5
Oltre allo spessore teorico dei due autori emergeranno, come
conseguenze dell’analisi dei testi, anche altre realtà delle quali la
frase di Solinas costituisce appunto un’evocativa anticipazione.
Ci riferiamo alla realtà di quel fenomeno culturale, ancora
distante da noi, che è lo sciamanismo (quello tunguso in particolare)
e più in generale, alla realtà del mondo magico. Ricostruiremo la
storia, disegneremo un profilo, “rigeneremo mentalmente” queste
“esperienze culturali” per renderle accessibili alle nostre coscienze.
Più precisamente questa tesi sarà, da una parte un contributo
alla riscoperta di un autore, S. M. Shirokogoroff, insolitamente
dimenticato in ambito accademico, ma che tuttavia, svela a chi
decide di intraprendere la sua lettura, tratti di notevole attualità oltre
che un particolare acume teorico e uno spiccato spirito critico;
dall’altra parte sarà uno studio di quegli scritti demartiniani che oltre
all’originalità delle riflessioni in essi presenti, testimoniano la grande
attenzione, da parte dell’autore italiano, per Shirokogoroff e la
condivisione di molti tratti del suo pensiero.
Il nostro interesse per Shirokogoroff è nato dalla lettura
dell’opera di Ernesto de Martino Il mondo magico
2
, in cui l’autore
russo compare nella doppia veste di fonte documentaria e fonte
interpretativa per lo studio del magismo etnologico, in particolare
dello sciamanismo.
Tra i numerosi lavori di Shirokogoroff, l’opera che ci
accingiamo a presentare in questa sede, salvandola dalla prospettiva
dell’oblio, è il testo del 1935, Psychomental Complex of the Tungus.
3
2
De Martino, E., Il mondo magico, Prolegomeni a una storia del magismo, Torino, Bollati
Boringhieri, 1997, (1° ed. Einaudi, 1948) pp. 279 + LIV.
3
Shirokogoroff, S. M., Psychomental Complex of the Tungus, London, Kegan Paul, Trench,
Trubner & Co., LTD, 1935, (pp. 469 + XVI).
6
Di Shirokogoroff cercheremo di evidenziare la sua
interpretazione dello sciamanismo tunguso, realtà del quale egli
stesso è stato diretto osservatore nei primi decenni del Novecento
riflettendo, oltre che sulle numerose testimonianze etnografiche,
anche sui preziosi insegnamenti di metodo che ci ha lasciato nelle
pagine del testo del ‘35.
Lo studio del complesso sciamanico tunguso costituisce il
motivo di fondo dell’opera di Shirokogoroff, ma non è il solo tema
presente.
Discutendo di sciamanismo, l’autore discute, in effetti, di un
intero popolo, i Tungusi, delle sue strutture sociali, ideologiche,
rituali; discute di un intero sistema culturale e in particolare,
richiamando la sua stessa terminologia, del “complesso
psicomentale” di un popolo intero.
Parlare di sciamanismo tunguso significa parlare del periodo in
cui si è andato formando, ma anche dell’età storica in cui l’etnologo
russo ha condotto le sue indagini; significa rendere conto delle
dinamiche storico-culturali che hanno regolato lo sviluppo del
fenomeno e del gruppo etnico; significa osservare, studiando le
relazioni interetniche, oltre i popoli “altri”, anche noi stessi e la
nostra storia.
Shirokogoroff nel suo testo sviluppa ognuno di questi punti e
altri ancora, componendo un’opera da alcuni definita
“monumentale”.
Nel ripercorrerla cercheremo di esserle fedeli restituendola in
tutta la sua complessità, consapevoli dei tanti contenuti di cui si
sostanzia l’interpretazione dello sciamanismo proposta da questo
studioso.
Il primo capitolo presenta l’autore, ma non essendoci materiale
7
biografico reperibile, cercheremo di tracciarne un identikit a partire
dalla ricostruzione del periodo storico in cui ha vissuto e lavorato. Il
passo successivo ci porterà dentro la polemica teorica e le indicazioni
metodologiche esposte dall’autore nella parte iniziale del suo testo.
Vedremo emergere dalla polemica le sue indicazioni per la
ricerca etnografica e la presa di coscienza dei limiti epistemologici
dell’Occidente nel suo incontro con mondi diversi.
Il secondo capitolo, interamente dedicato alla descrizione e
interpretazione dello sciamanismo tunguso, costituirà il momento
centrale del presente lavoro. Di nuovo ancorando il nostro discorso al
terreno della storia inizieremo, dalla narrazione degli eventi del
passato e di quelli contemporanei agli anni di indagine dell’autore,
un viaggio all’interno dello sciamanismo e del suo rapporto con il
complesso psicomentale tunguso.
Ricostruiremo l’interpretazione psicologica dello sciamanismo
formulata da Shirokogoroff e individueremo le similitudini con la
visione demartiniana dello sciamanismo e del magismo in generale.
Il confronto tra i due autori strutturerà il terzo capitolo. Questa
volta Shirokogoroff sarà analizzato in maniera indiretta, attraverso lo
studio dell’uso fatto, da de Martino, del materiale documentario e
interpretativo presente in Psychomental Complex of the Tungus.
Sposteremo quindi l’attenzione su quei testi di de Martino che
ci hanno suggerito il recupero dell’autore russo poiché in essi
compare il materiale etnologico tratto da Shirokogoroff. Valuteremo
poi la natura e il valore del suo contributo nell’evoluzione del
pensiero demartiniano.
Nel compiere tale riflessione le convergenze tra i due autori si
faranno più evidenti e il ruolo avuto da Shirokogoroff nella
definizione di alcuni concetti demartiniani mostrerà tutto il suo peso.
8
Il confronto svelerà altre assonanze tra i due, che travalicano
l’ambito dello sciamanismo: ad esempio una comune sensibilità per
la riflessione epistemologia e per una visione etica dell’etnologia
intesa come azione civile oltre che scientifica.
Ad avvicinarli è anche la scelta di un oggetto di indagine
controverso, in anni altrettanto controversi. Entrambi studiano e
interpretano lo sciamanismo e il mondo magico rivendicandone la
“normalità”, la funzionalità, l’organicità entro il contesto culturale di
appartenenza, sfaldando nei presupposti stessi, le interpretazioni
ufficiali e più accreditate in ambito accademico.
Sia de Martino che Shirokogoroff si impegnano nella
riscoperta del mondo della magia, dello sciamanismo, delle
popolazioni “primitive”, di quel passato arcaico e di quel tempo
presente, ma ancora “arretrato”, ugualmente giudicati “brutali” e
comunue enigmatici.
Esprimono le loro originali argomentazioni in un periodo in
cui, la Russia comunista degli anni 30 propaganda un futuro libero
dalle superstizioni della magia e della religione e l’Italia della
dittatura fascista e poi del dopoguerra, spinta dalle due opposte
ideologie di quegli anni, lotta sia contro l’irrazionalismo del
“primitivo” coloniale sia contro la supersizione del mondo magico-
religioso.
De Martino restituirà alla storia questo mondo, ne svelerà il
ruolo di fondazione e di genesi del mondo razionale occidentale; farà
assurgere lo sciamano a capo dell’origine dell’umanità, lo
paragonerà a Cristo, ma un Cristo magico, la cui forza non sarà
morale, ma appunto magica.
Shirokogoroff, negli anni del totalitarismo staliniano,
difenderà le pratiche sciamaniche e l’ideologia animista tunguse
9
dalla repressione comunista, si impegnerà per la loro sopravvivenza e
per lasciarne all’Occidente una rappresentazione finalmente fedele e
non pregiudiziale. In questa prospettiva lo sciamano mostra per la
prima volta all’Europeo il suo spessore sociale e culturale, la sua
attività storica e la sua razionalità incontestabili.
Concludiamo allora ricordando il merito, che a nostro parere è
forse il più grande, dei due etnologi: aver saputo restituire dignità e
profondità a fenomeni e popoli spesso illegittimamente espulsi dal
piano della storia e della rilevanza scientifica, onorando in questo
l’antica speranza nel ruolo dell’etnologia coltivata da Luis-François
Jauffret nel 1800 e che ci piace ricordare in chiusura di questa nostra
breve presentazione:
…e meritare che si dica un giorno che la sua fondazione fu
utile nello stesso tempo allo sviluppo della scienza e alla
felicità degli uomini.
4
4
Louis-François, Jauffret, cit. in Fabietti, Ugo, Storia dell’antropologia, Collana di Sociologia,
Bologna, Zanichelli, 1991, p. 2.
10
Capitolo I
S. M. SHIROKOGOROFF: ALLA SCOPERTA DI UN
AUTORE PERDUTO
I.1. Un insolito approccio
I.1.1. Un autore avvolto nel silenzio
Il primo testo, oggetto della nostra indagine, è “Psychomental
complex of the Tungus” di S.M. Shirokogoroff, pubblicato nel 1935.
Sull’autore è purtroppo assente, tra la documentazione a nostra
disposizione, qualsiasi informazione biografica che molto avrebbe
facilitato, se non la sua comprensione teorico-concettuale, per lo
meno il suo inserimento in un preciso contesto nazionale, storico e
scientifico-culturale.
5
Ci avrebbe consentito di percorrere un excursus nel passato
formativo, accademico ed esistenziale di un autore certamente acuto
e brillante, capace di suscitare interesse nel lettore sin dalle prime
pagine.
Il motivo è in quel suo deciso richiamo, nella prefazione e
nell’introduzione, ad un rigore teorico e metodologico dell’etnografia
cui fa seguito una pungente disamina delle più note teorie
scientifiche nel campo delle scienze umane in generale.
5
Le ricerche bibliografiche da noi svolte non hanno portato ad alcun utile risultato. Le fonti
esaminate in tal senso sono: l’Enciclopedia Treccani, l’Enciclopedia Britannica, l’Enciclopedia
delle religioni. Poche le informazioni biografiche ed i richiami critici tra quegli autori che pure
hanno largamente utilizzato le osservazioni di Shirokogoroff sullo sciamanismo tunguso nei
propri lavori. In tal senso gli studiosi cui ricorreremo nel corso della trattazione saranno: E. de
Martino, I. M. Lewis, R. Mastromattei, S. Cannarsa, J. V. Bromlej, per i giudizi e le
informazioni, anche se non sempre approfondite, che ci forniscono sul nostro autore.
11
Ma su tutto ciò rifletteremo con ordine tra breve essendo,
forse, questa riflessione, l’unica possibilità a noi data di conoscere un
autore fatalmente dimenticato e rimasto misteriosamente ai limiti
dell’interesse dei circuiti accademici.
Prima di addentrarci nell’analisi del testo e nella dissertazione
degli argomenti trattati al suo interno crediamo quindi doveroso
soffermarci su questa parte iniziale, per offrire un pur minimo tributo
ad un lungimirante, solido teorico e per diversi motivi “precursore”
delle nuove tendenze etnografiche del XX sec.
Cercheremo allora, seguendo una via indiretta, in assenza delle
consuete coordinate biografiche, di situare il nostro autore a partire
dalle poche date di riferimento rintracciabili nel testo e sulla base
delle sue critiche al mondo scientifico.
I.1.2. Gli anni dell’indagine (1912-1935)
Il libro è stato scritto tra il 1933 ed il 1935, ma alla stesura
precedette una lunga permanenza dell’autore tra i popoli Tungusi e
Manciù dell’Asia centro-settentrionale, iniziata nel 1912 e terminata,
tra diverse interruzioni, nel 1918.
Gli anni del lavoro sul campo coincidono con uno dei periodi
forse più significativi per la storia dell’umanità: “furono un’età in cui
la rivoluzione era una possibilità sempre incombente e a volte
attuata.”
6
6
Hobsbawm, Eric J., The Age of Empire.1875-1914, s. l., 1987, (trad. it., di Franco Salvatorelli,
L’età degli imperi. 1875-1914, Cles (TN), Mondadori, 1° ed. 1996, p. 317 )
12
Una forte tensione era presente in special modo in quei Paesi
dove il nostro autore stava indagando: i vasti territori dell’impero
russo e dell’impero cinese.
I.1.3. Lo sfondo storico (1911-1949)
Brevemente cercheremo di riportare alla memoria gli eventi
più incisivi del periodo nei luoghi del nostro interesse.
La Cina riesce, nel 1911, dopo secoli di dominio straniero a
liberarsi del potere imperiale della dinastia Manciù entrando, con la
sua demolizione e con il conseguente declino del Confucianesimo, in
un secolo che la vedrà più volte infiammata dagli animi
rivoluzionari.
Questo primo atto di forza aprirà la strada ai noti avvenimenti
del 1919 (il cosiddetto “Movimento del 4 Maggio”) e del 1949,
quando la guerra civile porterà alla fondazione della Repubblica
popolare cinese.
7
L’eco degli avvenimenti russi del 1917, giunta fino in Cina, fu
il motore che accese la rivolta del 1919; diede l’esempio da seguire,
portò con sé l’ideologia che avrebbe fondato e in seguito sostenuto la
Repubblica di Mao tse-tung.
La realtà russa diversamente, si movimentò soltanto nel 1917,
quando proletari e contadini, guidati dai bolscevichi, riuscirono a
soverchiare definitivamente l’impero zarista lasciando il campo al
futuro comunismo, leninista prima, stalinista in seguito.
7
Schreiber Hermann, Die Chinesen, Wien und Dusseldorf, Econ Verlag GmbH, 1978, (trad. it.,
di Gianni Pilone Colombo, La Cina , tremila anni di civiltà, Milano, Garzanti, 1984, 1° ed. 1980,
pp.259-260.)
13
Il valore storico della rivoluzione russa è nell’essere stata la
fiamma che ha saputo infuocare l’intera politica mondiale e
condizionare tutti i rapporti internazionali, nel bene e nel male.
Shirokogoroff ha lavorato all’interno di questa cornice storica,
sicuramente influenzato dagli umori diffusi, rivoluzionari o
conservatori, bellici o illuminati, dispotici o rassegnati.
Forse, vivendo in quegli anni nei poco abitati spazi della
Siberia, ha respirato soltanto le conseguenti dinamiche che gli eventi
politici e sociali hanno innescato all’interno dei gruppi tungusi e
manciù; dinamiche di mutamento degenerativo del sistema sociale,
religioso, culturale, di ciò che Shirokogoroff definisce “complesso
psicomentale”.
8
La trasformazione, o meglio la disintegrazione, dei sistemi
etnici tradizionali, indotta coattamente dalle nuove autorità
comuniste, si fa più evidente e corposa avvicinandosi alla metà del
secolo, in particolare per la realtà sciamanica, più vicina ai nostri
interessi e di cui tratteremo più avanti.
E’ lo stesso Shirokogoroff, in relazione alle pratiche
sciamaniche, che ricorda come, in effetti, nel 1912-1913 i Tungusi
fossero, dopo anni di violente persecuzioni cristiane, finalmente
liberi di sciamanizzare segno questo, di una minore durezza da parte
delle autorità ecclesiastiche ed imperiali (1935: 390-391).
8
Dell’argomento tratteremo dettagliatamente in seguito (cfr. I.2.2.) essendo il “Complesso
Psicomentale” la categoria concettuale centrale in S. per l’interpretazione dei fenomeni
etnografici.
14
I.2. Dal terreno storico al campo teorico
I.2.1. La trasformazione dell’etnografia
Altrettanto rilevante il quadro teorico-ideologico nel quale il
nostro autore realizza le sue ricerche e sviluppa il suo pensiero.
Shirokogoroff apre la sua monumentale opera sui Tungusi con
dense pagine relative ai problemi che hanno ostacolato nel corso del
suo cammino la crescita dell’etnografia, pur consapevole degli
apporti dei molti studiosi del passato che, al contrario, hanno
enormemente contribuito al suo avanzamento.
La situazione dell’etnografia agli albori del XX sec. è quella di
una scienza matura, ma allo stesso tempo bisognosa di una solida
base teorica capace di regolarne il lavoro di indagine: lo scopo è di
evitare lo svilimento della materia in una improduttiva, dal punto di
vista scientifico, collezione di dati, priva sia di un’adeguata ipotesi
teorica che dirige l’osservazione, sia di una chiara conoscenza della
metodologia (1935: VI).
Il carattere anticipatorio di Shirokogoroff su questo punto è
illustrato dal seguente esempio, una citazione da un articolo del 1972
di R. Smith:
Rimanere abbarbicati all’idea baconiana per la quale, se uno
raccoglie un numero sufficiente di dati e li presenta abbastanza
chiaramente, presto o tardi qualcosa di valore teorico finirà per
fare capolino da sé. Ma il fatto è che si sono fatte ormai
infinite raccolte di questo tipo e gli indici si sono ingrossati a
furia di rinvii incrociati e di note comparative e tuttavia un bel
15
prezioso niente ne è venuto fuori finora.
9
Si comprende da queste parole quanto ancora, in anni recenti,
il tema sollevato da Shirokogoroff ad inizio secolo sia fonte di
dibattito e riflessione; Robert Smith ha focalizzato con forza nelle
affermazioni sopra riportate -forse eccessivamente polemiche ed
estremiste- la riflessione sul pericolo di un procedimento empirico
avulso dal piano delle ipotesi e delle teorie, o meglio, inteso come
base della costruzione teorica.
Su questo tema, la posizione di Shirokogoroff ci appare molto
interessante, poiché espressione di un nuovo bisogno dell’etnografia
dei suoi anni: il bisogno di creazione di un proprio retroterra teorico
che sappia organizzare e condurre questa disciplina incontro al
futuro.
Per Shirokogoroff solamente l’etnologia può assumersi tale
ruolo essendo,
(…) the theory of ethnographical variations and of ethnical
unit, with a special part dealing with the definition of the
present state of ethnology in the system of knowledge
(science), and principles of classification, which covers all
manifestations of human existence and treats them not in
abstractions, but in complexes and individuals, as they are
observed in life (1935: VIII).
Il compito fondamentale dell’etnografia è giungere
allacomprensione dei meccanismi interni dei sistemi culturali (1935:
VIII), pur restando “a descriptive science (…) a specialized study of
secondary adaptation going on and preserved only in groups- the
9
Smith, Robert, “Folktales of Mexico”, Journal of American Folklore, 84-86, 1972, cit. da
Bianco, C., Dall’evento al documento, Roma, CISU, 1994, 1°ed.1998, p.59.
16
ethnical unit.” (1935: X).
Nel XIX secolo i progressi dell’etnografia sono stati enormi,
sia per il perfezionamento dei metodi di indagine, sia per la mole di
lavori prodotti tra le numerosissime unità etniche della terra (in
questo il contributo degli evoluzionisti è stato grande (1935: XI), al
di là delle critiche che lo stesso Shirokogoroff gli muoverà). Tutto
ciò ha ampliato la conoscenza antropologica, ma questa crescita ha
portato con sé anche nuovi doveri per gli etnografi moderni:
(…) the observer cannot be a naive romantic who is looking
for exotic facts and situations unforeseen by the European
complex; he cannot let himself to be carried away by
imagination for heaping artificial constructions, perhaps
satisfying one’s aesthetic feeling, but perfectly useless, even
dangerous, for the science; he also cannot become a collector
who has no other aim but “collecting” (…). Ethnography has
ceased to be a “science about primitive tribes” which has
nothing to do with “civilized mankind” (1935: V).
L’etnografo deve quindi essere in possesso di ampie
conoscenze teoriche, preliminari al momento dell’osservazione, ma
anche abile nell’utilizzo dei nuovi metodi di indagine senza lasciar
cadere mai il nesso tra le due fasi della ricerca (1935: VI); allo stesso
tempo deve superare il pregiudizio tutto evoluzionista di trovarsi in
presenza di popoli primitivi, ‘immobilizzati’ in quello che
presumibilmente fu il nostro lontano passato, e comprendere di
essere di fronte a “‘living’ complexes, as complexes in their
functional and historical aspect.” (1935: V).
La prima metà del XX secolo è il periodo in cui le vecchie
concezioni evoluzioniste ed i relativi metodi di ricerca
(essenzialmente storico-ricostruttivi), declinano sotto la spinta
17
innovativa dei nuovi indirizzi funzionalisti e delle nuove correnti
diffusioniste.
Questo passaggio implica l’adesione delle ultime generazioni
di antropologi a nuove premesse teoriche e metodologiche i cui
principali postulati sono la realizzazione di indagini di tipo
“olistico”, con l’adozione di un’“ottica sincronica”, e il ricorso al
metodo dell’osservazione partecipante.
10
Sarà quest’ultima l’elemento che trasformerà la vecchia
etnografia di stampo evoluzionistico; il ricercatore riuscirà a studiare
“dall’interno” i gruppi etnici e soprattutto “con un forte livello di
coinvolgimento ideativo e operativo nell’insieme della vita
sociale”.
11
Shirokogoroff è certo dell’indispensabilità di un tale approccio
alla realtà indagata (in sintonia con i postulati funzionalisti) di
conseguenza è critico verso quegli studiosi di fatto impegnati nella
ricerca di una legittimazione empirica a teorie aprioristiche e
null’altro:
However, a great deal of correctness of observation depends
on the observers themselves (…) some of them cannot go
further than the first impression of diversity of a new unknown
complex, as compared with the known one, while in some
observers the pre-existing theories may serve as a sieve
through which only selected facts will be allowed to pass
(1935: 241).
Quella espressa da Shirokogoroff è di certo un’esigenza che
attraversa tutta la storia dell’etnografia.
10
Bianco, C., op. cit. p. 22 sgg.
11
Bianco, C., op. cit. p. 25.
18
Anticipatorie in questo senso, appaiono ai nostri occhi le
parole dei membri della Société des Observateurs de l’Homme
riguardo il lavoro di ricerca sul campo, “…diventare, in un certo
modo, come uno di loro, apprendere la loro lingua e diventare loro
concittadini”
12
.
Analoghe potrebbero essere allo stesso tempo le parole di
Shirokogoroff che più volte si sofferma sull’importanza della
conoscenza della lingua parlata dal gruppo indagato in quanto chiave
di accesso alla comprensione della vita del gruppo e specialmente
alla conoscenza del complesso psicomentale,
In the process of gathering preliminary information, before
reaching the goal of investigation, the investigator has to go
through the difficulty presented by an unknown language
(1935: 2).
La comprensione del linguaggio è il primo passo verso la
conoscenza reciproca e la condivisione del sapere,
When an investigator does not speak the language of the
people investigated, the Tungus leave him alone with his
erroneous identification, for they are not able to explain the
matter in terms of an alien (e. g. Russian) complex. The same
would happen in case the investigator, even speaking their
language, should approach Tungus with his own ready made
conception
(1935: 51).
12
Degerando, J.M., The Observation of Savage People, Londra, Routledge and Kegan Paul,
1969: 70, orig. 1800, cit. da Bianco, C., op. cit. p. 21.