8linguistico come un “ancoraggio2” della potenziale polisemia dell’immagine a un
significato ben definito. La lingua svolge in questo caso una funzione didascalica:
specifica ciò che l’immagine vuole dire, opera contro il fraintendimento delle possibili
connotazioni, circoscrive le potenzialità semantiche del registro visivo. Questo tipo di
rapporto non è però l’unico possibile: tra registro linguistico e registro visivo, tanto
nella pubblicità a stampa che in quella televisiva, possono esservi diversi tipi di
relazione: può esservi convergenza totale, ma anche parziale divergenza, oppure
opposizione. Nel primo caso la parola descrive e illustra e l’immagine esemplifica, con
piena ridondanza del messaggio: tipica di questa modalità è la figura della
comparazione; nel secondo caso a evidenti differenziazioni tra i due codici si alternano
punti di contatto, che generalmente consistono in letteralizzazioni metaforiche del testo
verbale. Nel terzo caso parole e immagine si collocano in rapporto oppositivo, spesso
ricorrendo alle figure retoriche del paradosso dell’ironia. I casi di divergenza parziale o
di opposizione tra i due registri presuppongono un elevato livello di competenza del
destinatario della comunicazione pubblicitaria e una sua attiva cooperazione alla
costruzione del significato del messaggio.
b) Codice principale e sottocodice. Generalmente la comunicazione pubblicitaria è
formulata dal codice della lingua del paese dove la pubblicità è diffusa; tuttavia si può
riconoscere la presenza di sottocodici, come linguaggi settoriali e termini legati allo
specifico settore merceologico; può essere considerato un sottocodice anche l’uso dei
dialetti o di inflessioni regionali molto marcate. La comunicazione pubblicitaria può
anche essere codificata in una lingua diversa da quella del paese che la diffonde,
tendenza, questa, molto più recente di quella dell’uso dei linguaggi settoriali: la lingua
straniera può comparire solo nello slogan, oppure, caso più raro, può riguardare l’intero
comunicato commerciale. A questo può seguire una traduzione nella lingua nazionale
attraverso sottotitoli oppure no. L’uso di lingue straniere è in ogni modo generalmente
connotato: l’inglese è la lingua universale per eccellenza, il francese è associato a
charme, il tedesco alla tecnologia, mentre lo spagnolo alla gioia di vivere, alla movida e
al tempo libero. Ma approfondiremo meglio tutto ciò nel secondo capitolo. L’utilizzo di
codici e sottocodici linguistici è naturalmente subordinato alla strategia comunicativa
perseguita dalla pubblicità: una campagna transnazionale o comunque mirata ad un
pubblico vasto tenderà a ridurre al minimo le informazioni veicolate nel codice di una
2 R. Barthes. (1984). L’ovvio e l’ottuso. Traduzione italiana a cura di C. Benincasa e G. Bottirolo.
Edizione Einaudi, Torino.
9lingua particolare, facendo un limitato uso delle parole e privilegiando l’immagine,
mentre una pubblicità mirata a un settore specifico di pubblico farà ampio uso di
sottocodici.
c) La forma scritta e quella parlata. Con l’avvento della televisione si è verificata una
sorta di spartizione di compiti tra pubblicità a stampa e televisiva: la prima, in grado di
raggiungere target più selezionati attraverso il medium prescelto utilizza in modo più
articolato il codice linguistico, si serve di costrutti grammaticali e sintattici più
complessi, di periodi più lunghi, è più argomentativa e informativa; la seconda è più
basata sull’impatto emotivo o estetico, sulla spettacolarità delle immagini e sul ritmo del
montaggio: la lingua parlata pare quindi adatta solo ad alcuni “generi” di spot ( scene di
vita, test…), ma non a tutti, poiché rallenta il ritmo complessivo.
1.1.3 La pubblicità trasforma la lingua
Mentre utilizza il linguaggio ordinario, la pubblicità crea codificazioni proprie che per
effetto di ripetizione continua tendono ad una rapida obsolescenza, ma in alcuni casi
entrano a far parte del linguaggio stesso. Tra gli aspetti più caratteristi del contributo
della pubblicità alla trasformazione del linguaggio ordinario si possono riconoscere:
l’uso di prefissi ( super-, ultra-, extra-, maxi-); l’uso di suffissi (-matic); i nomi composti
e giustapposti; le “parole macedonia” che uniscono frammenti di parole diverse; i
neologismi; l’uso di slogan a effetto che diventano locuzioni del linguaggio comune;
l’uso di forestierismi e pseudo-forestierismi. La maggior parte di questi aspetti hanno
caratterizzato soprattutto la nascita del linguaggio pubblicitario e la sua progressiva
affermazione, mentre le tendenze più recenti vedono ironia, doppi sensi e
understatement contrapporsi a enfasi e iperboli; la maggiore competenza dei destinatari
dei messaggi rende possibile il ricorso a una gamma più ampia di sottocodici, il
riferimento a modelli stilistici differenziati, l’uso di lingue straniere e non solo di parole
dal suono inconsueto e, d’altro canto, il ricorso a soluzioni lessicali e sintattiche più
vicine a quelle del linguaggio ordinario o gergale, soprattutto quando la pubblicità si
presenta come un fedele spaccato di vita quotidiana.
1.2 Il linguaggio pubblicitario: una lingua sincretica
Con l’espressione "linguaggio pubblicitario" intendiamo quell’insieme di espressioni e
di formule specialistiche utilizzate per designare una terminologia specialistica distinta
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da altri linguaggi settoriali, e al pari di questi utilizzata da un gruppo più o meno vasto
di parlanti in grado di utilizzare un vocabolario riconoscibile quale sottocodice di un
particolare universo professionale. Esiste dunque un linguaggio pubblicitario così come
esistono il linguaggio dei chimici, degli architetti, dei critici letterari, dei bancari come
l’insieme dei termini riconosciuti e codificati specificamente condivisi da coloro che
agiscono entro una medesima categoria professionale.
Parlando di "linguaggio della pubblicità", d’altra parte, si intende qualificare
quell’insieme di strumenti e di strategie di cui i professionisti di questo settore si
avvalgono allo scopo di convincere e di persuadere un pubblico il più vasto possibile a
diventare acquirente dei prodotti che quel linguaggio propone alla sua attenzione,
sollecitandone la curiosità e l’interesse attraverso connotazioni specialistiche.
Il linguaggio della pubblicità, dunque, lungi dal configurarsi solo come vocabolario
settoriale, deve rendersi accessibile e comprensibile al grande insieme dei destinatari
potenzialmente, tutte le componenti della società; nei fatti, specifiche e ben determinate
fasce di pubblico attraverso l’utilizzo di formule linguistiche che, pur restando
nell’alveo della comprensibilità, tendano ad una certa originalità nella creazione di
neologismi e nell’utilizzo di costruzioni inedite ed accattivanti.
Questo linguaggio, il cui scopo primario è quello di far vendere un prodotto, deve
quindi contemperare sagacemente due esigenze che non sempre coincidono e operare
una delicata sintesi fra espressività e comprensibilità, fra originalità e chiarezza: in
definitiva, fra novità e tradizione. Come si è accennato, tale difficile sintesi non può
nascere soltanto da un’operazione intellettuale, slegata dal contesto entro il quale il
pubblicitario opera. Poiché tale contesto è quello di un pubblico che adopera e riconosce
un proprio, per quanto variegato, vocabolario standard, la pubblicità deve fare costante
riferimento ad esso, sia per analogia sia per dissonanza. Il riconoscimento di un modello
linguistico è di fondamentale importanza per creare un rapporto di familiarità: che poi
tale familiarità venga stimolata e lusingata o al contrario capovolta e negata dipende dal
tipo di strategia adottata, dal genere di prodotto pubblicizzato, dal livello culturale dei
destinatari che si intende raggiungere.
Dal momento che lo strumento principale della pubblicità è la lingua, il lavoro dei
pubblicitari consiste sostanzialmente nell’utilizzare, manipolare, plasmare e piegare
questa alle strategie della persuasione.
Premesso ciò, possiamo giungere al punto focale del nostro discorso: il messaggio
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pubblicitario, in quanto frutto di procedure comunicative complesse, è il prodotto finale
di una semiotica "sincretica"3, vale a dire basata su un linguaggio che fa ricorso -
fondendone le strategie e le tecniche - a più codici paralleli: visivo, verbale, tonale,
gestuale, oggettuale; come ogni altro messaggio, quello veicolato dalla pubblicità si
dispiega lungo una catena comunicativa composta dalla sequenza Emittente - Canale -
Messaggio - Canale - Ricevente4.
Perciò sarebbe incongruo esaminare il testo pubblicitario soltanto dal punto di vista
dell'emittente, come si trattasse di un tipo di comunicazione asettica e non, al contrario,
assolutamente bisognoso di un pubblico ed implicato in una dinamica di scambio; ma
stonerebbe anche l'atteggiamento critico opposto, in altre parole l'analisi della struttura
dell'advertising nei suoi riflessi sul ricevente, quando tralasciasse del tutto il complesso
ambito teorico su cui si basa. E' in termini di configurazione globale, che i singoli
elementi verbali e iconici compongono un campo, un contesto in cui il messaggio, il
testo pubblicitario trova la sua ragione comunicativa totale.
E' peraltro il caso di ricordare che l'espressione stilistica della lingua della pubblicità è
solo un aspetto, diciamo una sola faccia della medaglia o il “verso” di un foglio il cui
“recto” è fuori della lingua, ed è in sostanza la presentazione visiva di una merce:
l'innesto sempre più massiccio di segni iconici nel messaggio pubblicitario rende
impossibile un esame di questo che ne trascuri l'importantissimo, ed oggi prevalente,
aspetto visuale.
Come già accennato, la componente linguistica ha la funzione di "ancorare" il
messaggio, di fissare il significato da attribuire all'immagine, di per sé ambigua e
polisemica. Essa svolge dunque un compito di chiarificazione, di accompagnamento del
destinatario all'interno del messaggio, di decodificazione dei segnali inviati. In poche
parole, il linguaggio pubblicitario è teso dunque, partendo da una consuetudine a
provocare un deragliamento dei percorsi accettati, a creare uno choc verbale, un effetto
di straniamento: l’efficacia del messaggio potrà dipendere sia dall’utilizzo di vocaboli
nuovi e di concetti inusitati all’interno di un contesto “regolare” sia dall’immissione
dentro un sistema linguistico inatteso di parole usuali, le quali a contatto ed in contrasto
con il nuovo “ambiente” linguistico e semiotico obbligheranno il lettore a mettere a
punto un diverso genere di decodificazione.
3 Sulla lingua della Pubblicità dal sito web www.italicon.it
4 Roman Jakobson. (1966) Saggi di Linguistica generale, Feltrinelli.
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1.3 Le caratteristiche del linguaggio pubblicitario5
La pubblicità è attività fondamentalmente persuasoria e di conseguenza il suo
linguaggio è funzionale e finalizzato allo scopo di attirare e mantenere l’attenzione del
pubblico e di persuaderlo della condivisibilità delle proprie enunciazioni. Inoltre la
pubblicità è forse la sola forma di comunicazione che deve pagare un corrispettivo
molto alto per avere la possibilità, lo spazio e il tempo di comunicare. Da queste due
premesse deriva la prima caratteristica del linguaggio pubblicitario: la sintesi; solo
concentrando le proprie argomentazioni all’estremo la pubblicità può sperare di
mantenere l’attenzione del pubblico per un tempo sufficiente a farsi capire; i testi sono
perciò spesso costruiti in maniera simile al motto, al proverbio e ai modi di dire; le
immagini hanno un’accurata regia che concentra l’attenzione sulle icone principali; il
montaggio dei filmati è velocissimo; le musiche hanno un respiro estremamente breve.
Dalla necessità di attirare l’attenzione deriva un’altra caratteristica propria del
linguaggio pubblicitario: la sua tendenza ad andare sopra le righe, con immagini forti,
con sovradimensionamenti delle immagini e dei corpi tipografici, con sonori rinforzati,
e come più volte detto con neologismi. Infatti il neologismo non può che essere una
delle caratteristiche più citate come tipiche del linguaggio pubblicitario che in effetti
l’ha utilizzato frequentemente, non tanto per la necessità funzionale di creare una nuova
parola che designasse una realtà prima inesistente, quanto per il desiderio di colpire e
per la necessità della sintesi. Per gli stessi motivi, ma pure per il desidero di riprodurre il
linguaggio parlato, la pubblicità dimostra una notevole disinvoltura anche nell’uso del
vocabolario, della grammatica e della sintassi. Frequente è anche il ricorso alla rima, per
aiutare la memorizzazione, così come frequente è il ricorso a giochi di parole e a
ripetizioni, sia per ottenere effetti mnemonici, sia per colpire l’attenzione del pubblico.
1.4 Funzioni della comunicazione pubblicitaria
Roman Jakobson descrive, nel saggio Linguistica e poetica, uno schema delle funzioni
della comunicazione che si rivela essenziale alla comprensione dei meccanismi della
lingua della pubblicità: qualunque tipo di comunicazione è caratterizzato da sei fattori
costitutivi, cioè mittente, destinatario, contesto, contatto, codice, messaggio. A ciascuno
di questi fattori corrisponde una funzione linguistica precisa e nel linguaggio
5 Alberto Abruzzese, Fausto Colombo. (1994). Dizionario della Pubblicità. Editore Zanichelli, Bologna.