3
CAPITOLO PRIMO: La teoria dell’intersezionalità, il regista e il film
1.1. La teoria dell’intersezionalità
La teoria formulata tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta del
Novecento che “permette […] una nuova lettura dei fenomeni […] discriminatori […]
prendendo in considerazione […] i molteplici aspetti che si intersecano nelle esperienze
di discriminazione” (INGRiD) è detta teoria dell’intersezionalità. L’intersecarsi di diversi
sistemi di oppressione non si risolve in una ‘semplice’ somma dei fenomeni
discriminatori, ma dà luogo a forme di discriminazione particolari e specifiche, come
quella che deriva dall’esperienza delle donne nere. L’intersezionalità è stata oggetto di
numerosi dibattiti, saggi critici e studi accademici, ed è stata accolta dal femminismo
cosiddetto ‘intersezionale’ prima e definitivamente abbracciata dal femminismo della
quarta ondata
1
poi, fino a divenire uno dei princìpi cardine degli odierni movimenti di
lotta sociale.
Nel 1989 la giurista Kimberlé Crenshaw conia e adotta per la prima volta il
termine intersectionality nell’articolo “Demarginalizing the Intersection of Race and Sex:
A Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and
Antiracist Politics”, con lo scopo di esplicare il ruolo congiunto e inscindibile ricoperto
dalla discriminazione sulla base della “razza” e del genere – senza dimenticare la classe
sociale d’appartenenza – nell’oppressione delle donne afroamericane all’interno della
società statunitense. A questo proposito nel testo vengono citate e presentate tre azioni
legali
2
, tutte riguardanti casi (poi rigettati) in cui alla discriminazione razzista sul posto
di lavoro ai danni di donne nere corrisponde, al contempo, quella sessista ed in cui la corte
incaricata non è stata in grado di individuare e riconoscere tale combinazione e i suoi
effetti.
Uno dei principali obiettivi di Crenshaw risulta essere, dunque, quello di mostrare
come le donne afroamericane, cariche del fardello di un connubio di esclusioni
interdipendenti e specifiche non riconosciute (“multiply burdened”, Crenshaw 1989,
140), siano state lasciate al di fuori della ‘bolla’ delle convenzionali misure – anche
legislative – di contrasto al razzismo e al sessismo. Viene così posto l’accento su
“l’esigenza di dotarsi di nuovi strumenti […] per comprendere le discriminazioni che
1
Rispettivamente a partire dagli anni Novanta e dal 2010, all’interno del contesto euro-americano.
2
DeGraffenreid contro General Motors, Moore contro Hughes Helicopter Inc., Payne contro Travenol.
4
intersecano diverse dimensioni in maniera specifica” (INGRiD) e sull’urgenza di cessare
di considerare ciascun fattore di marginalizzazione come a sé stante o da inquadrare in
assi separati, tanto in ambito politico-giuridico quanto all’interno degli stessi movimenti
per i diritti sociali e civili: “Neither Black liberationist politics nor feminist theory can
ignore the intersectional experiences of those whom the movements claim as their […]
constituents” (Crenshaw 1989, 166). Tra i rischi di un simile approccio a compartimenti
stagni viene, infatti, paventata la cancellazione e la liquidazione – soprattutto in sede
giudiziaria – della peculiarità dell’esperienza delle donne nere appartenenti a classi
subordinate. L’invisibilità della specifica condizione delle donne nere di classe sociale
subordinata deriva dal fatto che nei casi di discriminazione razziale o sessuale, il ‘focus’
si concentra sulle situazioni dei membri maggiormente privilegiati di uno stesso gruppo,
gli uomini neri o le donne bianche:
In race discrimination cases, discrimination tends to be viewed in terms of sex – or class –
privileged Blacks; in sex discrimination cases, the focus is on race – and class – privileged
women. This focus on the most privileged group members marginalizes those who are
multiply burdened and […] creates a distorted analysis of racism and sexism because the […]
conceptions of race and sex become grounded in experiences that actually represent only a
subset of a much more complex phenomenon. (Crenshaw 1989, 140)
Nel corso dell’articolo, perciò, si insiste a più riprese sulla fondamentale importanza di
un antirazzismo e di un femminismo capaci di porre la prospettiva intersezionale al centro
del proprio attivismo e delle proprie politiche, garantendo alle donne afroamericane
visibilità e una rappresentanza concreta e commisurata alla particolare unicità
dell’oppressione a cui esse sono soggette. “Demarginalizing the Intersection of Race and
Sex” contiene, per l’appunto, una riflessione incentrata sulla netta dicotomia con la quale
le donne nere sono costrette a fare i conti, poiché divise tra una comunità razzializzata
che – a causa del pregiudizio e delle accuse razziste esperiti nel proprio passato e presente,
che assegnavano agli uomini neri il ruolo di stupratori – si mostra riluttante ad abbracciare
le rivendicazioni della lotta femminista ed un femminismo che, venendo a sua volta
influenzato dallo stesso stigma, manca di rispondere adeguatamente alla chiamata della
causa antirazzista:
5
The lynching of Black males […] has historically and contemporaneously occupied the Black
agenda on sexuality and violence. The protection of white female sexuality was often the
pretext for terrorizing the Black community. Even today some fear that antirape agendas may
undermine antiracist objectives. This is the […] dilemma created by the intersection of race
and gender: Black women are caught between ideological and political currents that combine
first to create and then to bury Black women's experiences. (Crenshaw 1989, 159-160)
In anticipo di qualche anno rispetto alla formulazione ufficiale della teoria di Crenshaw,
nel 1981, la medesima questione era stata affrontata da Angela Davis con un intero
capitolo
3
dedicato all’argomento in questione nel saggio Women, race and class – che
viene descritto da Bernice McNair Barnett
4
come “a unique book that traced the history
of gender consciousness, the origins and legacies of the struggle for equal rights […], and
the particular role of Black […] and working class women in various women’s rights
movements in the United States” (Barnett 2003, 12). In esso l’autrice menziona il
linciaggio di uomini afroamericani, sia come pratica punitiva invocata in nome del mito
razzista della sessualità pressoché bestiale di questi ultimi ai danni delle donne bianche,
sia come mezzo “per terrorizzare i lavoratori neri e aumentare le tensioni all’interno della
classe operaia industriale” (Pantaloni 2020, 2). Alle femministe bianche viene, inoltre,
rimproverato di non averne saputo riconoscere – o di averne riconosciuto forse troppo
tardi – “la perniciosità […], portando a campagne contro lo stupro viziate da un contenuto
anti-nero” (Pantaloni 2020, 2). Maturato nel contesto dello “scontro fra suprematismo
bianco […] e nazionalismo nero” e del “rapporto contraddittorio fra il movimento
femminista degli anni Sessanta e Settanta […] e le donne afroamericane” (Pantaloni 2020,
1), il lavoro di Davis si basa “sul presupposto che […] il problema dell’oppressione
sessuale non possa essere combattuto se non si tiene conto allo stesso tempo del problema
dell’oppressione razziale e di classe” (Pantaloni 2020, 6).
Nella prefazione all’edizione italiana dell’opera di Davis edita da Alegre nel 2018,
Cinzia Arruzza individua gli obiettivi primari del lavoro: da una parte
sfatare il mito del matriarcato nero in base al quale le donne nere avrebbero beneficiato di un
potere relativo rispetto agli uomini durante lo schiavismo, mostrando come le condizioni
3
Stupro, razzismo e il mito dello stupratore Nero.
4
Membro fondatore e vice presidente della sezione Race, Gender, and Class dell’American Sociological
Association.
6
proprie della schiavitù […] comportassero anche forme specifiche di oppressione e
sfruttamento delle donne […] da parte degli schiavisti bianchi (Arruzza 2018, 9)
dall’altra “mettere in luce il ruolo dimenticato delle donne nere nelle ribellioni contro lo
schiavismo e nel movimento abolizionista, sfatando il mito […] in base al quale le donne
sarebbero state […] meno propense alla resistenza e alla lotta” (Arruzza 2018, 9), poiché
“la speranza di Davis era che il movimento di liberazione nero ripensasse […] il processo
di liberazione dall’oppressione razziale come al tempo stesso liberazione delle donne
dall’oppressione di genere” (Arruzza 2018, 9).
Ritorna, inoltre, la critica al movimento femminista americano (bianco) mossa
dall’autrice, che nelle parole di Arruzza spiega come “la persistente esclusione delle
donne nere all’interno del movimento suffragista ebbe […] un marcato carattere di classe
e colpì […] le donne della classe operaia” (Arruzza 2018, 11), e, nel farlo, sviluppa “il
tema […] della socializzazione del lavoro domestico come prospettiva di trasformazione
dei rapporti di genere” (Arruzza 2018, 11). Women, Race and Class introduce le questioni
di classe e la condizione delle lavoratrici nere (e non) utilizzando un punto di vista
marxista
5
, col proposito di restituirne un ritratto che approfondisca la correlazione tra il
“capitalismo americano” (Arruzza 2018, 11) e la subordinazione subita dalle donne
afroamericane, a partire dall’istituzione capitalista della Schiavitù, sulla base del lavoro
di produzione e riproduzione (con lo stupro razziale e lo slave breeding), nelle loro
“historically unique, complex, interlocking, and simultaneous experiences as women, as
Blacks, and as workers” (Barnett 2003, 10).
In “Angela Davis and Women, Race, & Class: A Pioneer in Integrative RGC
Studies” Bernice McNair Barnett rimarca questo concetto, definendo il saggio “a
distinctive class analysis that analyzed Black women […] as both producers whose
productive labor on the plantation was exploited and as reproducers whose childbearing
reproductive labor was equally exploited in the slave economy” (Mc Nair Barnett 2003,
13), facendone emergere il carattere ‘pionieristico’ nel campo degli integrative RGC
6
studies: “Women, Race & Class […] made a pioneering contribution to understanding the
multiple […] relations of power, privilege, […] and subordination based on race, gender,
and class” (McNair Barnett 2003, 13-14). Puntualizzando che nel 1981 “the field of RGC
5
Nei capitoli Lavoratrici, donne Nere, e la storia del movimento suffragista e Le donne comuniste.
6
Acronimo di race, gender and class.
7
was a relative barren and unexplored territory” (McNair Barnett 2003, 12), McNair
Barnett illustra come Davis rientri nel novero delle WoC
7
che hanno galvanizzato gli studi
accademici di razza, genere e classe, nonché che sia stata tra i primi studiosi ad adottare
una metodologia critica che prevedesse una visione intersezionale delle tre categorie:
The challenges, critiques, theorizing, research, and teaching by Angela Davis […] generated
a new field of recognized scholarly inquiry often referred to as “integrative race, gender, and
class studies”. This new field provided visibility to and analysis of the “multiple”
“intersections” and “simultaneity” of race, gender, and class relations of power, privilege,
oppression, and domination. […] In 1981, when Women Race & Class was published, Davis
was one of the very “first” and “earliest” scholars to use an integrative RGC analysis […]
and was among those early Black women scholars who produced “new scholarship” that
addressed RGC intersectionality. (McNair Barnett 2003, 16)
L’intersezionalità ante litteram del movimento accademico degli integrative RGC studies,
nato a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta quando “African Americans, Latino-
Chicano Americans, Asian Americans, Native Americans, and others brought the various
civil rights struggles […] into the academy” (McNair Barnett 2003, 8), è ravvisabile nella
stessa storia del movimento:
The establishment […] of African American Studies and other Ethnic Studies […] programs
[…] paved the way for […] racial ethnic women […] to force the gender question in
Black/Ethnic studies (which was challenged as being patricentric, sexist and excluded
women) and to force the race question in Women's studies (which was accused of being
Eurocentric, classist, racist and excluded racial ethnic, Third World, poor, and lesbian
women). (Barnett 2003, 8)
A Black Feminist Statement, pubblicato nel 1977, può a tal proposito “essere considerato
come uno dei documenti politici seminali del femminismo nero americano”, in quanto
“rappresenta una delle prime esplorazioni femministe dell’intreccio di oppressione di
genere, […] razziale e […] di classe” (Arruzza 2018, 10). Si tratta del “manifesto” del
Combahee River Collective, collettivo femminista di donne nere lesbiche di cui McNair
Barnett fa menzione in Angela Davis and Women, Race, & Class: “These […] women
7
Acronimo di Women of Color.