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Israele si trova al centro del mondo, nell’Asia sud-occidentale,
in una sorta di cuneo inserito tra Egitto e Giordania, bagnato dal
Mediterraneo, all’incrocio tra tre continenti, punto di origine delle
tre grandi razze che abitano il pianeta. La storia di questo popolo ha
dell’incredibile: unico popolo dell’età antica tuttora esistente, nei
suoi quattromila anni di epopea ha dovuto subire invasioni da più di
una dozzina di conquistatori diversi, due schiavitù, un esilio durato
duemila anni (finito appena cinquant’anni fa), persecuzioni e
stermini di smisurata crudeltà.
Ciò nonostante sia come individui sia come popolo gli ebrei
hanno lasciato un’impronta profonda: essi hanno contribuito con le
loro idee e la loro cultura a ogni campo dello scibile umano. Il
giudaismo è stato il progenitore del cristianesimo e dell’islamismo.
Gesù era ebreo, come lo erano i suoi apostoli. Le Sacre Scritture
sono il fondamento della Cristianità e le leggi mosaiche sono
considerate una guida a un’etica e a una moralità che si fondano sul
concetto di coscienza individuale.
“Oggi ho fondato lo Stato ebraico. Se lo annunciassi, la gente
forse riderebbe di me. Ma tra cinque anni, forse cinquanta, vedrete
che avevo ragione”. Era il 1897, e chi scriveva queste parole nel suo
diario al termine di una faticosa giornata era un giovane giornalista
ungherese di religione ebraica: Theodor Herzl, il padre del
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sionismo. Alla fine del primo Congresso sionistico mondiale, tenuto
a Basilea, Herzl propugnò la costituzione di uno Stato ebraico. La
prima metà del XX secolo fu segnata dall’arrivo in Palestina di
numerosi immigrati; durante il mandato britannico il loro
insediamento, ritenuto dagli arabi un’ingiustizia, fu accompagnato
da un clima di crescente violenza.
Il 14 maggio 1948 venne ufficialmente proclamato lo Stato
d’Israele e ciò provocò subito lo scontro armato tra arabi e
israeliani. La rapida vittoria israeliana nel 1949 segnò la fine dell’
“apolidia” degli ebrei, ma determinò la comparsa di nuovi esiliati: i
palestinesi. La nascita della Repubblica israeliana è un altro caso
unico al mondo: genti ebraiche sparse in tutto il mondo che
ritornano nella terra dei loro antenati dopo un esilio durato due
millenni e con un bagaglio culturale, linguistico e sociale
assolutamente differente. La riunificazione dello Stato d’Israele,
avvenuta subito dopo il genocidio nazista, è considerata da molti
ebrei un’impresa di una grandiosità pari a quella della liberazione
dalla schiavitù egizia condotta da Mosè e raccontata dalla Bibbia.
Israele è una grande nazione racchiusa in un piccolo Stato. Il
gruppo umano che infatti abita il territorio palestinese, con la
propria organizzazione politica, cioè retto da un governo
repubblicano indipendente e sovrano, in grado di legiferare ed
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esercitare l’effettivo controllo del territorio, è piuttosto modesto:
poco più di 5 milioni e mezzo di abitanti su una superficie di 21.000
kmq circa. La nazione ebraica, invece, intesa come gruppo umano
che presenta gli stessi caratteri culturali, cioè che ha in comune
lingua, tradizioni, costumi e religione, è molto vasta: si calcola che
infatti gli ebrei presenti attualmente nel mondo siano circa 14
milioni; essi sono sparsi un po’ su tutto il pianeta, specie nelle
nazioni più ricche e potenti e quasi sempre costituiscono parte
integrante dell’ establishment locale.
Da un punto di vista razziale è oggi praticamente impossibile
definire gli ebrei d’Israele; e non esistono certo elementi sufficienti
per parlare di una “razza ebrea” così di una “razza semitica”. Al
massimo si possono individuare dei gruppi etnici, ma non si può
certo provare che tutti gli ebrei, a causa dei numerosi incroci e delle
numerose conversioni, appartengano ad una stessa etnia. La
diaspora li ha portati a dirigersi su due direzioni: da un lato,
partendo dall’Anatolia, si sono diretti verso l’Europa centrale (gli
Ashkenaziti); dall’altro, spingendosi verso sud-ovest, hanno
raggiunto l’Africa del Nord e poi la Spagna e la Francia meridionale
(i Sefarditi). I due gruppi sono tra loro distinti sul piano etnico, ed
ancor più nettamente sul piano religioso.
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La Repubblica d’Israele compare per lo più nelle cronache per
le attività militari nelle quali si trova coinvolta, per l’interminabile
disputa con i paesi arabi e i palestinesi; varrebbe la pena che un
maggiore spazio fosse riservato altresì alle sue attività tecnico
scientifiche e produttive, che in avvenire, qualora il Vicino Oriente
fosse infine pacificato, potrebbero rivelarsi utilissime per il
progresso economico-sociale anche da i paesi vicini, nonché di altri
paesi costretti ad affrontare problemi analoghi a quelli di Israele.
Il riscatto parziale del deserto del Negev, ad esempio, è solo
uno degli straordinari risultati ottenuti in campo agricolo dalla
repubblica ebraica. Un altro esempio ci è offerto dal lago di Hula e
dalla palude circostante: un territorio malarico dell’Alta Galilea
dell’ampiezza di circa 60 kmq; mediante un piano settennale, che ha
comportato la deviazione del Giordano e la costruzione di una rete
di canali per il drenaggio delle acque, la regione è stata infatti
completamente bonificata, e si è trasformata in una delle più fertili
campagne dello Stato.
I successi dell’agricoltura israeliana sono legati essenzialmente
al binomio collettivismo (oggi sostituito in parte da forme di
cooperazione)-irrigazione. I kibbutzim, con le loro attrezzature e
con l’impegno di una popolazione consapevole del ruolo di
fondamentale importanza che è chiamata a ricoprire nel quadro
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dell’economia nazionale, sono la manifestazione significativa di un
settore rigidamente pianificato e largamente dotato di mezzi tecnici
moderni.
La progettazione di macchinari e artifici vari atti ad aumentare
la produttività agricola è una costante del know-how israeliano:
congegni per la raccolta meccanica dei pomodori, tecniche
rivoluzionarie dell’irrigazione computerizzata “a goccia” (che
consentono appunto di controllare rigorosamente il flusso d’acqua,
senza concederne una goccia più del necessario), studi rivolti a
miniaturizzare le piante di agrumi per facilitare la raccolta dei frutti
sono parte integrante della tecnologia israeliana.
Anche se dall’inizio degli anni Ottanta Israele non presenta più
il fervore rivoluzionario e lo spirito pionieristico di un tempo
(persistono infatti fenomeni di stagflation, ossia inflazione e
stagnazione combinate, squilibri della bilancia commerciale,
crescenti spese belliche), il progresso registrato in cinquant’anni
dall’economia israeliana è a dir poco stupefacente, frutto di fattori
umani, organizzativi, volontaristici, ispirati e guidati da criteri
fondati sull’efficienza. La valorizzazione delle limitatissime risorse
ambientali e l’organizzazione razionale del settore agricolo,
sostenuto da massicci aiuti pubblici, hanno consentito all’economia
israeliana un primo sviluppo, sostenuto da una forte immigrazione,
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al quale ha fatto seguito il recente boom tecnologico e informatico
dei settori industriale e terziario.
Un’altro prodigio del popolo di Abramo è la lingua. L’idea di
risuscitare nientemeno che l’ebraico biblico come lingua parlata
venne ad un ebreo lituano, Eliezer ben Yehuda
1
. L’ebraico antico,
unico autentico legame di tutti gli ebrei della diaspora, rimasto
immutato nei secoli grazie alle preghiere, si rivelò l’elemento
culturale indispensabile per riunire nei villaggi agricoli i pionieri
venuti da paesi differenti. Ben Yehuda fondò nel 1890 un Comitato
per la lingua, precursore dell’Accademia per la lingua ebraica, che
fornisce agli immigrati liste di nuove parole necessarie alla civiltà
contemporanea.
A mano a mano che il paese accoglieva nuovi immigrati, si
diffondeva il motto: ivrì, daber ivrit, “ebreo, parla ebraico”. Ai giorni
nostri l’ivrit (ebraico moderno) conta cinque milioni di parlanti e
sebbene sia sempre più lontano dall’ebraico biblico, in ragione della
naturale evoluzione di una lingua viva, mantiene con esso uno
stretto legame. Oggi l’ivrit, lingua risuscitata, presenta tutti i sintomi
di una grande vitalità: la stampa ha infatti una grande diffusione e la
produzione letteraria è molto fiorente.
1
Enciclopedia “Il Milione”, Israele, La letteratura neoebraica, De Agostini, Novara
1986
8
Nessun dubbio per la scelta di Gerusalemme come capitale
dello Stato. Del resto, il primo atto di Davide dopo essere stato
nominato re di tutto Israele fu la scelta di Gerusalemme come
capitale del regno. Davide vi fece trasportare l’Arca dell’Alleanza
per farne l’eterno santuario di Dio e nell’universo biblico la città
santa divenne il fulcro del mondo: il Tempio in cima al monte
Moria era, per antonomasia, il luogo dell’incontro con Dio. In
questa città invasata di Dio la religione regge e controlla ogni istante
di vita dei suoi abitanti. Ma mai prima d’ora, negli ultimi duemila
anni, è stata luogo di culto e pellegrinaggio così libero e sicuro per
ebrei, cristiani e musulmani.
Gerusalemme deve la sua nascita a motivi propriamente
commerciali, posta com’è sulla via di transito che seguiva la dorsale
dei monti della Palestina. Crocevia tra Africa, Asia ed Europa, culla
delle tre religioni monoteiste verso cui dalla fine del secolo scorso
convergono ebrei da tutto il mondo, Gerusalemme coniuga nel
proprio quotidiano un’evidente pluralità culturale. Nella città santa,
simbolo di quanto avviene in tutta la terra di Palestina, vivono in
conflitto due entità che in tempi moderni si costituiscono come
popolo a se stante. Cosa dice il diritto internazionale? Il diritto
internazionale dice: dividete la Palestina e Gerusalemme in due, con
forme più o meno strane di ripartizione.
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Si tratta di individuare una soluzione che sia accettabile non
solo dalle parti in causa più direttamente interessate alla questione
della sovranità territoriale (Israele e popolo palestinese), ma che
soddisfi anche gli interessi legati alla dimensione religiosa, culturale
e storica di Gerusalemme, interessi che coinvolgono anche altri
soggetti, a cominciare dalla Santa Sede, e, in qualche misura, l’intera
Comunità internazionale. Il problema di Gerusalemme è un
problema nazionale tra due parti che hanno posizione di forza
diverse. Forse con la diplomazia, forse con il buon senso, forse con
la fantasia o con l’aiuto di Dio si troverà una soluzione a due fratelli
nemici, a due popoli che sono alla ricerca delle loro identità
nazionali e delle loro proiezioni sul territorio, ma anche destinati,
ineluttabilmente, a vivere insieme.
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CAPITOLO 1: GLI SCENARI
NATURALI
1. La culla di Israele e delle più antiche civiltà: il
Vicino Oriente
1.1 Caratteri fisici
Lo Stato di Israele è situato sulle sponde del Mediterraneo
orientale, in quella zona geografica dell’Asia occidentale chiamata
Vicino Oriente. I paesi appartenenti a questa regione hanno avuto
grande importanza per la civiltà e hanno visto sorgere le più antiche
città della Terra: dapprima gli Egizi, poi gli stanziamenti sumerici
nella Mesopotamia mediorientale e via via le altre popolazioni
semitiche (Ittiti, Ebrei, Assiro-Babilonesi, Caldei e infine i Fenici)
sono una testimonianza dell’enorme importanza storico-culturale di
questa vasta area tra il Mediterraneo e l’Oceano Indiano, posta al
confine tra Europa, Asia ed Africa. Il termine Oriente
1
è un
espressione geografica risalente ad un’epoca piuttosto remota, al
1
Migliorini E., Profilo geografico del Medio Oriente, LSE Napoli 1964
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tempo in cui l’Impero Romano venne ripartito in Impero d’Oriente
ed Impero d’Occidente.
L’uso è divenuto ancor più comune quando l’Islam divenne la
religione dell’Oriente, rispetto al Cristianesimo, religione
dell’Occidente, e ancor di più quando all’Europa venne a
contrapporsi l’Impero Ottomano.
I termini usati per denominare un’area si riferiscono alla
posizione relativa di un paese rispetto a un altro; ecco che nei paesi
anglosassoni si parla di Medio Oriente (“The Middle East”), mentre
per l’Italia è più appropriato parlare di Vicino Oriente, dove il
termine “Vicino” si contrappone a “Estremo” poiché quest’ultimo
indica i lontani paesi dell’ est asiatico (Giappone, Cina, Coree ecc.).
Il suolo è prevalentemente desertico (Deserto Libico, Siriano
ed Arabico), ma è interrotto da numerose oasi (Valle del Nilo,
Mesopotamia) e presenta zone costiere umide (Anatolia
settentrionale, paesi del Caspio, fascia libano-israelo-siriana), catene
montuose (Tauro, Zagros), altipiani stepposi (Anatolia, Armenia,
Iran). Una varietà paesaggistica che però non toglie che ci sia in tutti
questi paesi un’aria di famiglia, con condizioni naturali ed umane
che conferiscono all’area una certa unità fisica ed antropica.
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Oltre ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo orientale
(Israele, Turchia, Siria, Libano ed Egitto), nel Vicino Oriente si
comprendono anche, per motivi storici e culturali, i paesi della
penisola arabica (Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, Qatar, Emirati
Arabi Uniti, Oman, Yemen), l’Iraq (l’antica Mesopotamia) e l’Iran
(l’ex Persia). Tali paesi si estendono per circa 7 milioni di kmq dal
parallelo di Roma a quello di Gibuti e questo si rispecchia nella
vegetazione, che dalle foreste di latifoglie delle catene anatoliche,
attraverso le colture mediterranee (vite ed olivo) e desertiche (palma
da datteri), giunge fino alle piantagioni di caffè dello Yemen e alla
coltivazione della canna da zucchero in Egitto.
Rivolta a sud-ovest, questa regione non si presenta massiccia
come il resto del continente asiatico, ma limitata com’è da mari
diversi, il Caspio, il Mar Nero, il Mediterraneo, il Mar Rosso, il Mare
Arabico, il Golfo Persico, risulta articolata e facilmente penetrabile.
I rilievi possono essere divisi in due unità distinte: prima di tutto
una serie di catene simili alle Alpi, con andamento da ovest ad est,
che cingono degli altopiani elevati (il Tauro, il Caucaso e i monti del
Ponto sul Mar Nero cingono l’altopiano d’Anatolia in Turchia,
l’altopiano iranico è cinto dai M.ti Elburz, dagli Zagros e dalla
catena dei Rud) con giganteschi coni vulcanici che dominano il
paesaggio (l’Ararat in territorio turco e il Demavand in Iran).
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Tabella 1.1 I principali rilievi
RILIEVI ALTEZZA PAESE
Damavand 5670 Iran
Ararat 5165 Turchia
Sabalan 4811 Iran
Zard Kuh 4548 Iran
Cilo Dagi 4168 Turchia
Nabi Shu'ayb 3760 Yemen
Keli Haji Ibrahim 3600 Iraq
Qornet es Saouda 3083 Libano
Jabal Sabir 3006 Yemen
Hermon 2814 Siria
In secondo luogo troviamo i giganteschi tavolati del blocco
siriano-arabico che partono dal Mediterraneo ed arrivano al Golfo
Persico, costituendo un ambiente diverso, con struttura calma senza
le pieghe delle catene precedenti, non di rado interrotti da fratture
che danno al paesaggio un carattere originale, e con i terreni più
antichi spesso sommersi sotto coltri vulcaniche, depositi marini
(arenarie, marne, calcari), cumuli di sabbia e alluvioni recenti.
Il clima costituisce un elemento unitario, caratterizzato da una
netta ripartizione delle stagioni nel corso dell’anno: ad un inverno
freddo, instabile e piovoso fa seguito un’estate calda, secca con
tempo instabile. La zona occidentale gode di un clima
mediterraneo, esposta d’inverno a perturbazioni cicloniche che
vengono dall’Atlantico e portano piogge alle regioni costiere; la
zona interna invece è soggetta ad un clima più continentale, con
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venti freddi in inverno portati dall’anticiclone asiatico, temperature
estive elevate con grande siccità ed escursioni considerevoli.
Durante l’estate infatti il Mediterraneo è in regime
anticiclonico e da esso spirano dei venti che, provenendo da zone
tiepide e soffiando verso zone più calde, si riscaldano e quindi non
causano precipitazioni, ma anzi prosciugano l’aria e accentuano la
formazione dei deserti. Solo quando incontrano le catene
montuose, dovendo salire più in alto, possono dar luogo a piogge.
La parte settentrionale (paesi del Mar Nero e del Mar Caspio) gode
invece di un clima diverso, con inverni più freddi e piogge più
abbondanti e con clima di alta montagna, le coste dell’Arabia
meridionale invece sfruttano il clima monsonico ricevendo piogge
nei mesi estivi.
Adattandosi al clima, la vegetazione presenta formazioni
aperte, con prevalenza di arbusti che si difendono dalla siccità con
particolari adattamenti; tranne che nelle oasi o dove affluisce la
falda acquifera, l’estate coincide con una stasi del ciclo vegetale che
poi in inverno riprende il suo corso normale.
A parte le zone desertiche, dove il suolo è costituito da sabbie,
ciottoli e rocce, qua e là appaiono anche aspetti diversi: una piccola
fascia costiera (Asia Minore e Siria) presenta una macchia
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sempreverde, con arbusti e sclerofite, poi segue una parte steppica,
priva di vegetazione arborea, tranne tamerici ed acacie, costituita da
erbe basse, in prevalenza graminacee, che sostengono una buona
quantità di animali erbivori, selvatici e di allevamento, anche se
verso le zone più aride compare la steppa predesertica, dove il
manto erbaceo è intervallato da tratti di suolo nudo; quindi
troviamo una zona montana più fredda (catena pontica e Tauro)
ammantata di boschi di latifoglie e vegetazione montana, e infine la
zona più spiccatamente tropicale (Yemen Meridionale).
Tabella 1.2 I laghi principali
LAGHI ESTENSIONE (kmq) PAESE
Urmia 5800 Iran
Nasser 5500 Egitto
Van 3738 Turchia
Hawr al Hammar 1950 Iraq
Mar Morto 1020 Sez. israeliana 280 kmq, sez.
giordana 740 kmq
Buhayrat al Asad 600 Siria
Tiberiade 165 Israele