Introduzione
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“policy-maker” annuncia le scelte che ha intenzione di seguire in modo da
influenzare le aspettative dei privati, in un secondo tempo è tentato di rinnegarle
poichè sono cambiate le aspettative in gioco e la decisione ottimale è ora diversa
da quella annunciata. Nella seconda parte si descrive invece il “dilemma del
samaritano” proposto in letteratura da James Buchanan (1975), un modello in cui
il comportamento di un agente altruista è in grado di modificare le aspettative e le
scelte di un secondo agente, il quale è in situazione di difficoltà e, in quanto tale,
riceve aiuto dal primo.
Il secondo capitolo si occupa di illustrare il nesso fra irresponsabilità
finanziaria e inconsistenza temporale e, per raggiungere questo obiettivo,
introduce il concetto di “sindrome del vincolo di bilancio soffice”, oggetto di
molteplici studi fra i quali quelli di Janos Kornai (1979). Nel corso della
trattazione si pone particolare attenzione al comportamento finanziario
indisciplinato di molti enti locali considerando, ad esempio, il caso del dissesto
del Comune di Taranto e la situazione debitoria della Regione Lazio.
Infine, il terzo capitolo completa il lavoro analizzando in che modo la
problematica di inconsistenza temporale influisca anche sulle politiche di welfare,
oggetto, questo, di attenzione sempre maggiore da parte di Governi ed economisti
per la rilevante importanza che esso va assumendo all’interno della struttura
socio-economica contemporanea.
Capitolo 1
L’inconsistenza temporale nell’economia
1.1 Inconsistenza temporale e politica monetaria: il caso
della Banca Centrale
Uno degli esempi più noti di inconsistenza temporale è quello relativo alle
decisioni di politica monetaria della Banca Centrale e, in particolare, alle scelte
riguardanti l’espansione o meno dell’economia tramite la fissazione dei tassi di
interesse e il controllo dell’inflazione. Questo esempio è significativo poiché
prevede che due agenti economici, il settore privato e la Banca Centrale, facciano
due scelte fra loro interdipendenti e necessariamente prese in un due momenti
diversi.
Analizzando la storia economico-monetaria più recente possiamo rilevare
che, mentre nel corso dell’ultimo decennio il tasso di inflazione europeo e
statunitense è rimasto relativamente stabile, in passato ci sono stati periodi
caratterizzati da livelli di inflazione elevati e molto elastici nel corso del tempo,
nei quali il controllo di tale variabile rappresentava sicuramente una questione di
fondamentale importanza. L’esempio più evidente negli ultimi cinquant’anni è
stato sicuramente il periodo tra i due shock petroliferi, avvenuti rispettivamente
negli anni 1974-1975 e 1981-1982. Allora l’inflazione ha raggiunto, in Italia, il
picco del 19,5% nel 1974 e del 21,7% nel 1981.
Recentemente si è discusso sulla possibilità che, in quegli anni, la Banca
Centrale sia intervenuta con politiche monetarie inadeguate non riuscendo, in
questo modo, a controllare l’inflazione dilagante. Una delle ipotesi avanzate dagli
economisti è che la causa dell’aumento inaspettato del tasso di inflazione sia
anche da collegare all’inconsistenza temporale caratteristica delle scelte di politica
monetaria. I primi studi e modelli analitici, riguardanti questa teoria e la sua
applicazione pratica alle scelte in materia di inflazione, erano già stati introdotti da
Kydland e Prescott (1977) e da Barro e Gordon (1983).
Capitolo 1 L’inconsistenza temporale nell’economia
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Come già accennato, vi è inconsistenza temporale nelle situazioni in cui le
scelte dichiarate in t0 come ottimali non sono più ritenute preferibili in t1 e
vengono quindi modificate. Ciò avviene non perché le preferenze dell’agente
siano cambiate ma poiché, fra t0 e t1, un altro agente ha preso una decisione
caratterizzata da interdipendenza strategica con la prima e ha in questo modo
modificato la situazione di “gioco” e trasformato le alternative tra le quali il primo
agente deve ancora scegliere. Nelle situazioni di interdipendenza strategica come
questa, la funzione di utilità del singolo giocatore dipende non solo dalle azioni o
strategie che esso decide di attuare, ma anche dalle azioni o strategie attuate dagli
altri giocatori, quindi l’ordine cronologico nel quale gli agenti economici devono
prendere le decisione può favorire o meno uno dei due.
Considerando il modello di Kydland e Prescott, è fondamentale precisare
che, per analizzare il problema, è data per certa la supposizione che la Banca
Centrale abbia un doppio obiettivo: da una parte mantenere l’inflazione vicina ad
un target prestabilito e fissato in modo stabile, dall’altra avvicinare il più possibile
la disoccupazione al suo tasso naturale, cioè quel tasso che l’economia avrebbe se
non vi fossero distorsioni di mercato quali un’insufficiente competitività, la
presenza di imposte e la ridotta flessibilità del livello dei prezzi. Proprio a causa di
tali distorsioni la disoccupazione è generalmente ad un livello inefficientemente
alto e l’obiettivo della Banca Centrale è proprio quello di abbassarlo in modo da
farlo avvicinare al tasso naturale “teorico”.
Per capire meglio in che cosa consista una situazione di inconsistenza
temporale è bene ripercorrere cronologicamente le fasi tipiche delle decisioni di
politica monetaria. In t0 l’istituzione monetaria annuncia di voler seguire la
politica “x”, caratterizzata da un certo livello di inflazione e quindi da una serie di
politiche monetarie previste per raggiungere quel livello (es. variazione del tasso
di interesse). I lavoratori, sempre in t0, negoziano i loro salari nominali con le
imprese e, per far ciò, si basano sulle proprie aspettative di inflazione a loro volta
influenzate sia dagli annunci pubblicati dalla Banca Centrale, sia dalla credibilità
della stessa. Successivamente, in t1, la Banca Centrale decide quale politica
monetaria effettivamente seguire, e in questo modo determina non solo il tasso di
inflazione, ma anche i salari reali (cioè i salari nominali depurati dalla variazione
Capitolo 1 L’inconsistenza temporale nell’economia
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del livello dei prezzi). Tra t0 e t1 l’istituzione monetaria riconsidera quale sia la
politica ottimale e, per far questo, considera le aspettative del settore privato e le
decisioni già prese in materia di salari nominali.
In questo modo le opzioni di scelta a disposizione della Banca cambiano e
può diventare determinante l’incentivo a sorprendere il settore privato non
mantenendo l’annuncio e aumentando inaspettatamente l’inflazione. Infatti, in tal
caso, i salari reali si discostano maggiormente da quelli nominali subendo una
riduzione e le imprese, che si trovano a pagare un salario più basso, sono quindi
incentivate ad aumentare la produzione assumendo un numero maggiore di
dipendenti. In altre parole, al costo di una inflazione inaspettata leggermente più
alta, l’economia gode i benefici di un tasso di disoccupazione ridotto e la
domanda di lavoro aumenta.
Il desiderio della Banca Centrale di ridurre la disoccupazione
avvicinandola al tasso naturale è quindi causa di un comportamento inconsistente
dal punto di vista temporale. Ciò può portare all’inizio ad un beneficio per
l’economia (riduzione della disoccupazione), ma il fatto che i lavoratori, a lungo
andare, perdano fiducia nell’istituzione, fa in modo che essi non credano più agli
annunci fatti periodicamente dalla stessa e che le loro aspettative si adeguino ad
un livello dei prezzi più alto di quello previsto: così l’inflazione piú elevata non
sorprende il mercato e non porta i benefici di una minore disoccupazione.
L’incentivo del giocatore “Banca Centrale” a deviare dal comportamento
precedentemente annunciato rischia di dar luogo ad un’inflazione inutilmente
elevata che sarebbe stata evitabile se l’istituzione stessa si fosse impegnata in
modo credibile ad attenersi all’annuncio iniziale. In quel caso, infatti, non si
sarebbe potuta aumentare la produzione al di sopra del livello naturale, ma
perlomeno l’inflazione ottenuta sarebbe stata nulla.
L’equilibrio raggiunto nel caso in cui la Banca Centrale riesca a
sorprendere l’economia con un’inflazione inaspettata e ottenga così una riduzione
del tasso di disoccupazione è il migliore possibile, cioè quello di first best;
l’equilibrio caratterizzato dall’impegno credibile a mantenere l’annuncio iniziale
da parte dell’istituzione centrale rappresenta una allocazione sub-ottimale rispetto
al primo ed è quindi denominato second best; l’ultimo equilibrio, infine, che
Capitolo 1 L’inconsistenza temporale nell’economia
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prevede un’inflazione inutilmente più elevata e nessun beneficio per l’economia, è
quello di third best.
In conclusione, se la Banca Centrale si vincolasse in modo credibile alla
promessa di mantenere l’inflazione e le politiche annunciate in precedenza,
potrebbe ottenere il second best. In realtà in seguito alla formazione delle
aspettative del settore privato vi è un nuovo incentivo, quello di creare inflazione
inattesa comportandosi in modo opportunistico e rischiando di doversi
accontentare del third best.
Per proporre il modello formulato da Barro e Gordon è necessario partire
dalla curva di Phillips (Equazione 1)1 espressa in termini di livello di produzione
invece che di tasso di disoccupazione (Equazione 2).
Equazione della curva di Phillips
pi = pi atteso – α (u – u naturale) ( 1 )
[pi = inflazione] [α = elasticità di pi rispetto a u] [u = disoccupazione]
Ipotizzando che il livello di produzione sia uguale al livello di occupazione
(Y=N), è possibile trasformare l’equazione di Phillips come richiesto dal modello.
Disoccupazione in termini di livello di produzione:
u = 1 – N/L
Y = N
u = 1 – Y/L
[N = occupazione] [L = forza lavoro] [Y = produzione]
Equazione di Phillips in termini di livello di produzione:
Y = Y naturale + b (pi – pi atteso) ( 2 )
con b = L / α > 0
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L’equazione della curva di Phillips descrive la relazione inversa che vi è fra inflazione e
disoccupazione: la variazione dell’inflazione (pi) rispetto al livello atteso dipende
negativamente da quanto il tasso effettivo di disoccupazione (u) si discosta dal proprio tasso
naturale.
Capitolo 1 L’inconsistenza temporale nell’economia
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Nel caso in cui le aspettative del settore privato siano corrette (cioè se pi è
uguale a pi atteso), la produzione è uguale al livello naturale; se invece le aspettative
prevedono un’inflazione minore di quella realizzata, i salari reali si riducono e la
produzione cresce al di sopra del livello naturale.
La seconda equazione proposta dal modello è la funzione di perdita della
Banca Centrale (Equazione 3), cioè la funzione che descrive le preferenze e gli
obiettivi dell’istituzione monetaria (inflazione stabile e produzione vicina al tasso
naturale). Per calcolare gli obiettivi della Banca Centrale è necessario poi
minimizzare la funzione.
Funzione di perdita della Banca Centrale:
L = α (pi – pi ottimale)² + (y – ky naturale)² ( 3 )
con α > 0, k > 1 e pi ottimale = 0
Il parametro α rappresenta l’importanza relativa che la Banca Centrale
attribuisce alle fluttuazioni dell’inflazione: quanto maggiore è α, tanto più la
Banca Centrale si preoccupa della stabilizzazione dell’inflazione rispetto
all’incentivo della produzione. Il parametro k è invece il valore che, moltiplicato
al tasso di produzione naturale, esplicita l’obiettivo della Banca Centrale: tale
istituzione si pone, infatti, un target di produzione superiore al tasso naturale
perché ritiene che questo sia troppo basso a causa delle distorsioni di mercato già
accennate.
Per formulare la propria politica monetaria la Banca Centrale deve
scegliere degli obiettivi in termini di inflazione e di attività economica e per
calcolare tali valori è necessario tener conto della curva di Phillips, la quale
rappresenta il trade-off tra queste due variabili. Per tenere conto di tale vincolo si
deve sostituire il valore y (livello di produzione) della curva di Phillips
(Equazione 2) nella funzione di perdita (Equazione 3):
Funzione di perdita della Banca Centrale vincolata alla curva di Phillips:
L = α pi² + [b (pi – pi atteso) + (1 – k)y naturale]² ( 4 )