Hippokrates jactivity was to the nord and east, and it was safe for him to
leave his western frontier undefended. Inykon, where he later kept
Skythes in custody, was in the western part of his empire, towards
Akragas>>3[3]. Eppure Siracusa e Camarina indicavano che la
relazione di metropoli-colonia non costituiva garanzia sufficiente di
pacifica convivenza4[4].
Non sappiamo con certezza chi regnasse ad Akragas nei primi anni
del V; probabilmente si era già concluso il ciclo di Alcandro e Alcamene,
citati da Eraclide Lembo5[5], ma di cui non possediamo l'esatta
cronologia. La città, del resto, stava già prosperando senza la necessità
di alcuna politica militare di ampio raggio, e ad ovest doveva essere
rimasta sufficientemente appagata dalla ricolonizzazione di Eknomos
che le assicurava l'intera vallata dell'odierno Salso6[6]. Se con Gela
non fu stipulato un vero e proprio accordo, supponiamo che Ippocrate si
sarà garantito il rispetto da parte della vicina colonia prima di votarsi
alle campagne militari nell'opposta direzione. La presenza accanto ad
Ippocrate di Enesidemo7[7], possibilmente del grande casato
3[3]Dunbabin, p. 384.
4[4]Thuc. VI 5 , 3; Schol. Pind. Ol. V 16 e 19; Ps. Scymn. vv. 293-296.
5[5]Heracl. Lemb. FGH II, fr. XXVII.
6[6]Ciò consentiva ad Akragas di proiettarsi verso il versante tirrenico. Cfr. su
questi argomenti: De Miro, Agrigento arcaica, p. 271; id., La fondazione, pp.
123 e 142-144; Merante, Sui rapporti, p. 104; Consolo Langher, Ecnomo;
ead., Tra Falaride e Ducezio, pp. 231-232.
7[7]Probabilmente l'uomo imposto a Leontini, v. FONTI. Su Enesidemo:
Dunbabin, pp. 383-384 e 410; De Sanctis, pp. 116-117, per il quale si
tratterebbe di un ricco leontinese espulso dalla città e rintegrato da Ippocrate;
van Compernolle, pp. 372-374 e ivi note bibliografiche.
A Gela è stata rinvenuta una kylix con l'iscrizione Aijnhsivdamo", a lui
attribuibile: Orlandini, Nuovi graffiti, pp. 143-144.
akragantino degli Emmenidi8[8], può benissimo rappresentare un
segno delle positive relazioni tra le due città.
Un'alleanza sancita poco dopo, anche attraverso matrimoni, tra Gelone
e Terone sarà dimostrazione di una continuità dei buoni rapporti. Non
possediamo notizie sul predecessore di quest'ultimo; ciò potrebbe
significare che non si trattasse di una personalità di rilievo, forse non
era ambizioso come Falaride e Terone stesso, ma preferiva restare
piuttusto entro i limiti della chora del suo tempo. Non è comunque da
ritenere scontato che la città fosse sorretta da un sovrano; gli stessi
Alcandro e Alcamene non sembrato in effetti dotati di forte autorità (v.
infra).
Ma il timore poteva anche essere sull'altro versante, tra gli
Akragantini, di una penetrazione geloa. In effetti, se Ippocrate avesse
infine trionfato nell'Oriente siciliano, riteniamo possibile che potesse
nutrire nuove ambizioni anche nei riguardi del versante occidentale
greco dell'isola. E in modo particolare nei confronti di Imera, che
all'inizio del V secolo troviamo inserita in un ampio quadro di relazioni
commerciali meditarranee (v. supra). Possediamo, in verità, un passo di
Conone il mitografo che riguarderebbe il tentativo di Gelone al tempo di
Ippocrate9[9] di assurgere al potere -lecitamente e con l'appoggio del
popolo- proprio in questa città tirrenica10[10]. Però l'autenticità di tale
brano è messa in discussione dalla sua uguaglianza con un altro,
8[8]Busolt, I, p. 254, sostiene che Enesidemo si sia recato ad Akragas dopo
essere stato superato da Gelone nella successione ad Ippocrate.
9[9]Pareti, p. 87; id., Sicilia Antica, p. 111.
10[10]Con. FGH 26 XLII.
appartenente ad Aristotele, che attribuisce l'aspirazione invece a
Falaride11[11]. A parte la necessaria falsità di uno di essi, entrambi i
passi sono comunque possibile testimonianza dell'esigenza di una polis
della Sicilia meridionale di raggiungere il versante tirrenico, molto
importante per i motivi economici legati al commercio. Gelone (se di lui
si tratta) contro Imera non usava le armi. Nei confronti di Akragas, che
si presume città amica, crediamo che a maggior ragione Ippocrate o,
più generalmente, la potenza geloa, avrebbe mantenuto un
atteggiamento riguardoso. Consideriamo probabile che Ippocrate
avrebbe fatto sentire in questo caso, piuttosto che il peso delle armi,
quello della propria forte autorità tirannica; che dunque anche qua, ma
pacificamente, avrebbe esteso la propria influenza. Questa nostra
impressione acquista maggiore forza soprattutto se è vero che tale
centro dorico, che, ricordiamolo, è pur sempre una colonia geloa,
accusa in questo periodo un vuoto di potere.
Dicevamo che nessuna fonte ci fornisce alcun nome di tiranno
locale12[12], e riguardo agli ultimi sovrani noti, i già citati Alcamene ed
Alcandro, forse si tratta di esimneti13[13]. Curiosamente Eraclide non
adotta per essi termini come τυραννος, βασιλευς " o simili. E
dobbiamo infine aggiungere che per proiettarsi da sud verso Imera, la
libertà di muoversi nel territorio akragantino -tra il Platani e il Salso e
nelle loro valli- costituiva presupposto non tanto necessario ma,
11[11]V. FONTI.
12[12]Ma sappiamo bene che gli argumenta ex silentio hanno sempre valore
relativo.
13[13]Cfr. De Sanctis, pp. 104-105; De Waele, pp. 107 e 166; Maddoli, p. 14.
quantomeno, preferibile. Però forse una certa ascendenza sul territorio
akragantino Gela già possedeva; nota infatti Freeman, a proposito della
reclusione a Inico di Scite, già vassallo di Ippocrate: <<It was a distant
prison, far nearer to Akragas than to Zancle, nearer most likely than to
Gela. It is not likely to have been part of the immediate dominion of
Hippokrates; but the thought is suggested that he may have had the
same kind of influence with those who then held the rule of Akragas
which his successor had some years ago>>14[14].
Per quanto attiene i rapporti futuribili tra Akragas e Gela ci fermiamo
qui: è già non facile capire fino in fondo la politica e le azioni attuate dal
tiranno nel loro complesso, e dunque è opportuno evitare di trattare
ulteriormente quelle che egli avrebbe voluto intraprendere se la sua vita
non fosse cessata d'improvviso. Quello che ci preme qui ribadire è
comunque il legame tra le due città, Gela e Akragas, che in forma ancor
più evidente si manifesterà poco dopo nelle persone di Gelone e
Terone15[15].
Per la politica d'espansione geloa il difficile casomai stava altrove,
aldilà dell'Alico e dell'Imera settentrionale.
Quando Ippocrate assurgeva al potere, si era già ben configurata
nell'isola la contrapposizione tra la fazione cartaginese e quella greca;
nell'orbita della prima gravitavano, oltre che naturalmente Sicani ed
Elimi, anche Imera, sostanzialmente ionica, e Selinunte, dorica. E'
14[14]Freeman, II, pp. 112-113.
15[15]Costui, come deduciamo da Diod. XI 53 , 1, prendeva il potere ad
Akragas verso il 488; dunque non conobbe da tiranno Ippocrate.
possibile che il loro avvicinamento politico a Cartagine fosse dovuto alla
minacciosa espansione akragantina16[16]. Queste due città greche
erano in effetti a diretto contatto col territorio punico; sulla costa, a
poche decine di km di distanza ad ovest di Imera, sorgevano invero i
due importanti centri di Solunto e Panormo. In genere peraltro una vera
netta separazione tra i due ethne, ricordiamo, non ci fu mai o non durò
a lungo, come attesta ad esempio l'elemento urbano greco, presente
notoriamente soprattutto a Mozia, ma anche probabilmente a
Panormo17[17]; ovvero -viceversa- quello punico dei centri sicelioti,
deducibile tra l'altro da Diodoro XIV 4618[18].
A Selinunte regnarono, probabilmente alla fine del VI, Terone e
Pitagora19[19]; Polieno forse ci informa che il primo raggiunse l'autorità
addirittura col favore degli stessi Cartaginesi20[20]; contro il secondo
organizzò un'azione lo spartano Eurileonte, già al seguito di
Dorieo21[21], che intese così liberare la città. Un'iniziativa del genere
non avrebbe avuto senso nei confronti d'un tiranno solo in quanto tale
(del resto Eurileonte aveva lo stesso ruolo a Minoa e l'avrebbe avuto
16[16]Sull'argomento si veda anche: Merante, Sui rapporti, pp. 95-115.
17[17]Sulla base della ceramica greca presente nella necropoli è indotta a
credere nella presenza degli Elleni nell'attuale Palermo: Tamburello, pp. 234-
239; è invece orientato ad escluderla o comunque a limitarla (come peraltro ci
ha ribadito personalmente): V. Tusa, pp. 611-612. Sul tema delle popolazioni
miste nei centri siciliani si veda tra l'altro: Dunbabin, p. 334; Merante, La
Sicilia, pp. 91-92 e ivi bibliografia.
18[18]Il riferimento alla cittadinanza mista appartiene all'anno 398/7, ma è
naturale pensare che il costume della convivenza non fosse limitato solo a
quel tempo.
19[19]Uno dopo l'altro? Cfr. Dunbabin, p. 334.
20[20]Polyaen. I 29; cfr. Dunbabin, p. 334.
21[21]Di questo episodio la fonte principale è Herod. V 46 , 2. Per una sua
interpretazione cfr. anche Maddoli, pp. 26-29.
anche proprio a Selinunte), bensì di un tiranno legato all'ambito punico.
Manni osserva che dal VI secolo in poi questo centro dorico vive <<una
vita felice che fa pensare ad un accordo con Cartagine, e già
l'occupazione di Eraclea Minoa ad opera degli Agrigentini verso la fine
del secolo lascia pensare ad un possibile contrasto tra Selinunte
filopunica e Agrigento>>22[22]. Questa occupazione stringe
ulteriormente Selinunte alla fazione cartaginese23[23]; l'archeologia
conferma l'influenza punica sulla colonia di Megara Iblea24[24]. Almeno
agli inizi del V, che Selinunte fosse collegata ad ambienti punici è
comprensibile dal passo tucidideo25[25] relativo ai legami matrimoniali
con Segesta26[26]. Tale legame, nell'ambito più strettamente politico-
militare, sarà ancora manifesto in occasione dello scontro del 480;
ricordiamo l'episodio della missiva, intercettata da Gelone, che rivela gli
accordi tra Amilcare e Selinunte27[27]. La quale, dunque, si pone nello
schieramento ostile a Siracusa ed Akragas, e in seguito accoglierà,
quale ospite, l'esule Giscone, il figlio del duce sconfitto ad Imera28[28].
Anche riguardo a quest'ultima città possediamo segni che ci indicano
il suo legame con il mondo cartaginese, in quel periodo tra VI e V
secolo in cui si inseriscono l'inizio della tirannide a Gela e, strettamente
22[22]Manni, Tra Mozia, p. 704 e nn. con riferimenti bibliografici.
23[23]Merante, Sui rapporti, pp. 130-137. Ricordiamo l'offerta akragantina ad
Atena Lindia menzionata in Chron. Lind. XXX.
24[24]V. Tusa, pp. 613-614.
25[25]Thuc. VI 6 , 2.
26[26]Lo nota Manni, Tra Mozia, p. 702.
27[27]Diod. XI 21. Chiariamo che il figlio di Annone prendeva il potere verso il
491 e dunque alla fine del periodo ippocrateo: cfr. Merante, Malco, pp. 112-
114.
28[28]Diod. XIII 43 , 5.
connesso, l'apice dei successi politico-militari della stessa città. E'
proprio il tiranno imerese Terillo che si rivolge a Cartagine -per essere
difeso dall'invadenza akragantina-, causando così lo scontro nel proprio
territorio29[29]; e lo fa sulla base, peraltro, di un precedente reciproco
rapporto di ξεινιη30[30]. In effetti Merante rivela che la floridezza di
tale centro greco <<presuppone rapporti pacifici con i popoli vicini, e
quindi anche con i Punici>>31[31]. Segni ben precisi abbiamo dal punto
di vista epigrafico32[32]. Riguardo all'inizio del V Mozia è inserita nei
traffici commerciali inerenti la Ionia, l'Etruria e anche Cartagine33[33]. E
se Scite evitando le misure punitive di Ippocrate si rifugia ad Imera,
essa <<è dunque ancora una volta nel campo avverso a quello dei
Geloo-Agrigentini>>34[34]. Infine, altro segno della 'punicità' di Imera
nel periodo è il legame familiare di Terillo con il regino Anassila35[35]; il
quale, come garanzia di fedeltà politica alla causa cartaginese, avrebbe
dato financo i propri figli in ostaggio ad Amilcare36[36]. Anche la
numismatica rivela contatti particolari tra Selinunte ed Imera, da
considerare come il riflesso di un'intesa proprio contro l'aggressività
akragantina37[37].
29[29]Herod. VII 165.
30[30]Herod. VII 165.
31[31]Merante, La Sicilia, p. 92. E il discorso vale anche per Selinunte.
32[32]Manni, Imera, pp. 97-99.
33[33]Id., ibid., p. 99.
34[34]Id., ibid., p. 106.
35[35]Herod. VII 165. Sulla punicità di Terillo si veda tra l'altro: Manni, Imera,
p. 105.
36[36]Herod. VII 165. E' bene precisare che il tiranno reggino saliva al potere,
secondo Diod. XI 48 , 2, nell'anno 494.
37[37]Manni, Imera, pp. 191-192 e indicazioni bibligrafiche.
Questo è il quadro delle amicizie e delle ostilità nel periodo di nostro
interesse in Sicilia. Non abbiamo fatto menzione delle città greche della
fascia ionica, che, fino all'avvento di Ippocrate, avavano condotta una
tutto sommato tranquilla esistenza, lontano dalla delicata area del
confine punico. Maggiori segni di vivacità aveva dimostrato Siracusa,
che più d'ogni altra tendeva ad estendersi -anche con la politica della
fondazione delle sottocolonie38[38]-; che nei confronti di Camarina
aveva verso la metà del VI preso le armi (v. supra); e che ora si
ritrovava in una crisi inerna dovuta alla contrapposizione tra i possidenti
aristocratici e le classi meno abbienti39[39], sulla quale il tiranno geloo
avrà puntato per trarre vantaggio, come sappiamo subito dopo per
Gelone40[40].
Ippocrate sceglie di allargare i confini proprio verso est, e dunque a
danno anche di altri Greci come lui. Si tratta dei primi veri scontri tra
Sicelioti. Il territorio geloo, ampliatosi gradatamente già nei secoli
precedenti, era giunto ora a contatto con l'area calcidese. E se in
genere ci si poteva permettere di esplicare una certa influenza quando
l'interlocutore era costituito dall'elemento indigeno41[41], in un territorio
già greco o anche punico non era di solito possibile volere esercitare un
38[38]Thuc. VI 5 , 2.
39[39]Herod. VII 155 , 2; Tim. FGH 566 fr. 8; Diod. VIII 11 , 2; Aesich. s. v.
gewmovroi.
40[40]Herod. VII 155 , 2 e forse Arist. Pol. V 1302b. Per quest'ultimo brano v.
supra.
41[41]Cfr. De Miro, Nuovi dati, pp. 123-128, che riferisce della trasformazione,
talora rapida, <<in vere e proprie "poleis" greche, con le mura di cinta, i
santuari, le ceramiche, la plastica propria di quella civiltà>> (p. 123), delle
comunità anelleniche dell'interno; Manni, <<Indigeni>>, specie le pp. 202-203;
Maddoli, pp. 16-17.
controllo senza approdare ad un conflitto. L'elenco degli assedi
ippocratei fornito da Erodoto, che è verosimilmente ordinato
cronologicamente, mostra che essi erano, grosso modo, disposti, non
sappiamo quanto deliberatamente, per ordine crescente di difficoltà.
Invece, provocare l'Occidente siciliano appariva subito estremamente
pericoloso. Lo avevano dimostrato nel VI secolo il fallimento di
Pentatlo42[42], l'intervento direttamente da Cartagine di Malco
conseguente alle velleità espansionistiche di Akragas e
Selinunte43[43], il recente tentativo di Dorieo e dei suoi uomini.
L'archeologia ci indica che appunto dal 580 ca. le città puniche
dovevano organizzare sistemi difensivi più ingenti44[44]; e proprio la
lotta al nemico greco li aveva avvicinate ulteriormente alle popolazioni
indigene. Si trattava peraltro di un antagonismo greco-punico non
limitato al territorio siciliano bensì di carattere internazionale, come
indicava il più celebre scontro del 535 presso Alalia45[45]. Ippocrate
non poteva permettersi, almeno inizialmente, di provocare Cartagine,
già alleata degli Etruschi (con cui anche la Sicilia greca intratteneva
relazioni commerciali) e ora ufficialmente amica di Roma46[46], che
con grandi armate aveva appena risposto contro Dorieo47[47] e con
42[42]Diod. V 9; Paus. X 11 , 3-4. L. Gallo, pp. 319-320, deduce comunque
che nell'opposizione al Cnidio abbiano avuto un ruolo decisivo gli Elimi
piuttosto che i Fenici, essendo quelli -al momento- un gruppo più organizzato
politicamente e dunque militarmente.
43[43]Merante, Malco, pp. 105-117.
44[44]Bondì, La Sicilia, p. 17.
45[45]Herod. I 165-167.
46[46]Polib. III 22-23.
47[47]Diod. IV 23 , 3.
tutte le proprie forze si sarebbe diretta ad Imera nel 48048[48]. Un
tentativo condotto verso l'area punica appariva in sostanza più foriero di
disagi che non di vantaggi che non fossero conseguibili operando
militarmente nella parte restante della Sicilia, soprattutto tramite
l'occupazione di Zancle e Siracusa, porti prosperi, e magari anche
d'Imera. Non solo.
Gli studi più recenti indicano che gli interventi armati della stessa
Cartagine in Sicilia erano dovuti a scopi difensivi49[49]; questa nuova
interpretazione si oppone a quella tradizionale che, basandosi su
materiale storiografico di parte (quella greca, in quanto nulla ci è giunto
della produzione degli storici punici), ha visto nella colonia di Tiro una
continua minaccia e una fazione etnicamente inferiore. Questa visione
è da ricollegare alla politica dei vari tiranni sicelioti che presentavano
Cartagine stessa come tale, al fine di essere ancor più agevolati nella
conservazione del potere. Che anche Ippocrate si fosse comportato
così non è detto ma è presumibile. Anche per questo possibilmente non
era in cima ai suoi pensieri la necessità di un annientamento della parte
punica dell'isola.
48[48]Soprattutto: Diod. IX 20-26 e XI 1; Herod. VII 165.
49[49]Merante, La Sicilia, pp. 79-103; Bondì, Su alcuni aspetti, pp. 237-248;
id., La Sicilia, pp. 17-18; id., I Fenici, p. 395; Moscati, Fenici e Greci, p. 16 e
passim; Anello, pp. 121-136.
CONCLUSIONI
Ippocrate non è il primo tiranno greco nella storia dell'isola; egli è preceduto nel
ruolo sicuramente da Panezio a Leontini, Falaride ad Akragas, da Terone e Pitagora a
Selinunte e dal fratello Cleandro nella stessa Gela, oltre che dagli effimeri tentativi di
Dorieo e dei suoi uomini. E' il primo, tuttavia, che mostri d'applicare progetti d'espansione
di inedite proporzioni.
L'economia della città geloa non si basava su attività legate al mare,
quanto sull'agricoltura. Ai tempi delle colonizzazioni storiche i Greci
usavano ancora tirare a secco le navi, per cui qualche oltre, come le
frequenti indicazioni -letterarie e/o archeologiche- ci attestano.
Possiamo presumere che essa fosse dovuta, più che alla necessità
della conquista in sè, all'esigenza di evitare sul nascere possibili
rapporti conflittuali legati alla convivenza, ora che il settore orientale
della Sicilia si stava interamente geloizzando; e di eliminare inoltre
possibili ostruzioni nelle vie di passaggio e di comunicazione dell'ampia
regione. Sicuramente certi villaggi più pacifici non saranno stati toccati
dalle armi; i Siculi restavano pur sempre ottimi partners
commerciali50[524. Freeman suppone che appena conseguita l'autorità
il tiranno debba aver affrontato i Cartaginesi. Pareti attribuisce al
braccio destro Gelone il tentativo di imporsi ad Imera riferito da Conone.
50[52]Manni, Ancora su, p. 304.
Nel quadro da noi proposto non c'è spazio per queste azioni, anche
perchè già intenso appare il settennio ippocrateo.
I motivi del successo del tiranno sono da ricercare in varie direzioni.
Egli comprende innanzitutto i vantaggi che avrebbe conseguito una
riorganizzazione dell'esercito; punta in modo particolare sugli squadroni
di cavalleria, molto bene addestrabili nella piana geloa, che facilmente
hanno ragione delle forze avversarie, non altrettanto rapide e preparate.
Si ritiene infatti -altro importante fattore- che le città calcidesi, le quali
fino ad allora non avevano avuto motivo di temere alcun nemico,
fossero colte di sorpresa dai soldati di Gela51[56]. Si rivela poi basilare
per Ippocrate l'apporto dei suoi uomini in momenti fondamentali della
sua storia; a Gelone va ascritto in buona parte il merito della difesa del
potere appena acquisito, di fronte al movimento ostile intestino; Cromio
si dimostra determinante in occasione della battaglia dell'Eloro. E
proprio dalla politica dell'utilizzo in generale di collaboratori è inoltre il
tiranno agevolato. Si possono anche attribuire al Geloo facoltà di rapide
decisioni, dimostrata sicuramente in occasione dell'affare dei Sami,
saldezza civile e militare, notevoli capacità politiche e strategiche52[57].
E' incerto se il Nostro godesse anche del supporto di una flotta
militare, non attestata con chiarezza da alcuna fonte53[58]. La stessa
interpretazione del passo di Polieno sugli Ergetini non è univoca. Non è
da escludere che fosse almeno in via di costituzione, nell'ottica di una
51[56]Schenk von Stauffenberg, p. 162.
52[57]Griffo, p. 157.
53[58]Finley, p. 71, e Berve, I, p. 138, sostengono che in occasione della battaglia dell'Eloro non
fosse presente alcuna marina geloa; diversamente Maddoli, p. 33 (v. FONTI).
nuova minaccia da arrecare a Siracusa e forse anche di una eventuale
risposta da fornire a Corinto e Corcira.
Ippocrate fa dunque molto affidamento su uomini da lui eletti; ciò è
essenziale per la conquista e il mantenimento di un territorio di notevoli
proporzioni. Sin dalla -immediata- scelta dei molti dorifori, il tiranno
asseconda l'esigenza di puntare su fidati compagni per la salvaguardia
della persona e del potere; il comando della cavalleria inoltre concessa
a Gelone, che apparteneva peraltro a famiglia di nobili tradizioni e
godeva del favore popolare, non gli incute il timore di accordare ampio
potere nelle mani di un possibile concorrente. Nelle città dispone propri
rappresentanti, che possono rivelarsi incapaci ma non sono infedeli.
Testimonianza della solida amministrazione è il tutto sommato tranquillo
passaggio ereditario dell'intero territorio, che nell'occasione non tende a
sfaldarsi54[59], e anzi viene ampliato55[60]. Una rivolta a Gela veniva
subito domata. L'esperienza realizzata al fianco del predecessore sarà
un bene per il felice governo di Gelone, così come quello molto deve
aver maturato nel periodo del fratello.
Possiamo dunque individuare nella determinante collaborazione di
terzi un tratto distintivo del governo d'Ippocrate, non comune nella storia
delle tirannidi siceliote.
Degli intimi conosciamo qualche nome: Gelone costituisce un appoggio
sin dall'inizio e quale ipparco si dimostra assai valente; tra le guardie
54[59]Al limite viene conteso: tra i figli d'Ippocrate, Gelone ed Enesidemo.
55[60]Herod. VII 155 , 2 e 156.
del corpo sono lo stesso Gelone ed Enesidemo secondo Erodoto; quali
paradunasteuonteV" vengono segnalati ancora Gelone ed Enesimo di
Rodi; sappiamo di Scite tiranno a Zancle e deduciamo che Enesidemo
lo è a Leontini e -ma meno sicuramente- Glauco a Camarina; il giovane
Cromio si distingue all'Eloro. Quanto a Cadmo, presunto figlio di Scite,
deve essere giunto in Sicilia solo dopo la morte di Ippocrate56[61].
Ma di altri collaboratori -rimasti anonimi- il Geloo si è sicuramente
avvalso; a parte il molti altri riferito da Erodoto ai dorifori, dobbiamo
pensare che per coerenza egli abbia predisposto tiranni-vassalli anche
nelle restanti città conquistate. Tanto più che i nomi certi che
possediamo sono citati dalle fonti solo per motivi contingenti: Scite
nell'ambito dell'affare dei Sami ed Enesidemo per essere distinto
dall'omonimo commissionatore di statue.
Non è dubbio che nel periodo di Ippocrate la città di Gela prospera,
come può indicare il fatto che ora venisse rimpinguato, se non
costituito, il suo tesoro ad Olimpia57[62]; il figlio di Pantares, come ogni
sovrano siceliota, doveva aver caro che la sua fama si estendesse fino
alla Grecia58[63]. Era inoltre abitudine dei tiranni provvedere ad
abbondanti emissioni di monete, nell'intento di dimostrare che il nuovo
regime non avesse nociuto alla città, e che anzi essa fosse più
florida59[64]. Invero proprio ad Ippocrate viene attribuita la prima -
copiosa- coniazione, necessaria in effetti per il pagamento delle forze
56[61]Herod. VII 164; cfr. Manni, Roma e l'Italia, pp. 68-70.
57[62] Dyer, pp. 297-298.
58[63]Giuliano, XI, p. 259.
59[64]Holm, Storia della moneta, p. 36.
mercenarie. Sul D. viene riprodotta l'immagine di un cavaliere nudo sul
destriero, che brandisce una lancia e indossa talora un elmo, il quale
raffigura evidentemente la cavalleria, ora molto importante. Il R. mostra
il dio-fiume Gela nelle sembianze di un toro dalla faccia umana,
secondo una forma diffusa nell'arte greca e frequente in Sicilia60[65].
Non ci trova d'accordo quella componente che possiamo definire
ideologica talora espressa relativamente all'espansione del Geloo. E'
capitato di leggere che egli mirasse all'unificazione di tutti i Greci e
inoltre che intendesse imporre come superiore l'elemento dorico
rispetto a quello ionico-calcidese.
La prima osservazione dobbiamo inquadrare nell'ambito di una
tendenza che sembra non accorgersi della presenza degli indigeni o
comunque non la tiene in sufficiente conto. L'elemento greco non era
l'unico dell'area e far riferimento solo ad esso ci sembra riduttivo.
Eppure sono Sicani e Siculi a vantare maggiori diritti su una terra che
già da prima apparteneva loro e che adesso viene progressivamente
sottratta; il movimento duceziano, di poco posteriore, è palese
manifestazione dell'esigenza indigena di spazi e autonomia,
notevolmente ridotti in corrispondenza di ogni scelta d'espansione
adottata da parte greca.
Nel secondo caso non dobbiamo, a nostro avviso, considerare il
predominio dorico come causa bensì come risultato naturale e non
60[65]L'attribuzione ad Ippocrate della prima coniazione geloa appartiene a Jenkins, Ancient, pp.
43-44, il quale ha così fugato i relativi dubbi esternati in Jenkins, pp. 20-26 e soprattutto 25.
necessariamente ricercato, della politica eseguita dal tiranno; il trionfo
dorico era conseguenza diretta dei successi d'Ippocrate, che
verosimilmente non tiene conto di fattori razziali nell'ambito della sua
politica; anche perchè ionica era l'origine di alcuni dei suoi uomini più
importanti: probabilmente di Cos era Scite, di Leontini Enesidemo e
discendente di uno di Telo lo stesso Gelone. Con i Sami tratta.
Ippocrate si pone in definitiva come la prima grande figura dei tiranni
di Sicilia, autori di una costante politica di conquista legata ad una idea
di unione solo quale sottomissione di tutti a uno solo61[66]. La tirannide
nell'isola possiede infatti <<il singolare carattere di monarchia militare,
che la distingue dalle esperienze tiranniche della grecità centro-
orientale e piuttosto l'avvicina a forme <<barbare>> o a più tarde
espressioni delle monarchie ellenistiche>>62[67].
Spesso l'immagine di Ippocrate è apparsa quale quella di un sovrano
violento, amorale, privo di scrupoli. E' vero comunque che adesso Gela
fioriva, raggiungendo il suo massimo in splendore e potenza e più delle
altre città dell'isola; anche se di questo ruolo essa presto sarebbe stata
privata, a causa del passaggio a Siracusa della capitale del regno.
Ippocrate non conosce avversari e viene di necessità fermato solo da
agenti esterni, avendo infine alterato equilibri economico-politici già
esistenti a livello internazionale.
Ma noi riteniamo preferibile la pace e minori fortune.
61[66]Manni, Roma e l'Italia, p. 71.
62[67]Maddoli, pp. 30-31.