V
sviluppa un grande interesse empirico da parte di moltissimi ricercatori, che
cominciano ad analizzare le produzioni di singoli o gruppi di informanti, al fine di
studiare le caratteristiche e le peculiarità del sistema linguistico dell’apprendente. Tra
tutti questi studi abbiamo preso in considerazione alcuni tra i principali progetti
europei: “Heidelberg”, “Zisa”, “ESF” e “Pavia”. Il capitolo si conclude, infine, con
l’analisi dei fattori interni (quali l’età e i fattori affettivi) e dei fattori esterni (il
materiale linguistico in cui è immerso l’apprendente, l’interazione e la
socializzazione), che interagiscono nel processo di apprendimento di una lingua
seconda.
Il secondo capitolo, dedicato all’analisi del campione preso in
considerazione, è preceduto da una panoramica sulle immigrazioni verso l’Italia con
un’analisi dei dati relativi al numero degli alunni stranieri frequentanti le scuole
italiane, con particolare attenzione alle popolazioni provenienti dai paesi dell’Est
Europeo. Poiché il campione preso in esame è Viktorija, una bambina di origine
ucraina apprendente l’italiano L2, il capitolo prosegue con la descrizione del sistema
scolastico e dell’organizzazione della scuola nei tre paesi slavo orientali considerati:
Russia, Ucraina e Bielorussia. Di questi paesi sono presentate le lingue correnti, con
particolare attenzione alla loro storia, alla loro struttura, ai loro tratti distintivi e agli
elementi caratteristici. Segue poi un’analisi comparativa tra L1 e L2 per valutare le
principali difficoltà che un apprendente di origine slava orientale incontra
nell’apprendere l’italiano. La seconda parte di questo capitolo è ampiamente dedicata
all’apprendente Viktorija. Viene analizzato, in particolare, il suo profilo
d’apprendente, nei tre diversi aspetti personale, linguistico e strategico. Il profilo
personale considera la biografia di Viktorija, il suo ambiente familiare, le difficoltà
VI
incontrate dalla bambina per ricongiungersi con la famiglia, il suo inserimento
scolastico e sociale in Italia. Il profilo linguistico analizza in dettaglio la competenza
comunicativa dell’allieva straniera, mentre iL profilo strategico pone in primo pianO
L’Analisi delle strategie che stanno alla base della costruzione di un testo. Grazie al
profilo d’apprendente è stato possibile conoscere i bisogni linguistici di Viktorija e
avanzare una possibile risposta ai suoi problemi di apprendimento della lingua
seconda per mezzo di interventi mirati e di percorsi e approcci individualizzati.
Nel terzo capitolo lo studio dell’IL e del profilo dell’apprendente di
Viktorija sono studiati attraverso due percorsi paralleli: da un lato l’osservazione
dell’alunna a scuola, durata cinque mesi, dall’altro l’analisi delle diverse attività
proposte dall’osservatore, ed esercitate al di fuori del contesto scolastico. Grazie alla
possibilità offerta all’osservatore di assistere alle lezioni in classe, il primo percorso
illustrato racconta l’esperienza vissuta da Viktorija nella scuola italiana:
l’accoglienza, l’inserimento, la creazione di un progetto didattico specifico e le
difficoltà di attuazione del medesimo. Il secondo percorso, invece, illustra le attività
proposte all’apprendente, essenziali per raccogliere campioni di lingua, per rilevare
le strategie di organizzazione della narrazione, per individuare l’influenza che la
personalità del parlante esercita sulla struttura discorsiva e per evidenziare le
modalità messe in atto dall’apprendente nell’eseguire il compito richiesto.
Il quarto capitolo può essere considerato il momento centrale del lungo
lavoro dedicato alla raccolta dei dati. In queste pagine, infatti, vengono analizzate,
sulla base di alcuni presupposti forniti da Ruth Berman, i tre cicli di produzioni, orali
e scritte, delle due attività proposte all’apprendente: “la descrizione di immagini” e
“dal testo ucraino al testo italiano”. Per ogni attività sono stati analizzati il profilo
VII
strategico e quello linguistico, al fine di verificare una eventuale evoluzione della
struttura dell’IL dell’apprendente.
I risultati di queste analisi sono illustrati e commentati nell’ultimo capitolo,
il quinto. Le tabelle riassuntive presentate mostrano graficamente l’intero lavoro di
analisi, proponendo una sintesi degli obiettivi considerati: lo studio del profilo
d’apprendente, negli aspetti linguistico e strategico, e, di conseguenza, l’evoluzione
della sua IL.
Le diverse caratteristiche linguistiche, strategiche e personali nonché le
caratteristiche cognitive e psicologiche di Viktorija, hanno dato la possibilità di
valutare l’influenza da esse esercitata sul processo di apprendimento, oltre che di
determinare l’importanza che l’allieva attribuisce alle proprie motivazioni e ai propri
bisogni comunicativi.
Il lavoro dimostra che Viktorija sta sviluppando una IL sempre più vicina
alla L2 anche grazie al ruolo fondamentale svolto dalle insegnanti. Esse infatti hanno
organizzato per l'apprendente un percorso didattico specifico e personalizzato
realizzando all’interno dell’aula, nel lavoro quotidiano, una concreta pedagogia
dell’integrazione.
L’appendice, infine, presenta il materiale raccolto e utilizzato per
l’elicitazione dei dati personali e linguistici dell’apprendente, nonché le trascrizioni
delle sue produzioni orali e scritte, in L1 e in L2, oggetto della nostra analisi.
1
Capitolo 1
L’appropriazione di una lingua altra
1.1 Presupposti teorici
Due sono i momenti linguistici principali riscontrabili nell’itinerario
dell’apprendimento di una persona: quello tipicamente infantile della lingua materna
e quello, generalmente più tardo, di una lingua straniera.
1.1.1 La lingua materna
La lingua materna (o L1) è “la lingua che un individuo ha appresa per prima,
da bambino”
1
. L’apprendimento della lingua materna costituisce il primo
apprendimento linguistico in assoluto e, in quanto tale, è anche il più importante,
poiché evolve contemporaneamente allo sviluppo cognitivo e sociale del bambino.
Esso procede di pari passo con la maturazione del cervello e coincide con il periodo
della massima plasticità cerebrale. Il processo di acquisizione/apprendimento di una
lingua materna si basa su tappe privilegiate che si sviluppano a partire dalla necessità
per il bambino di comunicare con il mondo che lo circonda, per giungere più tardi ad
un’attività cerebrale volontaria.
Gli sforzi che il bambino compie per possedere la propria lingua sono
motivati da esigenze profonde e indispensabili: il bisogno di comprendere e farsi
comprendere dagli altri, la necessità di agire e di scoprire il mondo circostante, la
1
Cfr. PALLOTTI G., La seconda lingua, Bompiani, Milano 1998, p. 13.
2
volontà di integrarsi e affermarsi in questo mondo. Sulla base di questi impulsi
essenziali per lo sviluppo della sua identità e della socializzazione con l’esterno, il
bambino fa uso della lingua del gruppo al quale appartiene: la lingua materna.
Dalla scoperta di questo strumento essenziale, il bambino, a partire
dall’esperienza immediata, giunge a costruire il proprio patrimonio linguistico, che
verrà affinato con il passare del tempo. Infatti, partendo dall’esperienza, naturale e
spontanea, sarà grazie alla scuola che si realizzerà una sistematizzazione della lingua,
più o meno completa a seconda del grado di apprendimento e di cultura
dell’individuo.
In conclusione, l’apprendimento di una lingua materna è caratterizzato da
diverse condizioni che ne favoriscono l’attuarsi: naturalità, bisogni e motivazioni
forti.
1.1.2 La lingua seconda
“Lingua seconda (o L2) è considerata ogni lingua appresa dopo la prima”
2
.
Il termine “lingua seconda” viene spesso usato in contrapposizione con “lingua
straniera”: la lingua seconda è una lingua usata come mezzo di comunicazione nel
paese dove essa viene parlata abitualmente. La lingua straniera è invece una lingua
appresa, tipicamente in contesti scolastici, in un paese in cui essa non serve come
normale mezzo di comunicazione.
Sulla lingua seconda studi ed analisi sono stati effettuati fin dall’antichità: il
problema di comunicare con i parlanti di altre lingue si poneva ogni qualvolta diversi
popoli si trovavano in contatto e questo ha portato allo svilupparsi di diverse teorie
2
Ibidem.
3
glottodidattiche. In tempi meno remoti, un punto di partenza sono gli studi di analisi
contrastiva degli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso. Linguistica e
psicologia dominavano le teorie comportamentiste, che attribuivano un’importanza
centrale, nel processo di apprendimento, alla formazione di abitudini: apprendere una
lingua era concepito come un “abituarsi”, come un’emulazione o un’imitazione di un
modello. In questo modo veniva spiegata l’acquisizione della lingua materna e di tutte
le sue abilità. Per l’analisi della lingua seconda, però, si poneva un importante
problema: come apprendere le abitudini utili per parlare una L2, se si è già “abituati”
a parlare una L1? Da qui la nascita dell’analisi contrastiva: confronto tra i sistemi
linguistici di partenza e di arrivo e previsione delle aree in cui gli apprendenti
avrebbero incontrato maggiori difficoltà.
Con gli anni Sessanta, la teoria comportamentista lascia spazio alla
psicologia cognitiva chomskyana. In questa prospettiva, non ci si attiene alla semplice
osservazione dei comportamenti, ma si introducono anche nozioni legate alla sfera
mentale dell’individuo: memoria, attenzione, strategia. In un simile clima di analisi
intellettuale, l’analisi contrastiva, che concepiva l’apprendimento di una lingua
straniera come una semplice serie di abitudini e che trascurava quasi del tutto il ruolo
creativo dell’apprendente, non gode più di grande favore. Inoltre, secondo degli studi
svolti in ambito contrastivo, risultava che non sempre gli errori degli apprendenti
erano dovuti alle interferenze tra la prima e la seconda lingua; molti di essi non erano
giustificabili, molti altri non si verificavano praticamente mai.
Questi studi, sviluppati dalla seconda metà degli anni Sessanta all’inizio
degli anni Settanta vengono raggruppati sotto il nome di analisi degli errori. In essi si
analizza l’importanza degli errori come finestra sul sillabo incorporato
4
nell’apprendente
3
e come modo per l’apprendente di mettere alla prova le sue ipotesi
sulla natura della lingua che sta imparando
4
. Le analisi, pertanto, cominciano a porre
l’accento sull’apprendente, sulle sue strategie di acquisizione e sistematizzazione di
un nuovo codice. Gli errori sono la base di partenza per comprendere queste strategie.
Naturalmente, non si poté negare che parte degli errori fosse effettivamente dovuta
all’interferenza tra un sistema linguistico e l’altro.
In questi anni Selinker elabora la nozione di interlingua, un sistema
linguistico separato che risulta dai tentativi, da parte di un apprendente, di produrre
una norma della lingua di arrivo
5
. Viene così pienamente riconosciuta la creatività
dell’apprendente, che nel tentativo di avvicinarsi alla L2, costruisce un sistema
linguistico vero e proprio, dotato di regole e funzioni ben precise.
1.1.3 L’Interlingua
Non si può evitare di riconoscere l’esistenza di una interlingua, la quale
deve essere descritta come un sistema e non come una collezione isolata di errori
6
.
Così Selinker sottolinea l’importanza che hanno le produzioni dell’apprendente,
costellate di errori, certo, ma regolate da un sistema preciso, che spesso non
corrisponde a quello della lingua di arrivo. Tuttavia appare chiaro che le interlingue
sono varietà della lingua di arrivo, varietà ridotte, con caratteristiche proprie di
instabilità e forte dinamismo interno. Intorno alla fine degli anni Settanta si
evidenziano diverse nozioni che cercano di dare conto dell’autonomia e
3
Si veda: MATARESE PERAZZO M., Interdisciplinarietà L1-L2, Bruno Mondadori, Milano 1983.
4
Ibidem.
5
Ibidem.
6
Si veda: SELINKER L., Language transfer, in “General Linguistics”, 9, 1969. La traduzione è a cura
di Pallotti G.
5
dell’indipendenza delle produzioni degli apprendenti
7
, ma si sviluppano anche
progetti ambiziosi, basati su studi longitudinali e trasversali di apprendenti a vari
livelli.
Una lingua, infatti, può essere acquisita da apprendenti diversi. Tuttavia,
mentre una prima lingua è per definizione acquisita da bambini e in ambiente
naturale, per la seconda si individuano situazioni assai varie. Essa può essere dunque
acquisita:
da adulti oppure da bambini,
spontaneamente, nell’interazione quotidiana, oppure attraverso l’insegnamento,
in condizioni sfavorevoli, tali da dar luogo al sorgere di forme pidginizzate, o in
condizioni di input inadeguate.
Nonostante le sfumature diverse, c’è la tendenza a considerare
l’acquisizione linguistica come un fenomeno unitario, nel senso che si osservano delle
somiglianze comuni e non banali circa la struttura e le fasi del processo. Le diverse
forme a cui giunge il processo di acquisizione dipendono soprattutto da fattori
extralinguistici, da quelle situazioni assai eterogenee in cui una prima e una seconda
lingua vengono apprese da parte di soggetti diversi.
Se l’acquisizione della prima lingua è stata terreno di analisi per gli
psicolinguisti e le ricerche sull’acquisizione spontanea di una seconda lingua sono
state condotte per lo più da sociolinguisti, la linguistica applicata si è concentrata
7
Si vedano: CORDER S., The significance of learners’ errors, in “International Review of Applied
Linguistics”, 5, 1967; ID., Idiosyncratic dialects and error analysis, in “International Review of
Applied Linguistics”, 9, 1971; NEMSER W., Approximative systems of foreign language learners, in
“International Review of Applied Linguistics”, 9, 1971; SELINKER L., Language transfer, in
“General Linguistics”, 9, 1969; ID., Interlanguage, in “International Review of Applied Linguistics”,
10, 1972.
6
piuttosto sulle metodologie e sulle tecniche di insegnamento, mentre i pidgin e i creoli
hanno costituito un’area di ricerca a sé stante.
Non sono mai mancati, tuttavia, i tentativi di collegamento tra le varie aree:
in particolare per la L2, è importante ricordare “l’ipotesi dell’ identità”
8
, secondo la
quale l’apprendimento di una lingua seconda segue nei tratti essenziali la sequenza di
acquisizione della medesima lingua come L1. Queste somiglianze sono viste come
realizzazione di una capacità di elaborazione del linguaggio caratteristica dell’uomo
che si manifesta in situazioni diverse. Accanto alle somiglianze, però, è indubbia
l’esistenza di considerevoli variazioni: innanzitutto, è da sottolineare il fatto che
l’acquisizione di L1 è parte del processo di sviluppo cognitivo e sociale del bambino,
mentre l’acquisizione di L2 avviene di solito quando tale processo è del tutto, o
almeno in parte, terminato. Inoltre le variazioni possono essere riconducibili a fattori
socio-psicologici diversi: età degli apprendenti, loro background sociale, condizioni
di apprendimento, motivazioni all’apprendimento, ecc.
Un altro approccio teorico che si è mosso in direzione della elaborazione di
una teoria unitaria dell’acquisizione è “l’ipotesi della pidginizzazione”
9
, secondo la
quale, l’acquisizione di una lingua seconda presso soggetti adulti in condizioni di
svantaggio sociale ed economico ripete i meccanismi di nascita delle lingue pidgin
10
.
I processi di pidginizzazione e di acquisizione di L2 sono simili, in quanto implicano
lo stesso insieme di strategie linguistiche e cognitive che fanno parte della capacità di
8
Si veda: ERVIN-TRIPP S., Is second language learning like the first?, in “TESOL Quarterly”, 8,
1974. Si veda anche: GIACALONE RAMAT A., L’apprendimento spontaneo di una seconda lingua,
Il Mulino, Bologna 1986.
9
SCHUMANN J., The Pidginization process. A model for second language acquisition, Newbury
House, Rowley, MA 1978.
10
I pidgin nascono dal contatto tra le lingue dei colonizzatori europei e le lingue dei colonizzati, sotto
forma di lingua intermedia e ipersemplificata che si fossilizza ad un rudimentale livello base. Per
approfondimenti si veda: CHINI M., Apprendere una seconda lingua: principi, fattori, strategie e
problemi, in NIGRIS E., Educazione interculturale, Bruno Mondatori, Milano 1996.
7
linguaggio dell’individuo. Il fenomeno della semplificazione è la caratteristica più
frequente rilevata nelle produzioni linguistiche di chi apprende spontaneamente una
lingua, come anche nei pidgin. Nelle analisi della teoria della pidginizzazione si è
ritenuto necessario distinguere tra le proprietà strutturali della semplificazione, che si
possono osservare nelle interlingue, e i processi che avvengono nella mente dei
parlanti, le strategie. Il fatto che sia nelle interlingue, sia negli xenoletti o foreigner
talk
11
, sia nei pidgin le proprietà strutturali si presentino molto simili, porta a
concludere che le strategie di semplificazione come processo psicologico sono
universali e fanno parte della capacità cognitiva dell’individuo di apprendere e
produrre il linguaggio. Un approccio teorico molto fecondo, che sviluppa e integra
l’approccio precedente, è quello delle varietà di apprendimento, che considera
l’apprendimento di una L2 come la graduale costruzione di sistemi linguistici sempre
più complessi, che tendono verso la lingua di arrivo. Attraverso questi sistemi di
regole si è cercato di descrivere la competenza intermedia degli apprendenti e le
difficoltà incontrate sono connesse all’instabilità e alla mancanza di omogeneità dei
caratteri intrinseci delle interlingue. Tuttavia, si riscontra pur sempre una sistematicità
interna e la nozione di sistema deve essere considerata un’esigenza metodologica
centrale per analizzare i valori che i diversi tipi di parlanti assumono rispetto alla
lingua d’arrivo, nel variare del tempo e in base ai diversi soggetti. I sistemi di
interlingua, così, vengono a costituire piuttosto dei “microsistemi”, dei domini di
analisi ridotti che forniscono la riprova del funzionamento ordinato della capacità
linguistica individuale.
11
Il foreigner talk è una lingua parlata da alcune persone quando si rivolgono agli stranieri. È una
varietà semplificata che sottrae o riduce alcune caratteristiche della lingua standard, per essere più
facilmente compresa dall’apprendente di L2. Si veda in proposito infra, paragrafo 1.2.2.1.
8
1.1.4 I progetti “Heidelberg”, “ZISA”, “ESF”, “Pavia”
Il progetto Heidelberg ha avuto origine in un seminario di sociolinguistica
tenuto da Wolfgang Klein nel 1972 a Heidelberg. Le forti motivazioni sociali e
politiche del periodo ponevano esplicitamente il problema morale delle indagini
sociolinguistiche. I partecipanti decisero di non svolgere indagini puramente teoriche,
ma di dedicarsi a un tema di lavoro che avesse un risultato di utilità pratica per coloro
che costituivano l’oggetto dell’indagine: i gruppi di lavoratori immigrati, trascurati
fino a quel momento dalle amministrazioni locali, costituivano un problema sociale di
urgente gravità. Da qui la trasformazione da impegno di ricerca culturale a impegno
sociale dei linguisti tedeschi nei confronti di questi soggetti (aiuto e assistenza ai
lavoratori immigrati nel disbrigo delle pratiche quotidiane, nei contatti con la
burocrazia tedesca). Il progetto partiva dall’ipotesi che i fattori extralinguistici
avessero un’influenza determinante sul processo di apprendimento; tuttavia questi
non sono stati indagati a fondo e le analisi, concentrate solo sulla produzione
linguistica, individuarono semplicemente una tendenza generale nello sviluppo
dell’acquisizione, in quanto basate soltanto su studi di tipo trasversale, cioè su un
unico rilevamento compiuto su un gruppo numeroso di soggetti.
Il progetto Heidelberg, di tipo trasversale, dà quindi, risultati meno
affidabili sulle modalità e i tempi del processo di acquisizione rispetto invece agli
studi longitudinali, con i quali si seguono singoli apprendenti ad intervalli regolari su
un arco di tempo più lungo, fino a due anni.
Tuttavia, se quest’ultima tipologia sembrerebbe più indicata, essa presenta
alcuni rischi: da un lato la possibilità di false generalizzazioni di dati ottenuti
dall’osservazione di pochi soggetti, dall’altro l’influenza sui processi di
9
apprendimento, derivante dai numerosi contatti fra gli apprendenti e i ricercatori. Il
progetto ESF, di cui si tratterà in seguito, tenterà di ridurre tale problema, creando
“gruppi di controllo” in grado di monitorare i contatti dei ricercatori con gli
apprendenti.
Il progetto Heidelberg, terminato nel 1979, ha elaborato numerosi articoli e
materiali di lavoro, e, in particolare, ha reso possibile la creazione del volume
Developing Grammars a cura di W. Klein e N. Dittmar, che presenta un’analisi dei
materiali raccolti. Con notevole interesse viene analizzata la ‘grammatica di varietà’,
un “tipo di grammatica costituita da una serie di regole di riscrittura capaci di
descrivere le varietà che occorrono in un certo ‘spazio di varietà’ (dalle produzioni
molto elementari di parlanti allo stadio iniziale di apprendimento, fino a varietà simili
a quelle di parlanti nativi)”
12
. Scopo di tale grammatica è quello di offrire una prima
descrizione del processo di acquisizione rappresentando la capacità sintattica dei
parlanti secondo un indice di probabilità. I risultati hanno confermato la tesi secondo
cui l’apprendimento spontaneo di una L2 segue precisi stadi.
Diversi sono stati i commenti e le critiche a questo progetto. Relativamente
ai fattori sociali, che nel progetto Heidelberg sono trattati come variabili
indipendenti, i sociolinguisti sostengono che l’approccio ne dia una visione troppo
semplicistica, quando essi, invece, agiscono in maniera diffusa e penetrante
sull’apprendente, soprattutto sul tipo di apprendente considerato dal progetto
(lavoratori stranieri che si trovano in reali condizioni di svantaggio socio-ecomonico
e il cui input linguistico in L2 è assai ridotto).
12
Cfr. GIACALONE RAMAT A., Prospettive e problemi della ricerca sull’acquisizione di una
seconda lingua, in Id., (a cura di), L’apprendimento spontaneo di una seconda lingua, Il Mulino,
Bologna, 1986, pp. 16-17. Con varietà si intende la graduale costruzione di sistemi linguistici sempre
più complessi che tendono verso la lingua di arrivo. Per ulteriori riferimenti si veda: BENUCCI A., La
grammatica nell’insegnamento dell’italiano a stranieri, Bonacci, Roma 1994.
10
Inoltre, nelle analisi del progetto manca qualunque riferimento a sistemi di
conoscenze culturali che potrebbero modificare gli enunciati linguistici, solitamente
sottintesi o condivisi tra parlanti nativi di una stessa lingua, ma fondamentali nella
comunicazione interculturale, necessaria ai lavoratori stranieri nel paese ospite.
Dal punto di vista teorico Klein e Dittmar tentano di estendere la
grammatica formale in modo da tenere conto di quella variabilità determinata da
fattori sociali, istituzionali, ecc. Se da un lato il tentativo può dirsi riuscito, in quanto
fornisce una descrizione adeguata di quanto avviene nelle produzioni linguistiche dei
parlanti, dall’altro non risponde a un quesito fondamentale: perché si apprendano certi
costituenti prima o dopo di altri.
Esistono inoltre anche commenti a livello metodologico: la scelta di
considerare studi longitudinali e non trasversali, permette di seguire gli apprendenti
ad intervalli regolari per un periodo di tempo significativo e di ottenere dati più
affidabili su modalità e processi di acquisizione. Anche per gli studi longitudinali,
però, non si escludono possibili svantaggi: per esempio, una scelta poco adeguata
degli informanti, il rischio di generalizzazioni, oppure circostanze esterne e
occasionali.
Il gruppo di lavoro del progetto ZISA (Zweitspracherwerb italienischer und
spanischer Arbeiter, “Acquisizione della lingua seconda da parte di lavoratori italiani
e spagnoli”) si è costituito nel 1974, presentandosi inizialmente come verifica e
critica del progetto di Heidelberg, di cui riprende la struttura generale come numero e
caratteristiche degli informanti. Successivamente è stato aggiunto uno studio
longitudinale su un gruppo ristretto di informanti e l’approccio utilizzato è definito
“pluridimensionale”.
11
In questo approccio, il processo di acquisizione di una lingua seconda è
visto come il risultato dell’interazione di principi cognitivi generali e di orientamenti
individuali determinati da fattori psicosociali quali la motivazione, il contatto con la
popolazione indigena, ecc. L’utilizzo di questi fattori ha portato gli studiosi del
progetto a spiegare perché un parlante è orientato verso un certo tipo di strategie,
piuttosto che verso un altro, sempre considerato il fatto che la relazione tra i fenomeni
di ordine psicosociale e quelli di ordine linguistico non è di semplice causa-effetto.
Due furono i risultati principali dello studio: il primo fu la scoperta di un
ordine di acquisizione di certe regole sintattiche comune a tutti gli apprendenti; il
secondo fu la constatazione che solo alcune regole seguono questo ordine fisso,
mentre altre appaiono in modo variabile nelle interlingue di apprendenti anche a
livelli di competenza comunicativa molto diversi. Le analisi di questi fenomeni
portarono alla creazione di un modello “multidimensionale”, ovvero basato su due
dimensioni: una evolutiva, uguale per tutti, relativa a certe strutture linguistiche e
spiegabile in base alle diverse strategie cognitive che emergono durante
l’acquisizione, e una di “variabilità”, riguardante altre strutture linguistiche e legata a
fattori psciosociali, come la motivazione, il bisogno o il desiderio di integrarsi nella
società ospitante. Un altro progetto importante e di grandi dimensioni, che ebbe sicura
rilevanza negli studi sull’acquisizione linguistica è il “Progetto ESF”, promosso dalla
Fondazione Europea delle Scienze
13
.
13
La ESF, European Science Foundation (Fondazione Europea delle Scienze), è stata fondata nel
1974 e ha sede a Strasburgo. È un’organizzazione non governativa che riunisce oltre a sessantadue
enti di ricerca, appartenenti a ventuno Paesi europei, le agenzie pubbliche per il finanziamento alla
ricerca e le Accademie delle scienze di ventitre Paesi europei. Essa promuove, sviluppa, finanzia
specifiche attività di ricerca internazionale, favorisce la cooperazione e la mobilità fra scienziati e
studiosi dei paesi aderenti, così come l’uso collaborativo di attrezzature di grande interesse e
dimensione. Tuttavia, nonostante offra interessanti opportunità per iniziative scientifiche di sostegno e
di ricerca, resta ancora abbastanza sconosciuta.