3
INTRODUZIONE
1.1 STRUTTURA E FUNZIONE DELL’OMOCISTEINA
L’omocisteina, la cui struttura è mostrata in Fig. 1, è un aminoacido non
proteico, solforato, presente nel sangue in seguito alla perdita di un
gruppo metilico da parte della metionina, un aminoacido essenziale,
introdotto con la dieta e contenuto in alimenti come carne, uova, latte e
legumi. Pertanto, non esiste alcuna tripletta di DNA che codifichi per
l’omocisteina.
Fig.1 - Struttura dell’omocisteina -
In un organismo sano l’omocisteina prodotta viene nuovamente
trasformata in metionina mediante una reazione di metilazione.
Se questo processo di riconversione non avviene, o avviene solo
parzialmente, l’omocisteina non trasformata si accumula sempre di più e,
superando i valori fisiologici di concentrazione ematica, produce notevoli
danni in vari organi. Attualmente, infatti, l’omocisteina è sotto i riflettori
della ricerca medica perché ad un suo eccesso nell’organismo sembrano
4
correlabili molte patologie: un crescente numero di rilievi sperimentali e
clinici suggerisce infatti che tale aminoacido potrebbe essere coinvolto nei
meccanismi fisiopatologici alla base di importanti patologie dell’apparato
cardiovascolare.
La scoperta dell’omocisteina risale per la prima volta al 1952 ad opera di
Du Vignead.
Nei primi anni ’60 Carson descrisse due casi di omocistinuria, una
patologia genetica, in una popolazione di bambini con ritardo mentale
(Carson N.A. and Neill D.W.; 1962).
Nel 1964 Mudd scoprì, per primo, il deficit enzimatico (presente in
omozigosi) di cistationina β-sintasi come causa più frequente di
omocistinuria (Mudd S.H., et al; 1964). Tale enzima risulta essere
importante per la trasformazione dell’omocisteina tossica in una sostanza
innocua per l’organismo.
La scoperta di un nesso tra elevati livelli di omocisteina e malattie
cardiovascolari risale al 1969, grazie alle ricerche sull’omocisteinuria del
pediatra Kilmer Mc Cully. Egli fu colpito dal decesso di due bambini per
accidente cerebro-vascolare: entrambi presentavano alterazioni vascolari
gravi e tipiche della maggiore età, come lesioni aterosclerotiche diffuse, ed
erano affetti da omocistinuria. Fu allora che sviluppò l’ipotesi di una
correlazione tra iperomocisteinemia e malattie cardio- e cerebrovascolari
(Mc Cully K.S.; 1983).
Queste ipotesi, dapprima ritenute poco attendibili, furono definitivamente
accettatte solo nel 1991 con la pubblicazione di un articolo, in cui si
affermava che ‚ l’iperomocisteinemia era un fattore di rischio indipendente per
lo sviluppo di patologie cardiovascolari‛ (Clark R., et al; 1991).
Negli anni, poi, numerose evidenze hanno dimostrato che
l’iperomocisteinemia può manifestarsi sia attraverso una omocistinuria,
come nei casi di difetto genetico nello stato omozigote, sia attraverso una
5
moderata omocisteinemia dovuta a fattori ambientali, comprendenti
deficit nutrizionali di vitamina B6, B12 e di acido folico.
Grazie a studi più recenti, risalenti agli anni 2000, l’attenzione si è spostata
anche sul ruolo che l’iperomocisteinemia svolgerebbe come fattore di
rischio di demenza vascolare. Evidenze sperimentali hanno infatti
suggerito che livelli plasmatici elevati di omocisteina sono relativamente
frequenti negli anziani, soprattutto in quelli sottoposti a
polifarmacoterapia ed affetti da condizioni patologiche, o da situazioni
socio-ambientali, responsabili di una cattiva alimentazione, e che
potrebbero quindi rappresentare un fattore di rischio di deficit cognitivo,
di demenza di Alzheimer e di declino funzionale (Seshadri S., et al; 2002).
Infine, in uno studio del 2004, è stata anche valutata l’associazione fra i
livelli plasmatici di omocisteina ed il rischio di frattura osteoporotica. Lo
studio ha concluso che: ‚elevati livelli di omocisteina plasmatica, costituiscono
un forte ed indipendente fattore di rischio per fratture osteoporotiche, sia negli
uomini che nelle donne di età avanzata, e risultano essere indipendenti da altri
potenziali fattori di rischio frattura‛ ( Van Meurs J.B., et al.; 2004).
6
1.2 METABOLISMO DELL’OMOCISTEINA
L’omocisteina viene prodotta nel corso di reazioni di cessione del metile
da parte della metionina attivata dall’ATP in S-adenosil-metionina. In
questa reazione di attivazione l’ATP viene idrolizzato liberando tutti e tre
i gruppi fosfato ad esso legati, e cedendo il gruppo adenosina all’atomo di
zolfo della metionina, che diviene così ione solfonio. L’S-adenosil-
metionina (SAM) risultante è un donatore universale di metili che, in virtù
della sua carica positiva, è molto reattivo in reazioni di transmetilazione
con composti accettori quali creatina, ormoni steroidei, neurotrasmettitori
e basi puriniche. Il composto demetilato così ottenuto, l’S-adenosil-
omocisteina (SAO), è quindi idrolizzato ad omocisteina e adenosina (Fig.
2).
Fig. 2 - Vie metaboliche dell’omocisteina -
7
A livello epatico l’omocisteina può seguire due vie metaboliche diverse, in
funzione dei livelli intracellulari di S-adenosil-metionina (e quindi di
metionina). Esse sono:
1) LA VIA DELLA RIMETILAZIONE, che prevede la rimetilazione
dell’omocisteina per riformare metionina. È evidente che tale
processo viene attivato da basse concentrazioni intracellulari di
metionina, ed è primariamente responsabile dei livelli basali di
omocisteina. In questa via, l’N
5
-N
10
-metilentetraidrofolato viene
ridotto a N
5
-metiltetraidrofolato dall’enzima
metilentetraidrofolato-reduttasi (MTHFR). L’N
5
-
metiltetraidrofolato cede il gruppo metilico all’omocisteina che
si riconverte a metionina, trasformandosi a sua volta in
tetraidrofolato. Tale reazione è catalizzata dalla metionina
sintasi (MS) che richiede la presenza di un cofattore, la
metilcobalamina, derivato coenzimatico della vitamina B12.
Esiste anche un secondo processo, seppur meno rilevante, che
avviene sempre a livello epatico, e che prevede la rimetilazione
dell’omocisteina a metionina da parte della betaina in una
reazione catalizzata dall’enzima betainaomocisteina
metiltransferasi (BHMT);
2) LA VIA DELLA TRANSULFURAZIONE, viene attivata invece
da un eccesso intracellulare di metionina, e quindi di
omocisteina, come accade per esempio nel periodo post-
prandiale (fig. 3). Essa è dunque volta primariamente a
catabolizzare il surplus di omocisteina non necessaria per
risintetizzare metionina. Tale via inizia con una reazione
irreversibile di condensazione tra l’omocisteina e la serina con
8
formazione di cistationina, catalizzata dall’enzima cistationina
β-sintasi (CBS), che necessita del cofattore piridossal-fosfato
(PLP o vitamina B6) per la catalisi. La cistationina, in un
passaggio successivo, viene poi idrolizzata dalla γ-cistationina
liasi, un altro enzima vitamina B6 dipendente, ad α-
chetobutirrato e cisteina. Questa può condensarsi con
glutammato e glicina per formare glutatione, o essere
metabolizzata a sulfato e, come tale, essere escreta nelle urine.
Fig. 3 - Concentrazioni di metionina prima e dopo i pasti -
L’omocisteina presente nella cellula dipende, pertanto, dall’attivazione di
queste due vie metaboliche che ne regolano la concentrazione,
mantenendola entro limiti ben precisi. In entrambe le vie è evidente
l’importante ruolo svolto dalle vitamine B6 e B12 e dall’acido folico
nell’ambito del metabolismo dell’omocisteina; infatti, una volta
9
soddisfatto il fabbisogno giornaliero di metionina del nostro organismo
(0,9 g), la quota in eccesso viene convertita in omocisteina solo grazie
all’attività di questi coenzimi (Steven C. Martin, et al.; 2000).
Qualora si abbiano scompensi metabolici dovuti per esempio a carenza di
folati o vitamine, utilizzati in altri metabolismi come coenzimi o
cosubstrati, si può verificare un eccesso intracellulare di omocisteina con
conseguente incremento plasmatico della stessa, dovuto ad una
aumentata esportazione nello spazio extracellulare per evitare i potenziali
effetti citotossici di questo aminoacido solforato. Tale meccanismo,
tuttavia, lascia i tessuti vascolari esposti ai possibili effetti deleteri
dell’eccesso di omocisteina nel sangue data la presenza, in essa, del
gruppo sulfidrilico libero, altamente reattivo. Di fatti questo viene
coinvolto in reazioni redox, determinando l’aumento dello stress
ossidativo a livello circolatorio.
10
1.3 CONCENTRAZIONE, MISURAZIONE E DOSAGGIO
DELL’OMOCISTEINA
Si intende per omocisteinemia il valore totale nel plasma delle varie forme
circolanti di omocisteina ( omocisteina plasmatica totale: tHcy). Questa
può essere infatti presente in quattro forme diverse: circa l’1% circola
come tiolo libero; il 70-80% è legato a proteine seriche, in special modo
l’albumina; il rimanente 20-30% circola come dimero di omocisteina o
come disolfuro misto, combinandosi rispettivamente con un’altra
molecola di omocisteina o con un altro composto tiolico, per esempio la
cisteina, tramite un ponte disolfuro ( Ueland P.M.; 1995). L’omocisteina
ridotta, libera, si trova quindi nel plasma soltanto in concentrazioni molto
basse, proprio a causa dell’elevata reattività del suo gruppo sulfidrilico.
Negli ultimi vent’anni lo studio dell’omocisteina su campioni di
popolazione sempre più vasti ha fatto emergere la necessità di introdurne
il dosaggio tra i test di screening per pazienti a rischio di malattie
tromboembolitiche e malattie cardiovascolari (CVD).
La determinazione dell’omocisteina non è più quindi una metodica
sperimentale effettuata su selezionati campioni di popolazione, ma è
sempre più utilizzata per la valutazione del rischio complessivo di
malattie cardiovascolari (Den Heijer M., et al.; 1998; Doshi S.N., et al.;
2002; Eikelboom J.W., et al.; 1999; Erickson J.D.; 2002).
Rientrano nelle categorie a rischio di iperomocisteinemia anche donne in
gravidanza, individui osteoporotici, donne in post-menopausa, soggetti
sottoposti a terapia con anticoncezionali orali e coloro i quali non seguono
una dieta equilibrata.
I valori di omocisteina nel plasma possono essere determinati sia in
condizioni basali, mediante un test ematico effettuato dopo un digiuno di
12 ore, necessario perché i fattori dietetici in tale periodo non influenzino i
11
risultati del test, sia occasionalmente, mediante test da carico di
metionina, atta a valutare i livelli plasmatici di omocisteina prima e dopo
l’assunzione di 10 mg/kg di metionina disciolta in 200 mL di succo di
arancio. La concentrazione di omocisteina, quindi, viene effettuata dopo 2,
4, 6 e 8 ore dal carico di metionina e dall’esecuzione del prelievo basale.
Tale test viene comunemente impiegato per diagnosticare un alterato
metabolismo dell’omocisteina nelle persone ad alto rischio di malattie
cardiovascolari. Il rilievo di elevati livelli di omocisteinemia dopo carico
con metionina, infatti, consente di evidenziare una percentuale di soggetti
portatori di un difetto del metabolismo di tale aminoacido, variabile tra il
20 e il 30 %, altrimenti non evidenziabile dal solo dosaggio basale.
Per la determinazione quantitativa viene tradizionalmente utilizzato
plasma che consente un immediato processamento del campione. In alcuni
laboratori è stato messo a punto il dosaggio su siero, il quale tuttavia, anche
se preparato nel modo più adeguato, può dare valori leggermente più alti
di tHcy. Una volta ottenuto il campione, questo può essere conservato sia a
temperatura ambiente fino a 4 giorni, sia in frigorifero fino ad 8 settimane,
sia in congelatore a -20° C per anni, senza nessuna variazione di
concentrazione dell’Hcy. Le metodologie di laboratorio impiegabili per la
determinazione dell’aminoacido si possono classificare in due gruppi:
1) metodi cromatografici, che includono: HPLC con rivelatore a
ultravioletto, a fluorescenza o elettrochimico; cromatografia
liquida con spettrometria di massa in tandem (MS-MS);
2) dosaggi immunometrici: a fluorescenza con luce polarizzata
(FPIA) eseguibili su analizzatore semiautomatico IMx (Abbott) e
su analizzatore automatizzato AxSYM (Abbott); metodo
nefelometrico (Dade Behring) (Pernet P., et al.; 2000;
Zappacosta B., et al.; 2007). Sono metodi largamente utilizzati in