iv
L’impegno della comunità nell’ambito della sicurezza alimentare, iniziato negli
anni ’60, si manifesta con interventi diversi in “funzione della natura e delle
priorità del problema”
2
. Dopo gli interventi sulla PAC, quelli di emergenza
per le crisi alimentari,quelli di riforma delle normative sull’igiene delle
produzioni alimentari e quelli per la tutela dei marchi,oggi, dopo il Libro
bianco sulla sicurezza degli alimenti presentato nel 2000, si sta cercando di
dare coerenza e sistematicità ad un settore, che a causa di direttive orizzontali e
verticali, di prodotto e di produzioni, lasciava troppo spesso “zone grigie”, che
disorientavano gli stessi produttori. Gli obiettivi del Libro Bianco sono molti,
tra questi vi è la creazione di un’Autorithy per la sicurezza alimentare.
Va inoltre osservato che il concetto di sicurezza alimentare nel corso degli anni
ha assunto un significato sempre più ampio, che va ben al di là dell’igiene, che
oggi è solo uno degli elementi legati alla qualità dei cibi. In questo ambito si
inserisce la riscoperta e la valorizzazione dei prodotti mediterranei, che tra
l’altro già dalla fine degli anni ’70 con la ricerca americana di Ancel Keys
veniva indicata come la più idonea per la prevenzione dei tumori, per l’azione
di contrasto alle malattie cardiovascolari e per la riduzione del processo di
invecchiamento cellulare. Il successo dei prodotti tipici può dunque essere
visto come una strategia del consumatore nel frammentato panorama attuale, e
la ricerca della tradizione e dell’origine locale come sinonimo di genuinità, di
salubrità, di qualità, di sicurezza.
Gli interventi del legislatore, nazionale e comunitario, in materia alimentare,
nel corso degli ultimi anni tendono in primis alla salvaguardia di un diritto
primario come quello alla salute, e nel contempo alla tutela del consumatore.
Non sempre è stato così, e non tutto ancora è stato fatto. Senza alcuna pretesa
di esaustività cercherò di evidenziare come la concezione di sicurezza
alimentare sia cambiata nel tempo, e con essa le politiche di intervento in
ambito agricolo e produttivo, porrò l’accento sull’attuale stato dell’arte,
sottolineando al tempo stesso, dove presenti, le lacune del sistema vigente e le
prospettive del settore nell’ambito del futuro allargamento dell’unione.
2
La qualità in tutti i suoi aspetti. Agricoltura e alimenti. www.europa.eu.it.
L’intervento pubblico in agricoltura
1
CAPITOLO I
“L’intervento pubblico in agricoltura”
PREMESSA
Nel processo di istituzionalizzazione del mercato la società ha gradatamente
preso coscienza della necessità dell’intervento del diritto con limiti correttivi
dettati non solo da interessi economici, ma anche da valori ed interessi diversi.
In realtà, da un punto di vista legislativo, se i fondamenti a tutela della libera
iniziativa privata e della libera concorrenza sono facilmente rintracciabili
nell’art. 41 della Costituzione e nel Trattato dell’Unione Europea, maggiore
difficoltà si incontra qualora si cerchi un organico fondamento alla tutela del
consumatore. Quest’ultima è però individuabile se si considera il consumatore
non solo come soggetto passivo del mercato, ma come individuo titolare di una
serie di diritti, da quello alla salute a quello all’informazione che gli
consentono di non vedere compromessa la qualità della vita da logiche
puramente di mercato.
Se come sottolinea Ventura
1
è presto per poter parlare di un autonomo diritto
dell’alimentazione è altresì vero che la non unicità della base giuridica non osta
la possibilità di rintracciare un diritto agro-alimentare in una serie di interventi
pubblici.
Questi, di origine quasi interamente comunitaria, hanno avuto ed hanno il
duplice lo scopo, attraverso la politica agraria comune e gli interventi a tutela
della salute pubblica e dell’ambiente, di sostenere e tutelare gli agricoltori, in
quanto soggetti storicamente ritenuti deboli, e tutelare i consumatori.
La necessità di partire dall’analisi del diritto dell’agricoltura deriva dalla
definizione ampia dell’art. 38 del Trattato CE. Questo definisce i prodotti
agricoli come i prodotti del suolo, dell’allevamento e della pesca e quelli di
prima trasformazione in connessione diretta con tali prodotti. Considerando
l’allegato I vediamo che in questa definizione possono essere ricondotti la
quasi totalità dei prodotti alimentari.
1
S. Ventura I principi generali del diritto dell’alimentazione. Diritto Comunitario e degli
scambi internazionali. Febbraio 2002. pp. 419 e ss.
L’intervento pubblico in agricoltura
2
Inoltre nelle premesse del Libro Verde della Commissione sui principi generali
in materia alimentare dell’Unione Europea (COM(97) 176 def.) si legge: “le
prime ripercussioni sullo sviluppo della legislazione comunitaria in materia
alimentare sono derivate dalla politica agraria comune e dal programma di
realizzazione del mercato interno […]la politica agraria comune (PAC) ha
esercitato un significativo impatto sullo sviluppo della legislazione in materia
alimentare nella Comunità. Le misure adottate per realizzare gli obiettivi della
PAC hanno anche inevitabilmente determinato lo sviluppo della legislazione
che riguarda la vendita dei prodotti alimentari di origine agricola.”
Quindi risulta evidente la necessità di cominciare con un’analisi della politica
agraria e dalle ragioni dell’intervento pubblico in questo settore evidenziando
come i diversi obiettivi della PAC, derivati dalle diverse e crescenti esigenze
ed istanze dei consumatori, si siano tradotti in interventi diretti del legislatore.
La PAC, infatti, che ha primariamente creato le organizzazioni di mercato per i
principali prodotti agricoli, sostenendo parallelamente i prezzi attraverso il
Fondo Europeo agricolo di orientamento e garanzia (FEAOG), e
secondariamente, al fine di garantire la libertà di circolazione dei prodotti
agricoli, ha stabilito norme per il ravvicinamento delle legislazioni in materia
di tutela delle persone e degli animali in materia fitosanitaria, a partire dal 1989
attraverso una comunicazione sul futuro del mondo rurale, ha segnalato
l’intenzione di promuovere una politica di qualità dei prodotti agro-alimentari a
livello comunitario.
Ripercorrendo la storia della PAC, dunque, apparirà chiaro come la sicurezza
alimentare che inizialmente aveva un connotato quantitativo, ed era intesa
come sicurezza degli approvvigionamenti, dopo un radicale mutamente, ha
assunto negli ultimi anni valenza qualitativa.
L’intervento pubblico in agricoltura
3
1. LE RAGIONI DELL’INTERVENTO PUBBLICO IN AGRICOLTURA
La nascita di un articolato modello di intervento pubblico in agricoltura è da
collocarsi nel ventennio tra le due guerre, quando attraverso provvedimenti
simili in tutti i grandi paesi occidentali si diede vita ad un’epoca di economia
regolata. Questi provvedimenti nati come provvedimenti di emergenza a
carattere temporaneo si sono poi trasformati in istituzioni a carattere
permanente
2
.
L’uniformità di queste politiche derivava dalla debolezza e dalla vulnerabilità
economica e sociale del settore agrario, caratterizzato da instabilità dei prezzi
dei prodotti agricoli e dei redditi degli agricoltori, da bassi livelli di
remunerazione dei fattori impiegati nella produzione e dall’alta sensibilità ad
eventi di natura macroeconomia oltre che dalle oscillazioni dei mercati
internazionali.
Furono individuate quattro cause di questa debolezza:
ξ La struttura fortemente concorrenziale del mercato agricolo, in termini
di dimensione delle imprese e omogeneità dei prodotti, che portavano
ad atteggiamenti imprenditoriali da price taker.
ξ La forte inelasticità della domanda e dell’offerta rispetto al prezzo.
ξ La bassa elasticità della domanda rispetto al reddito (legge di Engel), da
cui deriva una modesta crescita della stessa nel tempo.
ξ Tendenza del potenziale produttivo a crescere, grazie alle innovazioni
meccaniche biologiche e chimiche, più rapidamente della domanda
stessa.
3
La teoria neoclassica dava dunque una spiegazione efficace alle difficoltà
dell’agricoltura individuando le cause nella specificità della struttura
concorrenziale, nel peso dei fattori fissi e nelle condizioni di inferiorità
2
Rossi-Doria (1941) Nel ventennio tra le due guerre possono essere individuate due sedi di
riflessione sulla crisi agraria. Una con sede a Roma all’istituto internazionale dell’agricoltura e
un’altra tenuta da economisti inglesi attraverso vari seminari presso diverse università europee.
Rewe internationale d’agriculture. Relazione presentata da De Benedictis, De Filippis al
convegno su Manlio Rossi –Doria e le trasformazioni del mezzogiorno d’Italia. Pubblicata su
La questione agraria, n.71,1998.
3
Si trovano in letteratura vari modelli analitici di teoria neoclassica, solo per citarne alcuni:
Galbraith e Black 1938, Andersson 1987, e in Italia: De Benedictis e Cosentino 1979, De
Stefano 1985.
L’intervento pubblico in agricoltura
4
contrattuale degli agricoltori. Da ciò derivava la convinzione della necessità
dell’intervento dello Stato al fine di ristabilire condizioni di equità ed
efficienza che non trovavano i necessari strumenti nell’autonoma capacità
regolativi del mercato.
In un clima politico istituzionale caratterizzato dalla fiducia nella capacità
correttiva dell’azione pubblica, dalla visione autonoma dell’agricoltura rispetto
al resto della politica economica, e dell’impresa agraria a carattere familiare,
che anche da un punto di vista sociale giustificano azioni di sostegno, oltre
all’approccio protezionistico che al fine del sostegno della produzione interna
non considerava vincoli internazionali di tipo commerciale, prese sostanza il
vecchio paradigma
4
.
In questo periodo il problema della sicurezza alimentare era concepito
esclusivamente in termini quantitativi, sicurezza alimentare era “sicurezza
degli approvvigionamenti”.
I tre principali obiettivi della politica agraria erano quindi la massimizzazione
della produzione agricola, la stabilizzazione dei redditi agricoli con il loro
innalzamento verso livelli di parità con quelli extra-agricoli e il sostegno alle
imprese familiari.
Il primo di questi obiettivi formulato in termini quantitativi si prefiggeva il
conseguimento dell’autosufficienza alimentare, il secondo risulta essere
l’obiettivo centrale in termini di interventi mentre il terzo, il sostegno
all’impresa familiare, seppur presente nei documenti governativi di vari paesi e
nei quadri normativi, ha dato vita a modeste azioni concrete, tanto da farlo
ritenere più uno strumento di aggregazione del sostegno politico che un vero
obiettivo di politica agraria.
Il sostegno al settore, di tipo sia diretto che indiretto, prevedeva l’utilizzo
simultaneo di vari strumenti. Al fine di dare garanzia di prezzo e ricavo agli
agricoltori, in molti stati europei e in america, si intervenne direttamente sul
mercato attraverso un sovrapprezzo assicurato o dalla protezione doganale, o
dall’intervento di agenzie pubbliche o da sussidi per unità di prodotto, che
4
M. De Benedictis-F.De Filippis “l’intervento pubblico in agricoltura tra vecchio e nuovo
paradigma”1999.Rivista di Diritto Agrario, Parte I, pp.503 e ss.
L’intervento pubblico in agricoltura
5
garantivano quindi aiuti direttamente proporzionali alla quantità di beni
prodotti dagli agricoltori.
Questo modello ebbe molto successo, e la motivazione va rintracciata nella
capacità di accontentare una vasta platea di beneficiari, nell’incentivo dato
all’utilizzo di innovazioni tecnologiche e nel modesto impatto a carico del
bilancio pubblico, in quanto l’onere era in gran parte scaricato sugli
inconsapevoli consumatori.
In un ottica di breve periodo dunque almeno i primi due obiettivi vennero
raggiunti, la garanzia del prezzo minimo garantito e gli incentivi all’utilizzo di
nuovi mezzi tecnici portarono, infatti, ad una crescita dell’offerta agricola e
dunque alla sicurezza alimentari in termini quantitativi, con conseguente
crescita della capacità esportatrice e dei redditi degli agricoltori, sia in Europa
che negli Stati Uniti.
Questo modello presentava però, già alcuni limiti per gli effetti negativi che lo
sfruttamento di tipo intensivo ha sull’ambiente, e per l’iniquità della ricaduta in
termini di costi, avendo l’intervento sui prezzi gli stessi effetti di un’imposta di
tipo regressivo sui consumi, in altre parole gravando sulla spesa per l’acquisto
di beni di consumo pesa proporzionalmente di più sui bilanci delle famiglie più
povere. Il problema ambientale non era ancora molto sentito, ma i motivi di
crisi di questo modello si presentarono a seguito del suo stesso successo.
I fattori di crisi, dopo l’iniziale successo, furono quindi: in primo luogo
l’accumulo delle eccedenze produttive, la gestione e lo smaltimento delle
stesse, in secondo luogo il moltiplicarsi dei conflitti commerciali internazionali
dove si cercavano sbocchi per le eccedenze, e infine la crescita della coscienza
ambientale e della concezione dello sviluppo sostenibile. Vedremo come la
politica agricola comunitaria e di conseguenza quella italiana hanno seguito
questo schema teorico, e come si è cercato di modificare e riqualificare la
politica agricola a seguito della crisi del modello neoclassico.
L’intervento pubblico in agricoltura
6
2. L’INTERVENTO PUBBLICO IN ITALIA: INTERESSI COLLETTIVI
E VINCOLI ALLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE
L’ingerenza pubblica dello Stato nelle attività economiche ha assunto nel corso
degli anni, forme sempre più penetranti, manifestandosi attraverso diversi
strumenti normativi ed amministrativi.
Le forme di intervento pubblico possono essere dirette ed indirette, nelle prime
sono gli stessi pubblici poteri ad intraprendere lo svolgimento di attività
produttive, nelle seconde l’azione pubblica subentra dall’esterno a correggere,
modificare o fissare regole per il mercato. Nell’ambito degli interventi indiretti,
si individuano, accanto alla promozione della libera iniziativa privata, una serie
di norme legislativo-amministrative dirette a vincolare e condizionare il libero
esplicarsi della libera iniziativa privata
5
. Gli interessi di cui il legislatore
pubblico si fa portatore con tali tipi di interventi non vanno però rintracciati in
un atteggiamento conflittuale tra pubblici poteri e iniziativa privata, ma nella
necessità di salvaguardare una categoria economica rispetto ad un'altra,
consumatori rispetto a imprese produttrici, nella cura di istanze di tipo
collettivo, tutela ambientale e diritti alla salute, oltre che nelle ragioni richieste
dagli stessi operatori del mercato.
Tra le forme di controllo quelle che più di altre hanno inciso nel settore
agricolo ed alimentare sono attuate mediante il rilascio di autorizzazioni
6
,
licenze, e/o approvazioni, e quelle di tipo ispettivo per la verifica della
conformità alle leggi o alle prescrizioni di atti amministrativi.
Emerge inoltre un particolare interesse del legislatore per la regolamentazione
dei consumi industriali ed alimentari. Questi interventi evidentemente
vincolano la libera iniziativa privata, ed hanno trovato fondamento in
un’ideologia sociale dell’economia sottoposta a controlli e programmi
7
. Tra
queste misure si possono ricordare gli ammassi, il contingentamento, ed il
razionamento.
5
Gabriella Pellegrini I vincoli alle attività produttive in Diritto pubblico dell’economia. Giusti
(a cura di). Cedam. pp.111 e ss.
6
In generale per le autorizzazioni si opera in questo modo: una norma vieta ed ostacola a
chiunque lo svolgimento di una predeterminata attività economica; spetterà poi all’autorità
amministrativa, mediante la valutazione degli interessi pubblici perseguiti, attribuire ai singoli
imprenditori la facoltà di intraprendere l’attività.
7
G. Pellegrino,op. cit.
L’intervento pubblico in agricoltura
7
Va inoltre citato tra i nuovi strumenti di intervento pubblico, nel contesto
dell’Unione europea, il sistema dei massimali di produzione, c.d. quote,
introdotti per arginare il fenomeno delle sovrapproduzioni. Con questo sistema
la possibilità di produrre e commercializzare un prodotto è sottoposta a vincolo
pubblico, nel caso delle quote latte, per esempio, si limita la produzione ai
soggetti autorizzati con particolare permesso e per determinate quantità
prefissate.
Rivolgendo l’attenzione all’evoluzione del settore agricolo e alle misure di
intervento dello Stato in Italia, emerge il difficile intreccio di funzioni
sovranazionali, statali, e regionali. Senza ripercorrere le tante tappe che hanno
visto, dopo l’assegnazione dell’agricoltura alle regioni, art.117, la soppressione
e la rinascita del ministero dell’agricoltura, oggi ministero delle politiche
agricole, per ben due volte, a seguito di referendum, ci si rende conto che la
politica agricola nazionale ha sostanzialmente seguito le linee guida della PAC,
nata con il Trattato di Roma nel 1958, dando attuazione ai regolamenti e alle
direttive comunitarie.
Per comprendere e analizzare la legislazione in materia agricola ed alimentare
è, quindi, fondamentale ripercorrere la storia della PAC e mostrare la sua
evoluzione e l’impatto sulla normativa nazionale.
Prima dell’intervento del legislatore comunitario, le scelte compiute nel
decennio ’45-’55, “nell’ottica del raffronto con gli elementi portanti del
vecchio paradigma, si distinsero per il tentativo di contemperare obiettivi di
miglioramento dell’efficienza e di allargamento della base produttiva, e, per il
tentativo di ridurre le disparità intra ed intersettoriali[…] in questa chiave va
visto il mix di interventi costituito dalla circoscritta ma significativa azione di
riforma agraria; dalla vigorosa ripresa dei programmi di bonifica e di
irrigazione; da un approccio di mediazione e congelamento dei conflitti in tema
di contratti agrari
8
”.
Va ricordato che alla fine del secondo conflitto mondiale, l’agricoltura italiana
era caratterizzata da un’accentuata arretratezza rispetto ai livelli di sviluppo dei
paesi occidentali.
8
Rossi-Doria Un trentennio di politica agraria Riv. La Questione Agraria, 1982, p.4.
L’intervento pubblico in agricoltura
8
L’agricoltura, agli inizi degli anni ’50, era in ogni caso, il settore produttivo di
maggiore consistenza dell’economia meridionale, contribuendo per oltre il
35% alla formazione del PIL e per ben il 57% all’occupazione totale, con
un’incidenza a livello nazionale del 23% del PIL e del 44% dell’occupazione
complessiva.
Una peculiarità del caso italiano nell’ambito dei “sostegni indiretti” è il
riconoscimento implicito di condizioni di privilegio di cui i proprietari fondiari
e lavoratori agricoli hanno sistematicamente goduto sul terreno del carico
fiscale, dei contributi e delle prestazioni previdenziali, del regime creditizio e
di sussidi all’acquisto di determinati fattori produttivi (macchine, carburanti,
acqua per l’irrigazione)
9
. Le ragioni della crescita dell’agricoltura nel decennio
successivo ’55-’65 non sono però da attribuire solo al successo di questi mix di
interventi, ma vanno ricercate anche in due cause esogene: la rivoluzione
tecnologica e l’esodo dalle campagne, tipici del processo di industrializzazione,
che se pur in ritardo rispetto agli altri paesi europei e con tempi più brevi,
caratterizzarono il periodo.
Come detto, con la nascita e il consolidamento della PAC si conclude il
periodo di totale autonomia della politica agricola nazionale, mentre va
sottolineato che il ricorso alle forme di sostegno indirette sopravviveranno a
lungo, anche rafforzandosi negli anni ’70 e ’80.
L’attuale assetto dei vincoli pubblici all’agricoltura, che prevede la
regolamentazione dei metodi di produzione, la tutela del paesaggio e la
salvaguardia delle zone protette, deriva dalle mutate impostazioni della PAC,
ad esempio le sovvenzioni finalizzate alla valorizzazione qualitativa derivano
dai regolamenti 2082/1992 e 2081/1992 sulla protezione delle indicazioni
geografiche protette e sulle attestazioni di specificità, di cui parlerò nel terzo
capitolo.
Andando più nello specifico, a regolamentare il settore alimentare, in ambito
nazionale, prima e dopo l’intervento comunitario, troviamo la legge 30 aprile
1962, n. 283 (di cui parlerò più ampiamente nel prossimo capitolo), in materia
di “Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze
9
De Benedictis-De Filippis, op. cit.
L’intervento pubblico in agricoltura
9
alimentari”, che dispone che non si possono vendere o somministrare alimenti
che contengano residui di prodotti usati in agricoltura, dannosi per l’uomo,
come pesticidi e fertilizzanti, ed attribuisce al Ministero della Sanità (oggi
Salute), poteri regolamentativi sulle quantità e sugli intervalli di tempo tra
l’utilizzo di un determinato prodotto ed i tempi di raccolta. Sono inoltre
soggette a vigilanza preventiva, ad opera delle autorità sanitarie, la produzione,
la manipolazione e il commercio di sostanze destinate all’alimentazione.
Dunque la vigilanza pubblica si estende ad ogni prodotto, di origine naturale o
industriale destinato ad essere ingerito dall’uomo.
Tra gli strumenti di controllo previsti dalla legge in esame, oltre ad ispezioni,
prelievi di campioni, e il munirsi del libretto di idoneità sanitaria, c’è l’obbligo
di premunirsi autorizzazione sanitaria da parte di chi intende esercitare
stabilimenti, laboratori di produzione, preparazione e confezionamento di
sostanze alimentari. Il rilascio di tale autorizzazione è condizionato
all’accertamento dei requisiti igienico-sanitari, sia d’impianto sia funzionali
previsti dagli appositi regolamenti. Troviamo, infatti, accanto a questa legge
generale un’imponente legislazione speciale integrativa, che concerne la
produzione di specifici gruppi merceologici, e diverse Direttive
sull’etichettatura confezionamento e pubblicità dei prodotti alimentari (di cui
parlerò in seguito)
10
.
10
Disposizioni limitative all’impiego di prodotti fitosanitari sono contenute nel D. LGLS 17
marzo 1995, n. 194 (attuazione direttiva CEE 91/414), in materia di mangimi nel D. LGS. 27
gennaio 1992 n.118, e nel D. LGS. 3 marzo 1993 n.90, oltre alla legge 14 ottobre 1985 n.623
che individua i principi generali delle condizioni igienico ambientali, ed alimentari in sede di
allevamento, oltre al D. LGS. 30 novembre 1992, n.532 che specifica le norme per limitare le
sofferenze durante il trasporto degli animali, solo per citarne alcuni.
L’intervento pubblico in agricoltura
10
3. LA POLITICA AGRARIA COMUNITARIA (PAC): NASCITA,
SVILUPPO E CRISI DEL MODELLO NEOCLASSICO.
In conformità dello schema teorico neoclassico l’evoluzione della politica
agraria comunitaria (PAC) è un illuminante esempio.
Nel Trattato di Roma veniva sancita la nascita della politica agricola comune,
che assumeva quindi un ruolo sovranazionale e diveniva un settore strategico
del processo d’integrazione. Gli obiettivi della PAC, che rispecchiavano le
impostazioni dei sei paesi fondatori e delle concezioni del tempo furono
identificati nell’art.39, “Le finalità della politica agricola comune sono:
a) Incrementare la produttività agricola, sviluppando il progresso tecnico
[…];
b) Assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, grazie in
particolare al miglioramento del reddito individuale di coloro che
lavorano nell’agricoltura;
c) Stabilizzare i mercati;
d) Garantire la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari[…];
Per realizzare questi obiettivi furono utilizzarti vari strumenti collegati ad uno
specifico fondo del bilancio CEE, il FEOGA (Fondo Europeo di Orientamento
e Garanzia Agricola) che nella sezione Orientamento doveva finanziare la
modernizzazione delle strutture delle aziende agricole, e nella sezione di
Garanzia doveva occuparsi del sostegno dei prezzi e dei mercati.
Lo strumento che ha caratterizzato la PAC è stato l’intervento sui mercati
attraverso un generoso sostegno dei prezzi. La Comunità degli anni ’50, infatti,
importatrice netta di prodotti agricoli e con la percezione dell’agricoltura come
forte disagio sociale, scegliendo di imperniare la politica agraria sul sostegno
dei prezzi risultava efficace per i due principali obiettivi, di sostegno dei
redditi, e di accrescimento del tasso di autoapprovvigionamento alimentare.
Nel primo decennio di applicazione la PAC fu davvero efficace, venivano,
infatti, soddisfatti gli agricoltori attraverso un sostegno poco visibile, e a cui i
consumatori dei sei paesi, non ancora organizzati, erano già abituati, tra l’altro
il tutto avveniva in un clima di rapida crescita economica dei paesi membri.
L’intervento pubblico in agricoltura
11
I primi problemi cominciarono a manifestarsi durante gli anni ’70, in un
contesto di crisi economica, e verso la fine del decennio emerse una crescente
conflittualità in relazione agli squilibri della PAC: tra prodotti continentali,
dotati di regolamenti molto generosi, e prodotti mediterranei, meno sostenuti;
tra regioni e/o aree e tra categorie di produttori; e soprattutto tra Stati membri,
nei costi e benefici finanziari.
In questo quadro di tensioni, alimentate inoltre dalla posizione inglese in
materia di “giusto ritorno finanziario”, che a partire dal 1980 si iniziò a porre il
problema della revisione della PAC.
In linea con la parabola del vecchio paradigma, le cause della crisi e della
riforma della PAC hanno avuto sia dimensione interna che internazionale.
Sul piano interno acquisirono crescente rilievo la questione finanziaria legata
all’aumento delle spese per la gestione delle eccedenze, il declino del peso
politico dell’agricoltura e l’insostenibilità ambientale.
Sul piano internazionale, la modifica della posizione commerciale agricola
della Comunità, da importatrice ad esportatrice netta, in un contesto di crisi
della domanda nei mercati agricoli mondiali, provocò forti tensioni
commerciali con i paesi tradizionalmente esportatori, Stati Uniti, in particolare,
e cosa più importante, nel 1986 con l’avvio dell’Uruguay Round del GATT, si
pose al centro delle trattative commerciali la questione agricola, con l’accusa al
protezionismo delle politiche agrarie tradizionali e in particolare la PAC.
Non bisogna però pensare che la constatazione di elementi di crisi nella
concezione classica dell’agricoltura abbia portato, erga omnes, a nuove e
diverse politiche attente alle mutate esigenze interne ed internazionali, infatti,
nel caso della PAC, all’analisi delle cause che hanno portato ad una lenta
revisione della politica agricola, vanno aggiunti i problemi derivanti dal
complicato processo decisionale della PAC stessa, cioè dalla continua ricerca
di compromessi accettabili da parte di un gruppo di paesi portatori di interessi
propri, e non sempre convergenti.
L’intervento pubblico in agricoltura
12
Tutto ciò è inoltre complicato dalla presenza di una forte componente inerziale,
cioè dall’estrema difficoltà di intaccare lo status quo dei beneficiari delle
politiche finanziarie, anche se le motivazioni che avevano indotto l’intervento
pubblico erano e sono venute meno.
4. LE NUOVE IMPOSTAZIONI DI POLITICA AGRICOLA
DELL’UNIONE EUROPEA.
Il peso della dimensione interna nel processo di riforma della PAC, soprattutto
negli anni ’80, fu quello dominante. Al fine di contenere la spesa agricola nel
1984 per la prima volta si ridusse il livello nominale di sostegno dei prezzi, che
non era più garantito per quantità illimitate, e fu istituito per il settore del latte
il sistema delle quote di produzione. (In realtà l’adozione di queste misure
secondo una ricerca del CNEL ridusse il livello di spesa, ma non riuscì a dare
una vera svolta alla PAC.).
Cominciava, però, a farsi strada, parallelamente, l’approccio più radicale che
prevedeva la riduzione del sostegno diretto, a favore di misure legate a
questioni ambientali e sociali, che sarebbero state le linee guida di riforma solo
molti anni dopo.
La prima svolta rilevante si ebbe nel 1992 con la riforma Mac Sharry. Questa
prevedeva la graduale riduzione dei prezzi di intervento per cereali e carne
bovina e l’attivazione di pagamenti compensativi per ettaro o per capo,
calcolati sulla base di una resa fissa (storica) e condizionati alla messa a riposo
di una certa percentuale della superficie coltivata.
L’aspetto innovativo della riforma era nelle cosiddette misure di
accompagnamento, che nonostante le ancora scarse risorse finanziarie,
perseguivano obiettivi di natura ambientale e territoriale, premiando
determinati comportamenti e/o progetti, e non più indiscriminatamente
l’agricoltore in quanto tale. Si imboccava quindi la strada del
disaccoppiamento del sostegno dei prezzi dalla quantità prodotta e, seppur in
modo ancora marginale, poiché per il calcolo delle rese furono
istituzionalizzati i diritti acquisiti, si intaccava la struttura del vecchio
paradigma.
L’intervento pubblico in agricoltura
13
È indubbio che la concezione e le misure di intervento del vecchio paradigma,
pensate in un contesto molto diverso da quello attuale, in cui era dominante
un’impostazione di politica agraria fondata sull’intervento pubblico, ancorato
alla necessità di far fronte a problemi legati alla crisi agraria, in cui
l’importanza e le esigenze del settore agricolo erano molto diverse da quelle
moderne, non rispondono più alle mutate esigenze dei consumatori e degli
agricoltori.
A contribuire a “smascherare” gli errori della PAC, la crisi BSE, che ha dato al
legislatore la consapevolezza che, pur restando imperativa la difesa di una
politica agricola comune, non è più possibile rimandare una radicale riforma
che orienti la produzione agricola ed agroalimentare verso la qualità, attraverso
strumenti che incentivino la sicurezza degli alimenti, la loro tracciabilità, il loro
legame con il territorio ed il mondo rurale.
I regimi di garanzia dei prezzi, le sovvenzioni alle esportazioni, i sistemi di
quote di produzione e gli aiuti indifferenziati al reddito avevano, infatti,
disincentivato le produzioni orientate alla qualità, favorendo le produzioni
estensive.
L’agricoltura non è più un settore chiave nell’Unione da un punto di vista
puramente economico, il crescente interesse, nel corso degli ultimi anni, dei
consumatori nei confronti dell’agricoltura, va rintracciata nella maggiore
consapevolezza dell’importanza della sicurezza alimentare per la sua
correlazione con la salute, si estende al concetto di qualità, intesa come
salubrità, tipicità, e compatibilità ambientale dei processi produttivi, ed è stata
determinante, insieme all’insostenibilità del protezionismo della PAC sul piano
internazionale per la definizione della nuova politica agraria dell’Unione.
La crescente domanda per la qualità in senso lato, da parte dei consumatori, e
le mutate aspettative degli stessi in termini di salubrità alimentare e ampiezza
dell’offerta dei prodotti hanno influenzato non poco il legislatore comunitario e
l’orientamento della Corte Europea.