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Il mio approccio all’analisi si concretizza ad un’investigazione teorica guidata da principi di etologia
(Eibl-Eibesfeldt, 1993) e sociobiologia (Konrad Lorenz, premio Nobel nel 1973). L’interesse per il
comportamento umano ha, infatti, sempre alimentato gli studi di eminenti e brillanti ricercatori che,
spinti dalla necessità di spiegazioni esaurienti, hanno costruito i loro approcci esplicativi anche su una
prospettiva biologica del comportamento umano. Ciò significa affrontare la ricerca attraverso un
approccio che considera la natura stessa dell’organismo umano come principale spiegazione del
comportamento; analizzare, infatti, le caratteristiche biologiche specifiche dell’uomo significa
ripercorrere le vie evolutive dello stesso selezionando gli skills naturali che ne hanno permesso il
“successo” rispetto a alle altre specie esistenti sul pianeta. Tale approccio è, a mio avviso, l’unica via
realmente percorribile per comprendere approfonditamente le ragioni del comportamento sociale.
Analizzare le origini di un fenomeno permette di disporre di un quadro generale assolutamente più
chiaro; è come guardare una cartina geografica aprendola completamente, senza limitarsi al tragitto che
si ha intenzione di percorrere. La prospettiva cambia completamente in quanto la deduzione ha più
margini di manovra e le possibili vie alternative si mostrano in tutta la loro disponibilità.
L’etologia umana può essere definita come la biologia del comportamento umano. L’osservazione
del comportamento nel contesto naturale (quello sociale; l’uomo è un animale sociale da sempre) ha un
ruolo essenziale. Quando, per esempio, ci si imbatte con regolarità in una certa struttura o
comportamento, è senz’altro ragionevole chiedersi quale ne sia la funzione, partire cioè dall’ammissione
che una struttura o un comportamento servano a qualcosa. Alcune funzioni si possono riconoscere a
prima vista. Se qualcuno trovasse l’impronta fossile di una struttura anatomica che ha l’aspetto del
tipico occhio dei vertebrati è del tutto legittimato ad affermare che si tratta di un organo che consente la
percezione visiva. Gli interrogativi sulla funzione e sullo sviluppo possono essere posti anche per i
comportamenti trasmessi culturalmente, e non solo per quelli di origine filogenetica. Insisto su questo
fatto perché talvolta prevale l’idea che gli etologi umani si interessino soltanto alle componenti
“animalesche” esistenti nel comportamento umano.
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I comportamenti presi in esame dagli studiosi di etologia umana sono complesse sequenze motorie
e azioni di singole persone, nonché interazioni fra persone e fra gruppi di persone. Gli etologi lavorano
ad un livello di integrazione più elevato di quello dei fisiologi, i quali si occupano essenzialmente di
processo di base, quali ad esempio la percezione di stimoli, la contrazione muscolare o l’eccitazione
nervosa. In realtà, questi processi sono un’importantissima premessa per la comprensione delle
manifestazioni comportamentali, ma non è possibile dedurre da tali livelli elementari tutte le norme che
stanno alla base di una certa interazione sociale.
E’, quindi, necessario chiarire l’importanza della cultura per comprendere il comportamento umano;
la cultura, infatti, rappresenta la risultante diretta di attitudini biologiche prettamente umane in quanto:
- deriva dalla cognizione, quindi dalle capacità di analisi, deduzione e memoria; capacità che
contraddistinguono l’uomo fra tutti i vertebrati presenti sul pianeta;
- regola la naturale predisposizione dell’uomo a vivere in gruppo, imponendo regole, norme sociali e morali.
E’ intrinseco nella natura umana porsi delle regole di convivenza.
Un’analisi etologica, quindi, su caratteri umani prettamente naturali: emozione, cognizione, cultura
ed agire sociale. L’importanza di sottolineare tali caratteri risiede nel concetto di “innato”; dimostrare,
infatti, che certi tipi di comportamento, o predisposizione all’agire, non vengono appresi ma bensì si
concretizzano istintivamente, permette di realizzare quale sia l’effettiva influenza del nostro patrimonio
genetico e biologico sul comportamento sociale. L’individuo agisce spesso in modo innato, e ciò è
riscontrabile nei neonati (non avrebbe senso osservare individui adulti); è sui lattanti, infatti, che si sono
avuti i grandi risultati a testimonianza della natura biologica, istintuale ed innata dell’uomo. Un
approccio etologico del comportamento umano, quindi, evidenzia con chiarezza l’influenza della
componente biologica sul comportamento umano, sottolinea come l’individuo non sia da considerare
esclusivamente alla stregua di un essere razionale completamente assorbito dai costrutti culturali e
morali della propria società. Se, ad esempio, i bambini appena nati vengono posti sul ventre della
madre, essi sono in grado di spingersi con le gambe verso il seno proprio perché dispongono di un
particolare movimento automatico di ricerca del capezzolo (automatismo di ricerca; H. F. R. Prechtl,
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1973); sono inoltre capaci di afferrare, senza aiuto, il capezzolo con le labbra e di succhiare, e ciò è così
coordinato con i movimenti respiratori da non farli soffocare. Inoltre, è proprio in questi primi
momenti di vita che il lattante sperimenta le sue prime sensazioni; il neonato, infatti, segnala piacere o
disagio con emissioni vocali (Eibl-Eibesfeldt, 1993). Dopo qualche ora di vita, quindi, l’uomo segnala già
la sua capacità di provare sensazioni ma ciò che è importante, vista la natura istintiva del fatto, è la
necessaria considerazione che tali emozioni sono essenzialmente legate all’interazione con un
conspecifico (essere della stessa razza). Molte reazioni sociali si basano su meccanismi scatenanti innati;
in questi casi si sono sviluppate particolari caratteristiche aventi funzione di segnale, con un
adattamento reciproco tra colui che riceve lo stimolo e colui che lo emette. Se ai neonati vengono fatti
sentire suoni registrati di vario tipo e della stessa intensità, essi si mettono a piangere quando odono un
pianto (A. Sagi e M. L. Hoffmann, 1978). In questo caso si parla proprio di trasmissione di stati
d’animo o emozionali, e si tratta di uno schema di reazione per così dire pre-programmato. Meccanismi
simili si incontrano anche nell’ambito della percezione visiva.
L’uomo non è solo un “animale culturale”, è soprattutto la risultante delle sue precipue capacità
naturali, comprensive proprio di un elevato grado di adattamento alle condizioni di vita del proprio
ambiente, quello sociale (quindi quello culturale). E’ proprio in questo senso che deve essere
considerato il continuum concettuale da me teorizzato per comprendere il comportamento umano.
Un’analisi, quindi, continuamente a cavallo fra il confine biologico ed innato della natura dell’organismo
umano e le precipue caratteristiche dell’esistenza sociale di un individuo, naturalmente predisposto ad
una vita di gruppo, e quindi, necessariamente vincolato a regole e consuetudini di comportamento.
Di conseguenza, non potevo certo ignorare le nostre primitive origini biologiche legate
all’evoluzione del cervello; la parte dello stesso che si è sviluppata per prima è, infatti, quella che ancora
oggi ci permette di provare emozioni, sensazioni e stadi d’animo. Il cervello emotivo, quello che ai
giorni nostri è indicato come la parte destra dello stesso, è stato il primo a comparire nell’orizzonte
biologico-celebrale dell’organismo umano. Nonostante la mancanza di gran parte delle capacità legate al
successivo sviluppo del cervello stesso, gli ominidi riuscirono comunque a sopravvivere alimentando
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quindi il processo evolutivo che portò, poi, l’essere umano a controllare e disporre dell’intero pianeta a
proprio piacimento. Le emozioni, già milioni di anni fa, apparivano come vere e proprie capacità
naturali a disposizione di un essere animale coperto di pelo e caratterizzato da un’andatura curva e
scimmiesca; è difficile comprendere una tale affermazione o, per lo meno, appare alquanto insolita.
Diversi studiosi, comunque, (Pluthik, Teoria psicoevolutiva delle emozioni, 1969; Damasio, L’errore di Cartesio,
1972) hanno brillantemente dimostrato come le emozioni svolgessero funzioni comunicative fra esseri
non ancora in grado di comunicare verbalmente; inoltre, le stesse emozioni permisero comportamenti
finalizzati alla sopravvivenza proprio grazie alle informazioni biologiche segnalate dal cervello al resto
del corpo (il pericolo, quindi la paura e la fuga, o la ricerca di un riparo isolato lontano dagli altri
predatori).
Non posso certo, in questa sede, ripercorrere milioni di anni di evoluzione, ma deve assolutamente
essere interiorizzata un’informazione fondamentale: l’apparato celebrale sede dell’emotività si è
sviluppato per primo, esiste da sempre, da milioni di anni.
Risulta alquanto illogico, quindi, pensare che la natura abbia fornito una tale caratteristica
all’organismo umano se questa non assolvesse a nessuna funzione primaria (come la comunicazione) e,
quindi, di sopravvivenza. Come risulta aberrante pensare che l’evoluzione umana abbia, poi, relegato le
emozioni solamente a mere sensazioni di contesto o passioni incontrollabili non funzionali, in quanto
elementi di disturbo del pensiero razionale e, quindi, non degne di un approfondimento teorico sul
comportamento umano.
Se lo stesso discorso venisse affrontato portando come esempio la caratteristiche legate allo
sviluppo del cervello razionale, quello del calcolo, della logica e della memoria, probabilmente ci
sarebbe meno diffidenza. Parlare di emozioni, infatti, ha quasi sempre un’accezione di fascino teorico
coinvolgente, ma difficilmente alle stesse viene data la giusta considerazione in seno al comportamento
sociale. Eppure le emozioni rappresentano il più antico anello di congiunzione con i nostri antichissimi
e primitivi antenati; rappresentano un retaggio storico che il nostro organismo ha conservato in milioni
di anni adattandolo alle necessità legate allo sviluppo della civiltà e della cultura.
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L’evoluzione dell’organismo umano è caratterizzata anche da capacità cognitive e razionali, capacità
che, come ho già sottolineato, si sono sviluppate comunque in ritardo rispetto a quelle emotive, quasi a
segnalarne una secondaria importanza. L’emozione e la cognizione (la capacità d’analisi, di memoria, di
inferenza quindi) sono precipue capacità caratterizzanti l’essere umano in quanto tale, proprio come il grasso per
le foche o la linea del corpo di un ghepardo. E’ questo l’approccio etologico dello studio del
comportamento umano: si analizzano le caratteristiche biologiche di un organismo per comprenderne
le conseguenze sull’agire, sul comportamento. Per questo motivo il mio progetto di tesi è strutturato in
quattro capitoli: perché intendo analizzare ciò che più caratterizza l’uomo in quanto essere biologico e,
quindi, dotato di capacità proprie della sua natura, delle sue predisposizioni. Analizzerò l’emozione ( 1°
cap.) e, successivamente, il rapporto di quest’ultima con la cognizione (2° cap.), con la cultura (3° cap.) e,
necessariamente, con l’agire sociale (4° cap.); tutto questo con la finalità di chiarire perché l’uomo agisca
essenzialmente alla ricerca della propria soddisfazione emotiva e, vista la naturale necessità dello stesso
ad un’esistenza aggregata e di gruppo, alla definizione dell’interdipendenza emotiva.
Il mio approccio all’analisi appare chiaro: parto dalle origini biologiche (emozione e cognizione)
per passare, poi, alle “conseguenze” legate alle capacità intellettive dell’individuo che, col tempo, si
avvia necessariamente verso un processo di civiltà che formalizza, attraverso l’imposizione di regole,
una vita di gruppo che, comunque, caratterizza l’uomo in quanto essere sociale. Nascono così le culture,
i valori morali e le aspettative sociali proprie di una vita spesa in una dimensione estremamente aggregata.
L’ordine morale, le regole di comportamento, le consuetudini e le leggi regolano un’esistenza che ha
caratterizzato un organismo incapace, da sempre, di sopravvivere da solo; un processo infinito di
“formalizzazione culturale” che accompagna l’individuo implementando la naturale predisposizione
dello stesso in un’esistenza regolata da norme comuni di convivenza.
Un evento di estrema importanza per lo sviluppo della socialità nei vertebrati, infatti, è
rappresentato dall’evoluzione della cura della prole. Essa è stata l’invenzione chiave che ha reso possibile
l’amicizia. Solo con l’evoluzione dei segnali tra genitori e figli si sono infatti resi disponibili quei moduli
comportamentali che permettono l’esistenza di un rapporto di amicizia-tenerezza anche fra gli adulti
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(Eibl-Eibesfeldt, 1993). A tale proposito si può dunque parlare di un “momento decisivo
nell’evoluzione del comportamento”. In un ulteriore e decisivo passo evolutivo, poi, si è originato,
ancora sulla base della relazione madre figlio, la capacità di formare un legame individualizzato, cioè
personale. Questo legame è dapprima servito a rendere più solido il legame col figlio, soprattutto in
quelle specie che si dedicano a una cura prolungata della prole. In tal modo è divenuto così possibile
l’amore, inteso come legame individualizzato. I moduli comportamentali sviluppatisi al servizio della cura
della prole permettono, inoltre, di unire in gruppi individui non imparentati, cosicché diventano
possibili una vita di gruppo cooperativa e altamente organizzata, e anche una selezione di gruppo.
E’ proprio questo aspetto che deve essere assolutamente interiorizzato. La cura affettiva della
prole, il contatto fisico, e quindi, le seguenti manifestazioni emotive di sicurezza, rappresentano la base
evolutiva di tutti i rapporti cooperativi e di gruppo; la natura biologica dell’essere umano si implementa,
originariamente, attraverso il contatto con un conspecifico (essere della stessa razza) e ne dichiara,
quindi, la naturale predisposizione alla vita sociale e, soprattutto, le originarie necessità emotive.
Nei vertebrati superiori, i rapporti con il conspecifico sono caratterizzati di un’evidente
ambivalenza. Sebbene il conspecifico sia attivamente cercato, la tendenza al contatto, istinto al legame, si
associa a impulsi aggressivi che provocano un allontanamento. Una tale ambivalenza caratterizza anche
le relazioni fra gli uomini; già all’età di 5-6 mesi i lattanti cominciano a evitare gli estranei. Mentre sino a
quel momento essi sorridono a chiunque si rivolga loro, in seguito cominciano a distinguere fra persone
a loro note ed estranei. Così, mentre il lattante sorride come prima a persone che conosce, verso gli
estranei comincia a mostrare un’evidente timidezza. L’emozione della paura viene quindi affrontata già
all’età di 6 mesi attraverso modalità di comportamento non apprese ma bensì istintuali. Ciò è stato
ampiamente dimostrato da atteggiamenti mostrati da bambini nati ciechi; questi ultimi sono capaci di
riconoscere le persone dalla voce e sono in grado, quindi, di evitare gli estranei manifestando tutti i
segni tipici della paura. L’emozione, quindi, ci segnala le originarie necessità emotive legate allo sviluppo di
un essere umano (la sicurezza) e l’importanza funzionale proprio dell’interattività sociale, del contatto con
un conspecifico.
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L’emozione, quindi, come elemento precipuo e caratterizzante la natura biologica dell’essere
umano; l’emozione come manifestazione biologica dell’originaria necessità di contatto, di vicinanza, di
conoscenza, di affetto. Non approfondire l’aspetto emotivo dell’uomo rappresenterebbe, quindi, una
mancanza teorico esplorativa imperdonabile.
L’uomo, come ogni altro vertebrato superiore, è soggetto a stati emozionali mutevoli, che non
possono essere unicamente ricondotti a corrispondenti modificazioni esterne. Meccanismi motivanti
fanno sì che siamo semplici bersagli passivi degli stimoli ambientali. Questi meccanismi provocano
infatti specifiche disposizioni ad agire, che vengono vissute come “stati emozionali”. Sulla base di questi
ultimi, noi, quasi istintivamente, cerchiamo in modo attivo situazioni che ci permettano di attuare un
determinato comportamento. Così, se abbiamo fame, ci mettiamo alla ricerca di cibo, se abbiamo sete
cerchiamo l’acqua e, se ci annoiamo, spinti dalla curiosità ci mettiamo a cercare un passatempo. I nostri
sensi rispondono selettivamente a determinati stimoli, corrispondentemente allo stato emozionale del
momento. I meccanismi motivanti che stanno alla base della fame e della sete sono stati studiati
ampiamente. Essi risultano essenzialmente basati sulla presenza di recettori per il tasso di glucosio nel
sangue, oppure per il valore osmotico del liquido dei tessuti. Deviazioni rispetto a determinati valori
standard scatenano comportamenti che, come risultato, portano al ristabilimento dell’equilibrio
fisiologico (omeostasi). Se nei mammiferi vengono disinseriti i recettori del glucosio nell’ipotalamo, si
provoca iperfagia e gli animali si sovralimentano mostrando una fame insaziabile. Il comportamento di
ricerca di una situazione stimolo scatenante viene definito fin dal tempo di W. Craig (1918) come
“comportamento appetitivo” o anche “appetenza”.
Diverso è ciò che accade nel caso della curiosità. Senza alcun dubbio, noi siamo istintivamente
curiosi e cerchiamo di continuo informazioni nuove. Vi sono intere industrie che vivono della
diffusione di notizie quotidiane, e queste, in ultima analisi, non sono affatto indispensabili alla nostra
esistenza. Quotidiani, riviste, televisione e radio si preoccupano comunque di non farci annoiare.
L’industria del turismo, ad esempio, con un giro d’affari di miliardi, si adopera invece con successo per
portarci in viaggio in paesi lontani. Tutto ciò, infatti, viene incontro al bisogno umano di impressioni ed
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esperienze nuove. E’ certo che l’uomo curioso non aspira affatto al ristabilimento di un equilibrio
fisiologico ma, al contrario, cerca emozioni e stimoli per la fantasia. M. Holzappel (1940) è stata la prima
studiosa ad affermare che esiste un comportamento motivante di appetenza anche verso situazioni di
quiete. Un’affermazione, questa, alquanto calzante con quanto da me teorizzato: l’individuo agisce per
soddisfare la propria emotività. Che tale soddisfazione sia basata anche su dimensioni culturalmente
determinate è fuori luogo; che all’origine ci sia comunque un segnale biologico di piacere,
soddisfazione, appagamento, felicità o equilibrio, è altrettanto fuori discussione. In generale, infatti, la
conduzione nervosa relativa allo stato emozionale ha certo a che fare con l’attivazione dei processi
chimici a livello celebrale. Se, per esempio, noi percepiamo un sorriso, è presumibile che questo segnale
attivi a livello celebrale quei processi chimici che inducono sorrisi di risposta e una disposizione
amichevole, mentre la percezione del pianto innescherebbe i processi che attivano la tristezza e spesso
la compassione. Segnali sociali come questi, relativi alla mimica e all’emissione di suoni, innescano
dunque processi chimici che ci inducono a rispondere alle emozioni e alle espressioni di un conspecifico. M.
R. Liebowitz (1983) ha pubblicato alcune interessanti considerazioni sulla biochimica dell’amore a
livello celebrale. Sicuramente la “biochimica dei sentimenti” è, purtroppo, ancora ai suoi inizi, che però
sembrano assai interessanti ( D. M. Warbuton, 1975). Alle sensazioni soggettive corrispondono processi
biochimici a livello celebrale; quindi, visto che l’uomo è in grado di modificare in modo adattivo il
proprio comportamento sulla base di esperienze individuali, mi lascia supporre che quest’ultimo,
riconosciute le dimensioni comportamentali (apprese nel proprio tessuto socio-vitale) riconducibili a
sensazioni di piacere o soddisfazione, agisca fondamentalmente allo scopo di attivare specifiche reazioni
biochimiche generanti appagamento, compiacimento, contentezza (la soddisfazione emotiva).
Altri elementi biologici propri dell’individuo devono però essere esplorati con altrettanta attenzione
e cura. La cognizione, ad esempio, è una fondamentale caratteristica che differenzia l’uomo da qualsiasi
altra specie animale; attraverso la razionalità ed il ragionamento logico l’uomo ha conquistato lo spazio,
ha raggiunto forme di governo democratiche e traguardi medici impensabili. In particolare, poi, la
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cultura ha manifestato la sua natura regolatrice dell’esistenza sociale attraverso norme di convivenza
finalizzate, generalmente, alla pace e all’ordine morale.
Emozione, cognizione e cultura hanno quindi agito interdipendentemente (in un rapporto di reciproca
dipendenza) nel definire i tratti propri della civiltà umana caratterizzata, ripeto, da una profonda
necessità (funzionale o meno, a seconda dell’approccio teorico) d’esistenza sociale di gruppo, di
appartenenza, di influenza, di comunicazione, di condivisione di valori e, quindi, di interdipendenza
reciproca. La densità dell’esistenza sociale deve essere, quindi, portata ad un livello di solidità concettuale
propria di un costrutto teorico fondamentale; infatti, per comprendere quanto voglio concludere con il mio
progetto, deve assolutamente essere chiaro che, in qualsiasi momento della nostra esistenza, viviamo in
una dimensione di interdipendenza (reciproca dipendenza) con gli altri individui. La socializzazione, come
ho già sottolineato in precedenza, è un chiaro esempio per comprendere il grado di densità sociale della
nostra esistenza, come potrebbe essere la semplice constatazione che le emozioni più intense (positive o
negative) sono essenzialmente legate a dimensioni contestuali di interazione con altri individui: si pensi
semplicemente al lavoro, alla famiglia o all’amore.
Sottolineare la dimensione di un’esistenza sociale profondamente interattiva è fondamentale per
due motivi:
- per definire i rapporti di interdipendenza emotiva che caratterizzano gli individui (sociali).
- per comprendere, attraverso il rapporto biologia/cultura, la necessità e le vie per raggiungere la
soddisfazione emotiva.
Per chiarire i due concetti appena esposti ho analizzato molti contributi scientifici attraverso un
processo di chiarimento teorico deduttivo. Sono partito analizzando le emozioni per permettere un
approfondimento inferenziale su cosa realmente può essere definito come “emozione”; ho chiarito, poi,
l’esistenza di emozioni fondamentali, emozioni cioè universalmente riconosciute, per sottolinearne il retaggio
storico e biologico comune a tutti gli individui. Non ho certo dimenticato di “ascoltare” anche i
contributi in opposizione a tale affermazione scientifica. Il “costruzionismo sociale” di Harrè, infatti,
imputa l’esistenza delle emozioni solamente a fattori culturali: le emozioni, in definitiva, sarebbero
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create dalla cultura. E’ proprio a questo punto che è risultata fondamentale una prospettiva d’analisi
“moderata”, aperta cioè all’accoglimento di utili indizi provenienti da ideologie completamente distanti.
Le emozioni non sono state affatto create dalla cultura, esistono da sempre, da prima che il cervello
razionale si sviluppasse. La cultura ha senz’altro interagito e influenzato, poi, le stesse; le differenti
norme morali, i concetti e le diverse regole di condotta sociale, che caratterizzano qualsiasi tipo di
civiltà, segnalano i differenti approcci proprio alla soddisfazione emotiva, che così si allontana da una
dimensione biologica e si avvicina invece ad una necessariamente più culturale, definendo un
continuum evolutivo fra natura e cultura, fra passione e ragione, fra istinto e razionalità, fra natura e
società. Tale continuum concettuale è fondamentale per spiegare la primaria importanza dell’emotività;
affronterò, quindi, l’argomento distinguendo, inizialmente, l’emozione (biologica, naturale ed
incontrollata) dalla sensazione (più culturale e mediata), per sottolinearne il cammino evoluzionistico
legato, sia alla precipua natura biologica dell’individuo, sia alle manifestazioni mediate della stessa, e
cioè, alla nascita della cultura e, quindi, della morale e delle norme di convivenza che portano così alla
definizione dei requisiti precipui di un uomo giunto ad una dimensione civile. Il termine “cultura” è
stato, infatti, storicamente associato proprio alla nascita della “civiltà”. L’interazione fra cultura, natura
emotiva e la necessità di un’esistenza di gruppo, definiscono necessariamente le dimensioni dell’agire
sociale dell’individuo; le manifestazioni emotive sono, quindi, legate sia a fattori essenzialmente culturali
(ad esempio, il successo professionale) sia a necessità prettamente naturali (l’affetto, l’amore, la
sicurezza e l’appartenenza). L’emotività, retaggio storico dell’organismo umano biologicamente
considerato, si incontra con la cultura, manifestazione storica delle naturali capacità cognitive dello stesso, e
altresì risultante dell’istintiva necessità di imporsi regole di convivenza sociale. L’uomo è tutto questo: è
emozione, è ragionamento razionale, è socialità, è consuetudine culturale, è passione.
Solo considerando le fondamentali proprietà di un organismo permette di ottenere un back-
ground concettuale tale da consentirne la comprensione delle manifestazioni più tangibili delle stesse e,
nel nostro caso, il comportamento, l’agire sociale. Questo progetto di tesi parte proprio da questo
presupposto, analizza quanto più caratterizza l’uomo in quanto tale per comprenderne le ragioni della
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condotta sociale. Un’analisi a cavallo fra biologia e cultura, fra natura e società, in un continuum
concettuale che vede l’emozione, la cognizione, la vita di gruppo e la cultura come determinanti principali, nel
loro necessario interagire, del comportamento sociale. Per questa ragione, ad esempio, il dibattito
riguardante la natura dell’emozione (se sia “naturale”, come per Damasio, L’errore di Cartesio, o sia
“culturale”, come per Harré, La Costruzione sociale delle emozioni) risulta probabilmente inutile; l’emozione
è sia “naturale” che “culturale” perché è parte integrante di un processo evolutivo nel quale le
predisposizioni naturali dell’organismo umano (quelle rappresentative dei quattro capitoli di questa tesi)
agiscono necessariamente e storicamente in un rapporto di reciproca dipendenza e , quindi, di
dipendenza reciproca. Come è pensabile, allora, dar conto del comportamento umano isolandone i
precipui talenti dello stesso? Come è possibile affermare, quindi, che le emozioni sono solo
manifestazioni culturali? Il carattere interdisciplinare del mio approccio all’analisi non permette di
cadere in questi estremismi teorici indifferenti ad una visione d’insieme.
Quindi, comprendere la soddisfazione emotiva vuol dire studiare le disposizioni naturali
dell’uomo in quanto tale, analizzarne le dirette manifestazioni osservabili sul comportamento; vuol dire
considerare le antiche originari emotive, per comprenderne l’influenza sull’agire, in concomitanza con le
storiche attitudini dello stesso a regolare la propria condotta sociale (cultura) per intuire, così, perché
gli individui sono caratterizzati da rapporti di interdipendenza emotiva. L’esistenza aggregata di una
molteplicità di individui si basa necessariamente su reciproche “dipendenze” funzionali all’esistenza sociale
stessa; fra queste quella emotiva. L’interdipendenza emotiva è la conseguenza prima dell’individuale bisogno di
soddisfazione emotiva e della naturale necessità dello stesso di vivere in gruppo. Per questo motivo continuo a
sottolineare, sfiorando la pedanza, l’importanza di considerare la densità della vita sociale. Per
rendersene conto, basti pensare al semplice gesto quotidiano di chiudere a chiavi la porta di casa; come
lo è il normale guardarsi allo specchio o acquistare un bel vestito; come il semplice gesto di rispondere
al telefono; ed ancora, come quando si abbraccia forte qualcuno; come quando la metropolitana è
piena; come quando si è consapevoli di essere in ritardo ad un appuntamento e si accelera il passo;
come quando si è in ascensore con degli sconosciuti; come quando basta uno sguardo fisso negli occhi
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per scatenare una reazione; come quando si affronta un colloquio; come quando si spera di incontrare
la persona giusta ecc.
Si pensi a tutte le rappresentazioni artistiche, mediatiche e culturali: sono, oltre che “prodotti” di
altri individui, dei veicoli per stimolare l’emotività; il successo di uno spettacolo teatrale, di un album
musicale, di un libro o di uno spot pubblicitario si misura proprio sul grado di stimolazione emotiva che
è in grado di realizzare nei confronti del destinatario del messaggio calcolando, poi, attraverso la misura
degli atteggiamenti (l’atteggiamento è costituito da una componente affettiva e una razionale) d’acquisto
verso il prodotto stesso. Si pensi quante canzoni, quante pellicole cinematografiche, quanti romanzi o
poesie sono stati da sempre dedicati alla profondità dell’amore, il sentimento più nobile ed antico,
quello che forse meno risente delle influenze legate ai costrutti culturali e morali.
E’ l’emozione, o la ricerca della stessa, che ci fa “muovere” nel vero senso della parola;
emozione intesa non necessariamente come passione incontrollata e spiazzante, ma anche come
soddisfazione personale (la sensazione) segnalata dal nostro corpo e filtrata spesso da fattori culturali
interiorizzati e, quindi, altrettanto vincolanti per l’agire stesso. Si è tutti inevitabilmente alla ricerca della
propria soddisfazione emotiva perché si deve tutti continuamente dar conto al personale stato
d’animo, perché, come affermava Aristotele “…l’agire umano è guidato dalla ricerca della felicità…”,
quale che sia la forma che quest’ultima possa assumere.
Si pensi semplicemente all’affinità profonda fra due persone. E’ storicamente descritta da un
termine trans-culturalmente riconosciuto, un vocabolo che non lascia dubbi sul precipuo requisito
essenziale all’affinità stessa: il termine “feeling” (to feel: sentire, provare) è, secondo me, alquanto
indicativo; è indicativo perché è un chiarissimo esempio di quanto importante sia l’azione rivelatrice del
nostro organismo e, soprattutto, di quanto essenziale sia l’interazione per provare e sentire i risultati di
tale processo chimico-biologico la cui reificazione porta, in definitiva, a stati di gioia, di felicità, di
soddisfazione personale.; l’essenzialità della vita sociale si traduce proprio nell’interdipendenza
emotiva fra gli individui, interdipendenza derivante dell’originaria necessità di soddisfare la propria emotività, di
realizzare uno stato d’animo di appagamento o di compiacimento che, comunque e sempre, necessita di
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“intermediari” sociali per implementarsi. Quante emozioni potremmo mai provare in una condizione di
asocialità? Forse soltanto le fondamentali (vedi primo capitolo). Quanti stimoli emotivi avremmo, poi,
vivendo in una condizione isolata?
Il back-ground concettuale di questo progetto di tesi si basa su assunti teorici da tenere sempre
presenti, come:
- la natura biologica dell’organismo umano influenza necessariamente l’agire dell’individuo. Basti
pensare alla specializzazione dei due emisferi del cervello;
- il cervello emotivo, l’emisfero destro, è stato il primo a comparire nell’orizzonte evolutivo della
specie umana;
- le natura biologica dell’individuo si reifica, attraverso le emozioni, nel comportamento sociale;
- esistono cinque emozioni definite come fondamentali in quanto universalmente riconosciute (vedi
primo capitolo);
- l’emozione non è solo passione incontrollata, è anche sensazione o stato d’animo;
- l’emozione è una spinta all’agire;
- le prime necessità emotive del lattante (il bisogno di sicurezza) vengono soddisfatte col contatto
con la madre; le prime emozioni gratificanti, quindi, sono il risultato dell’interazione con un
conspecifico (essere della stessa razza); l’affetto è all’origine della cooperazione;
- l’esistenza è caratterizzata dall’alternarsi di differenti stati d’animo; non v’è ragione di credere che
l’uomo non ricerchi quelli che più ne permettono la personale gratificazione (la soddisfazione
emotiva);
- la soddisfazione dei bisogni umani è segnalata da segnali biologici rappresentativi di emozioni,
sensazioni o stati d’animo; è altresì la risultante dell’influenza dei costrutti culturali;
- le necessità emotive dell’individuo seguono, necessariamente, le diverse aspettative di ruolo legate
all’età; le responsabilità, insomma, aumentano col crescere e la soddisfazione emotiva è, per forza,
più complicata da raggiungere; quando, infatti, un individuo viene definito maturo?
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- l’uomo vive in una dimensione di interdipendenza sociale (la cooperazione e la vita di gruppo) con
gli altri individui;
- l’interagire è essenziale per apprendere le dimensioni precipue del comportamento sociale;
l’individuo interagisce con gli altri già dopo qualche secondo di vita e ne segnala gli effetti attraverso
le prime espressioni emotive;
- l’uomo è un animale sociale, non può vivere da solo; per questo ha bisogno di regole di convivenza
sociale;
- gran parte dei bisogni umani sono ricollegabili proprio alla dimensione interattiva dell’esistenza
sociale dell’individuo;
- l’uomo, conseguentemente alla sua natura sociale e culturale, deve soddisfare i bisogni legati
all’appartenenza, al riconoscimento e alle aspettative legate alle sue dimensioni di ruolo;
- l’agire sociale è il risultato delle primarie attitudini umane: provare emozioni e regolare la propria
esistenza di gruppo attraverso la cultura.