VI
ridotto il fenomeno indulgenziale "à une sorte de impressionnisme juridique":
anziché essere governata da rigorosi principi di politica criminale, le
manifestazioni di clemenza generale sono apparse - secondo l'acuto rilievo di
Maiello- "tra le più antiche e frequentate forme di uso simbolico del diritto penale,
finalizzate ad agevolare la metabolizzazione sociale dei 'mostri' generati dal sonno
di una razionalità politico-criminale, che una prassi dissennata ha troppo spesso
relegato nel limbo delle pure utopie".
La degenerazione potestativa del fenomeno clemenziale, in effetti, costituisce
la fisiologica conseguenza dell'adozione di un modello teleologicamente
deformato, di un modello, cioè, assurto al rango di variabile indipendente dai
criteri di razionalità assio-teleologica che descrivono i tratti somatici dell'identità
penalistica 'classica'.
Al momento, tuttavia, sia il superamento dell'atteggiamento di tradizionale
agnosticismo rispetto ai valori della politica criminale, sia il connesso tentativo di
materializzare anche sul piano della non punibilità la prospettiva di "integrazione
sociale" avallata dal diritto penale, impongono di rigettare la configurazione di
una clemenza "in bianco", ovvero di una clemenza che funga da cornice elastica
capace di offrire inquadramento e decoro ad ogni pittura, capace, cioè, di
consentire l'innesto di apprezzamenti contingenti ed opportunistici relativi al
bisogno di punire che, in quanto tali, afferiscono a dimensioni fortemente attratte
in una logica di ragion di Stato.
Proprio la gestione prevalentemente demagogica delle diverse fasi della
dinamica sanzionatoria, inevitabilmente connessa al perseguimento di obiettivi
solo simbolicamente efficienti, si traduce, inoltre, sia nell’ipertrofia del diritto
penale, sia nel correlato fenomeno della necessaria proliferazione dei
provvedimenti di clemenza.
Ne consegue, pertanto, che lo stato di euforia penalistica, se non di patologica
megalomania, indotto dal dismisurato allargamento della gamma dei
comportamenti penalmente rilevanti, oltre a determinare un deleterio
affievolimento della funzione di orientamento culturale istituzionalmente
VII
assegnata alla pena, è destinato inesorabilmente a ingenerare la paralisi della
macchina della giustizia.
In questo contesto – e qui si riflette il fondo torbido della "cattiva coscienza"
del legislatore – si è tentato, surrettiziamente, di delegare alla clemenza il compito
di rimediare agli inconvenienti ed alle disfunzioni di un sistema penale ipertrofico
ma inefficiente, senza procedere – come pure esigenze logico-giuridiche
correttamente richiederebbero – alla risoluzione della spinosa questione della sua
improrogabile riforma.
A voler condurre un ragionamento apagogico, cioè fondato sulla reductio ad
absurdum della proposizione avversata per dimostrare la falsità delle sue
conseguenze necessarie, si potrebbe plasticamente rappresentare l'effetto di feed-
back negativo indotto dalla natura tecnocratica di tale approccio, con il noto
paradosso di Achille: come Achille non riuscirà mai a raggiungere la tartaruga,
così la ciclica regolarità dei provvedimenti di clemenza non sarà in grado di
colmare, sul piano dell'effettività, il profondo divario tra la dismisura razionale del
sistema penale e il suo paradigma 'classico'.
Si assisterà, diversamente argomentando, ad un'estenuante dialettica
diacronica tra le dimensioni dell' 'essere' e del 'dover essere' dell'impianto
penalistico, ad un incessante oscillazione tra spinte centrifughe e forze centripete,
ad un'infinita rincorsa del legislatore verso condizioni di praticabilità degli
obiettivi del sistema penale, finché quest'ultimo non avrà metabolizzato il nucleo
dei principi del diritto penale minimo.
In effetti, la dimensione sincronica della dialettica politica che caratterizza
l'esperienza giuridica italiana nel frangente storico considerato, mostra un duro
scontro di interessi, una drammatica contraddizione tra ideologie liberali e
rigurgiti autoritari. In siffatto contesto, rivive lo splendido isolamento (dalla
dimensione esistenziale) di un sistema penale incapace di sintetizzare teoresi e
prassi, e perciò costretto a perpetuare quel ''gioco acrobatico'' tra spazi
diversissimi, ovvero, tra le metafisiche pretese del versante 'ufficiale', da un lato; e
i meccanismi pragmatici, e perciò più volgari, del versante 'materiale', dall'altro.
VIII
Si consideri, inoltre, che gli argomenti tradizionalmente posti a sostegno dei
provvedimenti clemenziali, nella misura in cui si caratterizzano per la matrice
autoreferenziale, appaiono viziati - sul piano logico - da una petizione di
principio: il limite, o errore logico che contrassegna la legittimazione del processo
eziologico dell'istituto in esame, consiste nel premettere ciò che poi si va a
costatare come risultato. La premessa, intrinseca allo stesso fenomeno della
clemenza, risulta ad un tempo, la giustificazione e l'esito del provvedimento. Si
opera una sorta di sillogismo, che attraverso circoli viziosi logici conduce a
risultati meramente tautologici.
Sono queste, alcune delle ragioni che coinvolgono il giurista nella ricerca di
un programma, legislativo o giurisprudenziale, che sia in grado di scardinare la
perversa spirale che avvolge la potestà di clemenza entro logiche di mera
discrezionalità politico-legislativa, non solo attraverso il superamento dello hiatus
fra il principio di eguaglianza e la sua traduzione normativa in questo settore della
remissione della sanzione, ma soprattutto mediante il tentativo di costruire
teleologicamente la clemenza, raccordandola ai teloi di un sistema penale che
realizzi una saldatura palese fra il momento garantista e liberale dello stato di
diritto e le aperture solidaristiche dello stato sociale.
Si auspica, in altri termini, la configurazione di una remissione sanzionatoria
che, lungi dall'alterare i tratti somatici dell'identità penalistica classica sottendendo
strategie politico-criminali di segno antitetico, finisce per costituirne uno
strumento di attuazione conforme alle strutture deontiche della punibilità.
E' lecito concludere, pertanto, che essa può considerarsi legittima solo
allorché si conforma al suo paradigma razionale, svolgendo una funzione
integratrice, attualizzante e correttiva delle scelte incriminatrici: la clemenza - è
stato detto - è "istituto atto a comporre il fortuito dissidio tra la legge che è il
mezzo e la giustizia che è il fine." (Raccioppi-Brunelli)
E’ questa, bisogna anticiparlo, l’impronta scientifica che intendiamo
imprimere al nostro programma di lavoro, e da cui muoverà il tentativo di
IX
elaborare un modello normativo di convalida della proposta di razionalizzare in
chiave teleologica la clemenza.
Si badi, inoltre, che la proposta di configurare in termini quanto mai restrittivi
la remissione della sanzione risponde, nei nostri intenti, alla specifica convinzione
che la prospettazione di una soluzione radicale sia in ogni caso proficua: da un
lato, perché non è affatto escluso che essa possa essere recepita a livello
legislativo; dall'altro, perché una soluzione più drastica può innescare, in via di
controbilanciamento di tesi opposte, processi di consolidamento di soluzioni
intermedie più moderate, ancorché meno soddisfacenti.
E' sottinteso, peraltro, che in questa sede sarà abbozzata una configurazione
della clemenza senza alcuna pretesa di completezza, che può conseguirsi solo con
ben altra mole di ricerche e di riflessioni, ma con la speranza di contribuire al
consolidamento - sul piano della cultura giuridica - del processo di realizzazione
delle direttive costituzionali in materia penale.
In tale prospettiva, qualora il divisato processo dovesse subire
un'accelerazione, la soluzione qui prospettata potrà concorrere al progetto di
allineare la clemenza ad un sistema penale orientato ai valori di un moderno stato
sociale di diritto; mentre, se quel processo dovesse registrare un rallentamento,
varrà soltanto a puntualizzare i termini di un'antinomia che rischia seriamente di
divenire cronica.
Ci sono già troppe ombre, troppi fantasmi che aleggiano nei 'castelli' del
diritto penale, troppi soffocanti pregiudizi. Liberiamoci almeno di questo.
1
I. CLEMENZA E SISTEMATICA TELEOLOGICA
I.1. L’evoluzione dei rapporti tra dommatica e politica
criminale
Lo sviluppo dell’argomento in esame non può prescindere dalla
considerazione di una tendenza, sviluppatasi all’interno della scienza penalistica
moderna, e diretta alla valorizzazione dei rapporti tra dogmatica e politica
criminale.
La costruzione di una sistematica teleologica, orientata cioè agli scopi della
politica criminale, costituisce una risalente aspirazione della scienza penalistica
vicina alla filosofia neokantiana dei valori, ma in realtà si può dire “che il primo
tentativo consapevole di una sistematizzazione teleologica del diritto penale sia
stato sperimentato dai penalisti kantiani già tra la fine del Settecento e gli inizi
dell’Ottocento”
1
.
Tuttavia, “l’acquisizione stabile della necessità di una metodologia conforme
alle esigenze di inserire momenti di finalità nella costruzione sistematico-
strutturale del diritto, si ebbe tuttavia solo successivamente, con R.V. Jhering, il
quale individua nelle idee di valore e di scopo i concetti fondamentali del diritto”.
2
L’idea Jheringhiana di scopo innescò la reazione al formalismo positivistico:
fino ad allora, si era ritenuto che la completezza dell’ordinamento non dipendesse
dall’assenza di lacune normative, ma dall’esistenza di una ratio oggettiva alla
quale era possibile accedere, partendo dai precetti legislativi, attraverso schemi
logico-deduttivi.
1
MOCCIA, Presentazione a ROXIN, Politica criminale e sistema penale, trad. it., Napoli, 1987, p.
22.
2
MOCCIA, op. cit., p. 25.
2
In realtà tra i vari livelli del diritto, dal singolo caso concreto ai principi
generali, s’instaurava una mediazione “arcana” e “sacerdotale” che era in grado di
annullare il divario tra fatti e valori.
Quest’immagine piramidale del diritto in cui si realizza il “gioco delle
acrobazie” tra i diversi livelli dell’esperienza giuridica, quale fenomeno di
formalismo esasperato, è da considerarsi il fisiologico sviluppo di un ambiente
teoretico pervaso da idealità metafisiche ed in cui la dimensione ontologica
costituiva il fondamento della certezza giuridica.
3
L’elaborazione Jheringhiana dell’idea di scopo – dopo aver sostanziato il
passaggio dalla Begriffsjurisprundenz all’Interessenjurisprundenz, che attribuisce
una fondamento assiologico al diritto – esercitò una notevole influenza sulla
scuola neokantiana sud-occidentale: attraverso le indagini di Emil Lask e di Franz
von Liszt “si sviluppò un indirizzo penalistico fondato sull’assunto neokantiano
secondo cui la scienza giuridica è Kulturwissenschaft e, quindi, i concetti giuridici
sono concetti di valore”
4
: si cominciava così a delineare un sistema teleologico di
diritto penale assiologicamente fondato.
Ma, in realtà, un'elaborazione sistematica, coerentemente orientata alle
funzioni politico-criminali delle categorie del reato, non fu completamente
realizzata.
Solo a partire dalla metà degli anni Sessanta, il risveglio dell’interesse per la
stretta connessione tra diritto e politica pose le basi, nell’ambito della scienza
penalistica tedesca, affinché si configurasse nitidamente – con la proposta di
Claus Roxin, sviluppata pregievolmente in Kriminalpolitik und Strafrechtssystem
– una sistematica teleologica, ovvero un indirizzo metodologico orientato a valori
della politica criminale.
3
Cfr. AJELLO, L’esperienza critica del diritto, Napoli, 1999, passim.
4
MOCCIA, op. cit., p. 26.
3
Il saggio, scritto all’inizio del 1970, “si proponeva di dimostrare che le
soluzioni giuridiche dei problemi non possono essere sviluppate dalle leggi
dell’essere, ma sempre, soltanto, da decisioni assiologiche di politica criminale”.
5
Questo approccio, recepito anche dalla più recente letteratura penalistica
italiana
6
, oltre a ribaltare la visione ontologica dominante nella Scientia Juris, si
presenta estremamente fecondo di prospettive, sia in rapporto alla sistematica del
diritto penale sia con riguardo alla soluzione di problematiche relative a singoli
istituti giuridici.
Più precisamente, l’individuazione dei segnali di interferenza tra sistema
penale e politica criminale, consente di collaudare un metodo di analisi critica
straordinariamente efficace per valutare la coerenza sistematica di singole opzioni
normative ai principi di uno stato sociale di diritto.
Nella teorizzazione roxiniana il diritto penale rappresenta la formalizzazione
di puntuali opzioni politico-criminali: la sua politicizzazione –negata in vari
momenti dal tecnicismo
7
per dichiarate ragioni dogmatiche, ma ricusata in realtà
5
ROXIN, Prefazione, Politica criminale e sistema del diritto penale, trad. it. (a cura di MOCCIA),
p. 31.
6
Cfr. il fondamentale lavoro di BRICOLA, Teoria generale del reato, in Noviss. Dig. It., vol.
XIX, Torino, 1973, con specifico riferimento alla necessità di collegare l’analisi del reato e lo
scopo delle sanzioni, ma soprattutto con riguardo alla costruzione di una dommatica
‘costituzionalmente orientata’. Lo stesso Autore, in Rapporti tra dommatica e politica criminale,
in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, p. 9, ritiene che prima degli anni settanta, “l’impostazione tecnico
giuridica che sopravvive per inerzia alla caduta del fascismo, l’arroccamento di gran parte della
dottrina sui fondamenti retributivi, appena sfiorate dalle nuove istanze preventive, la barriera
opposta all’ingresso nella scienza giuridico-penale di ogni considerazione relativa alla fase di
costruzione delle norme, rende difficile un rapporto tra dommatica e politica criminale, nella quale
ultima sfera vengono riversate tutte le ansie di riforma e di superamento del codice del’30.”
7
Su questo punto, AJELLO, L’esperienza critica del diritto, Napoli, 1999, p. 325, per il quale “la
favola edificante della scienza giuridica ‘pura’ appare un limite infantile inammissibile in ogni
intelligenza adulta, incredibile nell’umana evoluzione culturale…ed invece l’esperienza giuridica
è sempre anche politica, è manifestazione di varie e molteplici sfere ideali, prima di diventare
fatto, prima di dar vita a norme capaci di imporsi positivamente.”
Vorremmo resistere alla tendenza che avvalora l’apparente neutralità del metodo dell’indirizzo
tecnico-giuridico, se non altro perché il tecnicismo giuridico esprime in modo pregnante la
volontà, di matrice autoritaria, di affermare l’assoluta prevalenza dello Stato rispetto all’individuo
– non attraverso il ricorso ad un presunto diritto naturale, ma – attraverso la categorica asserzione
che l’unico diritto è quello positivo, cioè quello che promana dalla suprema volontà ed autorità
dello Stato. L’accentuazione esasperata del diritto positivo dello Stato, inteso come unica fonte, ci
consente di comprendere, tra l’altro, le ragioni profonde del suo monopolio esclusivo nell’ambito
della scienza del diritto penale durante il fascismo. Sul punto BRICOLA, op. cit., p.11, n.10.
4
per perseguire inconfessate tendenze autoritarie– non costituisce affatto un unicum
nel panorama dell’ordinamento giuridico, rappresentando, bensì, una derivazione
delle venature politiche che scorrono attraverso l’intero sistema giuridico.
Il corollario di una simile impostazione si traduce nella costruzione di un
sistema penale assiologicamente orientato, cioè di un sistema che assume quali
parametri di riferimento quei valori, normativamente fondati, di estrazione liberal-
solidaristica ereditati dalle civiltà moderne attraverso gli sviluppi del pensiero
illuministico.
L’illuminismo, - celebrato come fonte del “diritto penale moderno” – ha
effettivamente rivoluzionato gli schemi del sistema penale “attraverso … la
nascita dello stato di diritto, lo sviluppo delle Costituzioni e l’obiettivo di un
intervento penale umano, minimo, quale extrema ratio.”
8
Da questo momento il diritto penale comincerà ad affrontare i problemi di una
razionalizzazione e di un’umanizzazione adeguate ad uno Stato laico e
pluralistico.
9
Ed allora, il diritto penale – liberato da ogni sovrastruttura ideologico-
metafisica e recuperata la sua dimensione esistenziale e non essenziale,
problematica e non apodittica, occasionale e precaria e non necessaria ed assoluta,
in una parola, recuperato il suo carattere “mondano”
10
– prende forma proprio
dalle scelte di politica criminale, ad esso antecedenti anche sotto il profilo logico:
consentire una pacifica coesistenza tra i consociati senza rinunciare alle garanzie
8
Così DONINI, Teoria del reato, in Dig. disc. pen., p. 222.
9
E’ l’aperta dialettica dei paradigmi scientifici in competizione ciò che ha consentito, in questi
ultimi secoli, progressi impensabili in società dominate da una monistica visione del mondo. La
maggiore produttività di una situazione di pluralismo di interessi e di idee era già stata notata nella
seconda metà del Seicento, da Spinoza, da Locke, da Montesquieu. Senza sottovalutare la
tolleranza che è imposta dal primato deontologico della molteplicità.
10
“Questa tendenza a privilegiare i valori rispetto ai fatti è un fenomeno che in termini tecnici
viene indicato come fallacia idealistica: portava non solo alla confusione tra livello deontologico
ed esistenziale, ma a considerare trascurabile il secondo a danno del primo, inteso come l’unico
veramente reale”. Così AJELLO, op. cit., p.20 ss.
Peraltro sostiene l’Autore, “l’affrancarsi …dall’idealismo metafisico, è un fenomeno …ancora in
corso”.
5
formali, così realizzando un significativo coordinamento tra le esigenze dello stato
sociale e quelle dello stato di diritto.
L’illuminante insegnamento di Roxin viene, in questo modo, a ribaltare la
concezione lisztiana del diritto penale come invalicabile barriera garantistica della
politica criminale
11
; questo radicale mutamento di prospettiva “dà vita,
inequivocabilmente, ad una scambievole limitazione che finisce con l’ampliare il
campo delle garanzie, sia formali che sostanziali: il diritto penale, con il suo
impianto sistematico, resta il limite invalicabile della politica criminale, ma la
politica criminale, con la considerazione di quanto richiesto o consentito da
legittime esigenze di effettività, diviene, in bonam partem, il limite del diritto
penale, che risulta condizionato nella sua azione da quel tipo di esigenze.”
12
Ma l’aspetto più interessante della riflessione roxiniana, nonchè più proficuo
ai fini del nostro lavoro, risulta la proposta metodologica - e qui il giurista tedesco
si pone davvero all’avanguardia - di risolvere singoli problemi giuridici alla luce
delle opzioni politico-criminali che sono a fondamento di un sistema penale
teleologicamente orientato.
Il giurista tedesco, infatti, si propone di “dare alle scelte di valore della
politica criminale uno spazio tale nell’ambito del sistema del diritto penale, da far
sì che il loro fondamento legislativo, la loro chiarezza e valutabilità, la loro
armonica incidenza e le loro ripercussioni sul caso concreto non abbiano mai
un’importanza minore rispetto agli apporti del sistema formale positivistico di
provenienza lisztiana”
13
.
11
Scrive BRICOLA, Rapporti tra dommatica e politica criminale, cit., p. 10, “nella visione
lisztiana la contrapposizione si gioca in termini netti: al mondo terso e puro della dogmatica si
contrappone l’efficientismo, l’empiria e la pura idea di scopo della politica criminale.”
12
Così MOCCIA, Il diritto penale tra essere e valore: funzione della pena e sistematica
teleologica, Napoli, 1992, p. 30. La “vocazione alla simbiosi” tra dommatica e politica criminale è
un aspetto sottolineato anche da MAIELLO, La clemenza tra dommatica e politica criminale, in
Riv. it. dir. proc. pen., 1992, p. 1031.
13
ROXIN, op. cit. p. 46.
6
I.2. La funzione sistematica dei principi di politica criminale
Nella concezione roxiniana del sistema penale, ciascuna delle tradizionali
categorie del reato – fatto, antigiuridicità, colpevolezza – è chiamata a svolgere
determinati compiti di politica criminale: il fatto (Tatbestand) soddisfa le esigenze
di determinatezza e tassatività assicurate dal principio di legalità; l’antigiuridicità
risolve i conflitti d’interesse che sorgono dalla collisione tra il bene tutelato
dall’ordinamento e quello protetto dalla norma permissiva, in modo da garantire
l’unità dell’ordinamento e quello giuridico attraverso il principio di non
contraddizione; la colpevolezza costituisce il presupposto, e contestualmente il
limite garantistico, per l’esercizio della pretesa punitiva in termini di prevenzione
sia generale sia speciale.
14
I referenti teleologici delle singole funzioni politico-criminali perseguite da
ciascuna delle categorie del reato, possono, quindi, rispettivamente individuarsi
nella difesa della libertà (fatto), nella risoluzione dei conflitti sociali,
(antigiuridicità) e nello svolgimento di finalità di prevenzione (colpevolezza).
Tuttavia, bisogna guardarsi da schematizzazioni troppo rigide: natura non
facit saltum. In altri termini, se l’insegnamento roxiniano consente – attraverso
l’isolamento delle funzioni politico-criminali correlate alle tre categorie
dommatiche del reato e la specificazione della loro sfera di operatività sul piano
dell’elaborazione normativa – l’edificazione di un sistema penale coerente e
razionale, potrebbe apparire condizionante la configurazione di una dogmatica, le
cui categorie, in quanto assegnatarie di compiti rigorosamente classificati,
risultino compartimenti asfittici, settori incomunicanti.
14
ROXIN, op. cit. p. 50 e ss.
7
In realtà, come ha sostenuto autorevole dottrina,
15
i diversi profili funzionali
(teloi) del sistema roxiniano, si presenterebbero con incidenza differenziata
all’interno delle singole categorie del reato, cooperando in perfetta osmosi.
Esemplificando: la tutela della libertà, oltre a costituire il referente
assiomatico irrinunciabile del ‘fatto tipico’ inciderebbe, anche se in misura
diversa, sulle categorie dell’antigiuridicità e della colpevolezza.
Un solido coordinamento tra il piano dell’essere e il piano dei valori, tra
realtà sociale e norma giuridica, costituisce una condizione fondamentale per la
fondazione di un sistema penale che persegua una logica coerente – tale da
orientare, mediante processi di interiorizzazione dei valori tutelati, la condotta dei
consociati - e conformemente, una prospettiva di praticabilità.
16
Questa nuova impostazione, attenta alla sostanza dei valori, determina una
netta inversione di tendenza nell’ambito di una dommatica penalistica che,
affrancatasi dalla soffocante ipoteca tecnicistica e dalla dimensione “autistica” che
“la proiettava su di un futuro senza orizzonti”
17
– (il formalismo giuridico
irrigidisce in schemi fissi l’oggetto, lo pone al di fuori della dialettica esistenziale,
in realtà collocandolo in un museo dove si mantiene isolato dalle esperienze
nuove e dove è destinato ad invecchiare inesorabilmente) –, si apre alla
sperimentazione della validità del materiale normativo, al suo rinnovamento in
rapporto all’emergere incessante delle nuove realtà esistenziali, recuperando una
dimensione dinamica e progressista.
15
Cfr. MOCCIA, Il diritto penale, cit., p. 37.
16
Cfr. MOCCIA, Il diritto penale, cit., p. 27.
17
Così MAIELLO, op. cit., p. 1034. In effetti, appare inammissibile l’identificazione -operata dal
tecnicismo giuridico - dell’oggetto della scienza del diritto penale con lo studio delle fonti
positive: invero, la conduzione in termini rigorosamente positivi dell’analisi del resto non deve
significare, per il giurista, la preclusione di ogni attività volta a suggerire modifiche – anche
strutturali - dell’oggetto del suo studio, non più inteso come dato definitivo. Da quest’angolazione,
l’indirizzo teleologico non contesta l’impostazione generale del tecnicismo giuridico, bensì la sua
mistificante pretesa di circoscrivere lo studio del diritto alle sole norme positive, interpretate con
un metodo logico-formale. Esso non rimuove l’oggetto della scienza giuridica penale, ciò
nondimeno insorge contro l’abuso dei criteri di logica formale, cercando di rivitalizzare –
attraverso il richiamo ai valori tutelabili – l’arida impostazione tecnicistica. Sul punto BRICOLA,
op. cit., p. 28, n. 1.
8
Il leitmotiv del programma del tecnicismo giuridico tracciato da Arturo Rocco
era costituito dalla netta separazione tra dogmatica e politica criminale. L’oggetto
specifico delle sue ricerche era rappresentato esclusivamente dal diritto positivo,
con esclusione, quindi, di ogni aspetto politico, sociologico o criminologico.
“Il logos dell’interprete, dunque, era il medesimo logos del legislatore, ma il
legislatore non aveva un logos sovraordinato...E soprattutto nel codice si doveva
'trovare tutto'”.
18
Parafrasando Accursio
19
si potrebbe dire: Omnia in corpore
codicis inveniuntur.
In questa prospettiva, la moderna scienza del diritto penale, nell’esprimere
l’aspirazione ad una tendenziale unità sistematica tra politica criminale e diritto
penale, rivendica il superamento della tradizionale separatezza tra scienza
normativa e discipline ausiliarie di matrice “empirico-sociale” e si propone “come
strumento di verifica della praticabilità in termini normativi di opzioni
politiche”.
20
In quest’ordine di idee, non è più’ la coerenza logico-deduttiva il parametro
valutativo idoneo a fondare la “razionalità” di una categoria dogmatica, in quanto
essa finisce per dipendere dalla sua adeguatezza assio-teleologica.
Si noti, inoltre, che le opzioni politico-criminali, alle quali la più recente
dottrina penalistica rivendica un ruolo significativo nella edificazione dei concetti
generali del diritto penale, non costituiscono affatto una manifestazione di
indirizzi politici arbitrari, ma sono espressione dei principi dello stato sociale di
diritto consolidatisi nelle liberaldemocrazie occidentali
21
, nell’ambito delle quali
si sono affermati ordinamenti caratterizzati da forti istanze liberali e solidaristiche.
Ciò significa, in termini di tutela dei diritti individuali, rafforzamento delle
garanzie di tipo formale e sostanziale; ma anche, in termini di tutela di interessi
18
Così DONINI, op. cit., p. 227.
19
E’ sua la massima: “Omnia in Corpore Juris inveniuntur”.
20
Ibidem.
21
“E’ questa dello ‘stato sociale di diritto’ una formula maggiormente accreditata nella dottrina
giuridica tedesca, (…), essa, tuttavia, sembra adattarsi perfettamente al nostro attuale contesto
costituzionale, che è certamente la risultante di una felice sintesi di componenti liberali e
solidaristiche.” Così MOCCIA, Il diritto penale, cit., p. 28 ss.
9
super individuali, potenziamento della componente solidaristica. Il che
presuppone, coerentemente, “l’adozione di strategie di controllo di fatti
socialmente dannosi che, nel rispetto della libertà e dignità della persona, siano
ispirate a criteri di razionalità ed efficienza”.
22
E’ questa la preziosa funzione, innanzitutto autocritica e propulsiva, degli
ideali: invero, l’approccio di matrice funzionalistica attribuisce alle scelte di
valore il ruolo “di guida e di propulsione per la stessa attività di costruzione delle
norme”
23
Inoltre, il coinvolgimento di premesse assiommatiche, quale referente
obbligatorio dell’architettura normativa del sistema penale, consente alla
dogmatica di fungere da parametro per valutare la coerenza del sistema – ovvero
la sua legittimità e funzionalità – e per ricomporre sistematicamente le discrasie
tra le opzioni ideologiche e le soluzioni normative.
In sostanza, la scienza del diritto, in ossequio alle esigenze di coerenza ed
unitarietà dell'ordinamento, è chiamata a svolgere un’operazione di lifting,
attraverso la correzione delle aporie del sistema.
Da un lato, infatti, si è rilevato che “una legislazione ispirata ad un eccesso di
disinvolto empirismo, espressivo di una valorizzazione del pragmatismo
tecnicistico di tipo postmoderno, poco attento al momento ideologico, reca con sé
il duplice rischio di creare confusione sotto il profilo normativo, con il noto
corollario dell’inefficienza sul piano dei risultati, e, inoltre, a far calare la tensione
in termine di garanzie, pregiudicando gravemente i diritti fondamentali”.
24
Dall'altro, invece, l’emersione di prospettive di razionalità ed efficienza,
nell’ambito di un diritto penale orientato ai valori, impone di depurare il sistema
da ogni presupposto di natura irrazionale, da ogni ipostatizzazione
25
di tipo
22
Così MOCCIA, op. cit., p. 29
23
Così MAIELLO, op. cit., p. 1032.“Naturalmente – aggiunge l’Autore – ‘la costruzione di norme
future’, (…), deve pur sempre muoversi, entro un quadro teleologico ‘positivo’, rappresentato
nelle democrazie europee occidentali, dalle indicazioni costituzionali”.
24
Così MOCCIA, Il diritto penale, cit. p. 25.
25
D’identica matrice è un fenomeno tipico dell’ontologismo medievale: la corrispondenza tra
nomina et res, o, più semplicemente, l'assunto per cui nomina sunt res.
10
extragiuridico: pare evidente, infatti, come un diritto penale che si fonda su verità
apodittiche, non problematiche, asseverative – perché in ipotesi oggettive –,
insuscettibili di verifica secondo processi di collaudo palesi, non possa in alcun
modo pretendere di configurarsi quale strumento di regolamentazione di fenomeni
sociali.
Se ne inferisce, pertanto, la necessità che il diritto penale sia sterilizzato da
ogni ascendenza della concezione retributiva, intesa come espressione
paradigmatica di una fondazione trascendente del diritto.
Non è un caso – e qui il prius è illuminato dal posterius – che “l’erosione del
rigido spartiacque tra la dommatica e la politica criminale, […], sia stata diretta
conseguenza dell’eclissarsi dell’idea retributiva, del radicarsi della natura relativa
della sanzione penale e del penetrante irrompere dell’idea di scopo a connotare il
suo profilo”
26
.
Peraltro, bisogna considerare le notevoli resistenze opposte alle istanze
realistiche della concezione retributiva, resistenze dovute sia all’eredità di un
materiale tradizionale fortemente condizionante, sia al profondo radicamento nei
giuristi di una forma mentis di estrazione positivistica.
Vinte le resistenze, tuttavia, nessun ostacolo si frappone alla individuazione
della scopo della sanzione, e corrispondentemente del sistema penale, nel
processo di 'integrazione sociale'.
La realtà logica significava di per sé una verità ontologica, indiscutibile, che non richiedeva
nessuna conferma sperimentale. In questi termini AJELLO, op. cit., passim.
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Così MAIELLO, op. cit., p. 1036.