INTRODUZIONE alla LOGICA della TESI
La crescente diffusione del sovrappeso e dell’obesità odiernamente ha richiamato l’attenzione delle
autorità sanitarie, in quanto si accompagna ad elevata morbilità e mortalità.
Secondo una stima dell’OMS, solo nel 2008, 1,5 miliardi di individui nel mondo erano in sovrappeso,
200 milioni di uomini e 300 milioni di donne erano obese. Tali stime secondo l’Organizzazione
Mondiale della Sanità sono destinate a crescere di anno in anno. In Italia, il sovrappeso riguarda il
42,5% dei maschi, mentre sono obesi il 10,5%. Le donne invece sono meno in sovrappeso (il 26,6%),
ma rimane alto il tasso di obese (9,1%). La Società Italiana dell’Obesità (S.I.O.) afferma che nel 2025 il
tasso di obesità fra gli adulti arriverà al 14%.
Le patologie più diffuse legate a questa condizione cronica vanno dall’ipertensione, diabete, ictus,
ipercolesterolemia fino a depressione, sindrome metabolica, problemi respiratori, complicanze nel
periodo della gravidanza ma anche nella sfera psico-sociale: ansia e bassa autostima (Goossens et al.
2009), compromissione fisica e limitazioni funzionali(Manzoni, Castelnuovo, 2012).
Per quanto concerne la spesa sanitaria sostenuta da un obeso, risulta essere il 25% più alta di quella di
un soggetto normopeso (Withrow, Alter, 2012).
I costi sociali, personali e sanitari giustificano largamente l’allarme obesità.
Nel 2012 gli Usa hanno stimato che il costo annuo per la cura delle patologie collegate all’obesità
supera i 190.000 milioni di dollari (il 21% della spesa medica nazionale). I costi dei trattamenti praticati
a pazienti obesi sarebbero superiori del 40% a quelli destinati ai pazienti non obesi.
Si tratta secondo l’O.M.S. della più grave emergenza sanitaria del ventunesimo secolo.
Negli ultimi anni, numerosi studi hanno osservato che una perdita di peso corporeo del 10% è in grado
di determinare significativi benefici e di ridurre la maggior parte delle complicazioni associate
all’obesità (Barbieri,Tronchin, 2010).
L’apporto tradizionale della scienza nei confronti dell’obesità ed il sovrappeso - confinato soprattutto ai
paradigmi provenienti dal mondo della dietologia - sembra non arginare in modo efficiente tali
problematiche.
Il dato più allarmante ci proviene da alcuni studi di follow-up a lungo termine sul trattamento
dell’obesità che indicano comeil 90-95% di coloro che perdono peso lo riacquistano entro pochi anni
(Garner, Wooley, 1991) a volte anche con gli interessi (Sarlio-Lahteenkorva S., Rissanen A., Kaprio J.,
2000).
Le persone in sovrappeso, quando iniziano un trattamento dietetico, desiderano perdere la maggior
parte del peso nel minor tempo possibile, ma nel 50% dei casi questo impegno termine dopo appena
due mesi dall’inizio della dieta(L. Letizia, 2011).
Soggetti obesi e in sovrappeso molto frequentemente intraprendono regimi alimentari dietetici nel corso
della loro vita, oscillando continuamente tra riduzioni e aumenti di peso (weight cycling syndrome). E
proprio le diete ipocaloriche sembrano essere responsabili del circuito restrizione-disinibizione dal
comportamento alimentare inadeguato che da esse scaturisce: il Weight-Cycling Syndrome (sindrome
della fluttuazione del peso) (Beck, 2008).
Anche queste oscillazioni potrebbero influire sulle condizioni psicologiche, visto che non riuscire a
mantenere il peso raggiunto con le diete provoca sentimenti di fallimento personale, di perdita del
controllo sulla propria vita e di scarsa autostima (Simkin-Silverman, Wing, Plantinga, Matthews, Kuller,
1998).
Nei bambini obesi in terapia dietologica si è osservato che i livelli di psicopatologia ansiosa o
depressiva significativamente più alti (37,3%) rispetto a quelli non sottoposti ad alcun trattamento
(23%) (Van Vlierberghe, Leen, et al., 2009). Questo dato potrebbe sostenere l’ipotesi del possibile
effetto iatrogeno di incongrue terapie dietetiche.
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Questo è dovuto soprattutto all’aumento del livello di cortisolo che si riscontra nei soggetti che si
sottopongono a dieta (Tomiyama, A. Janet, et al., 2010). Il cortisolo è il capostipite degli ormoni dello
stress.
Alcuni autori hanno ipotizzato un possibile coinvolgimento di tale ormone nel comportamento
alimentare, nella regolazione del peso corporeo e nell’eziopatogenesi dei disturbi del comportamento
alimentare (Tapia-Arancibia L, Givalois L, Arancibia S., 2004).
D’altronde fare pressioni sui pazienti per motivarli alla perseveranza nella dieta determina una
spaccatura tra coloro che ancora resistono e coloro che sono più disponibili al cambiamento e sembra
produrre un maggior drop-out (Treasure, Schmidt, van Furth, 2006).
Da tali osservazioni risulta evidente come l’obesità rappresenti un tipico esempio di patologia cronica
che, come il diabete, l’ipertensione arteriosa o le dislipidemie, stimola nel medico a stretto contatto con
i pazienti un fortesenso di frustrazione e inadeguatezza delle strategie e tecniche tradizionali.
Garner e Wooley (1991) affermano che vi sono due innegabili fatti relativi al trattamento dietetico
dell'obesità. Il primo è che virtualmente tutti i programmi sembrano in grado di documentare moderati
successi nel promuovere una perdita di peso a breve termine. Il secondo è che virtualmente non vi è
nessuna evidenza circa la possibilità che gli individui riescano a mantenere una significativa perdita di
peso nel tempo e, se da un lato sono evidenti i rischi fisici correlati all'obesità, è spesso difficile
distinguere, sul piano emozionale, tra i sintomi psicologici che motivano all'effettuazione della dieta e
quelli derivati dall'effettuazione stessa della dieta.
Un Io in sovrappeso è quello che aderisce ai valori di una società maniacale per l’aspetto, nella quale ci
si sente rifiutati e si possono provare sentimenti di odio per sé stessi e per gli altri considerati,
comunque e sempre, più adeguati.
L’obesità si offre allora come paradigma clinico della civiltà contemporanea laddove la caduta del
segno sembra corrispondere ad un incremento progressivo della spinta al consumo dell’oggetto
(Recalcati, 2002).
I disturbi del comportamento alimentare possono essere considerati come malattie culturali la cui
funzione è lanciare un messaggio ambiguo o doppio messaggio al mito dell’apparenza e della salute
corporea in quanto valori dominanti nella società attuale (Caillè, 1988).
Il bombardamento culturale svolge dunque un effetto patoplastico, e cioè indirizza l’espressione del
disagio (giovanile e non) localizzandolo nel corpo e, soprattutto nella sua apparenza.
Il senso di colpa marca fortemente e accomuna l’esperienza dei pazienti obesi che si sentono in colpa
perché cedono, perché mangiano, perché non riescono a controllarsi.
Spesso tali sofferenze insorgono come conseguenza della stigmatizzazione sociale che rende le persone
obese oggetto di pregiudizi negativi, derisione, svalutazione ed emarginazione (Gambino, Cuzzolaro,
1998). Il sé è profondamente eterodefinito: è lo sguardo dell’altro a confermare o disconfermare il
valore individuale (Guidano, 1988).
Inoltre, l’immersione in un ambiente critico rende più facile l’emersione di pensieri, emozioni e
comportamenti associati a situazioni problematiche e spesso ansiogene per il soggetto.
Da una parte, quindi, l’obesità emerge anche come malattia della cultura; dall’altra, la nostra società
fabbrica sempre più obesi, ma li tollera male (De Cristofaro, 2002).
Alcuni obesi soffrono di disturbi mentali e problemi psicologici (DA, percezione alterata dell’
immagine corporea, ecc.), ma possono esistere altri disagi psicologici a falliti tentativi di mantenimento
del peso come la frustrazione, pensieri di sconfitta ed insuccesso per non riuscire a rispondere alle
richieste sociali di magrezza (Simkin-Silverman et al., 1998).
L’obesità così appare non come semplice condizione di eccesso ponderale a cui si associano molteplici
fattori fisiologici e biologici di rischio della salute intesa come assenza di malattia, ma comporta anche
importanti risvolti negativi sul funzionamento e sul benessere psicologico-emotivo e psicosociale.
Esistono diverse variabili che incidono su questa condizione cronica. I principali fattori sono: biologici
(es. predisposizione genetica), culturali, economici (come ad esempio il reddito), psicologici e
comportamentali (stili attaccamento genitoriale, dimensione dello sviluppo emotivo, personalità e
temperamento, patologie psicologiche più o meno gravi e via dicendo) o quelli nutrizionali (come
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l’apporto calorico della dieta) e sociali concorrono con ruoli diversi nella genesi e nella perpetuazione
dell’obesità.
Essendo in gioco differenti aspetti, nella ricerca e nello studio che concerne l’obesità l’individuo
dovrebbe essere visto come un sistema integrato di funzionamento biologico, psicologico e sociale
(Sameroff, Emde, 1989).
In tale prospettiva il modo con cui guardare al problema dell’eccesso di peso corporeo comporta
l’adesione ad un approccio multidimensionale che analizzi tale tematica da molteplici angolature al fine
di coglierne tutte le possibili sfumature (Cuzzolaro, 2002).
Il rapporto dinamico-evolutivo tra massa magra e massa grassa appare finemente regolato da un sistema
integrato di relazioni psiconeuroendocrinoimmunitarie (PNEI), influenzate da familiarità,
sceltealimentari, dispendio energetico e relazioni psico-affettive (Di Tullio, 2003) cosicché
l’alimentazione dell’uomo può anche essere considerata il prodotto di un comportamento se lo si
intende come una relazione bio-psichica con l’ambiente esterno (Adi: i comportamenti alimentari degli
italiani).
In altri termini il sistema psico-biologico individuale, sistema familiare e sistema socio-ambientale
rappresentano i tre fattori fondamentali che interagendo simultaneamente e in modo costante,
testimoniano la complessità dei fenomeni osservati e la correlazione tra essi (Onnis, 1997).
Edgar Morin considera la psiche uno dei fattori che permettono l’emergenza dell'identità umana,
emergenza derivante da una pluralità e da un incastro di trinità: 1) la trinità individuo-società-specie; 2)
la trinità cervello-cultura-psiche; 3) la trinità ragione-affettività-pulsione.
Questa visione comporta la necessità di una connessione tra scienze biologiche e scienze umane, una
loro ricomposizione, un riconoscimento della complessità, un concepire una sorta di auto-eco-ri-
organizzazione (Morin, 2002).
In questa prospettiva i disturbi psichici sono dovuti a un disequilibrio all’interno di ogni singola trinità
o tra di loro, l’equilibrio può essere ristabilito attraverso l’azione su vari punti di ingresso.
Anche se oggigiorno continua a predominare in modo prepotente laconcezione dietologica, che indaga
l'identità della patologia (rispondendo alla domanda cos’è l’obesità ) non chiedendo la partecipazione di
quella psicologica (che esplora l'identità dell'individuo portatore della patologia domandandosi chi sia il
soggetto obeso) al fine di poter migliorarne principalmente la sua qualità di vita.
La gravità dell’obesità dovrebbe essere valutata soprattutto considerando l’aumento di anni di vita non
sana piuttosto che la riduzione degli anni di vita (Treasure, Schmidt, van Furth, 2006).
Anche se odiernamente sembra sia superato il tradizionale modello basato sulla malattia che ha
progressivamente ceduto terreno al più moderno modello centrato sul paziente e, nella pratica come
nella ricerca clinica, ai tradizionali obiettivi clinici è stato aggiunto il miglioramento della qualità di
vita dei pazienti (Guyatt , 1993).
Secondo le condizioni diagnostiche dell’asse I (disturbi clinici, caratterizzati dalla proprietà di essere
temporanei o comunque non strutturali), e disturbi in asse II, (disturbi di personalità e ritardo
mentale)del DSM IV rientrano i comportamenti dannosi per la salute e, l’obesità, può essere definita
una condizione somatica profondamente influenzata da comportamenti inadeguati (Cuzzolaro, 1993).
Per fare un chiaro esempio, sappiamo che la maggior parte dei nostri comportamenti nel corso del
tempo diventano abituali, compresi quelli inerenti il consumo degli alimenti. Ma quanti di questi sono
utili ai fini del dimagrimento?Il padre della psicologia americana, Williams James, affermò “La più
grande scoperta della mia generazione è che gli esseri umani possono cambiare le loro vite cambiando
le loro abitudini mentali”.
Molti individui abbandonano la dieta non perché hanno poca forza di volontà ma perché non hanno
trovato dei comportamenti utili (punctum saliens del processo del dimagrimento) che li indirizzino al
successo, o meglio, non sono stati rinforzati rispetto all’ottenimento di quella specifica condotta
comportamentale. In altri termini, pur possedendo un programma dimagrante stilato in base alla loro
individualità (biologica) potrebbero continuare a possedere delle abitudini comportamentali non
finalizzate all’obiettivo prefissato.
Un recente studio condotto in Svezia ha dimostrato l’efficacia della terapia cognitiva per dimagrire. I
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soggetti arruolati nel programma di terapia cognitiva hanno perso circa 9 chili in 10 settimane di
trattamento. Quando i partecipanti dello studio vennero valutati un anno e mezzo dopo il trattamento,
non solo quasi tutti (il 92%) avevano mantenuto la riduzione di peso, ma la maggior aveva anche perso
ulteriore peso (Beck, 2007).
Quanto appena detto pone una logica nella nostra cultura che propone diete, e in generale controllo
alimentare, come strumenti più efficaci per riuscire a ridurre l’insoddisfazione della propria immagine
corporea (McElhone et al., 1999;Riva, G., et al 2012).
In questa tesi, non mi concentrerò sull’obesità di origine genetica (sindrome di Alstrom, di Carpenter,
di Cohen, di Laurence-Moon, di Albright o diPrader- Willi) o quella derivante da disfunzione
ipotalamica (solitamente secondarie a lesioni di tipo neoplastico o infiammatorio che coinvolgono i
nuclei ipotalamici che controllano l’assunzione di cibo) o, ancora, relativa alle malattie endocrine
(sindrome di Cushing o ipotiroidismo) o metaboliche (NIDDM, ipertensione, dislipidemie, uricemia)
bensì verranno considerate in particolar modo quelle forme di obesità derivanti da abitudini
comportamentali apprese tramite condizionamenti familiari o sociali che possono portare ad utilizzare il
cibo in modo strumentale, compensatorio (obesità psicogena), come ad esempio in risposta a
determinate emozioni (emotional eating).
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1° CAPITOLO
LE VARIABILI DELL’OBESITÀ
Se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisico, né in difetto,
né in eccesso, avremmo trovato la strada per la salute.
Ippocrate(460-377 a.C)
Se ogni uomo avesse un complesso definito di regole di condotta secondo cui regolare la propria
esistenza, non sarebbe meglio di una macchina? Ma non esistono tali regole, e dunque gli uomini non
possono essere macchine.
A. Turing
L’obesità è considerata e descritta clinicamente come una condizione somatica, definita, su base
morfologica, come un eccesso di massa grassa (Cuzzolaro, 2002), non necessariamente associata a
specifici disturbi di personalità o di comportamento (Pruneti, 2006).
L’obesità è stata definita dall’OMS malattia multifattoriale e riconosciuta nel 1997 come epidemia
globale (globesity).
Da un punto di vista metabolico è conseguenza della predominanza dei processi anabolici su quelli
catabolici, a carico principalmente dei grassi.
Ogni aumento di energia indotto da un’assunzione di cibo, non compensata da un identico aumento
della spesa energetica, causa un aumento delle riserve metaboliche e quindi del peso corporeo,
soprattutto per aumento della massa grassa, che rappresenta la sede principale di deposito
dell’organismo (Webb, 1994)
Vengono, infatti, distinte due fasi dell’obesità, quella attiva, o dinamica, durante la quale il peso
aumenta progressivamente, e quella stazionaria, o stabile, una volta raggiunto un certo grado di
corpulenza.
Jenkins (1989) distingue tra obesi nibbling, che mangiano frequentemente piccole quantità di cibo, e
obesi gorging, che assumono grandi quantità di cibo in modo frequente.
Apfeldorfer (1999) distingue tra gli obesi in iperfagici prandiali golosi e divoratori. I primi sono esteti
delle papille gustative ultrasensibili, mentre i secondi mangiano più in base alla quantità che alla
qualità.
Solo negli ultimi decenni l’attenzione sembra dirottarsi anche negli aspetti psichici e relazionali
coinvolti nell’insorgenza, nello sviluppo e mantenimento dell’obesità (Molinari, Riva, 2004).
Tranne una ridotta percentuale di casi, nella maggioranza è la risultante di molteplici fattori esogeni:
socio-ambientali, familiari, psicogeni, fattori eziologici misti (Maffeis, 2000).
La dietologia ha lo scopo di assicurare il miglior stato di salute attraverso strategie dimagranti mirando
in primis al corretto introito calorico per ogni individuo, eliminando o riducendo, non solo le calorie
totali apportate dall’alimentazione corrente, ma tutti quei prodotti obesogeni che sono in grado di
peggiorare lo stato di salute del paziente.
Ancel Keys (Keys et al., 1950) valutò gli effetti della restrizione alimentare su un campione di 36
volontari sani che assunsero per 6 mesi una dieta ipocalorica contenente la metà delle calorie
abitualmente ingerite. Dopo 6 mesi la perdita di peso media nelle persone che partecipavano allo studio
fu del 25% come era prevedibile. Ma i risultati più interessanti non furono legati alla perdita di peso ma
ai sorprendenti comportamenti e ai sintomi che si manifestarono in tutti i volontari, tra cui
modificazioni emotive e sociali, quali ansia, depressione, irritabilità, labilità emotiva, episodi psicotici,
cambiamenti di personalità, isolamento sociale, evitamento, disturbi del sonno, diminuzione della
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