2) rispetto alla decorrenza del termine di prescrizione (art. 158);
3) ai fini dell’amnistia e dell’indulto, di solito concessi (salvo cioè che la
legge disponga una data diversa) limitatamente ai fatti commessi fino al
giorno precedente la data della legge (art. 151, comma 3°, e art. 174);
4) ai fini della competenza territoriale (8 c.p.p.);
5) per la applicazione della legge penale italiana rispetto alla legge penale
straniera (art. 6).
6) Il concetto di consumazione funge, inoltre, da imprescindibile termine di
riferimento rispetto alla distinta ed autonoma figura del tentativo,
condizione minima per aversi punizione.
Il reato, come ogni fatto umano, nasce, vive e muore. Perciò esso, se
considerato dal punto di vista dinamico, cioè nel suo concreto divenire, si
realizza di regola passando attraverso varie fasi, costituenti il c.d. iter
criminis.
Tale iter nella sua estensione massima, può snodarsi nelle fasi:
1) dell’ideazione, che si svolge all’interno della psiche del reo, in sé non
punibile;
2) della preparazione, che può aversi nei reati a dolo di proposito e, in
particolare, di premeditazione;
3) dell’esecuzione (o della commissione) che si ha quando il soggetto
compie la condotta esteriore richiesta per la sussistenza del reato;
4) della perfezione del reato, allorché si sono verificati tutti i requisiti dalla
singola fattispecie legale (condotta, evento, offesa, nesso di causalità,
elemento soggettivo), nel loro contenuto minimo, cioè necessario e
II
sufficiente per la esistenza del reato;
5) della consumazione, quando il reato perfetto ha raggiunto la sua massima
gravità concreta.
Mentre la perfezione indica il momento in cui il reato è venuto ad esistere, la
consumazione indica il momento in cui è venuto a cessare, in cui si chiude
l’iter criminis per aprirsi la fase del postfactum.
Il diritto italiano nella costruzione degli elementi oggettivi del tentativo e del
concorso di persone, si ispira, almeno in partenza, agli schemi della Scuola
Classica e non accetta la punizione di un fatto quando non abbia raggiunto
una certa soglia di pericolo o quando l’ideazione non sia seguita da un
principio di azione idonea. Peraltro, coniugando queste premesse con quelle
proprie della Scuola Positiva, non disconosce la pericolosità che il soggetto
attraverso quella ideazione o quell’accordo o quel tentativo del tutto
inidoneo può aver rivelato.
Il presente lavoro, attraverso lo studio degli istituti del concorso di persone
nel reato, del delitto tentato e, in prospettiva, dell'accordo e dell'istigazione a
commettere un reato, si propone il compito di far luce sulle sfumature
dell’iter criminis cercando di individuare parametri positivi utili ad una netta
demarcazione tra condotte non punibili e condotte meritevoli di sanzione
penale.
III
CAPITOLO I
IL CONCORSO DI PERSONE
1. Il codice Rocco ed il diritto penale del fatto.
Il fatto costituente reato rappresenta l'oggettività del diritto penale, senza di
esso si avrebbe un diritto penale del sospetto, che andrebbe a commisurare
la pena in assenza della conseguenza di un comportamento1.
Nell'ambito di un diritto penale ispirato all'idea della protezione dei beni
giuridici risultano prive di legittimazione teorica e politico-criminale le
teorie c.d. soggettive e sia pure in misura minore le teorie c.d. miste, mentre
sono di gran lunga preferibili le teorie c.d. oggettive2 del fondamento della
1 Cfr., fra i tanti, ALBEGGIANI, Imputazione dell'evento e struttura obiettiva della partecip. crim., in
Indice pen., 1977, 323; GIULIANI BALESTRINO, I limiti della partec. crim., Milano 1988, 476;
INSOLERA, Concorso di persona nel reato, in Dig., II, 1988, 107.
2 Per una trattazione più esaustiva delle suddette teorie si rinvia al successivo Capitolo 2, Il delitto
1
punibilità essendo più in linea e collegandosi in maniera più coerente con gli
irrinunciabili presupposti di un diritto penale del fatto3.
Presupposti riassumibili nella fondamentale esigenza che il proposito
criminoso si traduca in un comportamento materiale (c.d. principio di
materialità) che, a sua volta, produca una effettiva lesione, o almeno una
messa in pericolo obbiettivamente accertabile, del bene protetto (c.d.
principio di offensività)4.
Significative indicazioni in questo senso provengono, d'altronde, dal nostro
diritto positivo.
Innanzitutto, il riferimento è all'articolo 25 della Costituzione italiana che, al
comma secondo, attualizza il famoso brocardo latino “ cogitationis poenam
nemo patitur ” : “ nessuno può essere punito...prima del fatto commesso ”;
e, simmetricamente, all'articolo 1 del codice penale nella parte in cui
sottolinea che “nessuno può essere punito per un fatto che non sia
espressamente preveduto come reato dalla legge”; all'articolo 40 c.p., dove
si precisa che si è puniti, a seguito di propria azione od omissione (rapporto
di causalità), solo per un fatto preveduto dalla legge come reato; all'articolo
42 comma secondo, che testualmente recita: “Nessuno può essere punito per
un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l'ha commesso con
dolo, ...”.
Ancora, da un lato, l'articolo 56 menziona un requisito, precisamente quello
della idoneità dell'azione, che trova autentica spiegazione nell'ambito di una
concezione oggettivistica: la idoneità infatti non può che essere rapportata
tentato.
3 Così, FIANDACA-MUSCO, Diritto penale parte generale, 2007, 470.
4 Vedi infra par. 1.1, Il principio di materialità e di offensività nel concorso di persone.
2
all'attitudine della condotta materiale ad aggredire il bene tutelato.
Dall'altro, e a contrario, la disposizione di cui all'articolo 49, parlando di
reato impossibile per inidoneità dell'azione, conferma che nel nostro
ordinamento il tentativo inidoneo non ha diritto di cittadinanza5.
Da ultimo, l'articolo 115, che sottolinea che quando due o più persone si
accordano al solo fine di commettere un reato, ma a tale accordo un effettivo
reato non segue neanche nella forma del tentativo punibile, questi, per il
solo fatto dell'accordo, non possono essere puniti. Al massimo, tali soggetti
saranno sottoponibili a misura di sicurezza qualora dai loro comportamenti
sia emerso un principio di pericolosità sociale6.
Dal punto di vista dell'incidenza sugli interessi penalmente tutelati, la
consumazione riflette dunque la lesione effettiva del bene oggetto di
protezione, contrapponendosi ad una lesione soltanto potenziale che
caratterizza, invece, la figura del tentativo, ugualmente punibile ma in
maniera ridotta: ed è appunto una qualche aggressione al bene, seppur
minima ma necessaria, che giustifica, nella logica di un diritto penale del
fatto, un trattamento penale sanzionatorio, naturalmente diversificato e
proporzionato a seconda che si tratti di lesione effettiva o potenziale (e
quindi, a seconda che si tratti, rispettivamente, di un reato consumato o
soltanto tentato)7.
5 Cfr., ancora, FIANDACA-MUSCO, Diritto penale parte generale, cit., 455.
6 Vedi, tra i tanti, LATAGLIATA, I principi del concorso di persone nel reato, Napoli 1964, 297; M.
GALLO, Lineamenti di una teoria sul concorso di persone nel reato, Milano, 1957, 442; PAPA,
Comm. all'art. 110 c.p., in Cod. pen.( a cura di Padovani), Milano 1996, 479.
7 Così, FIANDACA-MUSCO, Diritto penale parte generale, cit., 463.
3
1.1 Il principio di materialità e di offensività nel concorso di persone
Il codice Rocco è una evidente manifestazione di un diritto penale del fatto8.
Un tale assunto, come già detto, trova conferma nei principi generali di
materialità e di offensività, colonne portanti del nostro ordinamento.
Il principio di materialità ha la sua fonte nella Carta Costituzionale e
precisamente all'art. 25, il quale articolo parla di punibilità per un "... fatto
commesso".
La massima che lo esprime "cogitationis poenam nemo patitur", dichiara che
può considerarsi reato solo un comportamento umano che si estrinseca nel
mondo esteriore, quindi che si possa percepire con i sensi.
La conseguenza è che non si possono considerare reati:
− gli atteggiamenti volontari semplicemente interni;
− quelle intenzioni meramente dichiarative (ad es. un proposito omicida
che non si tradurrà mai in atti idonei ad uccidere);
− i modi di essere della persona (tratti caratteriali).
Non si può, quindi, essere puniti per aver pensato o elaborato mentalmente
un reato ma, invece, è necessaria l'estrinsecazione di tale "pensieri" o
"elaborazione" in un reale comportamento fattuale9.
Il principio di offensività afferma che non vi può essere reato senza un'
8 Cfr., MANTOVANI, Diritto penale, 2001, 576; FRANCESCO CARRARA, Programma del corso di
diritto criminale, del delitto, della pena, Bologna, 1993, 270; SEMINARA, Tecniche normative e conc.
di pers. nel reato, Milano, 1987, 327; VASSALLI, Accordo (dir. pen.) in Enc. dir., I, 1958, 780;
VIGNALE, Ai confini della tipicità: l'identificazione della condotta concorsuale, in Riv. it., 1983, 454.
9 Cfr., su tutti, FRANCESCO CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, cit., 276.
4
offesa ad un bene giuridico, cioè ad una situazione di fatto o giuridica,
protetta dall'ordinamento, modificabile oppure offendibile per effetto di un
comportamento umano10. Il concetto di offesa, invece, può assumere due
significati: in un primo senso può indicare l'antigiuridicità come tale (e
quindi richiede la conoscenza della norma incriminatrice); oppure, in un
secondo, può indicare l'idoneità del fatto a ledere o esporre a pericolo un
bene giuridico (e quindi a prescindere dall'eventuale conoscenza della norma
incriminatrice). Inizialmente concepito nel primo senso, il termine offesa ha
poi assunto un significato molto più vicino al secondo11.
Tale principio, dunque, introduce una ulteriore delimitazione del reato e
consente di punire soltanto i fatti che ledano o pongano in pericolo l'integrità
di un bene giuridico.
Esso è complementare al principio di materialità e integrato assieme a
questo nel principio di tipicità.
Il progressivo sviluppo di questa categoria corre di pari passo con
l'evoluzione del concetto di evento in senso giuridico. E' evento in senso
giuridico l'effetto giuridico di danno o pericolo della condotta; a questo
punto, qualora manchi un' effettiva offesa (quand'anche potenziale)
risultante dalla condotta, non vi è comportamento punibile12.
Il problema cardine del principio in argomento è il problema del suo
fondamento. Nessuna norma, di rango costituzionale o ordinario, fa
10 Vedi, ad esempio: PAGLIARO, Diversi titoli di resp. per uno stesso fatto concors. in Riv. it., 1994;
PATERNITI, Conc. di pers. nel reato, in Enc. giur., VII, Roma, 1988; MORSELLI, Note critiche sulla
normativa del conco. di pers. nel reato, in Riv. it., 1983, 415.
11 Così, FIANDACA-MUSCO, Diritto penale parte generale, cit., 2.
12 Cfr., ALBEGGIANI, Imputazione dell'evento e struttura obiettiva della partecipazione criminosa, in
Indice pen., cit., 545; CARACCIOLI, Profili del concorso di persone nelle contravvenzioni, in Riv. It.,
1971, 321.
5
riferimento specifico al concetto di offesa necessaria, come canone di
criminalizzazione ovvero di interpretazione. Pare realistico però che dal
senso complessivo delle disposizioni costituzionali fonti di diritto penale si
possa ricavare una direttrice di politica criminale13.
Sul piano più strettamente interpretativo, l'esistenza del principio detto, nel
nostro ordinamento si ricaverebbe, sul piano costituzionale, dall'art. 13, che
dopo aver dichiarato la libertà personale inviolabile ne ammette restrizioni
al fine di tutelare l'interesse protetto solo per atto motivato dell'autorità
giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge, dall'articolo 25, 2° e 3°
comma, dall'art. 27 3° comma Cost. che vieterebbe la strumentalizzazione
della persona e i trattamenti contrari alla rieducazione (percezione personale
ovvero sociale di un'offesa). Chi sostiene il principio di offensività a livello
costituzionale ritiene che esso sia variamente desumibile anche dal sistema
di tali norme.
Si tratta di assunti deboli ove non discutibili. L'esistenza del principio di
offensività (o necessaria lesività), comunque, sebbene avversata da parte
della dottrina, è sostenuta da alcune sempre più esplicite pronunce della
Corte Costituzionale nel senso della sua valenza anche a livello
costituzionale14.
A livello di legge ordinaria, invece, gli assertori del principio in esame
sostengono che il codice penale lo preveda esplicitamente nella sua parte
generale, laddove afferma:"La punibilità è [...] esclusa quando [...] è
13 Cfr., RANIERI, Il concorso di persone in un reato, Milano, 1952, 453; PEDRAZZI, Il concorso di
persone nel reato, Palermo, 1952, 223.
14 Vedi in particolare le sentenze della corte costituzionale del 24/07/1995 n° 360 - 11/07/2000 n°263 – n°
354/2002 - 21/11/2000 n° 519.
6
impossibile l'evento dannoso o pericoloso", art. 49 c. p.15.
Dal punto di vista del diritto positivo, quindi, per aversi incriminazione e
condanna dovrebbe essere necessario un quid pluris rispetto alla fattispecie
tipica, l'offesa, appunto.
Secondo parte della dottrina16, in questo modo, si introdurrebbe nel fatto di
reato un elemento estraneo alla fattispecie, ulteriore rispetto ad essa,
frustrando, in qualche modo, il principio di legalità.
La obiezione però non coglie nel segno, essendo il principio di offensività
servente ad un concetto di giustizia sostanziale, ma nel quadro di un
ordinamento che accoglie il principio di legalità formale. Sicché il principio
di offensività ha una funzione di garanzia ulteriore, prevedendo che non
possa esservi pena senza "iniuria"17.
In altre parole, la mancanza di offesa al bene giuridico non costituisce reato,
nonostante la fattispecie materiale sia integrata.
Sicché per esservi reato, l'offesa quale elemento del fatto tipico, deve
pervadere la materialità della condotta, risolvendosi in un'azione perlomeno
non inidonea (secondo il disposto del citato art. 49 c. p.), a porre in pericolo
il bene tutelato.
Quale principio di eminente estrazione sostanziale, il principio di offensività
viene sostenuto da taluno affermando che conserverebbe valore come
15 Cfr., MANTOVANI, Diritto penale, cit., 443; CARACCIOLI, Profili del concorso, cit., 223; DONINI,
La partecipazione al reato tra responsabilità per fatto proprio e responsabilità per fatto altrui, in Riv.,
it. dir. proc. pen., 1984, 345; PEDRAZZI, Il concorso di persone nel reato, cit., 651.
16 Cfr., ARDIZZONE, In tema di aspetto subiet. di conc. di persone nel reato, in Riv. it., 1995;
BRASIELLO, Conc. di pers. nel reato (dir. rom.), in Enc. dir., VIII; DELL'ANDRO, La fattispecie
plurisoggettiva in diritto penale, Milano 1956; MARONGIU, Conc. di pers. nel reato (dir. interm.), ivi,
564; MILITELLO, Agevolaz. e conc. di pers. nel Progetto 1992, in Indice pen., 1993.
17 Cfr., RANIERI, Il concorso di persone, cit., 348; SPASARI, Profili di teoria generale del reato in
relazione al concorso di persone nel reato colposo, Milano, 1956, 273.
7