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INTRODUZIONE
Gli interessi e le credenze di efficacia professionali sono un argomento molto studiato e di grande
importanza per le persone con menomazione intellettiva. Spesso queste persone sono inserite in
contesti lavorativi protetti dai servizi, senza prendere in considerazione le capacità e gli interessi
professionali che queste persone hanno. La letteratura, invece, mostra come anche le persone con
disabilità intellettiva siano in grado di esprimere i propri interessi e le proprie credenze di efficacia
professionali e come queste siano correlate con la soddisfazione lavorativa e di vita (Nota L,
Ginevra M. C. & Carrieri L., 210; Beveridge S. & Fabian E. S., 2007; Cannella H. I., O’Reilly M.
F. & Lancioni G. E., 2005).
Partendo dal modello teorico di Holland e dalla psicologia positiva è stata condotta questa ricerca
sperimentale che ha lo scopo di analizzare gli interessi e le credenze di efficacia professionale di
persone con menomazione intellettiva lieve e moderata, inserite in un contesto lavorativo protetto, e
di valutare la loro correlazione con la soddisfazione lavorativa e di vita. Si sono presi in
considerazione anche l’autodeterminazione, l’ottimismo, la speranza di vita, i pensieri sul futuro, la
percezione di barriere professionali e l’adattabilità. Ci si attendeva che le persone che percepivano
una maggiore adattabilità fossero più ottimiste, avessero più speranza di vita e percepissero meno le
barriere e che queste condizioni predicano una maggiore soddisfazione lavorativa e di vita. Infine
ipotizziamo che le persone che svolgono un lavoro in sintonia con i propri interessi abbiano
maggiore soddisfazione lavorativa e di vita e percepiscano meno le barriere professionali. I
partecipanti sono persone adulte con menomazione intellettiva, provenienti dalle province di
Bologna, Modena e Ferrara, che svolgono attività lavorative rientranti in quattro delle sei categorie
di Holland (realistica, sociale, intraprendente e convenzionale). I dati sono stati analizzati attraverso
l’utilizzo del programma di statistica SPSS, eseguendo delle analisi della varianza attraverso
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ANOVA univariata e delle regressioni lineari per valutare la predittività delle variabili nella
soddisfazione lavorativa e in quella di vita. Dai risultati sono emerse differenze statisticamente
significative di genere per quanto riguarda la percezione di barriere professionali e nella
soddisfazione lavorativa; inoltre sono emerse altre differenze per quanto riguarda l’adattabilità
professionale: le persone che hanno maggiori livelli di questo fattore, hanno anche maggiore
autodeterminazione, speranza di vita e una maggiore percezione delle proprie competenze. Infine è
emerso anche che le barriere predicono negativamente la soddisfazione lavorativa e che sono
percepite maggiormente dalle persone che svolgono un lavoro che non rientra nella stessa categoria
di Holland in cui rientrano i propri interessi professionali.
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CAPITOLO 1
DA RITARDO MENTALE A DISABILITÁ INTELLETTIVA.
LE DIFFERENZE TRA I COSTRUTTI
1.1 Definizione di Ritardo Mentale
Un primo problema che ho incontrato nella stesura di questo elaborato è stato quello di fornire una
definizione appropriata del target di soggetti partecipanti della ricerca. Tale questione nasce dal
fatto che negli ultimi decenni ci sono stati differenti cambiamenti inerenti la valutazione e la
classificazione delle persone con disabilità che hanno avuto importanti ripercussioni anche nella
sfera sociale e socio-sanitaria. Questo anche a causa del fatto che si sono susseguiti approcci teorici
differenti, ciascuno dei quali riteneva più appropriato ed esplicativo utilizzare un costrutto
scientifico diverso per indicare lo stesso target di persone, mettendo in evidenza determinate
peculiarità caratteristiche di esse. Inoltre la vastità e l’eterogeneità degli individui che rientrano in
queste categorie favoriva l’aumentare delle definizioni.
Uno dei termini più diffusi e a lungo utilizzati, tanto che ancora oggi viene usato è quello di Ritardo
Mentale. Nell’ultima versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV
Text Revision, American Psychiatric Association, 2000), il Ritardo Mentale è stato collocato nella
sezione dedicata all’infanzia, fanciullezza e adolescenza e definito come “un funzionamento
intellettivo generale significativamente al di sotto della media (Criterio A) che è accompagnato da
significative limitazioni nel funzionamento adattivo in almeno due delle seguenti aree delle
capacità di prestazione: comunicazione, cura della persona, vita in famiglia, capacità
sociali/interpersonali, uso delle risorse della comunità, autodeterminazione, capacità di
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funzionamento scolastico, lavoro, tempo libero, salute, e sicurezza (Criterio B). L’esordio deve
avvenire prima dei 18 anni (Criterio C).”
Con il termine funzionamento intellettivo generale si fa riferimento al calcolo del quoziente
intellettivo con test d’intelligenza standardizzati, e per essere al di sotto della media il Q.I. deve
essere inferiore a 70. Tuttavia, i punteggi dei test hanno un margine d’errore di 5 punti, che risulta
significativo nell’estensione di valori da 65 a 75 punti; inoltre, per la scelta degli strumenti utilizzati
per valutare il QI e l’interpretazione dei risultati si devono prendere in considerazione anche i fattori
che possono limitare l’esecuzione come ad esempio la lingua madre o eventuali disabilità motorie o
sensoriali.
Con il termine funzionamento adattivo, invece, si fa riferimento all’efficacia con cui i soggetti fanno
fronte alle esigenze comuni della vita e al grado di adeguamento agli standard di autonomia
personale previsti per la loro particolare fascia d’età, retroterra socioculturale e contesto ambientale.
Per valutare il funzionamento adattivo sono state messe a punto apposite scale, il cui punteggio è
determinato dalla valutazione clinica del comportamento in differenti aree, anche se non sono
considerate tutte; pertanto anche in questo caso, nel fare la valutazione e la somministrazione delle
scale è bene tener conto del retroterra culturale del soggetto, della sua istruzione e di eventuali
menomazioni associate.
Le eziologie del Ritardo Mentale sono differenti e comprendono sia fattori genetici, sia fattori
ambientali. Alcune eziologie sono conosciute, perché associate a sindromi diffuse tra la popolazione
(ad esempio la Sindrome di Down), altre invece non lo sono.
Questi aspetti mettono in luce, come non sia così semplice effettuare una diagnosi di Ritardo
Mentale e come questa definizione racchiuda un gruppo di persone con caratteristiche molto
differenti. A tal proposito, nel DSM, viene fatta una classificazione del Ritardo Mentale in:
- Lieve (con un livello di Q.I. tra 50-55 e 70);
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- Moderato (con un livello di Q.I. tra 35-40 e 50-55);
- Grave (con un livello di Q.I. tra 20-25 e 35-40);
- Gravissimo (con un livello di Q.I. al di sotto di 20).
La diagnosi di Ritardo Mentale Lieve riguarda persone che generalmente: hanno una minima
compromissione delle aree cerebrali sensomotorie, acquisiscono le abilità prescolastiche quasi alla
pari degli altri bambini coetanei senza ritardo e, in età adulta, riescono ad ottenere livelli di
socializzazione e occupazionali tali da poter vivere con un livello minimo di autosostentamento
(tuttavia possono aver bisogno di supporto, guida e aiuto). Normalmente le persone con Ritardo
Mentale Lieve, con i sostegni adeguati, sono in grado di vivere con successo nella comunità o da
soli in ambienti protetti.
Il Ritardo Mentale Moderato comprende, invece, persone che riescono ad acquisire le capacità
comunicative nella tarda fanciullezza, traggono benefici dall’educazione professionale e, con
un’adeguata supervisione, riescono ad arrivare ad avere una buona cura della propria persona. Il
loro livello scolastico difficilmente arriva oltre la seconda elementare, quindi possono apprendere
attività lavorative specializzate o semi-specializzate, sotto supervisione, sia in ambienti protetti che
normali. Solitamente sono in grado di adattarsi nella comunità, specialmente in ambienti protetti.
Diversamente, il Ritardo Mentale Grave riguarda persone che non sempre sono in grado di acquisire
un livello comunicativo minimo in tarda fanciullezza, tuttavia possono in seguito arrivare a parlare
e ad avere capacità minime di cura della propria persona e riuscire ad adattarsi bene in comunità
alloggio o in contesti protetti.
Il Ritardo Mentale Gravissimo comprende persone a cui è spesso associata anche una diagnosi
neurologica in grado di spiegare tale Ritardo Mentale. Infatti, sin dalla prima infanzia, mostrano una
considerevole compromissione del funzionamento sensomotorio, possono ottenere uno sviluppo
ottimale solo in un ambiente altamente specializzato e con figure personalizzate che si occupino di
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loro. Anche le abilità di cura della persona, di comunicazione e motorie possono svilupparsi, ma
solo se costantemente e adeguatamente addestrati, e soltanto alcuni possono riuscire a svolgere
compiti semplici in ambienti altamente controllati.
Infine, si definisce Ritardo Mentale di gravità non specificata quando vi è un forte motivo di
supporre la presenza di Ritardo Mentale, ma l’intelligenza del soggetto non è valutabile con i test
standard.
Alcuni autori ritengono che tale descrizione e classificazione sia imprecisa, in quanto considera il
Ritardo Mentale un disturbo, una malattia o una disabilità univoca. Essi ritengono sia più opportuno
definirlo come un raggruppamento meta-sindromico che include un’ampia gamma di percorsi
educativi e quadri esistenziali diversi per eziologia, disabilità fisica, psicopatologia associata e
funzionamento generale (Bertelli et al, 2010). Tuttavia, individuano dei criteri comuni a tutte le
forme sindromiche, quali: un deficit a carico dei processi logico-deduttivi e una significativa
limitazione nel funzionamento adattivo. Queste due caratteristiche determinano limitazioni nello
sviluppo generale dell’individuo, in quanto causano difficoltà nell’autonomia, dovuta anche ad una
ridotta abilità nel comprendere nuove informazioni e ad apprendere nuove capacità (Bouras et al,
2000).
1.2 Il contributo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
Nel 1975, durante la 29ª assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, i membri discussero
riguardo la necessità di apportare cambiamenti, relativi all’ambito delle disabilità, al Manuale
Internazionale di Classificazione delle Malattie (International Classification of Diseases, ICD). A
tal proposito stilarono un’appendice apposita, che nel 1980 fu pubblicata con il nome di
l’International Classification of Impairments, Disabilities and Handicap (ICIDH). Il bisogno di
creare questa appendice nasce dall’esigenza di fornire un servizio socio-sanitario migliore, sia nella
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fase di diagnosi che per i successivi interventi. L’ICIDH ha il compito di andare a completare la
classificazione delle malattie considerando anche, con un approccio bio-psicosociale, le relative
conseguenze. Inoltre, all’interno di questo manuale, viene fatta una distinzione tra menomazione,
disabilità e handicap.
Con il termine menomazione si fa riferimento a perdite o anormalità che possono essere transitorie o
permanenti e che comprendono l’esistenza o l’evenienza di anomalie, difetti, perdite o mancanze a
carico di organi, arti, tessuti o altre strutture del corpo, incluso anche il sistema nervoso centrale e
periferico. Quindi, il concetto di menomazione fa riferimento alla manifestazione della patologia e
riflette i disturbi nell’organismo a livello corporeo. Sulla base di questa definizione, ICIDH propone
una classificazione delle menomazioni raggruppandole in nove aree:
- Menomazioni della capacità intellettiva;
- Altre menomazioni psicologiche;
- Menomazioni del linguaggio;
- Menomazioni dell’udito;
- Menomazioni visive;
- Menomazioni viscerali;
- Menomazioni scheletriche;
- Menomazioni deturpanti;
- Menomazioni generalizzate, sensoriali e di altri tipo.
Con il termine disabilità, invece, si fa riferimento ad una qualsiasi restrizione o carenza,
conseguente ad una menomazione, delle capacità di svolgere un’attività nel modo ritenuto
“normale” per un essere umano. Mentre la menomazione è la manifestazione fisica di una patologia,
la disabilità è la manifestazione di un comportamento o un atto diverso dal corrispondente atto
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eseguito da una persona normale, che per il senso comune riguarda aspetti fondamentali della vita
quotidiana.
Anche per le disabilità l’ICIDH propone una classificazione, suddividendole in nove categorie:
- Disabilità nel comportamento;
- Disabilità nella comunicazione;
- Disabilità nella cura della persona;
- Disabilità motorie;
- Disabilità inerenti la propria sussistenza;
- Disabilità nella destrezza;
- Disabilità “circostanziali”;
- Disabilità in particolari attività;
- Altre limitazioni all’attività.
Infine, con il termine handicap si fa riferimento ad una condizione di svantaggio vissuta da una
persona in seguito ad una menomazione o ad una disabilità che le limita o le impedisce la possibilità
di ricoprire un determinato “ruolo sociale” in relazione alla sua età, al sesso e a fattori socio-
culturali. La parola handicap quindi fa riferimento al contesto sociale e ai fattori culturali in cui una
persona è inserita e mette in evidenza la discrepanza tra l’efficienza attesa, dal soggetto e dalla
comunità in cui è inserito, e l’efficienza effettiva. Ne consegue che la parola handicap mette in luce
gli svantaggi dell’individuo che derivano dalla menomazione o dalla disabilità perdendo la
possibilità di conformarsi alle norme proprie che circondano l’individuo. Questa svalutazione non
permette l’integrazione né eventuali miglioramenti nelle persone con menomazione o disabilità.
Anche per gli handicap l’ICIDH ne propone una classificazione:
- Handicap nell’orientamento;
- Handicap nell’indipendenza fisica;
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- Handicap nella mobilità;
- Handicap nell’occupazione;
- Handicap nell’integrazione sociale;
- Handicap nell’autosufficienza economica;
- Altri handicap.
I termini menomazione, disabilità e handicap sono, dunque, tra di loro correlati, ma indicano
condizioni diverse, pertanto è importante non usarli indifferentemente e in modo scorretto.
Sulla base della classificazione ICIDH, quando si vuole far riferimento a persone con un ritardo
mentale è corretto usare l’affermazione di “persone con menomazione intellettiva”, dato che il
ritardo mentale è determinato da una anomalia del sistema nervoso centrale e non invece da un
comportamento o atto.
Nel 1999 l’Organizzazione Mondiale della Sanità propone una seconda edizione dell’ICIDH in cui
vengono effettuati degli aggiornamenti dovuti in parte ai suggerimenti forniti da chi utilizzava la
prima edizione di questo manuale e in parte dalle considerazioni provenienti negli anni successivi
dalla ricerca in ambito dell’integrazione. Ad esempio, Gomez-Rodriguez (1989) e Heerkens et al.
(1993) avevano individuato diversi limiti alla prima edizione dell’ICIDH: le definizioni di
menomazione, disabilità e handicap non erano ancora ben definite, la classificazione non era adatta
per esser utilizzata con anziani, bambini o persone con disturbi psichici, infine i criteri di
valutazione risultavano troppo grossolani e non sensibili ai piccoli cambiamenti, che persone con
problematiche gravi potevano avere.
Nella seconda edizione dell’ICIDH, quindi, è cambiata l’ottica di considerare la relazione tra i
termini: se prima era di tipo lineare e causale, ora diventa più complessa e include l’interazione di
diverse variabili importanti, anche di tipo contestuale. Un cambiamento importante che viene fatto e
che suggerisce la tendenza a voler eliminare i termini precedenti di menomazione, disabilità e