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Introduzione
Questa tesi nasce dalla volontà di indagare il rapporto tra realtà e finzione all‟interno del
giornalismo, in particolare all‟interno della cronaca nera, ma soprattutto si concentra
sugli effetti di senso creati dai media sul pubblico.
Dopo aver letto sui giornali ma soprattutto aver visto in televisione, l‟interesse morboso
dei media nel raccontare storie di morti violente e di delitti efferati, è nata la curiosità di
capire perché oggi, ma forse da sempre, il macabro attiri più del piacevole.
Nel primo capitolo si analizzeranno i concetti di notizia e di cronaca, in particolare
quella nera, evidenziando l‟importanza del ruolo del giornalista che, dalla nascita nel
diciannovesimo secolo della penny press, la stampa popolare al costo di un penny,
sembra artefice della notizia concentrando la sua attenzione sugli interessi quotidiani dei
lettori, cioè i fatti di human interest, incidenti, curiosità.
E‟ infatti il cronista a selezionare e interpretare i fatti. Un‟interpretazione che, oggi più
che mai, non può essere slegata dalla componente interpersonale e soggettiva che lo
caratterizza in quanto essere umano pensante con opinioni e ideologie ben precise.
Andando avanti nell‟analisi della notizia di cronaca nera si sottolineerà anche
l‟importanza del concetto di sensazionalismo che in quest‟epoca caratterizza
l‟informazione stessa. In particolare si evidenzierà la capacità ma soprattutto la volontà
dei media di analizzare un fatto cercando di suscitare emozioni e sensazioni, per attirare
e incuriosire ma soprattutto far immedesimare il pubblico nel racconto.
Un espediente che arriva dal New Journalism, una corrente giornalistica a matrice
letteraria, improntato alla soggettività, attraverso il quale l‟attività giornalistica diventa
uno dei processi fondamentali di costruzione sociale della realtà. Sviluppatosi tra gli
anni ‟60 e ‟70, il New Journalism promuoveva il racconto romanzato del fatto di
cronaca nera; un racconto che voleva essere apparentemente freddo e distaccato dai fatti
narrati ma che tuttavia, in quanto romanzo, finiva per suscitare forti sensazioni nella sua
lettura. poiché prevedeva l‟esposizione a tutto tondo dei personaggi coinvolti nella
vicenda, consentendone la conoscenza dei dialoghi e dei pensieri delle vittime ma
soprattutto dei carnefici.
Nel secondo capitolo, a partire da quanto visto sopra, si analizzerà il concetto di
spettacolarizzazione della notizia, un modo di fare informazione sempre più incentrata
sul “faction”, sull‟inserimento di elementi finzionali per raccontare un fatto di cronaca.
Un‟informazione che si avvicina sempre di più alla fiction televisiva. E‟ qui che nasce il
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concetto di infotainment, la fusione fra informazione e intrattenimento, un nuovo genere
televisivo che imperversa sul piccolo schermo a qualsiasi ora del giorno.
Dalla mattina con il programma Mediaset “Mattino 5”, per poi passare alle fasce
pomeridiane di “Pomeriggio 5”, “La vita in diretta” su Rai Uno e “L’Italia sul 2” su
Rai Due, per finire poi la sera con “Matrix”, “Porta a Porta”, “Quarto Grado”,
programmi di informazione che non riportano solamente i fatti accaduti ma finiscono
per raccontare la cronaca nera come delle storie romanzate, gialli insoluti, narrazioni
sempre più finzionali.
A partire da queste premesse si analizzerà il rapporto esistente tra informazione e
fiction, in particolare le contaminazioni della fiction nell‟informazione, sottolineando
quelle caratteristiche che fanno di una notizia una narrazione seriale fino a diventare un
racconto mitico.
Nel terzo capito le caratteristiche del racconto di cronaca nera verranno rimarcate ed
evidenziate in via esplicativa analizzando uno dei delitti più efferati degli ultimi tempi:
l‟omicidio di Meredith Kercher, avvenuto a Perugia nel 2007. In particolare si porrà
attenzione sui personaggi che hanno calcato le scene del delitto, il modo in cui i media
hanno manipolato le loro identità in base ai loro comportamenti.
Per finire, la tesi analizzerà in via sperimentale il rapporto esistente tra il pubblico e i
media della cronaca nera. Si tratterà di capire, attraverso la realizzazione di Focus
Group che interpelleranno trenta soggetti, perché il pubblico sia così attratto dalla
cronaca nera, cosa suscita, come viene percepito e soprattutto cosa provoca a livello di
senso il suo racconto. Inoltre si tratterà di capire se il pubblico è effettivamente
consapevole dei meccanismi finzionali utilizzati dai media per mettere in scena un fatto
di cronaca.
In altre parole, attraverso lo strumento del Focus Group, si analizzerà un campione di
trenta soggetti di età compresa fra i 18 e i 25 anni, ragionando su come i media possono
intervenire direttamente sul senso comune e su come possono formare una coscienza
sociale quando veicolano le proprie interpretazioni dei fatti di cronaca.
E‟ chiaro che trenta soggetti non possano essere rappresentativi dell‟universo a cui
appartengono, tuttavia, in chiave meramente esemplificativa, si tratta di dare comunque
un dato percepito di quello che accade all‟interno del fenomeno analizzato.
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1. L’uomo che morde il cane “A sangue freddo”
1.1 Che cos’è la notizia?
“News is what newspapermen make it”.
(Alberto Papuzzi)
Per analizzare il concetto di notizia bisogna partire, prima di tutto, dal significato di
tempo.
E‟ proprio dai cambiamenti sociali, avvenuti nel corso della storia, che è possibile
individuare i mutamenti subiti dalla nostra civiltà e di conseguenza comprendere il
nostro approccio sulle cose del mondo.
Il termine notizia, dunque, si è evoluto nel corso degli anni, nel momento in cui è
cambiata la nostra percezione verso di esso.
La svolta si è verificata nel 1833 con la nascita della penny press
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, quando il Sun, il
primo quotidiano di New York, iniziò ad essere venduto al prezzo di un solo penny e
non più diffuso in abbonamento ma distribuito dagli strilloni per le strade.
La filosofia della penny press si esprimeva tutta in quella frase, diventata poi celebre, di
John Borgart ,uno dei redattori del Sun, che diceva: “un cane che morde un uomo non
fa notizia, un uomo che morde un cane fa notizia”.
Una massima che segnò il passaggio dell‟editoria da un pubblico elitario a un pubblico
di massa.
Prima della penny press, infatti, la stampa americana era un prodotto ancora riservato
alle élites sociali, in particolare, ai business man. Aggiornare sulle guerre, sulle vicende
internazionali, sull‟andamento dei mercati era compito di quei quotidiani che, poiché
venduti prevalentemente in abbonamento per sei centesimi a copia, erano alla portata di
pochi.
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Con il soprannome di Penny Press si definisce la stampa quotidiana economica in formato tabloid prodotta nel XIX
secolo negli Stati Uniti. Si trattava soprattutto di quotidiani dedicati agli immigrati newyorkesi, la cosiddetta stampa
popolare, che avrà grande successo nei paesi anglosassoni e che non vedrà la luce in Italia se non in tempi recenti. Il
primo giornale di questo tipo fu il Sun di New York, il cui prezzo di un penny a copia spiega l'origine del nome.
(Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Penny_Press ).
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Inizialmente le informazioni, che occupavano le pagine dei giornali, venivano scelte in
relazione agli interessi del target, ovvero in base a un rapporto prestabilito, perché si
sapeva a priori quali fossero le informazioni che piacevano alla ristretta cerchia dei
lettori di giornali.
In questo senso quindi, più che di notizie, si parlava di: “resoconti di uomini di partito e
personaggi della diplomazia” (Papuzzi, 2003 p.10).
Per la prima volta nella storia, invece, con la penny press i contenuti dell‟informazione
stavano cambiando.
Qualsiasi fatto poteva acquisire lo status di notizia e gli eventi più irrilevanti
diventavano questioni di grande attualità nel momento in cui il pubblico dei lettori ne
riconosceva l‟interesse.
Questo nuovo modo di porsi al pubblico definisce proprio il moderno concetto di
notizia. E‟ proprio da questo momento che essa inizia ad essere cercata, selezionata,
sviluppata e comunicata in funzione dei lettori.
Con l‟avvento della penny press dunque la notizia inizia ad essere interpretata.
Quando il quotidiano entrava nelle case dei cittadini, indifferentemente dal loro strato
sociale, non esisteva più una “notiziabilità”
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prefissata. Una notizia si organizzava sugli
accadimenti che maggiormente colpivano la massa, il popolo.
Da questo momento in poi, l‟informazione non sarà più concentrata sugli interessi e le
esigenze di una ristretta cerchia di uomini d‟affari o di personaggi politici ma proietterà
il suo sguardo sull‟esistenza e l‟immaginario di tutti i cittadini.
Il consolidamento della penny press evidenziò un preciso e storico passaggio in cui la
centralità della cronaca di “human interest” veniva concepita in unione diretta con
l‟esperienza personale di vita del lettore.
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La notiziabilità è l'attitudine di un avvenimento ad essere trasformato in notizia. È un neologismo (non presente
nella maggior parte dei principali vocabolari della lingua italiana) utilizzato in ambito giornalistico, massmediologico
e divulgativo per indicare il raggiungimento da parte di un fatto o di un avvenimento dei criteri minimi necessari alla
sua pubblicazione o diffusione sotto forma di notizia. In genere indica i criteri di valutazione per capire se
un'informazione è divulgabile e pubblicabile in termini di: rilevanza in un dato ambito e interesse suscitato nel
pubblico. (Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Utente:Amarvudol/Notiziabilit%C3%A0 ).
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Si parla di avvenimenti che, una volta pubblicati, diventavano parte dell‟esistenza
quotidiana della società nel suo complesso. E‟ dunque da questo momento che i
quotidiani furono in grado di cogliere la necessità e l‟importanza della relazione fra
pubblico e una notizia. E‟ il pubblico che fa di un avvenimento una notizia.
Si assiste per la prima volta al costruirsi di un giornalismo di notizie riservato alla “mass
audience”.
La penny press determinò il passaggio, non soltanto da un sistema di informazione a un
altro, bensì da un‟idea di giornalismo a un‟altra , in cui la news diviene protagonista, il
cuore del sistema informativo moderno. Ogni giornalista, mentre scriveva, doveva
partire dal concetto di news. La sua preoccupazione doveva essere quella di fornire il
maggior numero possibile di notizie.
E‟ in questa fase che la vecchia tradizione del giornalismo, come istanza pedagogica,
viene oltrepassata dalla “cultura della notizia come merce, il cui unico banco di prova è
costruito dal mercato.
Il rapporto fra eventi e pubblico si presenta come: “ il filo d‟acciaio su cui costruire la
notizia giornalistica […] La notizia diventa il pane del giornalista ma anche il suo
problema.” (Papuzzi, 2003, p. 8 ).
Da questo momento in poi il professionista comincerà ad essere assalito da grandi
dubbi, si interrogherà soprattutto se sia giusto seguire un certo avvenimento o meno,
indipendentemente dalla sua “notiziabilità”. In altre parole si domanderà: “Fino a che
punto un fatto è da seguire? Fino a quando un servizio può essere considerato valido?
Quanto conta il riscontro con il pubblico dei lettori?”.
Il giornalista di oggi insomma agirà sempre all‟interno di un universo che è: “la cultura
della notizia […], ovvero specifica informazione relativa al mondo […]”. (Papuzzi,
2003, p.8)
La cultura della notizia si adatta al variare dei tempi, delle circostanze e corrisponde a
un mare dove galleggia di tutto, una zona liquida e imprevedibile come la nostra stessa
società.
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La notizia giornalistica è il rapporto su un avvenimento destinato a un pubblico. Essa
non esiste come oggetto in sé ma è ciò che fanno i giornalisti. La valutazione del
giornalista è un contributo essenziale per la determinazione della notizia stessa perché
innesca il processo attraverso cui un fatto diventa comunicazione.
Indipendentemente dal sistema dei media che, in un secondo momento, la respingerà o
la accetterà, è compito del giornalista produrre la news, dandole una forma.
Nel momento in cui il giornalista la individua , essa prende vita , istituendo una
relazione fra un avvenimento e un pubblico e quindi scoprendo ciò che un avvenimento
può significare per un determinato lettore.
E‟ per questo che, come dice Alberto Papuzzi: “La notizia è il rapporto su un evento,
non l‟esperienza dell‟evento”. (Papuzzi, 2003, p. 11)
L‟attività giornalistica, specializzata nel produrre informazione d‟attualità, diventa
visibile e rilevante per intere comunità nazionali, decisiva per la formazione delle
opinioni pubbliche e degli orientamenti valoriali di un vasto numero di individui.
A partire da questo rovesciamento, il reporter , sempre a caccia di notizie per la strada,
diventa più importante dell‟editor che dirige il giornale dalla sua scrivania. E‟ infatti il
reporter che scova le news, che è in costante contatto con il mondo esterno,
individuandone le tendenze.
Le notizie oggi sono determinate dai giornalisti che, sulla base degli interessi del
pubblico, danno importanza a certi accadimenti.
I media orientano l‟audience e determinano se un fatto deve essere considerato saliente
rispetto ad un altro. Ad operare la selezione delle notizie è la comunità dei giornalisti
che registrano i fatti, ne valutano la loro importanza per il pubblico a cui si rivolgono e
stabiliscono la gerarchia con cui devono essere comunicati,
E‟ grazie alla loro abilità e al loro rapporto con l‟esterno che riescono a trasferire un
argomento da una agenda privata ad una pubblica, d'interesse generale ed elevato.
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1.2 La Cronaca
“ Fatti, Fatti; nient’altro che fatti.
Tanti fagioli, un tanto al sacchetto”
(Julius Chambers, reporter del “New York Tribune”)
Abbiamo fin qui esaminato il concetto moderno di notizia che, come si è detto, pare
essere frutto del lavoro giornalistico. A questo punto è bene approfondire l‟argomento e
studiare le caratteristiche di quella che è la forma più esemplare di notizia : la cronaca.
Il termine “cronaca” è identificato, nell‟immaginario collettivo, come quel particolare
genere giornalistico che si occupa di raccontare un avvenimento concentrandosi sui fatti
che accadono tutti i giorni. Sono questi accadimenti a creare un certo interesse da parte
del pubblico e un certo numero di articoli giornalistici su cui concentrare le prime
pagine dei giornali.
La cronaca è dunque la forma di esposizione della notizia per eccellenza, in quanto,
citando Alberto Papuzzi: “la notizia è la cronaca di un aspetto della realtà che si è
imposto all‟attenzione, attraverso atti precisi e manifesti che possono dunque essere
registrati”. (Papuzzi, 2003, p. 39)
I fatti che accadono ogni giorno sono innumerevoli, ognuno di loro ha le sue
particolarità, i suoi personaggi e la sua rilevanza. La cronaca si occupa di esporli in
ordine temporale. Di certo, però,essa non espone tutti i fatti avvenuti, ma soltanto alcuni
di essi, molto spesso, quelli che appaiono più interessanti a seconda del periodo storico
in cui ci si trova.
Si può dunque affermare che la cronaca ha un legame privilegiato con la variabile
temporale, dimostrabile sin dalle sue origini etimologiche.
Il termine infatti è la traduzione italiana del greco Chroniké, declinazione femminile del
maschile Chronikòs, ovvero cronico, che significa “che attiene al tempo” e deriva,
infatti, da Chronòs, che si traduce proprio con tempo.
Pertanto la cronaca è un‟esposizione di fatti avvenuti in più anni, fatta in modo semplice
per ordine di tempo, e in modo più speciale per quella parte della gazzetta, dove si
raccontano i fatti giornalieri della città e le voci che corrono.
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La cronaca è considerata come il settore del giornalismo più legato all'attualità. Tuttavia
il termine non identifica un insieme omogeneo di notizie: nella stessa area rientrano fatti
di natura molto diversa, che in comune hanno soltanto il riferimento temporale.
Per definizione gli eventi di cronaca sono quelli di giornata e vengono scelti e raccontati
secondo i formati più adatti e tenendo conto di due criteri fondamentali e utili in ambito
giornalistico per creare un rapporto tra avvenimenti e pubblico: il criterio di
rappresentazione e quello di contrapposizione.
“Il principio di rappresentazione lavora sui fatti riflettendo l‟immagine della società in
cui viviamo e quindi coincide con modelli sociali consolidati , mentre il criterio di
contrapposizione si riferisce ad una notizia che contesta l‟opinione pubblica corrente e
ne stimola una discussione” (Papuzzi, 2003, p.19 ).
Tuttavia decidere se un avvenimento possa coinvolgere o meno un certo numero di
lettori dipende anche dalla soggettività del giornalista perciò diventa inevitabile farsi
coinvolgere dalle esperienze della vita, l‟età, i principi, ma soprattutto dalla cultura di
appartenenza.
E‟ impossibile che un reporter ,di fronte ad un certo accadimento, non si lasci
trasportare dalla sua interiorità e da quello che noi chiamiamo bagaglio enciclopedico o
conoscitivo, d‟altronde: i fatti possono parlare da soli?
In genere, quando si parla di cronaca, ci si dovrebbe riferisce all‟obiettività
dell‟informazione, nel senso di imparzialità rispetto all‟avvenimento oggetto di notizia.
Il concetto di obiettività ha subìto diverse interpretazioni nel corso della storia.
L‟obiettività venne teorizzata e valorizzata come tecnica di esposizione della news che
rispetta la regola classica delle cinque W: Who, What, When, Where, Why (talvolta
How) che sono la chiave della narrazione stessa.
Lo stile doveva essere semplice, asciutto, stringato, un buon reporting infatti voleva
dire: “symply to recite the facts”( “semplicemente elencare i fatti”).
In effetti la precisione e l‟imparzialità erano e sono ancora oggi valori professionali che
favoriscono l‟attendibilità e la completezza delle notizie e fanno parte del bagaglio del
giornalista onesto con se stesso e i propri lettori , che svolge con scrupolo le proprie
ricerche, per formarsi una conoscenza il più completa possibile dei fatti.
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Allo stesso tempo, però tali criteri non potevano garantire una totale obiettività, nel
senso di assenza di interpretazioni soggettive alla luce della propria esperienza e
sensibilità.
E‟ così che entrò in gioco il concetto di interpretazione giornalistica, in quanto: per il
semplice fatto che scelgo di dire una cosa piuttosto che un‟altra, ho già “interpretato.
Una notizia per quanto possa essere obiettiva, resta sempre e comunque
un‟interpretazione dell‟avvenimento.
Nella stampa italiana l‟obiettività venne messa in discussione tra la fine degli anni ‟60 e
l‟inizio degli anni ‟70.
Al criterio dell‟obiettività questa volta venne contrapposto quello dell‟onestà: il
giornalista rinunciava a vendere al lettore una verità oggettiva ma gli garantiva di
riferire onestamente ciò che vedeva e che sapeva. Questo voleva dire riconoscere i limiti
del lavoro giornalistico, ma anche valorizzare la soggettività del giornalista.
“Il giornalista in un giornale non può che dare quella che ritiene la sua versione dei fatti,
che nasce da una serie di elementi compositi, sintesi delle conoscenze, delle sue
convinzioni speciali , degli ambienti ai quali presume di rivolgersi , della sua volontà di
opporsi o di conservare un sistema”. (Papuzzi, 2003, p. 42)
L‟onestà al posto dell‟obiettività sembrava una scelta realistica e coraggiosa, paziente e
autocritica che permetteva di superare sia i limiti di una cronaca spogliata di
interpretazioni sia gli eccessi di punti di vista pregiudiziali. Era il patto che il giornalista
doveva fare con il lettore di quello che riusciva a sapere , senza servire gli interessi di
alcuno, senza fare passare verità precostituite: il superamento dell‟obiettività a favore di
una maggiore soggettività dell‟informazione.
Oggi per quanto riguarda il problema dell‟obiettività si può dire che da quando si è
cominciato a considerare l‟obiettività come una tecnica insufficiente per l‟impossibilità
di superare la carica soggettiva che caratterizza la costruzione e l‟esposizione della
notizia, contemporaneamente se ne è fatto un ideale, cui il reporting tende, senza la
pretesa di realizzarlo.
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La notizia non può essere obiettiva perché nasce dalla capacità, dalla sensibilità e dalla
valutazione dei fatti di un giornalista o di una redazione e richiede un‟interpretazione
dei fatti stessi, in funzione degli interessi di uno specifico pubblico.
Tuttavia si può chiedere ai giornalisti che le notizie tendano ad essere obiettive nel
senso di rispettare per quanto possibile , nella ricerca delle informazioni, nel rapporto
con le fonti , nel racconto dei fatti, i criteri di accuratezza e di completezza. Si tratta in
sostanza di trovare un non facile punto di equilibrio fra la soggettività del giornalista e
una correttezza metodologica che salvaguardi il diritto del lettore a formarsi
un‟opinione.
Quando si avvertì l‟esigenza di un‟informazione che non si limitasse a raccontare i fatti
ma contribuisse a chiarirne il significato si coniò il termine di : interpretative reporting.
Non bastava più essere un reporter , bisognava anche essere un interpreter.