Capitolo 2 Inquadramento geologico
9
Capitolo 2 - INQUADRAMENTO GEOLOGICO
L’area di studio comprende diversi ambienti geologici. Si passa dai sedimenti terrigeni del Quaternario
nella Pianura Padana ai metagraniti della cupola di Verampio, considerato elemento zero delle falde
Pennidiche secondo Argand. Lungo i versanti della Val d’Ossola in particolare si può osservare con
continuità una sezione completa del basamento delle Alpi Meridionali e l’intera catena Alpina a
vergenza europea, ad eccezione della Zona Elvetica.
Dal punto di vista geo-morfologico si possono individuare due ambienti principali: l’area di pianura e
l’area alpina, che viene distinta dal punto di vista strutturale in Alpi Meridionali (Sudalpino) e catena
Alpina in senso stretto (Catena Alpina a vergenza europea).
2.1 AREA DI PIANURA
La Pianura Padana rappresenta un bacino sedimentario compreso tra i due archi della catena Alpina ed
Appenninica colmato da una coltre di depositi alluvionali terrigeni del Pliocene-Quaternario trasportati
dal fiume Po e dai suoi affluenti.
Durante le fasi orogenetiche terziarie il bacino padano costituiva un grande golfo la cui superficie è
andata progressivamente riducendosi.
Nell’area di studio il dominio della pianura interessa la porzione sud-orientale dei dataset, nella fascia
limitata da Cameri ad est, Biella ad ovest e la fascia pedemontana a nord.
Capitolo 2 Inquadramento geologico
10
2.2 AREA ALPINA
Figura 2.1 - Schema tettonico delle Alpi Nord Occidentali con i principali lineamenti fragili Oligocenico-Neogenici
(Bistacchi A. et alii, 1999). EF – Avampaese Europeo, G –Giura, HD – Elvetico-Delfinese, PN – Pennidico, AU –
Austroalpino, SA – Subalpino. Dominio Elvetico: H – nappe di copertura, A – Aar, AR – Anguille Rouge, BE –Belledonne,
MB – Monte Bianco. Pennidico: LP – Pennidico inf., MP – Pennidico medio, P – Ofioliti piemontesi, MR – Monte Rosa,
GP –Gran Paradiso. Austroalpino: DB – Dent Blanche, SL – Sesia Lanzo. Subalpino: L – Crosta Inferiore, M – Crosta
Media, C – unità di copertura vulcano-sedimentarie.
Capitolo 2 Inquadramento geologico
11
La catena Alpina è il prodotto dell’evoluzione cretacico-attuale del margine convergente tra le due
placche Europa ed Adria.
Lo Structural Model of Italy del CNR (1990) identifica le Alpi con una struttura crostale a doppia
vergenza. Sono state individuate due catene a falde di ricoprimento che si sono propagate in senso
opposto, una con vergenza europea (mediamente NW), e l’altra con prevalente vergenza africana
(Sud). Le immagini sismiche delle Alpi centro-occidentali evidenziano come tale struttura non si
ripeta però alla scala litosferica.
Figura 2.2 – Spaccato tridimensionale della catena a falde nelle Alpi nord-occidentali
secondo Argand (1924).
Capitolo 2 Inquadramento geologico
12
2.2.1 LE ALPI MERIDIONALI
Le Alpi Meridionali sono comprese tra la Pianura Padana ed il Lineamento Periadriatico e
rappresentano la catena neogenica a falde di basamento e copertura sud-vergenti.
Il fronte dei sovrascorrimenti sud vergenti sull’avampaese neogenico padano-adriatico è sepolto nel
sottosuolo della Pianura Padana e si avvicina sensibilmente al fronte compressivo sepolto degli
Appennini e relativa avanfossa plio-quaternaria. Il Sudalpino rappresenta una sezione della crosta
continentale pre-alpina. Nel settore delle Alpi oggetto di studio affiorano due unità del Sudalpino: la
Zona Ivrea-Verbano e la Serie dei Laghi.
Queste due unità sono separate dalle linee Cossato-Mergozzo-Brissago e del Pogallo (Zingg et al.
1990) e presentano importanti differenze litologiche e strutturali. La Zona Ivrea-Verbano è
considerata come crosta continentale profonda, mentre la Serie dei Laghi come crosta intermedia e
superiore.
Le due unità si trovavano in successione circa verticale con la Serie dei Laghi sovrapposta alla Zona
Ivrea-Verbano e giustapposte lateralmente da eventi tettonici prealpini ed alpini. Il regime estensivo
permo-triassico ha smembrato, disteso e traslato lateralmente lungo faglie listriche e zone di taglio
duttile le varie sezioni della crosta varisica. L’inversione di alcune di queste strutture durante la
convergenza alpina ha provocato l’esumazione della crosta profonda , il suo assetto subverticale e
parte delle deformazioni duttili.
La discontinuità tettonica che separa la Zona Ivrea-Verbano dalla Serie dei Laghi corrisponderebbe
ad una faglia listrica ed alla sua prosecuzione in profondità sino al limite tra crosta profonda ed
intermedia.
1. La Serie dei Laghi
La Serie dei Laghi si estende tra il margine della pianura padana e la Zona Ivrea-Verbano con la
quale si trova in contatto tettonico rappresentato dalle linee Cossato-Mergozzo-Brissago e del
Pogallo. La Serie dei Laghi è a sua volta distinta in due unità litologiche: gli Scisti dei Laghi a sud e
la Zona Strona-Ceneri a nord (Zingg 1983; Boriani et al. 1990). Le due unità sono separate da una
banda di anfiboliti e ultramafiti a direzione circa est-ovest.
• Gli Scisti dei Laghi affiorano da Borgosesia al Lago Maggiore e nel settore a Nord di
Verbania. Presentano un basamento a metamorfismo varisico costituito da micascisti e
Capitolo 2 Inquadramento geologico
13
paragneiss, abbondanti corpi plutonici e vulcanici permiani e scarsi lembi dell’originaria
copertura mesozoica (Sostegno, M. Fenera), espressione di una tipica crosta superiore.
• La Zona Strona-Ceneri affiora tra il Lago Maggiore e la Val d’Ossola e rappresenta un
segmento di crosta intermedia pre-alpina. È costituita da un basamento a metamorfismo
varisico in facies anfibolitica, i complessi degli Cenerigneiss e Gneiss minuti e grandi corpi
lenticolari di ortogneiss granitico-dioritici.
2. La Zona Ivrea-Verbano
La Zona Ivrea-Verbano rappresenta una sezione di crosta continentale della zona di transizione tra
crosta e mantello litosferico. Vengono distinte due unità litologiche di età diversa: il complesso
gabbrico ed il complesso kinzigitico.
I corpi gabbrici si sono sviluppati a letto del complesso kinzigitico, il cui sollevamento nella fase
distensiva regionale ha consentito la formazione di grandi camere magmatiche in cui si sono formati
i corpi stratificati. L’insediamento, alla base del complesso kinzigitico, di magmi molto caldi
provenienti dal mantello rappresenta la probabile causa del coevo magmatismo granitico e riolitico
verificatosi nella crosta superiore della Serie dei Laghi.
Il complesso kinzigitico costituisce il tetto dei plutoni gabbrici ed è rappresentato da prevalenti
paragneiss a biotite, granato e sillimanite (kinzigiti), vari tipi di metabasiti, marmi puri e silicati.
3. Attività magmatica permiana
Dopo il metamorfismo varisico, in concomitanza con un generale regime distensivo, le Alpi
Meridionali divennero sede di una diffusa attività magmatica. Oltre al complesso kinzigitico si
insediarono filoni, plutoni granitici e vulcaniti. I filoni si concentrano lungo la zona di shear della
linea Cossato-Mergozzo-Brissago e nella Serie dei Laghi (Boriani et al. 1990). I graniti dei laghi
costituiscono un grande batolite suddiviso nei plutoni di Biella-Valsassera, Alzo-Roccapietra,
Quarna, Mottarone-Baveno e Montorfano. Essi sono insediati nel settore NW degli Scisti dei Laghi,
ad eccezione del corpo di Quarna che è intruso negli scisti della Zona Strona-Ceneri. Le vulcaniti
permiane, note con il termine di porfidi, sono diffuse in depressioni tettoniche della fascia
pedemontana.
Capitolo 2 Inquadramento geologico
14
4. Le coperture sedimentarie
Nell’area di studio le coperture sedimentarie Sudalpine, estese in origine come il Lombardia e nelle
Venezie, sono state largamente smantellate dall’erosione e ridotte ad alcuni lembi frammentari. Le
coperture Mesozoiche sono conservate nei lembi di Sostegno, M.Fenera ed Arona. Il termine più
antico è formato da sottili e discontinui corpi lenticolari di arenarie e minori conglomerati (Trias
inf.) poggianti direttamente sulle vulcaniti permiane. Segue un complesso di calcari dolomitici ben
stratificati (Trias inf.-medio). A Sostegno è presente un livello discontinuo di tufiti al passaggio con
le sovrastanti dolomie indifferenziate. La piattaforma carbonatica è priva di fossili e coperta da una
breccia dolomitica. Il Giurese inferiore è rappresentato da marne e calcari marnosi a Fucoidi
(Toarciano) e rappresenta l’ultimo termine delle coperture Sudalpine conservate in Piemonte.
2.2.2 LA CATENA EUROPA-VERGENTE
La catena Alpina a vergenza europea è stata suddivisa in alcuni sistemi tettonici in cui sono riuniti
gruppi di falde caratterizzate da un analoga storia cinematica e che rappresentano i resti di distinti
bacini mesozoici ubicati in specifici domini paleogeografici della Tetide. Procedendo da sud verso
nord si attraversano in sequenza i sistemi Austroalpini delle Alpi Occidentali, i sistemi tettonici
della Zona Pennidica, il sistema Elvetico Delfinese, il bacino della molassa ed infine le falde di
scollamento del Giura franco-svizzero.
Nell’area di studio le uniche unità presenti sono costituite dai sistemi Austroalpini e della Zona
Pennidica.
1. Il Sistema Austroalpino
Il Sistema Austroalpino è costituito dalla Zona Sesia-Lanzo che può essere diviso in un elemento
inferiore ed uno superiore. L’elemento inferiore è costituito in prevalenza da parascisti
polimetmamorfici e da corpi intrusivi acidi e basici, l’elemento superiore è un frammento di crosta
continentale profonda (II Zona dioritico-kinzigitica). I due elementi sono separati da una vasta zona
di laminazione duttile.
Capitolo 2 Inquadramento geologico
15
2. La Zona Piemontese
La Zona Piemontese è un grande sistema multifalda che separa con continuità le unità Austroalpine
dalle sottostanti falde Pennidiche. Vengono distinti un sistema composito formato da unità
ofiolitiche (Zona del Combin) ed un unità ofiolitica inferiore (Zermatt-Saas). Le unità ofiolitiche si
assottigliano progressivamente verso Est sino a scomparire in Val’Anzasca dove il sistema
Austroalpino è a diretto contatto con le falde Pennidiche.
3. La Zona Pennidica
• Le falde Pennidiche superiori
Le falde Pennidiche superiori sono costituite da parascisti polimetamorfici e da gneiss occhialini e
formano i massicci del Monte Rosa, del Gran Paradiso e la cupola di Arcesa-Brusson. Nell’area di
studio compare solamente la falda del Monte Rosa ed è costituita da gneiss granitici occhiadini con
associate subordinate bande di micascisti bruni a due miche e numerosi filoni leucocratici.
In prossimità di Villadossola compaiono le ofioliti della Zona di Antrona esclusive di questo settore
della catena Alpina, che per associazione litologica ed impronta metamorfica possono essere
correlate all’unità Zermatt-Saas. Le ofioliti di Antrona separano la falda del Monte Rosa dalle
sottostanti unità continentali di Camughera e di Moncucco-Orsellina.
L’unità di Camughera viene assimilata per analogia litologica con la falda del Monte Rosa mentre
l’unità Moncucco-Orsellina è attribuita al sistema del Gran San Bernardo.
L’unità di Camughera è costituita da prevalenti gneiss occhiadini, massicci e a grana grossa di
composizione granitica.
• Il Sistema Pennidico medio del Gran San Bernardo
Il Gran San Bernardo è il maggiore sistema multifalde della Zona Pennidica ed attraversa quasi
ortogonalmente l’alta Valle d’Aosta e si presenta in Val d’Ossola nel lembo più profondo ed interno
di Moncucco-Orsellina costituito da parascisti con intercalazioni di gneiss granitici.
Capitolo 2 Inquadramento geologico
16
• Le falde Pennidiche inferiori della Val d’Ossola
Le falde Pennidiche inferiori affiorano esclusivamente nella finestra tettonica dell’Ossola-Ticino al
di sotto delle linee Sempione e Centovalli, faglie distensive poco inclinate (Mantckelow 1985) che
separano le falde Pennidiche dall’unità Moncucco-Orsellina.
Secondo Argand la struttura del settore italiano comprende, dall’alto al basso, le falde del Monte
Leone, Lebendum, Antigorio ed il carapace della cupola di Verampio, l’unità più profonda
(elemento zero) visibile nell’edificio alpino.
Il basamento di Monte Leone, Antigorio e Verampio è cosituito da gneiss occhiadini e da graniti
gneissici, il Lebendum è formato invece da sequenze metamorfiche psefitico-psammitiche. Le falde
pennidiche inferiori sono state interpretate come ultrapieghe coricate.
2.3 I DEPOSITI PLIO-QUATERNARI
I depositi cenozoici che rivestivano parte del margine interno delle Alpi e che ora costituiscono il
sottosuolo della Pianura Padana sono conservati in affioramento solo con i termini più recenti, di età
pliocenica. I sedimenti marini del Pliocene sono in prevalenza sabbiosi e spesso fossiliferi. Una
serie di lembi sono conservati entro alcune incisioni vallive, come la Val Sessera e la Valsesia
(Sacco 1888).
Questa situazione indica con certezza che le principali valli delle Alpi Occidentali erano già
esistenti prima dell’ingressione del mare pliocenico.
Con il ritiro del mare, nel Pliocene superiore, i sedimenti marini furono ricoperti da una coltre di
depositi fluviali sabbiosi, con lenti di ghiaie e corpi argilloso-siltosi che verso i rilievi passano
bruscamente a potenti conoidi ghiaiose formatesi allo sbocco delle valli.
L’intero complesso, riferibile al Pliocene superiore, è noto in letteratura con il termine di
Villafranchiano.
L’evoluzione climatica e geotettonica con aumento dello piovosità e sollevamento della catena
alpina causarono la quasi totale erosione dei depositi plio-villafranchiani.
La mobilità tettonica non uniforme tra i bacini contigui e tra l’asse della catena e le porzioni esterne
ha determinato una risposta locale nei confronti dell’erosione di questi depositi. L’incisione operata
dai fiumi a partire dal Pleistocene ha raggiunto in qualche caso l’originario fondo vallivo,
Capitolo 2 Inquadramento geologico
17
approfondendosi ulteriormente, mentre in altri casi il fondovalle pre-pliocenico non è stato ancora
esumato (Valsesia).
2.4 I DEPOSITI GLACIALI
Il fenomeno glaciale raggiunse il suo acme durante il Pleistocene medio. I ghiacciai si sono
impostati sui fondi delle valli plio-villafranchiane colmate dai depositi alluvionali e detritici (I
depositi glaciali sono prodotti dall’azione di esarazione, trasporto e deposito dei ghiacciai
quaternari). I depositi sono costituiti da materiali addensati o scarsamente addensati a matrice
sabbioso-limosa alterata, con abbondanti clasti di varia natura a scarso arrotondamento di
dimensioni da centimetriche a decimetriche e da terreni a matrice sabbioso-ghiaiosa, poco addensati
con frequenti ciotoli decimetrici e blocchi metrici subangolosi. Gli spessori sono generalmente
compresi entro i 10 metri.
Nell’area di studio si ritrovano fasce di depositi morenici lungo le valli alpine e nei grandi apparati
frontali del Verbano-Cusio.
Questi depositi rivestono grande importanza, a causa delle loro caratteristiche geotecniche,
nell’analisi dei fenomeni gravitativi dell’area alpina.
2.5 LITOLOGIA SEMPLIFICATA
A causa dell’elevata estensione dell’area di studio è stato scelto di utilizzare una litologia
semplificata che raggruppa il grande numero di formazioni presenti in un numero limitato di classi
contenenti le formazioni con caratteristiche tecniche simili. La tabella seguente riporta la
descrizione completa della litologia semplificata proveniente dalla banca dati di ARPA Piemonte.
Capitolo 2 Inquadramento geologico
18
1. Depositi alluvionali a prevalenti ghiaie, sabbie, limi nell'area di pianura e lungo i fondovalle
principali (Quaternario).
2. Depositi morenici a blocchi, ghiaie, sabbie, limi degli anfiteatri di Rivoli, Ivrea, del Lago
Maggiore (Quaternario).
3. Banchi e livelli argillosi, talora in reciproca alternanza con sabbie da fini e grossolane e lenti
ghiaioso-ciottolose, localmente solo ghiaie e sabbie ("Villafranchiano").
4. Sabbie da fini a medie, localmente con banchi e lenti isolate di arenarie, potenti da uno ad
alcuni decimetri, talora di calcareniti ("Sabbie di Asti").
5. Serpentiniti, lherzoliti, anfiboliti, prasiniti, metagabbri ("Zona piemontese", Giurassico -
Cretaceo).
6. Calcescisti con intercalazioni filladiche e lenti di calcari cristallini e di prasiniti ("Zona
piemontese", Giurassico - Cretaceo)
7. Dolomie e calcari microcristallini, calcari dolomitici ed arenaceo-marnosi con subordinate
intercalazioni di scisti ardesiaci; brecce calcaree (unita mesozoiche autoctone e alloctone).
8. Gneiss minuti; micascisti, talora eclogitici, scisti filladici, scisti porfiroidi, quarzitoscisti
(massicci cristallini del Dora-Maira, Permocarbonifero assiale, Sesia-Lanzo e serie dei
laghi).
9. Gneiss occhiadini per lo piu massicci; gneiss migmatitici (massicci cristallini dell'Argentera,
Dora-Maira, Gran Paradiso, Monte Rosa e Valle d'Ossola).
10. Graniti, sieniti, dioriti, migmatiti granitiche, gabbrodioriti, porfiriti, ignimbriti riolitiche
(Magmatiti erciniche e tardo-alpine).
Tabella 2.1 – Caratteristiche della litologia semplificata.
Capitolo 2 Inquadramento geologico
19
Figura 2.3 – Litologia semplificata dell’area di studio
Capitolo 3 Il dissesto idrogeologico nell’area di studio
20
Capitolo 3 - IL DISSESTO IDROGEOLOGICO
NELL’AREA DI STUDIO
Dal punto di vista geologico il territorio in esame presenta un’ampia casistica di dissesti. I fenomeni
di instabilità naturale sono analoghi a quelli presenti in molti altri settori della catena alpina,
chiaramente correlati a fattori litologico-strutturali e morfo-topografici.
In particolare i dissesti della Val d’Ossola sono connessi ad eventi pluviometrici di particolare
intensità, con frequenza maggiore rispetto ai fenomeni riscontrati negli altri bacini delle Alpi. La
piovosità media annua è infatti la più elevata dell’intero arco alpino centro-occidentale (1800-2400
mm annui).
Appare evidente quindi in una situazione del genere la necessità di disporre di tecniche e
metodologie adatte all’individuazione ed il monitoraggio dei fenomeni di dissesto.
La tecnica PSInSAR™ si presta molto bene per l’analisi dei fenomeni di deformazione superficiale
alla scala di bacino idrografico. Questa tecnica può diventare quindi uno strumento importante nella
pianificazione territoriale per l’analisi dei fenomeni franosi.
3.1 I FENOMENI FRANOSI E IL PROGETTO IFFI
Lo strumento fondamentale utilizzato nell’analisi dei fenomeni di instabilità nell’area di studio è
rappresentato dall’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia (IFFI), che fornisce un quadro
aggiornato della distribuzione dei fenomeni franosi sul territorio.
Il progetto IFFI è nato grazie al Comitato dei Ministri per la Difesa del Suolo che ha promosso la
sua realizzazione e lo ha finanziato. Il progetto interessa l’intero territorio nazionale ed il suo
intento è quello di rendere omogenei i prodotti che scaturiscono dall’applicazione della legge
267/98 sulla delimitazione delle aree a rischio di frana.
L’IFFI è rappresentato da uno shape file di tipo poligonale contenente oltre all’informazione
relativa all’estensione del fenomeno anche informazioni relative alla tipologia del fenomeno, il
rilevatore, la causa, la data del rilevamento ed eventuali note.
La figura 3.1 mostra la distribuzione delle frane classificate in IFFI nell’area di studio.
Capitolo 3 Il dissesto idrogeologico nell’area di studio
21
Figura 3.1 - Distribuzione dei fenomeni franosi nell’area di studio.
Capitolo 3 Il dissesto idrogeologico nell’area di studio
22
I fenomeni franosi che compaiono nell’area di studio sono distinti in base alla tipologia del
movimento in otto categorie:
• DGPV;
• Aree soggette a crolli ribaltamenti diffusi;
• Aree soggette a frane superficiali diffuse;
• Colamento lento;
• Colamento rapido;
• Complesso;
• Crollo/ribaltamento;
• Scivolamento rotazionale-traslazionale.
Capitolo 3 Il dissesto idrogeologico nell’area di studio
23
3.2 IL PARAMETRO VELOCITA’
Un parametro che viene utilizzato nelle classificazioni dei fenomeni franosi è la velocità ed è un
elemento fondamentale anche della tecnica PSInSAR™ utilizzata nel presente studio (vedi
capitolo 4). Le frane da un punto di vista cinematico vengono distinte in due categorie:
1. Frane istantanee rapide: frane che prevalentemente si innescano ed esauriscono nel corso
dell’evento che le ha attivate, caratterizzate da una grande rapidità di movimento,
significativo percorso della massa spostata, bassa o nulla instabilità residua, dislocazioni di
massa generalmente di limitato volume;
2. Frane permanenti o più lente: frane la cui attività si sviluppa nel tempo e nello spazio in
modo permanente, vale a dire si esplica alternativamente con cicli di attività e inattività,
dislocando tutta la massa o parte di questa con spostamenti generalmente contenuti. Le
velocità di movimento non sono mai molto elevate e i volumi coinvolti possono anche
raggiungere dimensioni rilevanti (milioni di mc). Queste frane sono sempre caratterizzate da
una significativa instabilità residua connessa a possibili riattivazioni dell’intera frana o , più
frequentemente, di parti di questa, in funzione delle variazioni dei parametri (fisico-
climatici) che ne controllano l’evoluzione.
La tecnica PSInSAR™ è in grado di misurare spostamenti dei bersagli radar che si muovono con
velocità costante e con velocità annue massime teoriche pari a circa 140 mm/anno (dato ERS).
Nel caso pratico, soprattutto a causa dell’impossibilità di avere acquisizioni perfettamente regolari,
questo valore scende a circa 60 mm/anno.
Appare evidente come la tecnica dei PS sia in grado di rilevare fenomeni franosi appartenenti alla
categoria delle frane permanenti, sia per il campo delle velocità che per la maggior estensione dei
fenomeni rispetto alle frane istantanee, il che permette di avere statisticamente un maggior numero
di punti di misura.
Cruden e Varnes hanno proposto nel 1996 una classificazione dei fenomeni franosi che tiene in
considerazione anche il parametro velocità. Le classi di velocità proposte da Cruden e Varnes sono
riportate nella seguente tabella.