitalismo italiano dal 1945 ad oggi, Roma, Donzelli, 1997.
34
Alcuni lavori degli studiosi citati alla nota nt. 33 saranno utilizzati nei capitoli seguenti, nell’analisi
degli effetti delle istituzioni intermedie sullo sviluppo economico locale.