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INTRODUZIONE
Il presente lavoro è stato realizzato anche grazie a un soggiorno di studio presso la città di
Toronto (Canada), nel corso del quale ho avuto la possibilità di analizzare il tema delle restrizioni
verticali, svolgendo un’analisi comparata tra l’ordinamento canadese e quello italiano. Nel trattare
questo argomento, particolare attenzione è stata riservata alle peculiarità della disciplina di dette
restrizioni nell’ambito dei rapporti negoziali di franchising.
Nello scenario internazionale, la prima legge a tutela della concorrenza, a differenza di quanto
comunemente ritenuto, non è lo Sherman Act
1
statunitense, bensì il Competition Act canadese,
emanato nel 1889 col nome "An Act to provide for the general regulation of trade and commerce in
respect of conspiracies, trade practices and mergers affecting competition" . La prima legge italiana a
tutela della concorrenza, invece, risale al 1990. Questa semplice osservazione può riassumere il
ritardo e la lunga sottovalutazione delle tematiche legate alla concorrenza nel nostro paese.
Nel contesto del diritto della concorrenza europeo, dopo una più che trentennale applicazione dei
principi affermati dal regolamento 17/1962
2
, abbiamo assistito, grazie al Reg. n. 1/2003
3
, ad un
processo di c.d. modernizzazione del diritto della concorrenza. Indiscutibilmente, questo processo,
ha visto il suo inizio nell’emanazione del regolamento di esenzione sulle restrizioni o intese
verticali: il Reg. n. 2790/1999
4
. Quest'ultimo atto è stato oggi sostituito dal Reg. n. 330/2010
5
, il
quale riprende e rappresenta l'evoluzione ultima della materia delle restrizioni verticali in Europa.
Anche la legislazione canadese è stata interessata, negli ultimi anni, da una profonda revisione
della legislazione riservata alle intese verticali
6
, che ha impresso una forte spinta “liberista” sulla
disciplina, delle restrizioni verticali, di questo Paese
7
. Questi sviluppi normativi hanno innovato
profondamente il quadro delle intese verticali. È facile comprendere, dunque, che gli spunti di
riflessione, in una ottica comparativa, non mancano.
1 Sherman Act, 2 Luglio 1890, ch. 647, 26 Stat. 209, 15 U.S.C. §§ 1–7.
2 Il primo regolamento che governò l'applicazione di quelli che oggi sono gli articoli 101 e 102 del TFUE,
Regolamento (CEE) n. 17: primo regolamento d'applicazione degli articoli 85 e 86 del trattato, GU 13, 21.2.1962.
3 Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l'applicazione delle regole di
concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato, Gazzetta ufficiale n. L 001 del 04/01/2003.
4 Regolamento (CE) n. 2790/1999 della Commissione, del 22 dicembre 1999, relativo all'applicazione dell'articolo
81, paragrafo 3, del trattato CE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate.
5 Regolamento (UE) n. 330/2010 della Commissione del 20 aprile 2010 relativo all’applicazione dell’articolo 101,
paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche
concordate.
6 Si tratta della grande riforma del diritto antitrust del 2009 la Budget Implementation Act o (Bill C-10), che è stata
definita come una delle più importanti degli ultimi 20 anni.
7 Questa influenza è venuta, in particolare, dalla scuola di pensiero nota come scuola di Chicago.
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Con il proposito di rendere maggiormente fruibile il contenuto del presente lavoro, è necessario
introdurre alcuni concetti, che saranno propedeutici alla comprensione dell'intera analisi.
Il primo concetto su cui occorre soffermarsi è quello di "intesa verticale". Riprendendo la
definizione proposta in dottrina
8
, possiamo dire che con questa espressione ci si riferisce a tutte le
forme di intese restrittive della libertà imprenditoriale, stipulate tra imprese operanti a diversi livelli
della catena distributiva: come ad esempio gli accordi tra produttore e distributore o, nel nostro
caso, tra franchisor e franchisee. E' importante, fin da subito, chiarire che questa espressione non ha
una connotazione negativa, in quanto molti accordi verticali svolgono, in concreto, una funzione
costruttiva del sistema di distribuzione.
L'analisi, quindi, come nel seguito meglio illustrato, si focalizzerà sui profili concorrenziali
verticali, c.d. intra-brand, originati durante le differenti fasi del processo di distribuzione e/o
produzione di un prodotto, che generano contatti fra tutta una serie di realtà imprenditoriali.
Attraverso queste interazioni è possibile tuttavia che un venditore o un acquirente nel regolare i
propri interessi scelga di inserire, all'interno dei relativi contratti, delle clausole che vadano oltre
quanto sia legittimo pretendere dalla controparte: e così abusando del proprio potere, ponga in
essere delle condotte verso l'altro contraente, che alterino il normale gioco della concorrenza,
generando in ultimo danni anche ai consumatori finali.
Al fine di stabilire un confine tra ciò che è legittimo e ciò che non lo è, sia l’ordinamento
italiano
9
che quello canadese hanno predisposto una serie di norme ad hoc. In questo ambito, è
opportuno richiamare anche quanto stabilito, in ambito europeo, dall'articolo 101 del TFUE: il quale
vieta le intese che possono pregiudicare il commercio tra Stati membri e che hanno per oggetto o
per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza all’interno del mercato comune.
L'analisi di questo tema verrà svolta nel presente lavoro, ponendo particolare attenzione ai
riflessi che queste pratiche hanno sui rapporti di franchising: una particolare e diffusa forma di
distribuzione verticale che è appunto il secondo tema qui introdotto.
Il detto termine identifica una realtà che, nel recente passato, si è fortemente consolidata nel
panorama italiano e che ha trovato in Canada una capillare diffusione
10
.
L'idea di franchising (dal francese “franchise”, franchigia) ha radici antichissime, che affondano
8 LINDA BRICENO MORAIA, Gli accordi di prezzo minimo di rivendita e il problema del free riding. Spunti per
una riflessione comparata tra Usa e UE, Giur. Comm., 2010, pag. 172 e ss.
9 Ovviamente il riferimento vale in questa materia in particolare al legislatore europeo, essendo ad oggi la materia
delle restrizioni verticali e della concorrenza in generale materia per la gran parte nelle sue mani.
10 Il Canada è una delle capitali del franchising: i dati indicano che il franchising rappresenta più di $100 miliardi di
vendite all'anno, impiega un milione e mezzo di persone suddivise in quasi 80.000 unità,
http://www.betheboss.ca/about-franchising/growth-of-franchising-in-canada.cfm.
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fino al medioevo; tuttavia, si è concordi nel ritenere che il c.d. “modern franchising” nasca negli
Stati Uniti, nella seconda metà del diciannovesimo secolo, a seguito della brillante intuizione del
produttore di cucitrici Isaac Merrit Singer
11
.
L'idea di base collegata a questa fattispecie consiste nel concedere un privilegio, che all'atto
pratico consente ad un soggetto di essere l'unico autorizzato a vendere i prodotti o servizi del
concedente; usufruendo, per questo fine, dei segni distintivi, delle “formule” commerciali e
soprattutto della notorietà già acquisita dal franchisor/concedente; ciò a fronte del pagamento di un
corrispettivo (royalty) per l'inclusione all'interno del sistema distributivo esclusivo
12
.
Le caratteristiche salienti di questa forma distributiva sono così schematizzabili:
l'uniformità dell'immagine, approntata attraverso segni distintivi comuni, imposti dal
franchisor;
la necessità di un controllo molto stretto sull'operato del franchisee, al fine di salvaguardare
l'immagine del gruppo;
il trasferimento al franchisee del know-how, necessario per la gestione del punto vendita;
il pagamento delle c.d. entrance fee e/o royalities al franchisor, per fini remunerativi.
L'apparente semplicità di questo schema, nasconde l'incisività di una formula commerciale, che
sta conoscendo una diffusione senza limiti. La sua fortuna è indiscutibilmente basata sull'efficiente
combinazione di restrizioni verticali tipiche di tale rapporto contrattuale. Come si vedrà all'interno
del presente lavoro, questa peculiarità solleva molti quesiti sulla reale anti-concorrenzialità delle
clausole tipiche del franchising.
In Italia, questa forma di distribuzione commerciale è stata regolamentata solo nel 2004, con
l'emanazione della legge 129/2004. L'articolo 1, comma primo di tale legge, definisce l’affiliazione
commerciale (franchising) come il contratto stipulato tra due parti, economicamente e
giuridicamente indipendenti, in forza del quale uno di essi (affiliante o franchisor) concede all’altro
(affiliato o franchisee), verso un corrispettivo, la facoltà di utilizzare tutti i segni distintivi (marchi,
denominazioni commerciali, insegne) e/o brevetti o modelli di utilità tipici della propria “formula”
commerciale, inserendo così l’affiliato in una “rete” di imprenditori potenzialmente presenti su tutto
il territorio nazionale.
Similmente, anche in Canada, si è dovuto attendere un lungo periodo di tempo per avere una
11 Singer, predisponendo una distribuzione sul modello di quella di franchising, di cui scrisse il primo contratto tipo, e
avvalendosi di un sistema di distributori dislocati su di una vasta area, divenne il primo nome riconoscibile nel
sistema di franchising, diventando, di fatto, il primo franchisor moderno.
12 FABIO BORTOLOTTI, Il contratto di franchising: la nuova legge sull'affiliazione commerciale le norme antitrust
europee, 2004, Padova, CEDAM, p. 2-3.
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normativa in materia di franchising. E ciò nonostante l'idea del " modern franchising" esista in tal
Paese ormai da quasi un secolo
13
. Tuttavia, dal 1971 fino al 2001, la provincia dell’Alberta è stata
l'unica ad avere una specifica legislazione per il franchise.
Successivamente, il 31 Gennaio 2001, anche l'Ontario ha adottato una specifica legislazione sul
franchise, attraverso l'Arthur Wishart Act
14
, il quale venne modellato proprio sull'Alberta statute.
Seguirono a pochi anni di distanza legislazioni simili nelle Provincie: Prince Edward Island (Luglio
2006), New Brunswick (Giugno 2007) e Manitoba (Dicembre 2012), portando così a cinque il
numero di provincie con una propria legislazione in materia, e aprendo la strada ad una futura
legislazione di tipo federale.
Si può, dunque, capire come la storia del franchising, non risieda tanto nei testi normati, quanto
nella pratica delle corti e del mercato. Questa circostanza, è meno banale di quanto possa apparire.
Difatti, dobbiamo tenere in considerazione che la forza del franchising risiede proprio nella sua
duttilità ed efficienza.
Lo scopo del presente lavoro è, dunque, operare la comparazione della disciplina delle intese
verticali nell'ordinamento italiano e in quello canadese. Nell'affrontare questo argomento, verrà
riservata, come detto, una speciale attenzione agli effetti che queste intese hanno sulla fattispecie
del franchising e alla possibilità di compiere una loro combinazione per perseguire gli obbiettivi di
uniformità ed efficienza, tipici dell'integrazione verticale.
Il fenomeno dei vertical agreements verrà analizzato in modo critico; vedremo infatti come
alcune restrizioni possano essere utilizzate dal legislatore nazionale, al fine di perseguire i propri
obbiettivi di politica antitrust. Nel corso dell'opera si avrà modo di apprezzare gli effetti positivi di
questi accordi sul mercato, sia in termini di efficienza che di concorrenzialità.
Nel dettaglio, nel primo capitolo ci si concentrerà sulla disciplina specifica delle restrizioni
verticali, analizzando il Regolamento 330/2010, nonché gli effetti derivanti dalla sua applicazione
sul franchising. Successivamente, verrà analizzata la fattispecie dell'abuso di dipendenza
economica, della quale, dopo aver chiarito i dubbi applicativi, si cercherà di evidenziare il
significato concorrenziale.
Nel secondo capitolo verranno ripercorse, brevemente, le tappe che hanno portato il Canada
all’adozione dell’attuale normativa antitrust. Si cercherà, quindi, di far emergere la ratio sottesa a
tale normativa che regola le restrizioni verticali; ciò, sempre riservando un attenzione particolare
13 Uno studio del 1993 presentato in TAYLOR GILBERT et al., Franchising in Canada, 3d ed., North York, CCH
Canadian Ltd., 1995, riportò che circa il 48% delle vendite al dettaglio e della spesa per servizi in Canada era fatta
attraverso la modalità del franchising, per un giro d'affari di oltre 90 miliardi di dollari.
14 Arthur Wishart Act (Franchise Disclosure), 2000, SO 2000, c 3 [“Ontario Act”].
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alla fattispecie di franchising. Si cercherà di spiegare quali sono gli obiettivi che l’autorità adibita
alla vigilanza sul rispetto della concorrenza persegue con i propri interventi e con quali strumenti
adempie al suo compito, anche attraverso una puntuale analisi della normativa di settore.
Nel terzo capitolo, si condurrà un confronto tra le scelte adottare dai due ordinamenti cercando di
mettere in luce assonanze e divergenze. Più nel dettaglio, il tema delle restrizioni verrà analizzato
partendo da una analisi del profilo più propriamente economico e del relativo background
concettuale, si andrà poi a focalizzare l’attenzione sui profili più significativi della materia,
evidenziando le criticità ed osservando le soluzioni di volta in volta approntate da ciascun
ordinamento.
CAPITOLO I
INTESE VERTICALI E FRANCHISING: ANALISI DEL CONTESTO GIURIDICO
EUROPEO ED ITALIANO
Introduzione
Il fenomeno della distribuzione commerciale ha sempre rappresentato per la sua complessità e
peculiarità un terreno d'elezione per l'opera regolatrice dell'Unione Europea.
La Commissione dell'Unione Europea, nell'articolazione delle politiche della concorrenza, si è
trovata fin da subito investita dell'onere di mettere in opera i principi stessi che ne hanno ispirato la
costituzione, quali in primis la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali.
Come viene sottolineato anche nel Libro Verde sulle restrizioni verticali nella politica della
concorrenza
15
, la peculiarità della politica antitrust dell'Unione Europea è data dalla compresenza
15 Libro Verde sulle restrizioni verticali nella politica della concorrenza, (COM(96)0721 def.), reperibile all'indirizzo:
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del generale obiettivo di garantire un efficiente livello di concorrenza con l'esigenza di assicurare
l'integrazione dei mercati nazionali
16
. Tali obiettivi sono posti, anche, in quanto si ritiene che il
mercato europeo non sia in grado di trovare da solo un proprio equilibrio
17
, correndo di
conseguenza il pericolo di una deriva verso posizioni monopolistiche o oligopolistiche. E' seguendo
questi propositi che la Commissione ha cercato di approntare fin dalle sue origini un insieme di
norme che diano forma ad un mercato realmente “comune”.
Questo fine si traduce, per ciò che riguarda le intese, nell'importante norma 101 TFUE
18
. La
norma al comma primo contiene un elenco non tassativo di intese
19
, e dunque solo esemplificativo
degli accordi tra imprese considerati vietati. Testualmente il primo comma di questo articolo
dispone l'inconciliabilità e la conseguente nullità di:
“[...]tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche
concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o
per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato
interno:
a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni
di transazione;
europa.eu/documents/comm/green_papers/pdf/com96_721_it.pdf .
16 Si veda il Libro Verde sulle restrizioni verticali nella politica della concorrenza, par. 30: " Non si deve tuttavia mai
dimenticare che la Commissione è l’unica autorità competente in materia di concorrenza nel mondo che non deve
solo impedire che la concorrenza venga falsata, ma si propone anche un obiettivo l'integrazione dei mercati. I
modelli di altri paesi non sono perciò necessariamente trasponibili nell’Unione europea" .
17 ENZO MARIA TRIPODI (a cura di), Il manuale del franchising: la disciplina normativa, la giurisprudenza, i
modelli contrattuali, Giuffré, 2005, p.353.
18 Articolo 101 TFUE 1. "Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le
decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati
membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza
all'interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel:
a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;
b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così
da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni
supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei
contratti stessi.
2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto.
3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili:
— a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese,
— a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e
— a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate, che contribuiscano a migliorare la
produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli
utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva, ed evitando di
a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi;
b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui
trattasi." .
19 ENZO MARIA TRIPODI op. cit p.356.