2
le grandezze sperimentali (parametro di ritenzione, segnale del rivelatore)
e le caratteristiche analitiche del campione.
Verranno affrontati dal punto di vista ottico e strumentale i problemi
relativi alla messa a punto e all’applicazione del metodo senza standard a
sistemi di frazionamento in campo gravitazionale e flusso (GrFFF)
associati a rivelatori ultravioletto-visibile (UV-Vis).
3
Capitolo 1 - Le tecniche di Frazionamento in Campo-Flusso
(FFF)
1.1 Principi e configurazione strumentale
La strumentazione FFF si configura essenzialmente come un tradizionale
sistema per cromatografia liquida (figura 1.1): la pompa, l’iniettore, il
rivelatore, gli strumenti analogici e digitali di acquisizione del segnale sono
derivabili da un normale sistema HPLC. Ciò che caratterizza i sistemi FFF
è l’elemento separatore, costituito da un canale capillare a sezione
rettangolare, all’interno del quale scorre il flusso di eluente. Il meccanismo
di frazionamento è a fase singola, in quanto il canale non contiene una fase
stazionaria. Il campione viene frazionato dall’azione combinata del flusso
laminare di eluente e di un campo esterno applicato in direzione
perpendicolare al canale.
sezione trasversale
del canale FFF
Pompa
Iniettore
Flusso
Canale
FFF
Fase
mobile
0.123
IN
OUT
Collettore frazioni
Rivelatore
UV-Vis
Registratore
Acquisizione dati
Campo
Figura Capitolo 1 .1 - Schema strumentale FFF
4
1.2 Sottotecniche e campi di applicabilità
Le tecniche FFF permettono di separare e caratterizzare campioni di varia
origine in un intervallo di peso molecolare di oltre 15 ordini di grandezza.
Questa notevole versatilità è dovuta soprattutto alla possibilità di cambiare
la natura del campo di forza o del gradiente applicato. Si distinguono così
varie sottotecniche, con diverse caratteristiche costruttive del canale, che
realizzano la separazione in base a differenti proprietà chimico-fisiche dei
campioni.
Lattici polimerici
Colloidi inorganici
Pigmenti, nero di carbone
Virus
Liposomi
DNA, RNA, Ribosomi
Colloidi inorganici
Pigmenti organici
Polimeri idrosolubili
Lattici polimerici
Proteine, complessi proteici
Virus
Polistireni lineari
Polimeri lipofili
Greggio e asfalteni
Proteine
Fasi cromatografiche
Cellule, sangue
Cellule, lieviti
GrFFF
ElFFF
ThFFF
FlFFF
SdFFF
2 6 10 14
Log M
Figura Capitolo 1 .2 - Campi di applicabilità delle sottotecniche FFF
Le principali sottotecniche FFF, i cui campi di applicazione sono mostrati
in figura 1.2, sono:
− Thermal FFF (ThFFF): campo termico. Il campo è generato da un
gradiente di temperatura creato da due blocchi ad alta conducibilità
termica, i quali costituiscono le pareti stesse del canale.
5
− Electrical FFF (ElFFF): campo elettrico. Il campo elettrico genera la
separazione in dipendenza della carica assunta dalle diverse particelle.
− Flow FFF (FlFFF): flusso secondario. Un secondo flusso è applicato in
direzione perpendicolare al flusso principale e attraversando
trasversalmente il canale trascina il campione verso la parete di
accumulazione.
− Sedimentation FFF (SdFFF): campo di sedimentazione centrifugo. Il
canale è ripiegato circolarmente e posto in rotazione all’interno di una
centrifuga; si crea così in direzione perpendicolare al flusso della fase
mobile una forza centrifuga, che costituisce il campo applicato.
− Gravitational FFF (GrFFF): campo gravitazionale terrestre. È una
sottotecnica della SdFFF per analogia con il tipo di campo applicato,
anche se esistono differenze nel modo di operazione. Si tratta di una
tecnica molto semplice e poco costosa perché utilizza come campo
applicato la sola gravità terrestre. La GrFFF è la metodica scelta per
questo lavoro di Tesi.
6
Capitolo 2 - Analisi dimensionale quantitativa in FFF
2.1 La sottotecnica GrFFF
Il canale GrFFF (figura 2.1) si può costruire molto semplicemente in
laboratorio ritagliandone il profilo su un foglio di Mylar, Teflon o altro
materiale plastico, di alcune decine di micron di spessore. Il foglio viene
stretto fra due lastre di vetro o plastica, che costituiscono le pareti del
canale, e il tutto viene chiuso fra due blocchi di Plexiglas fino a garantire la
tenuta idraulica.
Figura Capitolo 2 .1 - Spaccato di un canale GrFFF
Il canale GrFFF si può sostituire direttamente alla colonna in un
apparecchio HPLC, realizzando a costi estremamente contenuti un
efficace sistema di frazionamento per dispersioni di particelle
supermicroniche. È stato dimostrato
2
che le analisi di distribuzione
dimensionale realizzate in GrFFF offrono una accuratezza confrontabile a
7
tecniche a maggior costo, quale il laser scattering, ed una risoluzione
decisamente superiore, grazie alla natura separativa della FFF.
3
La conversione di un picco frattografico FFF (figura 2.2) in distribuzione
dimensionale si basa sulla relazione fra il rapporto di ritenzione e il
diametro delle particelle eluite. Il frazionamento in campo-flusso è, in
linea di principio, una tecnica a calibrazione assoluta, in quanto tale
relazione è esattamente prevedibile dallo studio del meccanismo di
eluizione.
A
tempo (s)
0 1000 2000
3000 4000 5000
-0,002
0,000
0,002
0,004
0,006
0,008
0,010
0,012
0,014
t
r
t
0
Figura Capitolo 2 .2 - Picco frattografico GrFFF
Le dimensioni di un canale FFF, che avendo lunghezza e larghezza molto
maggiori dello spessore è assimilabile ad un capillare a piatti paralleli ed
infiniti, consentono di assumere per l’eluente un flusso di tipo laminare. Il
profilo di velocità è dunque di tipo parabolico:
()
vx v
ww
= ′ ″−
♣
♥
♦
•
≠
÷
61
xx
(2.1)
dove x [cm] è la distanza dalla parete a più basso potenziale, detta parete di
accumulazione, v [cm s
-1
] è la velocità lineare dell’eluente, <v> [cm s
-1
] è la
8
velocità media su tutta la sezione del capillare, w [cm] è lo spessore del
capillare. In generale in FFF le particelle del campione eluiscono ad una
altezza determinata dall’equilibrio fra forza esercitata dal campo e moti
browniani nel fluido (modo normale di eluizione). Per campioni di elevata
densità e dimensioni al di sopra del micron, per i quali sono trascurabili i
moti diffusivi, il campo gravitazionale è però sufficiente a portare le
particelle a contatto con la parete di accumulazione. In queste condizioni,
che definiscono il modo ideale sterico di eluizione, la velocità delle particelle
è quella del filetto di fluido che scorre ad altezza pari al raggio
idrodinamico della particella stessa (figura 2.3). Si ha quindi:
()
va v
a
w
a
w
= ′ ″−
♣
♥
♦
•
≠
÷
61
(2.2)
dove a [cm] è il raggio e v(a) [cm s
-1
] è la velocità della particella.
a
Profilo
parabolico
di flusso
PARETE DI ACCUMULAZIONE
w
CAMPO
Figura Capitolo 2 .3 - Meccanismo sterico di eluizione
Esprimendo il rapporto di ritenzione R come rapporto fra la velocità del
campione e quella dell’eluente, risulta:
R
va
v
a
w
=≅
()
()x
6
(2.3)
9
La (2.3) è rigorosamente valida solo in un caso ideale: in condizioni reali
infatti l’esistenza di effetti idrodinamici e di interazioni particella-parete
rende necessaria l’introduzione di un parametro di correzione γ, che può
essere determinato per calibrazione dalla pendenza di una retta di
regressione lineare di R in funzione di a.
R
a
w
= 6γ
(2.4)
2.2 La GrFFF per l’analisi dimensionale
La relazione fra diametro d [cm] delle particelle e volume di ritenzione si
ricava dall’espressione (2.4) esplicitando R come rapporto fra volume di
ritenzione V
r
[cm
3
] e V
0
[cm
3
]:
d
wV
V
r
=
0
3
1
γ
(2.5)
La funzione di frequenza di massa F
m
si può così ottenere dal frattogramma
sperimentale digitalizzato a partire dalla definizione:
F
m
d
m
V
V
d
mi
i
i
i
ri
ri
i
,
,
,
==
δ
δ
δ
δ
δ
δ
(2.6)
dove δm
i
/δV
r,i
è la concentrazione in massa all’i-esimo punto digitalizzato,
δV
r,i
e δd
i
sono le differenze in volume di ritenzione e diametro delle
particelle fra l’i-esimo e lo (i-1)-esimo punto. La differenza δd
i
può essere
calcolata per un dato δV
r,i
dall’equazione (2.5). Assumendo che il segnale
del rivelatore sia direttamente proporzionale alla concentrazione in massa
del campione, si ha:
F
V
d
mi
ri
i
,
,
∝⋅(segnale)
δ
δ
(2.7)
10
Tenendo conto del volume e della densità ρ [g cm
-3
] delle particelle, si può
ricavare infine la funzione di frequenza numerica F
n
:
F
n
dd
F
ni
i
ii
mi,,
==
δ
δρpi
6
3
(2.8)
2.3 Sviluppi quantitativi con rivelatori UV-Vis
La possibilità di trasformare un sistema HPLC in una strumentazione FFF
ha reso conveniente finora mantenere per queste metodiche lo stesso
rivelatore utilizzato nella cromatografia tradizionale, che è tipicamente uno
spettrometro UV-Vis a flusso. L’utilizzo di questo tipo di rivelatore offre
molteplici vantaggi in termini di costi e semplicità operativa, ma introduce
una importante complicazione nell’interpretazione del segnale analitico.
Una misura UV-Vis su sistemi colloidali o dispersi è una misura
turbidimetrica, che dipende in modo complesso, secondo la teoria dello
scattering, dalle dimensioni e dalle proprietà fisiche delle particelle, nonché
dalla lunghezza d’onda della luce incidente e dal mezzo disperdente.
Risolvere il problema della torbidità richiede nel caso generale
l’applicazione della teoria dello scattering di Mie, la cui soluzione mediante
un complesso lavoro di calcolo numerico ne rende difficile l’inserimento
in un contesto procedurale di automatizzazione e riduzione dei tempi di
analisi. La definizione di una relazione esatta fra torbidità e
concentrazione è peraltro necessaria allo sviluppo di applicazioni
quantitative quali gli studi di recupero, di grande importanza per
l’ottimizzazione strumentale e gli utilizzi preparativi della FFF. È già stato
inoltre mostrato come, per definire la funzione di distribuzione
dimensionale (equazione 2.7), sia necessario conoscere la dipendenza dal
segnale della concentrazione.
2
Da queste considerazioni risulta evidente la
necessità di cercare modelli per l’interpretazione del segnale turbidimetrico
UV-Vis che, nel limite di precise condizioni di applicabilità, consentano
un approccio semplificato all’analisi quantitativa.
11
Principi teorici
Capitolo 3 - Analisi quantitativa senza standard
3.1 Legge di Lambert-Beer per sistemi a flusso
La cella di un rivelatore HPLC costituisce un sistema a flusso all’interno
del quale la concentrazione dell’analita e l’assorbanza, messe in relazione
dalla legge di Lambert-Beer, sono funzioni del tempo:
A tbct() ()= ε (3.1)
dove t è il tempo [s], A(t) è l’assorbanza, ε [cm
2
mol
-1
] è l’assorbività,
b [cm] è il cammino ottico della cella e c(t) [mol cm
-3
] è la
concentrazione.
A condizione che l’analita sia uniformemente distribuito su piani
perpendicolari al raggio di luce incidente e che quest’ultimo sia costituito
da raggi paralleli omogeneamente distribuiti, la quantità assoluta di analita
che eluisce dal sistema è espressa dalla relazione:
4
AF
b
N
ε
=
0
(3.2)
dove A [min] è l’area del picco, F [cm
3
min
-1
] il flusso di eluente, N
0
[mol]
la quantità di campione in uscita dal sistema. Questa espressione permette
di ricavare la quantità di campione eluito dalla misura dell’area di un
singolo picco cromatografico, nota l’assorbività ε.
Se il campione eluito è un sistema colloidale o disperso, il rivelatore UV-
Vis opera come turbidimetro, in quanto la luce incidente può essere sia
assorbita dal campione, sia deviata dalla direzione d’incidenza a causa
dell’interazione ottica (rifrazione, diffrazione) con le particelle. La torbidità
τ [cm
-1
], determinata dalla somma dei suddetti fenomeni di estinzione, è
definita dalla relazione:
12
τ ==
1
2303
0
b
I
I
A
b
ln .
(3.3)
dove I
0
è l’intensità della luce incidente ed I della luce trasmessa.
Assumendo per la torbidità una dipendenza dalla concentrazione di tipo
Lambert-Beer, si può scrivere una relazione analoga alla (3.1)
τ = 2303. K c (3.4)
introducendo il coefficiente di estinzione K [cm
2
g
-1
] al posto
dell’assorbività. La validità dell’equazione (3.4) deve essere dimostrata,
verificando attraverso misure di calibrazione che il coefficiente di
estinzione K sia indipendente dalla concentrazione. In questo caso, nelle
stesse condizioni di validità della (3.2), si ha la relazione:
AF
b
N
K
=
0
(3.5)
dove N
0
[g] è la massa del particolato eluito.
3.2 Analisi quantitativa senza standard e assoluta
Nelle condizioni di validità dell’equazione (3.4), da questa è possibile
misurare K per calibrazione e calcolare la quantità di analita eluito dalla
misura dell’area di un singolo picco cromatografico, applicando
l’equazione (3.5). Questo tipo di analisi quantitativa è detto senza standard,
in quanto esiste una relazione esatta tra il segnale del rivelatore e la
quantità di analita. Si è invece in condizioni di analisi quantitativa assoluta
quando tutte le grandezze necessarie a ricavare il dato analitico sono
prevedibili a partire dalle caratteristiche chimico-fisiche dell’analita, senza
preventive calibrazioni. Nel nostro caso, per poter eseguire una analisi
assoluta, è necessario trovare una legge che permetta di calcolare il
coefficiente di estinzione K, che costituisce l’unico coefficiente incognito.
13
Questo è possibile ricorrendo alla teoria dello scattering della luce in
dispersioni di particelle.
3.3 Torbidità di sistemi dispersi
La teoria di Mie, formulata nel 1908,
5
fornisce una relazione fra la
torbidità e il numero di particelle disperse per unità di volume, che nel
caso di particelle sferiche prende la forma
τpi= aNQ
ext
2
(3.6)
dove N è il numero di particelle per unità di volume e Q
ext
(efficienza di
estinzione) è un parametro che dipende dalle caratteristiche delle particelle
e della luce incidente. Per Q
ext
= 1 l’espressione di Mie riconduce ad un
semplice modello di ostruzione geometrica, in cui si assume che luce
rimossa dal raggio incidente sia esattamente quella che colpisce la
superficie della particella.
Combinando le due espressioni per la torbidità (3.4) e (3.6) si ottiene,
dopo semplice riarrangiamento:
K =
033.
a
Q
a
ext
ρ
(3.7)
dove ρ
a
[g cm
-3
] è il rapporto fra la massa della particella e il volume di una
sfera di raggio pari a quello della particella stessa.
Il problema della analisi assoluta si riconduce quindi al calcolo della
efficienza di estinzione, che verrà affrontato per il caso di particelle
sferiche di diametro almeno dieci volte maggiore rispetto alla lunghezza
d’onda della luce incidente.
14
Capitolo 4 - Scattering della luce in dispersioni di particelle
supermicroniche
4.1 Efficienza di estinzione per particelle sferiche
Per una particella di forma arbitraria, colpita da un raggio di luce di
intensità I
0
, la sezione d’urto di estinzione C
ext
è definita come la superficie
sulla quale incide l’energia luminosa che la particella rimuove dal raggio.
Il rapporto fra la sezione d’urto di estinzione e la sezione geometrica G
della particella è l’efficienza di estinzione Q
ext
:
Q
C
G
ext
ext
= (4.1)
La teoria di Mie fornisce l’espressione generale di Q
ext
per particelle
sferiche in funzione del raggio a [cm], dell’indice di rifrazione relativo m e
della lunghezza d’onda λ [cm] della luce nel mezzo. L’indice m è definito
dal rapporto fra gli indici di rifrazione della particella µ
p
e del mezzo
disperdente µ
m
, mentre la lunghezza d’onda della luce nel mezzo λ è
uguale a λ
0
/µ
p
con λ
0
la lunghezza d’onda nel vuoto:
[]
Q
x
imim
ext
=+
≥
1
2 12
0
(,) (,)senωωωω
pi
d
(4.2)
dove ω è l’angolo di diffrazione e i
1
(ω,m) e i
2
(ω,m) sono le componenti
polarizzate su piani perpendicolari della intensità del raggio diffratto in
direzione ω. Poiché il calcolo delle i(ω,m) si basa sulla soluzione delle
equazioni di Maxwell per il sistema luce incidente-particella, si dimostra
che l’equazione (4.2) può essere risolta solo per via numerica, con l’ausilio
di elaboratori elettronici e complesse routine di calcolo.
È tuttavia possibile ottenere espressioni semplificate per Q
ext
, ponendo
opportune condizioni limite alle dimensioni e alle proprietà ottiche delle
particelle. Il caso più semplice è quello in cui le particelle abbiano
15
dimensioni molto maggiori rispetto alla lunghezza d’onda della luce
incidente. In questo caso il valore limite dell’efficienza di estinzione si può
ricavare da un semplice esperimento concettuale.
6
Si immagini di sostituire
la particella con un disco nero, della stessa forma e dimensione del profilo
geometrico della particella. Il fronte d’onda al di là del disco è identico a
quello che passa al di là della particella. Si sostituisca poi il disco con uno
schermo assorbente, che ostruisca completamente il fronte d’onda ad
eccezione di un foro della stessa forma e dimensioni del disco stesso.
Questi due esperimenti danno entrambi origine ad un’onda piana
parzialmente schermata, e la perturbazione in ogni punto dello spazio può
essere derivata dal principio di Huygens. È però facile notare che la
somma dei due fronti d’onda ricostruisce il fronte imperturbato, ovvero
che le due perturbazioni sono uguali in modulo ed opposte in segno. I
loro quadrati, che determinano l’intensità della luce diffratta, sono uguali.
Questo risultato, noto come principio di Babinet, consente di ricavare
l’efficienza di estinzione per una particella di dimensioni sufficientemente
grandi, attraverso semplici considerazioni sull’energia della luce incidente.
Tutta l’energia che cade sulla particella è infatti deviata o assorbita, cioè in
ogni caso rimossa dall’onda. Questo dà luogo a una sezione d’urto pari a
G. Inoltre si deve considerare il profilo di diffrazione, che per il principio
di Babinet è uguale a quello generato da un foro di superficie G. Se il
diametro della particella è molto maggiore della lunghezza d’onda della
luce incidente, la luce diffratta si concentra a basso angolo, e si possono
trascurare tutti i fenomeni di interferenza con la luce rifratta. La sezione
d’urto totale è dunque semplicemente la somma dei due contributi, e
l’efficienza di estinzione totale è pari a due.
Può sorprendere il fatto che una particella di dimensioni arbitrariamente
grandi rimuova dall’onda incidente esattamente il doppio della luce che
incide sulla sua sezione d’urto. Questo risultato è noto infatti come
paradosso di estinzione, ma il suo carattere paradossale è solo apparente e può
essere superato se si considerano le assunzioni che si sono poste per
ricavarlo.