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INTRODUZIONE
Nell’odierno sistema economico, in cui “anche la produzione materiale
tradizionale, per essere efficiente, deve servirsi di una serie di lavori immateriali”
(Perrotta, 2020, p. 70), facendo leva sull’acquisizione di competenze, abilità e
conoscenze, il presente elaborato si interroga sui benefici sociali che potrebbero
scaturire da investimenti pubblici e privati in istruzione. Lo studio, corredato da un
esame della relativa letteratura economica ed alcuni dati empirici, si pone, pertanto,
l’obiettivo di valutare il generico ruolo del policy-maker in ambito educativo, per
poi considerare il contesto italiano nello specifico.
Il primo capitolo considera l’impatto del sistema di istruzione sulle variabili
macroeconomiche e, a tal fine, si serve del contributo dei teorici della crescita
esogena (Solow, 1965; Mankiw et al., 1992) ed endogena (Barro, 1990; Romer,
1990; Rebelo, 1991; Lucas, 1998). Il tema, infatti, fornisce una spiegazione
economica agli scostamenti di produttività nel lungo periodo tra i diversi Paesi,
individuando una relazione di, quantomeno, correlazione tra investimenti aggregati
e performance nazionale. La letteratura è, dunque, strumentale alla
caratterizzazione ed alla misurazione dell’incentivo di crescita economica fornito
da una variazione di spesa pubblica in istruzione. In particolare, sia teoricamente
che empiricamente, esso risulta tanto più ampio quanto più produttivo si dimostra
il set di investimenti selezionato (Barro, 1990): sembra, quindi, determinante
l’azione dell’operatore pubblico, il quale, per la scarsità delle risorse disponibili, è
tenuto ad utilizzarle in modo efficiente.
Il secondo capitolo, che ha ad oggetto gli aspetti microeconomici, segue lo stesso
modus operandi del precedente. Si fa riferimento ai teorici del capitale umano
(Mincer, 1958; Schultz, 1961; Becker, 1962) per spiegare l’incidenza del grado di
istruzione nella funzione-obiettivo dell’individuo, per il quale rileva la quantità del
bene “istruzione” da acquisire nel tempo, al fine di massimizzare la propria utilità
presente e futura. Detta scelta, essendo vincolata a fattori di contesto (costi da
sostenere, background familiare, sistema educativo preesistente), non dipende
unicamente dalle predisposizioni personali, motivo per cui deve essere abbinata a
decisioni governative (Schultz, 1971; Spence, 1973; Becker, 1992; altri). Pertanto,
vengono forniti moventi per l’intervento correttivo dello Stato nell’intero sistema
di istruzione, dagli asili nido all’Università, la cui assenza potrebbe ostacolare il
raggiungimento del livello ottimo di capitale umano e, quindi, di allocazioni
efficienti ed eque, in ossequio ai dettami dei due teoremi fondamentali
dell’Economia del Benessere. Come per il Capitolo I, la sezione è arricchita da
evidenze quantitative, perlopiù basate su indici OCSE del 2021, utili per
confrontare l’operato dei singoli governi e gli obiettivi da loro raggiunti.
D’altronde, l’Economia è una scienza sociale ed i concetti teorici assumono
veridicità e fiducia qualora dei risultati siano riscontrabili nella realtà; basare le
future politiche pubbliche sulle best practices ne favorisce il loro successo.
I primi due capitoli terminano descrivendo il vulnerabile quadro italiano in
raffronto ai benchmark europei (OECD, 2021a; Ragioneria Generale dello Stato,
2022; altri); tali informazioni macro e microeconomiche sono funzionali
all’introduzione del tema principe del terzo capitolo, vale a dire l’esigenza di
rafforzare e riformare il sistema italiano di istruzione, obiettivo che in parte si pone
il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (2021).
In particolare, la Missione 4 del programma (“Istruzione e Ricerca”) ha come
presupposto quello di creare “un’economia ad alta intensità di conoscenza, di
competitività e di resilienza” (ivi, p. 175), scegliendo come punto di partenza il
sistema educativo: è qui che si denota la correlazione tra le teorie economiche
descritte e gli obiettivi di politica economica. L’elaborato analizza, nello specifico,
gli argomenti chiave oggetto di politica pubblica: qualità ed equità dei servizi
educativi; adeguate strutture per asili nido e scuole materne; education technology.
In riferimento all’ultimo punto, parte degli investimenti sono previsti, in ottica
trasversale, dalla Missione 1 (“Digitalizzazione, Innovazione, Competitività,
Cultura e Turismo”), che accompagna le riforme della quarta.
La finalità ultima consiste nella valutazione dell’insieme di strumenti e misure
di cui intende usufruire il PNRR sulla base degli obiettivi previsti e di quelli che si
dovrebbero raggiungere secondo la dottrina economica.
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CAPITOLO I
L ’impatto dell’istruzione nella crescita: un approccio
macroeconomico
1.1 La teoria della crescita esogena
Il sistema dell’istruzione assolve principalmente la funzione di arricchire gli
individui di conoscenze ed abilità, input strategici che verranno impiegati e
combinati ad altri fattori produttivi ex post, nel mercato del lavoro. La crescita della
produttività per lavoratore è principalmente una conseguenza dell’acquisizione di
capacità addizionali (Schultz, 1971, p. 1). L’accumulazione di capitale umano
favorisce, a sua volta, il progresso tecnico, che, come ha affermato Sylos Labini,
“nel lungo periodo (…) non è semplicemente il principale fattore dello sviluppo
economico: ne rappresenta la condizione necessaria” (Sylos Labini, 1984, p. 69).
Non a caso, le nazioni più povere sono affamate di capitale ed il capitale umano
addizionale è realmente la chiave per favorire la loro crescita economica (Schultz,
1961, p. 7). Le teorie della crescita esogena ed endogena esposte nei paragrafi
successivi, infatti, nell’analizzare i fenomeni di crescita nel lungo termine,
dimostrano che, a parità di input impiegati, il progresso tecnologico è in grado di
accrescere la produzione aggregata. Numerosi economisti concordano su questo
aspetto, come Robert Solow, che nel 1992 ha affermato che l’unica strada da
perseguire, al fine accelerare la crescita economica, è attraverso gli investimenti nel
senso più ampio – in istruzione, formazione, ricerca – e attraverso la creazione di
nuova tecnologia (Solow, 1992, p. 12).
I modelli che appartengono al filone della crescita esogena considerano il
progresso tecnologico come bene pubblico puro
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, indipendente da altri fattori
economici ed esterno al modello; ne segue che le determinanti della variabile
“progresso” non vengono esplicitate in tali analisi. Gran parte della letteratura si
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I beni pubblici puri sono non rivali e non escludibili. La prima caratteristica implica che chiunque
può usufruire di un’unità addizionale di tali beni senza sostenere un costo aggiuntivo nello stesso
momento, mentre la seconda comporta che nessuno può essere escluso dal godimento di essi
(Cornes, Standler, 1986).
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basa sul modello di Solow (1956), del quale lo stesso autore ha formulato diverse
estensioni. Una tra queste è il modello di Solow con progresso tecnologico, nel
quale si assume la produzione aggregata (Y) in funzione di due fattori produttivi,
che esibiscono rendimenti di scala decrescenti:
• Lo stock di capitale fisico (Kt), fattore endogeno del modello, che è determinato
dal patrimonio accumulato nei periodi precedenti (Kt-1), deprezzato in base ad
un dato tasso di obsolescenza (δ), e dall’investimento in nuovo capitale
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.
• Il lavoro effettivo (AN), fattore esogeno, che rappresenta il numero di lavoratori
(N) ponderato per lo stato della tecnologia (A), il quale, assunto come “Neutral
Technological Change”
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, entra nella funzione di produzione come
moltiplicatore del lavoro.
Dati tali presupposti, l’analisi condotta da Solow è in grado di dimostrare che, nel
lungo termine, c.d. “steady state”, si verifica il fenomeno di crescita bilanciata: il
tasso di crescita della produzione in termini di lavoro effettivo (g Y/AN) è nullo,
mentre la produzione aggregata cresce ad un tasso g Y pari alla somma del tasso di
crescita del progresso tecnologico (g A) e del tasso di crescita del lavoro (g N). Ciò
che, invece, determina maggiori livelli di reddito per unità di lavoro efficiente è il
livello degli investimenti anteposti allo stato stazionario: un maggiore tasso di
risparmio sulla produzione, che verrà successivamente investito, comporta un
maggior prodotto nel lungo termine. La stessa valutazione viene fatta per il capitale
fisico: se si considera il capitale in unità di lavoro effettivo (K/AN), esso non
subisce variazioni in stato stazionario, ma il suo livello aumenta all’aumentare del
tasso di risparmio prima della convergenza; se, invece, si considera il tasso di
crescita del capitale in termini aggregati, g K = g A + g N, da cui deriva che g K = g Y. Di
conseguenza, dato g A, si registrano uguali variazioni per il prodotto pro capite e per
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Tale investimento è dato, in ottica keynesiana, da una frazione della produzione (Y), il cui valore
dipende dalla propensione al risparmio pubblico e privato (s); segue che I t=sY.
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Solow fa riferimento al cambiamento tecnologico neutrale à la Harrod, in quanto esso genera
incrementi di produttività dei fattori (Solow R. M., 1956, pp. 85-86), distinguendosi dal progresso
tecnologico neutrale à la Hicks. In particolare, nel modello di Solow il progresso è labour
augmenting, poiché il prodotto ottenibile dall’impiego di forza lavoro aumenta a seguito di un
miglioramento tecnologico.