Bergson, in Materia e memoria, oltre al corpo, descrive anche la
percezione, l�affezione, la pura percezione, la memoria-abitudine e la
memoria-spontanea. Vedremo che tutti questi fenomeni sono collegati al
comico. Nel primo capitolo, inoltre, prender� in esame i seguenti testi di
Bergson: Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), Il riso, Il
possibile e il reale (1920) e Introduzione alla metafisica (1903). Tenter�,
poi, di confrontare le tematiche di Bergson con quelle del bergsonismo.
In particolare far� riferimento a Deleuze, Hyppolite, Jank�l�vitch,
Mathieu, Migliaccio, Paduano, Pessina, Rovatti, Simmel, Sossi e
Veronesi.
Nella seconda parte della tesi, invece, descriver� Il riso. Questo
capitolo risponde alla domanda: che cos�� il riso per Bergson?
Bergson, in questo saggio, compie delle osservazioni intorno al
comico delle forme, dei gesti, dei movimenti e delle situazioni. Per
Bergson, inoltre, esistono tre procedimenti principali che riguardano il
comico: la ripetizione, l�inversione e l�interferenza di serie. Questi
meccanismi sono facilmente riscontrabili nelle commedie di Moli�re e di
Labiche. La commedia � dunque la situazione per eccellenza in cui �
possibile notare la presenza del comico, perch� esso si manifesta tramite
gli attori. Nel primo e nel secondo capitolo, per sottolineare tale aspetto,
ho nominato spesso: La scuola delle mogli (1662), L’amore medico
(1665), Il medico per forza (1666), Tartufo (1667), L’avaro (1668), Il
signor di Pourceaugnac (1669) e L’ammalato immaginario (1673).
Bergson, in pi�, ne Il riso, si occupa di altri aspetti legati al comico,
come per esempio, l�immaginazione, la suggestione e il sogno.
Il terzo capitolo della tesi risponde alla seguente domanda: che cos��
il riso? Questa sezione della tesi si pone come obiettivo di compiere una
rassegna storiografica delle varie teorie sul riso presenti nella letteratura
biblica, filosofica, estetica, psicologica e medica. Mi occuper� di
Aristotele, Platone, Kant, Schopenhauer, Hobbes, Freud. Di particolare
interesse psicologico risultano le osservazioni di Kris in Il riso come
processo espressivo (1939), di Fry in Una dolce follia (1963) e di Farn�
in Guarir dal ridere (1995).
3. Conclusioni
Per scrivere questa tesi ho impiegato dodici mesi e ho consultato
attentamente almeno centocinquanta testi. In tutta la mia trattazione
traspare di continuo questo assunto: la filosofia � una disciplina che �
strettamente legata alla psicologia, poich� entrambe studiano il
complesso dei caratteri distintivi del modo di pensare e di sentire di un
singolo individuo o di una collettivit�. Inoltre, gli stessi problemi che
spesso ha tentato di affrontare la filosofia, oggi cercano di essere spiegati
dalla psicologia. Questo fatto, per esempio, si � verificato con il comico.
Con ci� non intendo affermare che la psicologia � una disciplina che ha
un grosso debito nei confronti della filosofia. Per� ritengo utile che lo
psicologo, per quanto riguarda la sua professione, possa imparare molto
dai filosofi.
Capitolo primo
Il corpo, l�automatismo, il comico
1. Il corpo
Un corpo caratterizzato dall�automatismo e dalla rigidità, �qualcosa
di meccanico applicato al vivente”
1
, � l�immagine che svela la presenza
del comico, dato che, secondo Bergson: �le attitudini, i gesti e i
movimenti del corpo umano sono risibili nelle stesse proporzioni in cui il
corpo ci fa pensare ad un semplice meccanismo�
2
. Non � quindi
possibile esprimersi intorno al concetto di comico in Bergson a
prescindere dal tema della corporeit�.
Occorre, in proposito, prendere in esame il primo capitolo di Materia
e memoria (1896), dove Bergson descrive con precisione il corpo. In
generale, si pu� riassumere la tesi di Bergson alla maniera seguente: la
materia � l�insieme delle immagini, �percepite quando apro i miei sensi,
non percepite quando li chiudo�
3
.
Bergson sostiene che l�immagine �
provvista di un�esistenza, che tuttavia non pu� corrispondere, n� a ci�
che un idealista
4
chiama una rappresentazione, n� a ci� che un realista
5
chiama una cosa. La concezione della materia di Bergson corrisponde a
quella del senso comune
6
, e differisce sia dalle teorie dell�idealismo, sia
1
H. BERGSON, Il riso. Saggio sul significato del comico (1900), trad. it. a cura di A.
CERVESATO e C. GALLO, Roma-Bari, Laterza 1999, p. 25.
2
Ibidem, p. 20.
3
H. BERGSON, Materia e memoria. Saggio sulla relazione tra il corpo e lo spirito
(1896), trad. it. a cura di A. PESSINA, Roma-Bari, Laterza 1996, cit., p. 13.
4
Mathieu affermer� che l�idealista: �supponendo che le immagini non possono
sussistere senza aderire a una coscienza, non � pi� in grado di spiegare come l�ordine
del mondo sia, di fatto, indipendente dal nostro conoscere.� [V. MATHIEU, Il
profondo e la sua espressione, Napoli, Guida 1971, p. 81].
5
Mathieu osserver� che il realista: �� nel vero quando ammette un mondo
indipendente dal nostro conoscere, si avvolge in difficolt� inestricabili quando vuole
spiegare come questo mondo possa venir conosciuto: ma se egli ammettesse che la
cosa in s� stessa coincide con l�immagine cosciente, ci� non accadrebbe.� [Ibidem].
6
Voltaire affermava che il senso comune: �significa solo il buon senso, la ragione
grezza, la ragione nel suo momento iniziale, la prima nozione delle cose ordinarie�
da quelle del realismo. Bergson, in Materia e memoria, si pone perci�
dal punto di vista di uno spirito che ignori le discussioni tra filosofi. Per
il senso comune, in effetti, l�oggetto esiste in se stesso: � un�immagine
che si trova fuori rispetto al corpo, ma si tratta anche di un�immagine che
esiste in s�.
Bergson nota tuttavia che tra le immagini ne esiste una, che �
privilegiata rispetto alle altre: �non la conosco soltanto dall�esterno,
attraverso delle percezioni, ma anche dall�interno, attraverso delle
affezioni: � il mio corpo�
7
. Le affezioni si producono, quando il mio
corpo riceve dall�esterno delle vibrazioni, che determinano in esso delle
reazioni nascenti, dei movimenti accennati. Le affezioni contengono,
nello stesso tempo, sia un invito a agire, sia una disposizione volta a
attendere o anche una predisposizione a non far niente
8
. L�affezione
partecipa, sotto forma di sentimento o di sensazione, a tutti i processi nei
quali credo di prendere l�iniziativa, ma svanisce appena la mia attivit�,
diventando automatica, manifesta di non averne pi� bisogno
9
.
[VOLTAIRE, Dizionario filosofico (1764), trad. it. a cura di L. LO RE e L. SOSIO,
Milano, Rizzoli 1979, pp. 156-157].
7
H. BERGSON, Materia e memoria, cit., p. 13.
8
Bergson, riguardo alla predisposizione individuale a non far niente, osserver� che:
��nulla� � un termine del linguaggio odierno che pu� acquistare un senso solo
rimanendo sul terreno, proprio dell�uomo, dell�azione e della costruzione. �Nulla�
designa l�assenza di ci� che cerchiamo, desideriamo e attendiamo. Infatti,
supponendo che l�esperienza non ci presenta mai un vuoto assoluto, esso sar�
limitato, avr� dei contorni, e dunque sar� qualcosa. Ma in realt� non c�� vuoto. Non
percepiamo e non concepiamo che il pieno. Una cosa scompare solo perch� un�altra
l�ha sostituita. Soppressione significa allora sostituzione. Diciamo per� che vi �
�soppressione� solo quando delle due met�, o meglio dei due aspetti della
sostituzione consideriamo solo quello che ci interessa: dimostriamo cos� che
vogliamo rivolgere la nostra attenzione solo sull�oggetto che � scomparso, e
distoglierla da quello che l�ha sostituito. Affermiamo allora che non c�� pi� nulla,
intendendo con questo che ci� che c�� non ci interessa, che siamo interessati a ci�
che non � pi� qui o a ci� che avrebbe potuto esserci. L�idea dell�assenza, del niente o
del nulla, � dunque legata inseparabilmente a quella di soppressione, reale o
eventuale, la quale a sua volta non � che un aspetto dell�idea di sostituzione� [H.
BERGSON, Il possibile e il reale (1920), trad. it. a cura di F. SOSSI, in �Aut Aut�, n.
204, 1984, p. 7].
9
Bergson, ne Il riso, noter� invece che quando: �si lascia da parte nel carattere
umano ci� che interessa la nostra sensibilit� e che pu� commuoverci, tutto il
rimanente potr� diventare comico� [H. BERGSON, Il riso, cit., p. 96].
Bergson, precisa che: �tutto accade come se, in questo insieme di
immagini che chiamo universo, niente potesse prodursi di realmente
nuovo se non tramite certe immagini particolari, il cui tipo mi è fornito
dal mio corpo�
10
. Bergson osserva che, nei corpi, sono presenti dei nervi
afferenti, che trasmettono delle vibrazioni ai centri nervosi. I corpi,
inoltre, possiedono anche dei nervi efferenti che, partendo dal centro,
conducono delle vibrazioni alla periferia e stimolano le parti del corpo o
il corpo tutto intero. Bergson interroga il fisiologo e persino lo psicologo
sulle funzioni dei nervi. Il fisiologo e lo psicologo spiegano che se i
movimenti centrifughi del sistema nervoso possono produrre lo
spostamento del corpo, o di parti di questo, i movimenti centripeti, o
alcuni tra questi, sono in grado di far nascere una rappresentazione del
mondo esterno.
Ma Bergson asserisce, soprattutto, che la vibrazione cerebrale non
potrebbe generare le immagini esterne, perch� bisognerebbe che le
contenesse, racchiudendo al proprio interno la rappresentazione
dell�universo materiale. Ma questa proposizione � priva di senso. I nervi
afferenti, infatti, sono immagini, il cervello � un�immagine, le vibrazioni
diffuse tramite i nervi sensitivi e estese nel cervello sono ancora delle
immagini: �� il cervello che fa parte del mondo materiale, e non il
mondo materiale che fa parte del cervello�
11
. Se si annullasse
l�immagine denominata mondo materiale, si eliminerebbe anche il
cervello e la vibrazione cerebrale che ne sono delle parti. Se, al contrario,
si liquefacessero il cervello e la vibrazione cerebrale, si cancellerebbe
soltanto un dettaglio insignificante in un quadro immenso. Non si pu�
fare del cervello la condizione totale dell�immagine, poich� il cervello �
una parte di quest�immagine. N� i nervi, n� i centri nervosi hanno
dunque la capacit� di influenzare l�immagine dell�universo.
Ecco dunque i dati che bisogna esaminare: prima le immagini
esterne, poi il mio corpo, infine le variazioni apportate dal mio corpo alle
immagini circostanti. Si vede distintamente come le immagini esterne
esercitano un influsso sull�immagine che Bergson chiama il mio corpo:
10
H. BERGSON, Materia e memoria, cit., p. 14.
11
Ibidem, pp. 14-15.
gli trasmettono del movimento. Si intuisce anche come questo corpo
influisca sulle immagini esterne; riconsegna loro del movimento
12
. Il mio
corpo �, dunque, un centro d�azione che agisce come le altre immagini,
riceve e restituisce movimento, con la differenza che il mio corpo
sceglie, in una certa misura, il modo in cui rendere ci� che riceve.
Bergson, ne Il riso, noter� invece che un corpo che non riesce a
operare una selezione volontaria dei movimenti � un corpo comico
13
.
Pensate infatti a un uomo che scivola su una buccia di banana
14
.
L�individuo per non scivolare, avrebbe potuto rallentare il passo o
evitare l�ostacolo. Ma, in questa circostanza, i muscoli del corpo
dell�uomo hanno continuato a compiere il movimento di prima, quando
invece le circostanze ne richiedevano un altro. In questo caso, quindi
�ci� che v�� di ridicolo [...] � una certa rigidità di meccanismo, l� dove si
vorrebbe trovare l�attenta agilit� e l�arrendevole pieghevolezza�
15
del
corpo.
Ora, se il mio corpo � �un centro d’azione�
16
, ci� significa che � in
grado di esercitare un�azione reale e nuova sugli oggetti che lo
circondano, e occupa rispetto a loro un posto privilegiato. Un�immagine
qualunque, invece, influenza le altre in un modo determinato, e il suo
influsso sulle altre immagini pu� essere misurato con le leggi di natura.
Le altre immagini non hanno neppure bisogno di esplorare la zona
circostante, e non hanno neppure l�urgenza di esercitarsi in anticipo
riguardo alle diverse azioni possibili; poich� l�azione necessaria si
compir� da sola quando sar� giunta la sua ora.
12
Migliaccio noter� che: �il movimento � propagazione, reale oscillazione
qualitativamente caratterizzata degli atti, degli sforzi, delle tensioni, mentre lo
spostamento relativo � solo trasporto, frutto di una delimitazione quantitativa e
artificiale della materia� [C. MIGLIACCIO, Invito al pensiero di Bergson, Milano,
Mursia 1994 p. 128].
13
Bergson, ne Il possibile e il reale, preciser� che: �se non vi � finalit� o volont�, �
perch� vi � un meccanismo� [H. BERGSON, Il possibile e il reale, cit., p. 8].
14
Simmel, in Henri Bergson, noter� che: �nel fatto stupefacente che noi ridiamo di
un uomo che inciampa, si cela proprio quell�impressionte dualismo per cui un atto
vitale, [...] come l�incedere risoluto dell�uomo, ubbidisce alla meccanica pura
dell�inibizione e della gravitazione delle forze� [G. SIMMEL, Henri Bergson (1914),
trad. it. a cura di M. PROTTI, in �Aut Aut�, n. 204, 1984, p. 20].
15
H. BERGSON, Il riso, cit., p. 8.
16
H. BERGSON, Materia e memoria, cit., p.15.