In una prospettiva storica più recente e attuale, una vera e propria dottrina
federalista può esser ravvisata nelle riflessioni di A. Hamilton, a riguardo di quanto
stava accadendo a Philadelphia. Egli fu il primo a notare che la Costituzione
americana, oltre ad essere un evento assolutamente nuovo nella storia, portava con
sé moltissimi elementi positivi, concernenti lo sviluppo armonico delle comunità e
il loro avanzamento nel rispetto della pace e della concordia. Di questo nuovo
federalismo egli tratta nei saggi che costituiscono Il federalista (1788).
Nel suo pensiero, ciò che fonda un buon governo federale è la pluralità dei
centri di potere e decisionali tra loro coordinati, in modo che alle autorità federali
spettino solo i poteri indispensabili per assicurare l'unicità politica ed economica,
essendo tutti i restanti poteri lasciati nelle mani degli stati federati, ognuno
competente sul territorio proprio.
Al governo federale è lasciato il monopolio della politica estera e militare. In
tal guisa, le barriere prima vigenti vengono a disgregarsi, e gli Stati acquisiscono un
carattere giuridico, piuttosto che violento, rimandando la soluzione di ogni
contrasto all'apposito tribunale. Il governo federale deve inoltre avere il controllo
della moneta e di ogni altra competenza economica, perché vengano eliminati gli
ostacoli doganali e monetari che ostacolano la creazione di un unico mercato.
Esso, a differenza dello Stato unitario, il quale tende ad omologare tutte le
comunità naturali esistenti, è molto limitato nella sovranità e nel suo esercitarla,
consentendo agli stati di mantenere le diversità e le caratteristiche che li
caratterizzano.
Il potere giudiziario ha in primo luogo il dovere di decidere a chi spetti una
decisione contesa tra governo federale e quello dello stato.
Altro pensiero interessante per il suo contribuito a costruire una teoria
federalista, è quello del filosofo Immanuel Kant. Come Hamilton egli vide nella
sovranità dello Stato la causa ultima della guerra. Considera una chimera l'idea di
una pace durevole basata sull'equilibrio delle potenze.
L'umanità raggiungerà la civiltà completa solo quando si riuniranno sotto un
ordine superiore a cui affideranno la capacità coercitiva sugli stessi stati, che starà a
2
garantire il diritto internazionale, ovvero la pace vera e propria. La federazione
universale è quindi lo scopo primario dell'umanità nel corso della sua evoluzione
dallo stato selvaggio, attraverso il cammino in cui si intrecciano rapporti di alleanza
e scontro tra comunità che man mano vanno a farsi sempre più complesse e ampie.
Un originale contributo dottrinale al federalismo viene da Pierre-Joseph
Proudhon, secondo cui lo Stato nazionale soffoca le molte “nazionalità” su cui
governa. Esisterebbe, inoltre, secondo il francese, una nazionalità naturale
prodotta dai legami tra i membri di una comunità su un territorio ed una nazionalità
artefatta prodotta invece dai legami forzati tra lo Stato-apparato e i cittadini. La
società, perciò, dovrebbe possedere una “legge di unità” e una “legge di
divergenza”; un “moto centrifugo” e un “moto centripeto”. In base a tale dualismo,
tutti gli stati, grandi o piccoli, possono unire i vantaggi dell'unità e della libertà, lo
spirito cosmopolita e il sentimento patriottico, attraverso la federazione e il
decentramento delle autorità.
Nella cerchia dei pensatori “connazionali”, colui che maggiormente
interpretò e teorizzò le idee federaliste fu Giuseppe Mazzini, il quale si illuse
sempre di poter conciliare il suo ideale concetto di nazione con quello di un'Europa
unita. L'affermazione del principio nazionale, secondo Mazzini, avrebbe eliminato
alla lunga la distorsione dell'egoismo nazionale cui è imputabile la conflittualità, e
perciò condotto le nazioni alla collaborazione. Egli contrapponeva la Giovine
Europa alla vecchia, vedeva nell'Europa il terreno idoneo all'avvio della civiltà
delle nazioni che avrebbe poi caratterizzato il secolo '800; missione dell'Italia era
quello di portare il continente all'unità.
In tempi più recenti, nel XX secolo, l'unico precursore europeo del
federalismo fu Carlo Cattaneo. La modernità del suo pensiero non sta solo nella
consocenza positiva della struttura e del funzionamento delle istituzioni federali,
ma anche nell'aver concepito il modello federale come il superamento degli aspetti
autoritari ed oppressivi derivanti dal carattere accentratore dello stato unitario. Il
federalismo risulta essere per lui l'unica teoria della libertà, in quanto le sue
istituzioni permettono la migliore limitazione del potere politico, mediante la
3
subordinazione di più stati indipendenti ad un centro superiore. Egli denuncia lo
Stato Nazionale, poiché accentratore che immola sull'altare della propria unità la
varietà e la ricchezza delle culture locali. Per il raggiungimento della pace fra Stati,
inoltre, sostiene che si debba sostituire al diritto internazionale quello federale e al
sistema europeo delle potenze, un governo supernazionale.
2
2 L. Mariucci; R. Bin, M. Cammelli, A. Di Pietro, G. Falcon, Il Federalismo preso sul serio: una proposta di
riforma per l'Italia, Il Mulino, Bologna; 1996, pagg. 11-23.
4
CAPITOLO 2
STATO FEDERALE vs STATO REGIONALE
In un sistema centralizzato il potere è concentrato al centro e, di norma , è
appannaggio di pochi. Gli individui, le comunità e organizzazioni non hanno
autorità o potere discrezionale e decisionale, né possiedono il controllo sui propri
affari. Spesso il centro perde di vista a cosa e a chi deve erogare i servizi e si
dedica più ai mezzi che agli obiettivi, ovvero ciò che accade con la burocrazia
quando privilegia le formalità delle procedure a scapito di contenuti e finalità della
stessa. Per ovviare a questi problemi ci si affida al decentramento amministrativo e
politico, che incoraggi l’innovazione e la sensibilità verso le esigenze dei cittadini e
che promuova l’autonomia e la democrazia.
Il decentramento (o decentralizzazione) è quindi un fenomeno generale che
può interessare sia gli stati centralizzati che quelli federali. Si può anche parlare di
deconcentramento, quando il fenomeno del decentramento investe solo aspetti di
localizzazione nel territorio degli agenti, ossia quando le strutture o sede centrali
sono stabilite lontane dalle capitale. Altro termine affiliato al federalismo è
“partnership” ovvero divisione dei poteri e delle responsabilità tra amministrazione
centrale, altre amministrazioni, cittadini privati e organizzazioni private.
Prima di parlare di federalismo e di Stato federale, si dovrebbe analizzare
un'altra entità, ovvero lo Stato regionale, che si potrebbe collocare a posizione
intermedia tra stato centralizzato e stato federale non centralizzato. Si può forse
definire come una forma avanzata del c.d. “federalismo di esecuzione”, ovvero
laddove alla regione, oltre che compiti prettamente esecutivi, si assegnano anche
poteri legislativi limitati, secondari, di integrazione della legislazione primaria
adottata a livello centrale. Si tratta ad ogni modo di uno schema cooperativo.
Molto spesso si è teso a contrapporre Stato unitario a Stato federale, negando
5
a quest'ultimo le caratteristiche unitarie. Si tratta probabilmente di un'insinuazione
secondo cui chi propone il federalismo attenti all'unità dello Stato, in realtà la vera
distinzione da fare sarebbe quella tra Stato centralizzato e Stato federale.
Quest'ultimo non sempre è sinonimo di Stato non centralizzato , in quanto
anche negli Stati genuinamente federali si sono verificate e si verificano fasi
alterne di decentramento e accentramento di poteri. Studiando anche dal punto di
vista politologico le forme di stato, si osserva che nello Stato centralizzato
l'organizzazione tende ad essere gerarchica o piramidale.
Nello Stato federale la distribuzione del potere decisionale (legislativo) può
essere più o meno diffusa. Ad ogni modo deve essere caratterizzata da rapporti di
coordinazione e non di subordinazione. Anche nel modello centro-periferia il potere
tende a concentrarsi al centro e questo può essere in grado diverso influenzato
dalla periferia.
Nel modello a matrice (o a rete), le cellule “sovrane” (le varie giurisdizioni)
sono tenute insieme da un patto costituzionale comune e da un comune sistema di
comunicazione. i poteri godono tutti di uguale parità costituzionale anche se
operano in diversi settori e possono avere dimensioni varie. Essi interagiscono e si
coordinano tra loro creando integrazione di attività ed azioni propria del
federalismo cooperativo.
Se si considerano da un lato lo Stato centralizzato e dall'altro quello
confederale, viene confermata l'osservazione che lo Stato federale, sia nella
versione cooperativa che in quella competitiva, sia una forma intermedia tra Stato
centralizzato e Confederazione, in cui i legami comuni tra le entità della
Federazione risultano ridotti al minimo. Una piccola parentesi va riservata al c.d.
federalismo per devoluzione (la cui attuazione è stata più volte istanza della Lega
Nord), in cui si assiste a un trasferimento dei poteri e di competenze legislative dal
centro (cioè dallo Stato centrale) alla periferia (le Regioni e le entità sub-regionali)
e non consiste in un semplice decentramento di funzioni ma può anche condurre a
una trasformazione del sistema unitario in una nuova entità statale modellata sui
principi federalisti.
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Nella terminologia inglese il termine devolution indica una delega di potere,
in realtà la sua origine è latina, proviene da devolutio, che sta a significare un
movimento dall’alto verso il basso.
Una parte della dottrina descrive il sistema federale come la formula
organizzativa derivata dall'accordo di diritto inter-statale, se non proprio
internazionale, con il quale due o più Stati, seppur conservando una parte dei loro
poteri originari (quindi della loro “sovranità”), danno vita ad un nuovo soggetto
politico-istituzionale (ovvero a un “nuovo Stato”), ossia un apparato di comando a
cui spettano adeguate funzioni legislative, amministrative e giurisdizionali.
Esso presenta, tra le caratteristiche fondanti la maggior forza che lega, tra di
loro e nei confronti della Federazione, le componenti territoriali, nonché i singoli
cittadini. Ma il percorso che dalla Confederazione porta alla Federazione è tutt'altro
che logico; tra le esperienze storicamente in evidenza, basta pensare al “federalismo
per dissoluzione”. Un simile percorso si può ricondurre a quello compiuto dallo
Stato unitario nel passare allo Stato regionale.
Se gli assetti decentrati non sono necessariamente di tipo federale, si devono
avere dei criteri per poter distinguere quelli propri di Stati cosiddetti unitari e quelli
interni a contesti di tipo federali.
Per distinguere sistemi non centralizzati e decentrati bisogna verificare la
distribuzione:
1) dei poteri politici veri e propri (elezione di rappresentanti, legislazione,
determinazione dei confini, influenza sulle decisioni del governo centrale);
2) dei poteri impositivi e finanziari (determinazione delle risorse dei governi
subcentrali e di ripartizione delle risorse);
3) dei poteri di attribuzione delle aree funzionali da parte dei livelli sub-centrali
medesimi, nel senso che aree di competenza, modalità di intervento,
strumenti di finanziamento e modalità di gestione amministrativa siano
determinazioni proprie e non definite dal governo centrale.
E' inoltre necessario che si verifichi:
1) l'esistenza di un ruolo dei governi sub-centrali nelle decisioni del governo
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centrale.
E' federale un assetto in cui le procedure legislative prevedono la decisione
congiunta circa l'attribuzione delle funzioni e delle risorse. E' di tipo confederale un
assetto in cui sono i livelli di governo sub-centrale a decidere
2) l'identità storica, sociale, culturale;
3) l'autorità che il livello intermedio ha sugli enti locali.
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Peculiarità tipiche del sistema federalista sono i seguenti principi: principio di
sussidiarietà; principio di diversità; principio di equivalenza e/o di corrispondenza.
Riguardo il primo, ovvero il principio di sussidiarietà, l'art. 3B del Trattato di
Maastricht prevede che “la Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono
conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal Trattato; nelle materie che non
sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene secondo il principio di
sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non
possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e, a motivo delle
dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, possono essere realizzati meglio
a livello comunitario”.
Il primo comma definisce semplicemente le competenze previste dal Trattato
(in un certo senso si tratta dell'equivalente della Costituzione in un Paese membro).
Nel secondo comma richiama e va anche oltre il principio di sussidiarietà, in
quanto l'intervento è contemplato solo nel caso in cui gli Stati membri non riescano
a realizzare da soli sufficientemente gli obiettivi.
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Per questo è stato detto che da
tale comma si evince una delimitazione della sfera di intervento, in quanto solo
funzioni condivise e non esclusive dell'una o dell'altra parte.
In base ai tradizionali principi del decentramento del potere, viene assunto
che i poteri spettino al governo centrale e che essi vengano demandati in vari gradi
ai livelli inferiori. Invece in base alla sussidiarietà, i livelli di governo vengono
ridistribuiti verso l'alto e/o verso il basso, in modo tale che ai gradi più alti restino
quei poteri e quelle funzioni che ai livelli intermedi o più bassi non sono capaci di
3 E. F. Russo, La strada ostruita del federalismo in Italia, pp. 21-22, La Sapienza Editrice, 200, Roma.
4 E.F. Russo, ibidem. pp. 24-25.
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svolgere in maniera soddisfacente.
Visto così, tale principio diventa il paradigma ordinatore dei diversi livelli di
governo e delle competenze di ciascuno. Il potere parte dal basso e si propaga verso
gli enti superiori. Come si evince facilmente, la sua applicazione, implica un
ripensamento radicale di tutta l'organizzazione del potere decisionale e/o delle sedi
in cui vengono effettuate scelte collettive.
Analizzando in termini pratici, potrebbero verificarsi casi in cui l'ente locale
non è oggettivamente in grado di svolgere una data funzione, una rigorosa
applicazione del suddetto principio porterebbe all'acquisizione da parte del governo
superiore del potere. Vanno infatti distinte situazioni in cui l'ente locale non è adatto
a svolgere il compito ed altre in cui c'è l'idoneità ma vengono meno mezzi
finanziari adeguati. Nella fattispecie, la sostituzione da parte di un governo
superiore non risulta la soluzione più vantaggiosa. Va perciò messo in atto un
bilanciamento appropriato tra principio di sussidiarietà e principio di cooperazione
(peculiarità in ogni sistema democratico).
Altra interpretazione data al principio di sussidiarietà è quella che la vede
come paradigma ordinatore da società civile e Stato, tra pubblico e privato. Ovvero
lo Stato deve adempiere alle lacune lasciate dalle società civile. In questo caso il
principio viene letto come vincolo che si interpone all'intervento pubblico.
Va però precisato che nella Costituzione originale del 1946 tale principio non trovò
una precisa espressione e rimase del tutto estraneo anche al dibattito sviluppatosi in
Assemblea costituente., nel corso del quale sono stati affrontati temi quali rapporti
tra Stato e cittadino, pluralismo istituzionale e sociale prefigurato dalla Carta
costituzionale, ma attraverso altre chiavi interpretative, come la dialettica autorità-
libertà, il ruolo delle c.d comunità intermedie, tensione tra principio autonomistico
e principio unitario.
Il principio di diversità, invece, riguarda principalmente le preferenze dei
cittadini, ovvero laddove la popolazione nazionale non ha preferenze omogenee,
risulta un alto bisogno di decentramento. Maggiore sarà il grado di decentramento,
maggiore sarà la soddisfazione delle istanze diversificate della popolazione. Minore
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sarà il decentramento, minore sarà la coercizione nel compiere scelte a livello
locale.
Tipico degli assetti federali è il bilanciamento criteri di uniformità con criteri
di diversità, senza però mai trascurare o mettere in discussione l'unitarietà
complessiva, anzi, consentendo di raggiungere meglio i propri obiettivi grazie ad
un'organizzazione più articolata dei vari livello di governo.
Riguardo il principio di equivalenza e/o di corrispondenza, di questo criterio, va
individuata l'esatta dimensione geografica, in cui poi va identificata la
corrispondenza (e/o equivalenza) più diretta tra i benefici della spesa decisa dal
governo e i costi, ovvero le risorse che sono state utilizzate per effettuarla e
finanziarla.
Va precisato però che ci sono beni pubblici che si estendono a tutto il
territorio nazionale (difesa nazionale giustizia...), vi sono poi altre spese pubbliche
che hanno effetti solo locali (acquedotti, sistema dei trasporti...) e altre che hanno
effetti in ambito ancora più ristretto e limitato, come quello metropolitano e
comunale (raccolta rifiuti, trasporti per i pendolari...).
Quantità e qualità dei beni pubblici locali vanno analizzate, sottoposte a voto
e poi finanziate a livello della relativa giurisdizione.
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