I
INTRODUZIONE
“Coloro che non ricordano
il passato saranno condannati
a viverlo di nuovo.”
1
GEORGE SANTAYANA
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Fra i personaggi della storia politica universale, Hitler – e ciò che dalla sua esistenza
scaturì – rappresenta un caso assolutamente unico.
“La storia a noi nota non registra una manifestazione simile alla sua. Nessuno ha
provocato tanto giubilo, tanto isterismo, tanta aspettativa di salvezza; nessuno
altrettanto odio. Nessun altro, percorrendo per pochi anni un cammino solitario, ha
impartito alla sua epoca così incredibili accelerazioni, nessuno ha, come lui, mutato
volto al mondo; e nessuno s’è lasciato dietro una simile traccia di rovine. Soltanto una
coalizione formata da quasi tutte le potenze mondiali è riuscita, con una gigantesca
guerra di quasi sei anni, a svellerlo, letteralmente, dalla terra: ad ammazzarlo, per dirla
con un ufficiale della resistenza tedesca, “come un cane rabbioso.”
2
Gli attori e gli osservatori politici non credettero mai così poco al successo di Hitler
come nel periodo immediatamente precedente alla presa del potere da parte del
Nazionalsocialismo.
Il 15 gennaio 1933 il Cancelliere del Reich Kurt von Schleicher affermava con
1
Cit. in SHIRER WILLIAM L., Storia del Terzo Reich, Torino, 1990.
2
FEST JOACHIM, Hitler. Una biografia, Milano, 2008, p. 7.
INTRODUZIONE
II
sicurezza: - “il signor Hitler non costituisce più alcun problema. Il suo movimento ha
finito di rappresentare un pericolo politico. L’intera questione è risolta e rappresenta,
ormai, una preoccupazione che appartiene al passato.”
3
Tanto gli avversari di Hitler, quanto i suoi interlocutori, ignorarono o sottovalutarono la
forza e l’intransigenza della volontà di potere del Nazionalsocialismo, nonché
l’ambiguità e l’ambivalenza degli obiettivi e dei mezzi politici del futuro dittatore
tedesco e del suo movimento.
Valutazioni errate, illusioni – procurate ed autoprocurate –, nonché dirette responsabilità
accompagnarono e facilitarono l’ascesa al potere dello NSDAP (Partito
Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori).
Nessuno schieramento politico, nessun gruppo sociale e nessuna confessione rimase al
riparo da tali esiziali errori e fraintendimenti.
Tutti gli osservatori ed analisti dell’epoca – ad eccezione di qualche singolo caso, che
finisce per confermare la regola – riuscirono a scorgere nel nuovo fenomeno, in
prepotente ed inarrestabile avanzamento, solo quello che, dalle loro norme, dal loro
sistema di valori e dai loro schemi di pensiero, era consentito vedere.
Ciò condusse al più macroscopico e letale errore di valutazione che la storia, e la vita
stessa, avrebbero dimostrato privo di emendamento o redenzione.
Anche il panorama internazionale si rivelò incapace di comprendere e decodificare
appieno il portato dirompente del Nazionalsocialismo.
Per la stampa inglese, così come per quella francese, valeva il paradigma del “Sunday
Times” del gennaio 1933: - “nessuno sa cosa Hitler significhi.”
4
Nessuno riuscì ad immaginare che, proprio in Germania, potesse imporsi una variante
3
THAMER HANS-ULRICH, Il Terzo Reich, Bologna, 1993, p. 9.
4
Ibidem, p. 17.
INTRODUZIONE
III
tutta peculiare ed incommensurabilmente più radicale – dal punto di vista ideologico e
della machtpolitik – di qualsiasi altra esperienza autoritaria, fascista ed estremista, ivi
compreso, e di gran lunga superato, il fascismo italiano.
Nelle pagine che compongono il presente lavoro, si è tentato di indagare i meccanismi,
le ragioni, i presupposti e le responsabilità che resero possibile al Nazionalsocialismo,
ed al suo Führer, il raggiungimento, in tempi sorprendentemente brevi, del controllo
dittatoriale di un apparato di governo altamente evoluto, elaborato e sofisticato; la
realizzazione di un’opera di ricostruzione economica e militare, la quale lasciò
sbalorditi tanto i suoi sostenitori, quanto i suoi nemici; lo sconvolgimento completo
dell’assetto geopolitico dell’Europa post-bellica, nell’ottica di un “Nuovo Ordine”
totalitario; la rivoluzione cinica e spietata della diplomazia mondiale; l’adulazione
euforica della maggioranza dei suoi compatrioti, e non solo; l’odio atavico di coloro i
quali non erano “col Führer”; lo stringere nel pugno del “messianico” dittatore tedesco
quasi tutto il continente europeo, per quattro anni; l’istigazione e la realizzazione di un
apocalittico genocidio, che ancora oggi erompe con prepotenza nella coscienza civile
collettiva; ed infine, la colossale disfatta rappresentata dalla debellatio della Germania
hitleriana.
Attraverso il dipanarsi degli avvenimenti che costituirono le cesure, i tornanti e le tappe
fondamentali dell’esperienza del Nazionalsocialismo, si è tentato di rintracciare ed
enucleare le ragioni strutturali e sistemiche del poderoso consenso di cui il regime
beneficiò.
E, proprio analizzando le dinamiche relative all’instaurando sistema di dominio, si è
cercato di dimostrare come la politica estera della Germania Nazionalsocialista –
imperniata sulle mire espansionistiche, alla base del disegno egemonico-totalitario
INTRODUZIONE
IV
hitleriano –, abbia alimentato la misura e la propulsività di quel consenso che, a sua
volta, costituì il nucleo duro, entro i patrii confini, sul quale la medesima politica potè
fare sicuro affidamento.
Ma, per tentare di offrire un quadro d’assieme metodologicamente e storiograficamente
esaustivo, non ci si poteva limitare all’“epicentro” dell’esperienza nazionalsocialista,
bensì si è rivelato necessario indagarne la “periferia”, dunque la situazione politica,
sociale, economica e diplomatica a valle del primo conflitto mondiale, ove risiedono
numerose cause ed indirette responsabilità che prepararono il terreno per l’avvento di un
regime, il quale fu tutt’altro che ineluttabile.
Parimenti ineludibile, nell’ottica dell’approfondimento delle dinamiche e del valore del
consenso, all’interno dell’architettura e dell’energia del regime nazionalsocialista, è
risultata la panoramica compiuta in ordine alla geografia “storico-politica” dei
movimenti esteri satelliti allo NSDAP.
Attraverso tale indagine, si è esperito un tentativo di emersione di quella complessa e
variegata gamma di atteggiamenti ed indirizzi politici, ideologici e fattuali che diedero
luogo a manifestazioni che vanno dal collaborazionismo all’aperta adesione al regime.
Col presente lavoro, insomma, si è – molto modestamente e nel pieno e doveroso
rispetto dei ruoli – cercato di aggiungere una flebile, marginale voce nel nutrito coro di
chi ha copiosamente sottolineato come, nell’incedere storico, mai nessun singolo
individuo ha potuto e può determinare alcunché, senza l’indispensabile convergenza ed
intersezione di molteplici fattori, di vario ordine e natura: - “a volte la storia ama
concentrarsi all’improvviso in un uomo, al quale allora il mondo si inchina.”
5
Le domande che si posero i contemporanei di Hitler non sono oggi meno valide; le
5
FEST JOACHIM, Hitler. Una biografia, Milano, 2008, p. 11.
INTRODUZIONE
V
errate valutazioni di quel tempo restano, oggi, un ammonimento ed una esortazione per
l’osservatore che – non cessando, giustamente, mai di procedere innanzi – volge il
proprio sguardo anche al passato.
1
1 DAL DOPOGUERRA ALLA NAZIFICAZIONE
DELLA GERMANIA
1.1 La sconfitta tedesca nella prima guerra mondiale e l’umiliazione della
Germania, i costi delle riparazioni e la cronica instabilità politico-istituzionale
dopo la fine dell’Impero
All’alba del novembre 1918, mentre l’esercito austriaco soccombeva allo sfondamento
italiano di Vittorio Veneto, e di lì a poco i suoi comandanti avrebbero firmato
l’armistizio di Villa Giusti (entrato in vigore il 4 novembre)
1
, le sorti della prima guerra
mondiale capitolavano esizialmente anche per la Germania guglielmina.
I marinai di Kiel, dove era ancorato il grosso della flotta imperiale tedesca, si
ammutinarono e diedero vita, insieme agli operai cantieristici e delle fabbriche della
città, a consigli rivoluzionari ispirati all’esempio russo.
Il moto rivoluzionario dilagò nei giorni successivi, sino a giungere a Berlino ed in
Baviera.
Per il secondo Impero di Guglielmo II e per la sua weltpolitik era la fine.
Il socialdemocratico Friedrich Ebert fu proclamato il 9 novembre capo del governo
provvisorio, mentre il Kaiser Guglielmo II era costretto ad abdicare e fuggire in Olanda.
L’11 novembre 1918 i delegati del governo provvisorio tedesco firmavano l’armistizio
con le potenze vincitrici dell’Intesa nel villaggio francese di Rethondes
2
.
1
In effetti il governo di Vienna l’aveva richiesto già dal 29/10 ed effettivamente parafato il 3/11.
2
SABBATUCCI GIOVANNI, VIDOTTO VITTORIO, Storia Contemporanea – Il Novecento, Bari, 2002.
DAL DOPOGUERRA ALLA NAZIFICAZIONE DELLA GERMANIA
2
In pieno clima prerivoluzionario, il 9 novembre 1918, in una Berlino paralizzata da uno
sciopero generale, veniva proclamata la repubblica e il partito socialdemocratico,
presieduto appunto da Ebert, e solo inizialmente sostenuto dai militari, acquisiva il
potere.
I governi dell’Intesa si accingevano a stipulare i trattati di pace con soggetti diversi da
quelli contro i quali avevano combattuto l’intero conflitto mondiale.
Si era giunti alla soluzione repubblicana non solo a causa della incisiva politica di
Wilson, affinché venisse abolita l’autocrazia militarista degli Hohenzollern
3
, ma ancor
più perché i socialdemocratici Ebert e Scheidemann, al principio perplessi sull’indirizzo
da seguire, si trovarono a fronteggiare il montante moto “spartachista”, capitanato da
Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, i quali si apprestavano a proclamare una
repubblica di tipo sovietico.
I socialdemocratici, addirittura costernati dinanzi ad una tale ipotesi, giocarono
d’anticipo e si orientarono in senso repubblicano.
Così, sotto l’impellenza della necessità, nacque quasi fortuitamente la repubblica
tedesca.
Ma, se i socialdemocratici non erano tutti dei repubblicani convinti, difficilmente si
poteva sperare che lo fossero i conservatori.
Questi ultimi, declinando ogni responsabilità ed in combutta con i capi dell’esercito,
generali von Ludendorff e von Hindenburg, avevano spinto i socialdemocratici ad
assumere le redini e le responsabilità del nuovo potere, in modo da gettare sulle loro
spalle l’onere della firma della resa.
4
Fu così che la repubblica, che aveva appena visto la luce, recò in se’ il germe della
3
SHIRER WILLIAM L., Storia del Terzo Reich, Torino, 1990.
4
COLLOTTI ENZO, La Germania Nazista, Torino, 1962.
DAL DOPOGUERRA ALLA NAZIFICAZIONE DELLA GERMANIA
3
propria fine.
La conferenza di pace aprì i suoi lavori a Parigi il 18 gennaio 1919 e ad essa presero
parte, in qualità di veri protagonisti in ordine alla negoziazione e definizione delle
clausole dei trattati, i capi di stato e di governo dei paesi vincitori.
Georges Clemenceau rappresentava la Francia, David Lloyd George la Gran Bretagna,
Vittorio Emanuele Orlando l’Italia e, su tutti, con l’attributo di rappresentante della
potenza più forte e determinante nell’assicurare la vittoria finale all’Intesa, il presidente
statunitense Woodrow Wilson.
I tedeschi della neocostituita Repubblica di Weimar (1919) speravano che il paradigma
wilsoniano di una pace “senza vincitori né vinti” potesse almeno parzialmente applicarsi
alla loro resa.
Ma, questo punto di vista oltremodo ottimistico non teneva conto né delle intenzioni
francesi, né tantomeno delle conseguenze derivanti dalla rinascita di uno Stato polacco.
L’umiliante e inesorabile maglio del trattato di Versailles, firmato il 28 giugno 1919
nella sala degli Specchi della medesima reggia, si abbattè in capo ad una attonita
Germania, quasi a ridestarla da un sogno troppo semplicisticamente coltivato.
Nelle sue annichilenti clausole, esso prevedeva la restituzione alla Francia delle regioni
Alsazia e Lorena, conquistate dal cancelliere Bismarck all’epoca della guerra franco-
prussiana del 1870, il distacco dalla Germania del bacino carbo-siderurgico della Saar,
posto sotto controllo internazionale, ma con la cessione della proprietà delle miniere alla
Francia, quale riparazione dei danni di guerra.
Vi si prevedeva, inoltre, la smilitarizzazione della Renania e la sua occupazione per un
arco di tempo che andava, a seconda della prossimità al fiume Reno, da un minimo di 5
ad un massimo di 15 anni.
DAL DOPOGUERRA ALLA NAZIFICAZIONE DELLA GERMANIA
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Unitamente a tali clausole territoriali, si esigeva l’abolizione della coscrizione
obbligatoria e la riduzione delle forze armate ad un ammontare non superiore ai 100.000
uomini.
Veniva altresì proibito il possesso di aerei e di carri armati, si disponeva la soppressione
dello Stato Maggiore, nonché la riduzione ad un valore pressoché simbolico della flotta
della marina, imponendo un tonnellaggio non superiore alle 10.000 tonnellate.
Una porzione di territorio tedesco, precisamente i distretti di Eupen e Malmedy,
venivano ceduti al Belgio, mentre il destino dello Schleswig-Holstein veniva affidato ad
un plebiscito.
La parte settentrionale optò per la sovranità danese, mentre il meridione rimase tedesco.
Relativamente al versante orientale, il cuore del problema riguardava la determinazione
della linea di confine con il ricostituito Stato polacco.
La Slesia settentrionale fu assegnata alla Polonia e, per garantire a quest’ultima uno
sbocco al mare, venne creato un “corridoio”in Pomerania, posto sotto sovranità polacca
e delineato in maniera tale da spezzare la continuità territoriale fra quest’ultima area
della Prussia Occidentale e la Prussia Orientale.
La Germania veniva letteralmente spezzata in due.
La città di Danzica, etnicamente germanica, venne eletta a “Città libera”, il cui porto fu
destinato al commercio ed alla economia polacca, ma amministrato da una autorità
posta sotto l’egida della Società delle Nazioni.
5
A tali condizioni di pace si aggiungeva la perdita delle colonie tedesche nei continenti
africano ed asiatico, conquistate dallo sconfitto Impero, nonché l’obbligo – in qualità di
Stato dichiarato dallo stesso Trattato di Versailles responsabile di aver scatenato la
5
DI NOLFO ENNIO, Dagli imperi militari agli imperi tecnologici, Bari, 2008.
DAL DOPOGUERRA ALLA NAZIFICAZIONE DELLA GERMANIA
5
guerra – di consegna ai vincitori dell’imperatore Guglielmo II e di circa ottocento
“criminali di guerra”
6
.
A siffatto stato di cose si aggiungeva il pesantissimo pagamento, a titolo di riparazione,
per i danni di guerra.
La somma complessiva, determinata a valle di negoziazioni ed estimi pluriennali,
ammontava a 132 miliardi di marchi oro, da potersi esigere anche in termini di merci,
armamenti e bestiame.
Un simile trattamento, e l’assenza nelle clausole di Versailles, agli occhi dei tedeschi,
dello spirito wilsoniano al quale essi avevano affidato le loro speranze di salvezza e di
giustizia, apparve da subito come un “diktat”.
La Germania non era più soltanto un paese sconfitto, essa diveniva un cadavere sul
quale infierivano con inusitata barbarie le potenze vincitrici, con l’obiettivo, a questo
punto dichiarato, di umiliarla sino alle estreme conseguenze.
Ancora una volta, la diplomazia e i giochi di potere erano giunti la’ dove nemmeno le
armi avevano potuto.
Il destino della Repubblica di Weimar, la cui carta costituzionale fu approvata nel 1919,
fu reso ineluttabile, oltre che dalla cronica instabilità politica in cui versava la Germania
all’indomani del termine del prima guerra mondiale, anche, e forse soprattutto, dal
trattamento riservato a quest’ultima dagli Stati vincitori.
Per raggiungere una stabilizzazione duratura e per garantire longevità al neonato
apparato istituzionale, i socialdemocratici, che nel novembre 1918 avevano la
maggioranza assoluta, avrebbero dovuto eliminare, o quantomeno sottomettere, le forze
tradizionali che avevano sostenuto l’Impero degli Hohenzollern e che non erano affatto
6
SHIRER WILLIAM L., Storia del Terzo Reich, Torino, 1990, p. 92.
DAL DOPOGUERRA ALLA NAZIFICAZIONE DELLA GERMANIA
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disposte ad accettare lealmente l’avvento di una Germania democratica: la casta degli
Junker, grande aristocrazia terriera prussiana, di inclinazioni fortemente conservatrici e
autocratiche, dalla quale provenivano tutti i vertici militari e gli uomini chiave della
burocrazia statale; i magnati che controllavano i grandi trust industriali e la casta
militare insieme ai membri dello Stato Maggiore.
Contrariamente ai menscevichi russi, i socialdemocratici tedeschi possedevano una
tradizione di lotte legali, controllavano le centrali sindacali ed erano, dopo la
dissoluzione dell’Esercito, l’unica grande forza organizzata nel paese.
I leader socialdemocratici erano decisamente contrari ad una deriva di tipo sovietico e
non intendevano affatto smantellare le strutture militari e civili imperiali sino alla
convocazione di un’assemblea costituente.
Ciò portò alla creazione di una convergenza, sebbene di comodo e di breve durata, fra i
capi della SPD (Sozialdemokratische Partei Deutschlands, Partito Socialdemocratico di
Germania) e gli esponenti della vecchia classe dirigente, i quali vedevano nella forza
della socialdemocrazia, e nel suo ascendente sulle masse, l’unico argine efficace contro
la rivoluzione e il pericolo del comunismo.
La linea moderata praticata dalla SPD cozzava fatalmente con le correnti più radicali del
movimento operaio tedesco, in particolare con i rivoluzionari della Lega di Spartaco
7
.
Questi ultimi si opponevano alla convocazione della Costituente e puntavano tutto sui
7
La Lega Spartachista (Spartakusbund) fu un movimento rivoluzionario socialista organizzato in
Germania durante gli anni politicamente esplosivi della prima guerra mondiale. Nata, con il nome
originario di Gruppo Internazionale (Gruppe Internationale), come corrente interna alla SPD, si unì alla
USDP (Unabhängige Sozialdemokratische Partei Deutschlands, Partito Socialdemocratico Indipendente
Tedesco) nel 1917 e partecipò, tra il 1918 e il 1919, alla fondazione del KPD (Komunistische Partei
Deutschlands, Partito Comunista Tedesco). La Lega prese il nome dal celebre gladiatore Spartaco, che
capeggiò una rivolta antischiavista contro Roma. Nata dal movimento pacifista tedesco, sorto in reazione
agli orrori della prima guerra mondiale, divenne, di fronte al militarismo socialdemocratico, il primo
nucleo del Partito Comunista Tedesco, mirante ad una rivoluzione simile a quella attuata dai Bolscevichi
in Russia. [Fonte: www.wikipedia.org]