un individuo diventa padre o madre. L’evento critico, ovvero la nascita del primo
figlio, si declina in compiti di sviluppo che coincidono con obiettivi psicosociali
finalizzati alla crescita e che coinvolgono almeno tre generazioni (McGoldrick,
Carter, 1980).
Infatti, l’ingresso di un nuovo membro implica un’ampia trasformazione che
coinvolge non solo la famiglia nucleare, ma anche la famiglia estesa e rappresenta
l’inizio di una nuova storia generazionale (Binda, 1997). La diade coniugale allarga i
propri confini e diventa triade familiare, in questo modo i membri della coppia
stabiliscono un legame irreversibile, quello genitoriale. La capacità dei neogenitori di
far fronte a questo cambiamento è connessa a quelli che sono i compiti evolutivi che
si articolano su tre livelli:
- a livello coniugale è necessario ridefinire la relazione e le modalità comunicative,
imparare a percepirsi ed ad interagire non più solo come coppia, ma anche come
madre e padre e stabilire confini chiari tra il sistema coniugale e quello genitoriale. I
coniugi possono sentire accrescere il senso di competenza e fiducia reciproca, ed il
loro legame può acquisire una maggiore complessità e stabilità. Studi clinici e
sperimentali evidenziano come la relazione coniugale influenzi e sia influenzata
dall’asse genitoriale: un buon rapporto tra i coniugi sarà in grado di garantire un
clima familiare adeguato per la crescita del figlio, contrariamente a situazioni
problematiche della coppia che rischiano di essere proiettate sul bambino ( Malagoli
Togliatti, Tafà, 2005);
- a livello genitoriale i compiti implicano la creazione di uno spazio, sia fisico sia
psicologico, per il bambino. I neogenitori si devono prendere cura del bambino
fornendogli un modello di attaccamento affettivo ed educativo adeguato (Scabini,
1995). Dagli studi sull’attaccamento, si evince quanto siano rilevanti le esperienze
dei primi anni di vita per la costruzione del legame, ma anche e più in generale per lo
sviluppo sano del bambino. Altrettanto importante è la condivisione tra i genitori
dell’atteggiamento educativo e normativo per non creare confusione nel figlio. Una
buona relazione genitori-figlio garantirà lo sviluppo di rappresentazioni mentali di sé
e degli altri sufficientemente positive, che consentiranno, al bambino prima e
all’adulto poi, di esplorare e rapportarsi all’ambiente esterno alla famiglia in modo
adeguato;
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- come figli, i nuovi genitori devono rinegoziare relazioni più paritarie, con la
generazione precedente. Il nuovo arrivato permette un riavvicinamento alla famiglia
allargata e al tempo stesso permette la ridefinizione di ruoli e funzioni: i nonni
collaborano alla crescita dei bambini riconoscendo la nuova genitorialità dei figli.
“Il processo genitoriale varia secondo l’età dei bambini. Quando i figli sono molto
piccoli prevalgono funzioni di nutrizione e allevamento. Guida e controllo assumono
importanza in un secondo momento…La funzione genitoriale diviene un difficile
processo di reciproco adattamento” (Minuchin, 1976, p. 61). Questo commento di
Minuchin permette di rilevare che una caratteristica fondamentale della genitorialità
è la flessibilità: con il tempo, il bambino ed i suoi genitori crescono e cambiano i
bisogni e le risposte a questi ultimi.
Nella società odierna, così complessa e in rapido sviluppo, il ruolo genitoriale è
caricato di grosse aspettative e pressioni e proprio per questo i membri della coppia
vanno sostenuti nell’affrontare i compiti evolutivi. In passato, gli studiosi del campo
psicosociale hanno soprattutto studiato la maternità, tenendo conto del dato biologico
e del legame primario e privilegiato, che in un primo momento, si instaura tra madre
e bambino, ma di recente si sono interessati anche delle problematiche relative alla
paternità. Bisogna fare, però, un passo indietro per comprendere appieno le
dinamiche psichiche e relazionali della genitorialità ed analizzare la gravidanza e le
fantasie, consce ed inconsce, le emozioni, e le rappresentazioni che l’evento nascita
di un figlio determina (Ammaniti, 2001).
2. Contributi psicodinamici relative alla gravidanza
Negli ultimi anni lo studio della gravidanza e delle sue dinamiche psichiche si è
rivelato argomento di interesse per molti studiosi, che hanno fornito notevoli
contributi teorico-clinici alla letteratura psicodinamica.
Freud (1915), per primo, affronta l’argomento correlandolo allo sviluppo infantile: il
desiderio di maternità compare nella fase edipica ed il bambino appare come il frutto
di una relazione fantastica con il padre. In seguito, il padre della psicoanalisi descrive
una fase pre-edipica, nella quale la bambina ha un legame particolarmente intenso e
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simbiotico con la madre e da questo emerge il desiderio di avere un bambino (Freud,
1938). Intorno agli anni 40, il numero di donne che si sottoposero alla cura
psicoanalitica aumentò, e ciò permise di accumulare molte osservazioni cliniche
relative allo stato di gravidanza e di approfondire le conoscenze sullo sviluppo
dell’identità femminile.
Helene Deutsch (1945), nel suo lavoro sulla psicologia femminile, afferma che la
maternità è un’attitudine particolare della donna al confine tra lo psichico ed il
biologico, una naturale tendenza a tenere dentro di sé e a prendersi cura.
Secondo la Bibring (1961), per la donna la gravidanza rappresenta una crisi
maturativa, che comporta una riorganizzazione dell’identità personale e
l’acquisizione di un livello di integrazione più maturo in seguito alla risoluzione e
all’elaborazione dei precedenti conflitti infantili.
Anche la Pines (1972) considera la gravidanza una tappa importante del ciclo di vita
femminile, in quanto offre l’opportunità di individuarsi ed identificarsi come donna e
come madre. Infatti, si può considerare la gravidanza come un ulteriore processo di
separazione-individuazione (Mahler, 1975), che permette la differenziazione dei
confini personali e la ridefinizione del proprio spazio psicologico, rispetto alla
propria madre e al partner.
Il desiderio di una donna di avere un figlio è sollecitato da impulsi e motivi diversi:
l’imitazione e l’identificazione con la propria madre, l’appagamento di bisogni
narcisistici ed il tentativo di ricreare vecchi legami (Brazelton, Cramer, 1991).
Molti autori si sono soffermati sulle identificazioni che le esperienze passate e
presenti attivano nella donna in attesa: la futura mamma si identifica con suo figlio,
che riceverà le sue cure, e con sua madre, che la ha accudita. Infatti, il desiderio di
imitare la madre si osserva già nella bambina molto piccola, che porta a spasso il suo
bambolotto. A questo proposito, la Pines (1982) sostiene che l’identificazione con
una madre sufficientemente buona e sensibile, un genitore capace di dare vita e
amore, sia fondamentale per il sano sviluppo del bambino. Durante la gravidanza si
realizza in parte l’attività narcisistica, che si esprime nelle fantasie di essere perfetti e
onnipotenti: il desiderio di perfezione è appagato dal corpo che funziona e dalla
nascita di un bambino sano. Ogni donna vorrebbe un bambino perfettamente
sensibile e reattivo, che rispecchi il suo Io ideale e che confermi la sua capacità di
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essere una buona madre (Brazelton, Cramer, 1991). Inoltre, è necessario distinguere
tra desiderio di gravidanza e desiderio di maternità (Pines, 1988): il primo è connesso
con il bisogno narcisistico di verificare che il proprio corpo funzioni come quello
della propria madre, il secondo è, invece, più complesso perché prevale la
disponibilità di prendersi cura del bambino. La gravidanza è un periodo evolutivo
importante per la donna e per la sua famiglia, e in questo momento di attesa ci si
prepara ad accogliere il bambino.
2.1. Le fasi della gravidanza
Durante la gravidanza, la donna va incontro ad una serie di cambiamenti che
coinvolgono la sfera somatica e quella psichica: il corpo è impegnato a gestire
modificazioni ormonali e fisiche, mentre nella mente prendono forma l’idea di sé
come madre e quella del bambino immaginario (Stern, 2000). Il periodo della
gravidanza può essere considerato suddiviso in stadi, ognuno dei quali è associato
oltre che a trasformazioni corporee, sia del feto sia della futura mamma, a compiti
adattativi.
Secondo la Bibring (1961), in relazione alla gravidanza si possono distinguere due
fasi: 1) l’accettazione del feto come parte di sé, che comporta prima un’esperienza
psicologica di fusione e poi la consapevolezza del bambino reale; 2) la
riorganizzazione delle relazioni e la preparazione alla nascita-separazione dal
bambino. L’importanza della distinzione in stadi è stata messa in rilievo anche da
altri autori, come la Pines (1982) che ne distingue quattro.
Il primo stadio comprende il concepimento e i primi mesi di gravidanza: nella madre
si osserva uno stato di regressione e di passività connesso allo sconvolgimento
ormonale, e sono visibili sintomi psicosomatici, come nausea e vomito, che
rappresentano uno stato di ambivalenza verso il feto e una progressiva accettazione.
Il secondo stadio si riferisce alla percezione dei primi movimenti fetali, che sono una
prova inconfutabile della presenza di un bambino. A questo punto, l’immagine del
bambino va pian piano definendosi e con essa anche ansie e paure prendono corpo.
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Il terzo stadio comprende gli ultimi mesi di gravidanza, periodo in cui le ansie
riguardano la salute del bambino e il travaglio. L’ultimo stadio fa riferimento al parto
e ai mesi successivi, quando la mamma ed il suo bambino iniziano a conoscersi.
Brazelton (1991) sottolinea che i nove mesi della gravidanza offrono ai futuri
genitori l’occasione di prepararsi sia psicologicamente sia fisicamente all’incontro
con il bambino. La descrizione delle fasi della gravidanza, che l’autore propone,
ricorda molto quella della Pines, ma viene accentuata l’attenzione su alcuni aspetti
particolari. Nel momento in cui i genitori si adattano alle novità della gravidanza,
sperimentano un senso di euforia, che man mano viene sostituita dalla
consapevolezza della futura responsabilità. Se il concepimento è programmato, i
genitori saranno in qualche misura preparati ad affrontare il cambiamento, tuttavia la
conferma dello stato interessate porta un trambusto, e non solo ormonale, che è
difficilmente prevedibile. Proprio per questo, la donna incinta sarà propensa ad
accettare il sostegno da parte di altre persone come infermiere, dottori o amiche
esperte che possano aiutarla a diventare materna. Anche il partner, prendendo
consapevolezza del suo ruolo, aiuta la futura mamma nel compito di differenziare il
feto nelle sue fantasie.
Nella prima fase della gravidanza, il compito più urgente della donna è quello di
accettare il bambino come una parte benigna di sé, altrimenti potrebbe rifiutarlo
percependo l’embrione come un’intromissione dentro sè da parte del suo compagno
o come un intruso nella relazione di coppia. Durante il quinto mese, la futura mamma
percepisce delle delicate sensazioni, simili ad un batter d’ali, che diverranno una
vigorosa attività che segna lo “schiudersi” del bambino: i movimenti fetali
(Brazelton, Cramer, 1991). Quando i movimenti fetali si regolarizzano in cicli e la
madre può riconoscerli, il bambino inizia ad interpretare il suo ruolo.
L’intero repertorio di movimenti del neonato può essere osservato prima della nascita
(Milani Comparetti, 1981), ed oggi si sa che il feto è reattivo a molti stimoli e dà
forma ad una precoce interazione con la madre. A questo proposito sono molto
importanti i ritmi che la madre ed il feto condividono, ma anche la sensibilità della
madre nell’attribuzione di significati al comportamento del nascituro (Fonagy,
Target, 2003). Nell’ultimo periodo della gravidanza, i genitori sono impegnati a
risistemare la casa, a scegliere il nome, a comprare abitini, ad assegnare al bambino
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un temperamento, una personalità e fanno progetti sulla sua educazione (Brazelton,
Cramer, 1991).
Infine degno di nota è anche il contributo di Raphael-Leff (1980), che descrive tre
periodi che ricordano le fasi dello sviluppo evolutivo della Mahler:
- L’inattività vigile (fase autistica normale) corrisponde all’inizio della gravidanza, in
cui la madre si occupa di superare il disorientamento e di raggiungere uno stato di
benessere e simbiosi con il bambino;
- Il secondo stadio riguarda la differenziazione e l’individuazione del feto nella
mente della madre.
- Il terzo ed ultimo stadio termina con il parto e la nascita, che comporta un nuovo
riavvicinamento tra madre e bambino.
3. La nascita di una madre
Per il senso comune, una donna diventa madre quando nasce il suo bambino. Le
cose, però, non sono così semplici, perché il parto corrisponde alla nascita fisica di
una neomamma, ma rappresenta ancora una fase preparatoria, uno dei passi finali
(Stern, 2000). Durante il travaglio e alla nascita, la donna si sente addosso tutta la
potenza della natura e sperimenta un senso di vuoto, una silenziosa euforia, ed un
certo disorientamento, che le impedisce di cogliere i segnali di una profonda
trasformazione e riorganizzazione del suo mondo.
Lo stato psicologico della madre alla nascita di un figlio è particolarmente fragile, in
quanto sperimenta diverse sensazioni:
- la perdita dello stato di gravidanza, che aveva portato benessere, e la perdita di una
parte di sé, che è percepita come una brusca intrusione della realtà dentro un’unità
simbiotica perfetta creatasi in nove mesi;
- la rinuncia del bambino immaginato, che corrisponde ad una forma di protezione
della madre nei confronti del bambino reale;
- la regressione in simbiosi, che consiste nel lasciarsi coinvolgere dal neonato in un
rapporto di simbiosi, facilitato dalla regressione materna (Breen, 1975; Pazzagli et
al., 1981).
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L’elaborazione di queste perdite favorisce il superamento della crisi di identità,
connessa con la gravidanza e la maternità, e la transizione verso nuovi equilibri.
Infatti, il senso di identità si acquisisce nel corso dello sviluppo ed è suscettibile di
processi di rottura e riorganizzazione. Quando si parla di identità vengono
considerati tre diversi aspetti: un’identità sociale, che consiste nel ruolo che ognuno
di noi assume nella società per le sue caratteristiche e specializzazioni; un’identità
fisica data dal proprio aspetto; un’identità psicologica ovvero la personalità e lo stile
comportamentale costante (Jervis, 1998).
La nascita di un figlio modifica le relazioni ed il ruolo sociale, l’aspetto fisico, che
non sarà più come prima, e permette un nuovo riassestamento della personalità.
Inoltre il concetto di identità e quello di crisi/ cambiamento sono contigui: se da un
lato l’identità si struttura sulla base di cambiamenti, dall’altro questi ultimi vengono
affrontati in base a modalità tipiche della propria identità (Ammaniti et al., 2007a).
Il nuovo assetto psichico è definito da Stern (1995) “costellazione materna
primaria” e determinerà una nuova serie di fantasie, paure e desideri. Le condizioni
psicobiologiche e socio-culturali influenzano e modellano la forma della
costellazione materna, che non è innata né universale. La costellazione materna
riguarda soprattutto alcuni aspetti che vengono affrontati sia implicitamente sia
esplicitamente: il rapporto con la propria madre in quanto madre di lei da bambina, il
rapporto con se stessa in quanto madre, ed il rapporto con il suo bambino. Si può
descrivere la costellazione facendo riferimento ad alcuni temi, molto importanti nella
nostra società e che influenzeranno i sentimenti, le azioni, le interpretazioni e le
relazioni della madre.
Il primo tema è quello della “vita e crescita”: la madre deve garantire la
sopravvivenza della specie, dal momento che la riproduzione ha dato vita alla
generazione successiva
1
. Sin dai primi momenti di vita, la madre mostra molta
sensibilità per tutto ciò che riguarda il bambino e vigila, quando il bambino si nutre
(“ha mangiato a sufficienza?”) ed anche quando dorme (“respira bene?”, “riposa
abbastanza?”), affinché possa crescere sano e robusto. La paura di fallire in questo
compito la fa avvicinare alla culla ripetutamente nella notte.
1
Questo tema è prevalente anche per la teoria dell’attaccamento e riguarda la trasmissione genetica
(Bowlby, 1969).
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Il secondo tema è “la relazionalità primaria” e riguarda la capacità della madre di
amare ed impegnarsi in uno scambio socio-affettivo con il bambino. Con il concetto
di relazionalità primaria si intendono le forme di relazioni che il bambino stabilisce
durante il primo anno di vita: legami di attaccamento, che dovrebbero essere
caratterizzati da sicurezza ed affetto, regolazione dei ritmi, trasmissione delle regole
fondamentali per le relazioni umane. Il timore della madre di fallire nel relazionarsi
adeguatamente al bambino è connesso con sentimenti come l’incapacità di amare, la
non generosità, la mancanza di spontaneità e l’inadeguatezza.
Il terzo tema riguarda “la matrice di supporto”, vale a dire il bisogno della madre di
creare una rete di sostegno, protettiva e benevola, che le permetta di realizzare i
primi due compiti. Tradizionalmente, questa matrice di supporto è sempre stata una
rete al femminile e le funzioni principali che essa svolge sono la protezione ed il
sostegno psicologico-educativo. Oggi anche il partner svolge un ruolo necessario per
la protezione e il sostegno del nucleo, ma viene respinto sul fondo quando si parla di
esperienza materna. Infatti, per la trasmissione di principi educativi la madre ha
bisogno di una mamma o nonna amorevole, alla quale far riferimento o con la quale
identificarsi.
Il quarto ed ultimo tema, “la riorganizzazione dell’identità”, è strettamente connesso
agli altri. Questa riorganizzazione è una necessità della madre che deve anteporre i
bisogni e gli interessi del bambino ai suoi e deve perciò cambiare i suoi ritmi, i suoi
investimenti, la gestione del tempo e delle sue risorse. Il bisogno di riferirsi a modelli
affettivi ed educativi è evidente, e la donna tenderà a ripetere l’identificazione con
sua madre. Tutto questo si rivela causa ed effetto del coinvolgimento con le figure
della rete di supporto.
La nuova identità richiede un lungo lavoro mentale, ed è per questo motivo che si
deve considerare la costellazione materna come un organizzatore psichico. Questa
organizzazione è una reazione all’attesa ed alla nascita del bambino, ma può
strutturare aspetti della vita psichica che vanno oltre questa fase. Non si conosce
bene l’esatta natura della costellazione materna (è necessario attendere nuovi
progressi nelle neuroscienze), tuttavia alcuni costrutti, come questo, possono
facilitare lo studio del rapporto madre-bambino e si rivelano utili soprattutto nelle
situazioni problematiche (Stern, 1995).
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3.1. Rappresentazioni materne
Nel periodo della gravidanza molte donne mostrano uno speciale coinvolgimento
con il loro bambino e descrivono momenti intensi, vissuti o fantasticati: gesti
immaginari di calmare e abbracciare il proprio figlio, un particolare dialogo, che
intrattengono con lui, fatto di domande e risposte, vale a dire il “dialogo
immaginario” di cui parla Raphael-Leff (1991), e la condivisione di sogni, pensieri e
sensazioni. Questi momenti rendono evidente la costruzione di una complessa
relazione che madre e bambino vivono sia sul piano interpersonale sia su quello
intrapsichico. L’aspetto interpersonale fa riferimento ai comportamenti manifesti che
vanno a costituire l’interazione madre-bambino, mentre l’aspetto intrapsichico
consiste in delle rappresentazioni relative a come la donna vede se stessa come
madre e come vede il bambino (Stern, 2004). L’attesa e la nascita di un bambino
comportano non solo cambiamenti corporei ma anche la modificazione del mondo
rappresentazionale della futura mamma attraverso l’elaborazione di una nuova
immagine di sé come madre e donna, del bambino e una revisione delle
rappresentazioni riguardanti il periodo infantile (Ammaniti et al., 1995).
Il concetto di rappresentazione è al centro di molti campi disciplinari: in ambito
psicoanalitico la rappresentazione viene considerata un simbolo, che si riferisce o
sostituisce alcuni aspetti del mondo, e viene influenzata dagli affetti e dalle pulsioni
(Mandler, 1983). Mentre in ambito cognitivo ci si interroga su come viene
immagazzinata, elaborata e rappresentata in schemi o frames l’informazione
(Gardner, 1983).
Nell’ambito del paradigma psicoanalitico, Freud (1915) ha definito la
rappresentazione come un investimento della traccia mestica dell’oggetto, e come
una categoria fondamentale dell’esperienza psichica. Sandler e Rosenblatt (1962),
nei loro scritti, hanno precisato che la rappresentazione fa parte di due ambiti
“esperienziale e non esperienziale”: il primo si riferisce alla realtà esperita in termini
di immagini e sentimenti, invece il secondo implica meccanismi, schemi e strutture.
Con l’opera degli studiosi delle relazioni oggettuali, si pone l’accento
sull’importanza della relazione reale, ma anche sulle fantasie materne, che vengono
considerate una delle basi per la costruzione del senso di identità del bambino. A
questo proposito, Winnicott (1956) descrive la preoccupazione materna primaria,
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