INTRODUZIONE
La tesi è strutturata in tre parti, ciascuna delle quali tratta una tematica differente, ma
strettamente connessa alle altre.
Nel primo capitolo di questo lavoro si è deciso di trattare l’interculturalità intesa
come visione del mondo contemporaneo, come progetto per un rinnovamento della
società odierna, in cui le differenze culturali riescano non solo a convivere, ma anche
e soprattutto a dialogare tra loro. Vengono analizzate la cause che rendono questo
progetto estremamente necessario, legate ai fenomeni dell’immigrazione e della
globalizzazione, nonché gli obiettivi che ci si pone lavorando in questa prospettiva.
Viene messo in luce il forte legame che esiste tra la cultura e il potere, legame che
spesso causa discriminazioni e disuguaglianze sociali. Si rende quindi necessaria una
riformulazione di quei concetti, come “cultura” e “straniero”, che sono portatori di
divisioni (intese come confini rigidi e insuperabili). Grazie alla loro nuova
enunciazione, tali concetti possono condurre a una valorizzazione delle differenze
(intese come ricchezze e confini in continuo mutamento) che permetta una corretta
apertura al mondo e alla sua varietà e un adeguato approccio a ciò che ci è straniero.
Questo mutamento deve necessariamente passare attraverso lo sviluppo di
competenze relazionali e cognitive, che consentano di avere flessibilità mentale e
disponibilità al dialogo. Tale è il compito della pedagogia interculturale, che si
rivolge non solo agli stranieri, ma a tutti i soggetti che vivono in un contesto
multiculturale. Vengono analizzati i tre principali approcci utilizzati, individuandone
pregi e difetti, e indicando il modello pluralista/integrazionista come quello più
corretto. La finalità di tale approccio è la costruzione dell’identità personale,
attraverso l’ascolto e la comunicazione che portano alla valorizzazione delle
differenze, nonché al superamento di pregiudizi e stereotipi mediante il
decentramento culturale.
Il secondo capitolo tratta della didattica interculturale dell’arte e della sua utilità sia
per lo studio dell’arte, sia per la pedagogia, sia per il dialogo interculturale. La
complessità del mondo artistico, infatti, permette lo sviluppo di capacità cognitive
3
indispensabili alla pedagogia interculturale. Viceversa, l’interculturalità apporta
nuove letture e nuovi punti di vista allo studio dell’arte. Vengono inoltre analizzati i
quattro metodi utili a costruire un percorso che, a partire dalla nostra stessa cultura,
permetta, a stranieri e autoctoni insieme, di raggiungere quella che è la finalità ultima
di questa didattica: l’acquisizione di competenze che permettano di vivere nel mondo
multiculturale in cui ci troviamo. Il primo metodo, quello ludico-laboratoriale,
permette un approccio iniziale all’opera di tipo emotivo, creando un terreno comune
a tutti e consentendo di mettere in campo sensazioni ed emozioni, per scoprire
affinità e differenze con quelle degli altri. Il secondo metodo, quello autobiografico,
consente di collegare queste sensazioni ad esperienze vissute e conoscenze pregresse,
aiutando così a sviluppare capacità comunicative e di ascolto, portando alla
consapevolezza della limitatezza di ogni singolo punto di vista e della necessità di
aprirsi agli altri e alle loro culture personali. Infine, il metodo comparativo consente
di utilizzare le competenze acquisite per accostarsi alle forme artistiche delle culture
straniere.
Nel terzo e ultimo capitolo, viene analizzato il rapporto tra patrimonio culturale e
interculturalità. Anche in questo caso si tratta di un legame positivo e produttivo per
entrambi: il patrimonio ha l’occasione di rinnovarsi (diventando più aperto, dialogico,
dinamico) attraverso la nuova lettura datagli dall’interculturalità, mentre quest’ultima
riceve nuovi linguaggi e nuovi materiali.
Occorre quindi partire dalla consapevolezza del ruolo sociale del museo e di come
esso debba rendersi accessibile e fruibile da tutti. Vengono poi analizzate le iniziative
sviluppate dai musei in questo ambito, differenziando quelle che intendono
l’interculturalità come fine dell’attività didattica museale (attraverso progetti di
sviluppo all’accesso, di integrazione delle culture immigrate e di programmazione
culturalmente specifica) da quelle che invece la considerano un mezzo (attraverso la
promozione di una partecipazione attiva di ogni tipo di pubblico, sia nella fruizione
che nella produzione della cultura). È quest’ultima categoria quella che risulta più
utile dal punto di vista dell’interculturalità. I progetti appartenenti a quest’ultima
sono contraddistinti da alcune caratteristiche comuni: la formazione di mediatori
4
culturali per la rilettura del nostro patrimonio attraverso la loro esperienza personale
e la loro cultura d’origine; il coinvolgimento attivo di gruppi misti; la
sperimentazione di nuovi metodi; la collaborazione con artisti contemporanei e
l’attivazione di collaborazioni interistituzionali.
Un accenno viene infine riservato alla pedagogia del territorio, come strumento per
aiutare la coesione sociale attraverso la condivisione degli spazi e dei beni culturali
che vi si trovano.
A conclusione della tesi, si trovano le schede di analisi di alcuni musei d’arte italiani,
con i relativi progetti legati all’interculturalità, che sono risultati di fondamentale
importanza per lo sviluppo del terzo capitolo.
5
CAPITOLO I
L’INTERCULTURALITÁ E LA PEDAGOGIA
INTERCULTURALE
1.1. L’INTERCULTURALITÁ
Nel mondo sempre più globalizzato in cui viviamo, caratterizzato da
un’accelerazione continua delle comunicazioni, delle informazioni e delle
trasformazioni, in cui lo spazio sembra restringersi a livello planetario, sempre più
spesso sentiamo parlare di multiculturalità e interculturalità, termini dal sapore un
po’esotico e “alternativo”, che sembrano usciti dal manifesto programmatico di
qualche gruppo pacifista, ma che invece toccano da vicino ognuno di noi.
I termini multiculturalità e interculturalità spesso vengono usati come sinonimi, ma
in realtà essi rimandano a significati e a modelli educativi diversi.
Multiculturale è un aggettivo usato per descrivere le situazioni di coesistenza tra
diverse culture. È quindi un termine neutro, descrive una realtà “senza alcun
1
riferimento al modo in cui s’intende intervenire per favorire l’incontro...”
Nell’ambito della pedagogia, descrive la posizione di chi opera per favorire la
coesistenza dei gruppi e delle culture le une accanto alle altre come in un mosaico.
Benché abbia come scopo la convivenza pacifica e quindi appaia a prima vista un
modello positivo, corre però il rischio di trasformare la coesistenza in separazione. È
comunque la situazione più frequente, riscontrabile nella maggior parte delle grandi
città, nelle quali si trovano inevitabilmente persone di provenienze diverse, che
cercano di coesistere in comunità le une accanto alle altre. È inevitabile che ciò
accada, in quanto i nuovi arrivati cercano i propri “conterranei” o connazionali, coi
quali stabilire dei forti rapporti che consentano di inserirsi nella vita della città. È ciò
che accade ad esempio a Milano, in cui la comunità cinese, stabilitasi nella zona di
via Paolo Sarpi, la comunità latino-americana, rumena e medio-orientale (per citare
quelle più numerose), vivono fianco a fianco con la popolazione autoctona (che in
1
D. Bobisut, (a cura di), Interarte, laboratori di civiltà europea e identità nazionale alla sfida della
multiculturalità, PensaMultimedia, Lecce, 2008, p. 57.
6
realtà è essa stessa costituita da italiani provenienti da regioni diverse), riuscendo
però raramente a stabilire dei contatti e degli scambi duraturi e profondi.
Una società multiculturale può evolversi in due direzioni: optare per un
mantenimento delle differenze, oppure svilupparsi nella direzione
2
dell’interculturalità.
Il termine interculturale ha una connotazione progettuale: è scambio e arricchimento
reciproco. “Nel progetto interculturale è insita l’intenzione di creare occasioni di
incontro assumendo consapevolmente il ‘rischio’ che scambio e incontro comportino
3
contaminazione.”
È un termine dinamico che rimanda a un progetto e denota la volontà di rivolgersi
4
verso gli altri, verso ciò che è sconosciuto. Non si vuole solamente convivere
pacificamente, ma ci si vuole arricchire dall’incontro col vicino. Con tutti i rischi che
tale confronto può portare.
L’interculturalità è tema di studio e di analisi anche da parte delle istituzioni che ne
hanno percepito l’importanza, soprattutto a livello internazionale.
Ad esempio l’Unesco ne ha dato una definizione molto chiara:
“chi dice interculturale dice necessariamente- se dà tutto il significato al prefisso inter –
interazione, scambio, apertura, reciprocità, solidarietà obiettiva. Dice anche, dando
pieno valore al termine cultura, riconoscimento dei valori, dei modi di vita, delle
rappresentazioni simboliche alle quali si riferiscono gli esseri umani, individui e società,
nelle loro relazioni con l’altro e nella loro comprensione del mondo, riconoscimento
delle loro diversità, riconoscimento delle interazioni che intervengono di volta in volta
tra i molteplici registri di una stessa cultura e fra differenti culture, nello spazio e nel
5
tempo."
Ecco quindi emergere i due concetti fondamentali dell’interculturalità: l’interazione e
la cultura, ai quali fanno riferimento gli obiettivi fondamentali di questa pratica.
2
A. Aluffi Pentini, Laboratorio interculturale. Accoglienza, comunicazione e confronto in contesti educativi
multiculturali, Junior ed., Azzano San Paolo (BG), 2002, p. 9.
3
Ibidem.
4
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 57.
5
Ibidem.
7
1.1.1. OBIETTIVI E CAUSE DELL’INTERCULTURALITÁ
“Il tuo Cristo è ebreo e la tua democrazia è greca. La tua scrittura è latina e i tuoi
numeri sono arabi. La tua auto è giapponese e il tuo caffè è brasiliano. Il tuo orologio è
svizzero e il tuo walkman è coreano. La tua pizza è italiana e la tua camicia hawaiana.
Le tue vacanze sono turche, tunisine o marocchine… Cittadino del mondo, non
rimproverare al tuo vicino di essere straniero.” (Anonimo)
67
Secondo i due studiosi Antonio Genovese e Francesca Gobbo, l’interculturalità
persegue i seguenti obiettivi:
• la relazione tra le diverse culture;
• la convivenza e il reciproco rapporto fra punti di vista diversi;
• la collaborazione solidale, ma rispettosa fra le culture e le persone;
• la riduzione dei possibili conflitti e il loro superamento in direzione della
negoziazione e non della deflagrazione violenta;
• una visione critica del “pregiudizio economicistico e tecnologico”
caratterizzante le politiche dei paesi cosiddetti avanzati;
• la promozione di una sempre più inclusiva partecipazione dei nuovi venuti e
delle minoranze interne alla vita sociale, culturale e politica del paese che li
accoglie.
Questi obiettivi non riguardano esclusivamente i “nuovi venuti”, in quanto tutti gli
sforzi, gli studi e i progetti sull’interculturalità partono dalla convinzione della sua
importanza sia per gli autoctoni, cioè per gli appartenenti alla cosiddetta “cultura
dominante”, sia per gli alloctoni, cioè coloro che, provenienti da un’altra cultura, si
inseriscono in quella dominante.
Da un lato, quindi, l’approccio interculturale permette di comunicare, agire, stabilire
relazioni con persone di origine, credenze, lingua, abitudini differenti dalle nostre,
permettendo così di sviluppare nuove conoscenze, nuove competenze relazionali e
perciò di arricchirsi; dall’altro, consente di dare il giusto riconoscimento, culturale e
6
A. Genovese, Modulo di pedagogia interculturale, Scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario,
Università di Bologna, a.a. 2002/03, p. 6.
7
F. Gobbo, Pedagogia interculturale, il progetto educativo nelle società complesse, Carocci, Roma, 2000, pp. 9-
10.
8
politico, alla domanda di giustizia, di diritti, di solidarietà, proveniente da immigrati
8
e da minoranze.
Questi due aspetti dell’interculturalità si ritrovano nella Conferenza dell’UE sul
dialogo interculturale, svoltasi a Bruxelles nel marzo 2002, all’interno della quale,
nella dichiarazione che tratta della politica del dialogo interculturale, si legge (punto
2.) che tale dialogo “è uno strumento efficace per prevenire e gestire i conflitti […] e
favorire l’arricchimento e la comprensione reciproca”, garantendo una “riflessione
attiva e costante sul rispetto dei diritti umani, sul funzionamento della democrazia e
9
sulle radici della violenza e del terrorismo.”
Non si tratta perciò solamente di aiutare i migranti ad inserirsi nelle società di
accoglimento, ma anche di mettere in discussione, rivedere e relativizzare nozioni
fondamentali e principi comuni sia alla cultura dominante sia a quella di minoranza,
in modo da costruire una nuova cultura.
Occorre fermarsi a riflettere sul perché si parla sempre più di multiculturalità.
È sotto gli occhi di tutti che la nostra realtà si sta trasformando sempre più in
direzione multiculturale.
Una delle cause è senz’altro il fenomeno delle migrazioni, che negli ultimi tempi sta
vedendo l’arrivo in Europa di persone provenienti da zone problematiche del mondo.
In realtà la nostra preoccupazione per questo evento è molto influenzata
dall’informazione massmediatica, che ne amplifica le problematiche rendendolo
un’emergenza costante e continua. Tale paura potrebbe invece essere attutita dalla
riflessione su alcuni “pregiudizi” che riguardano tale fenomeno. Prima di tutto il
fenomeno migratorio non è né un fatto nuovo né totalmente negativo, in quanto flussi
di popolazioni migranti hanno sempre caratterizzato, con modalità e tempi diversi, lo
sviluppo dell’umanità, portando innovazioni e idee rivoluzionare da una civiltà
all’altra. In secondo luogo il fenomeno dell’immigrazione non riguarda solo i paesi
ricchi e industrializzati, non esiste un’unica direzione del flusso dal paese povero al
paese ricco, ma anche i paesi poveri si trovano costretti ad accogliere molte persone
8
Ibidem, p. 10.
9
Unione Europea, Conferenza sul dialogo interculturale, Bruxelles, 20-21 marzo 2002.
9
migranti, oltretutto con mezzi e in situazioni economiche peggiori di quelle di cui
dispongono gli stati industrializzati. Non si tratta quindi di una “invasione”, come
invece spesso viene visto l’arrivo di migranti.
10
Nell’analisi di questo fenomeno, Antonio Genovese mostra come la migrazione sia
tutt’altro che semplice sia da vivere, sia da gestire.
Le cause dei flussi migratori, infatti, sono decisamente varie e complesse: non si
emigra quasi mai per scelta soggettiva, personale, ma molto spesso per cause
oggettive che impediscono di continuare la propria vita in un determinato luogo
(cause economiche, sociali, politiche, religiose, guerre, calamità, ecc…).
In Italia, ad esempio, nel 1997 iniziarono ad arrivare in massa profughi provenienti
dall’Albania che scappavano da una situazione insostenibile di anarchia, che aveva
portato alcuni gruppi di civili a prendere il controllo del paese con la forza. Causa di
questa ribellione violenta fu la crisi economica che investì il paese dopo la caduta nel
1989 del Muro di Berlino e del Comunismo.
Anche oggi il nostro paese vede arrivare popolazioni in fuga da situazioni
economiche o politiche drammatiche: è il caso dei profughi africani, che pur di
scappare dai loro paesi martoriati da guerre e crisi economiche, affrontano un viaggio
lunghissimo, estenuante e anche molto pericoloso, prima ammassati su camion
attraverso le zone desertiche del loro continente, poi stipati su gommoni e barconi
per raggiungere le coste italiane.
Il tema della multiculturalità, però, non va affrontato guardando solo alle
problematiche legate al fenomeno migratorio, benché sia quello più evidente e
“scomodo”. Ci sono infatti anche fattori che, all’interno della nostra società,
sviluppano processi multiculturali indipendentemente dalla presenza di immigrati
11
stranieri nel nostro paese. La globalizzazione dei mercati, con lo spostamento di
merci, mezzi di produzione, capitali e persone da un paese all’altro; la crescita del
turismo e delle comunicazioni di massa, grazie allo sviluppo del web, che ci mette in
contatto con l’altro non solo fisicamente, ma soprattutto virtualmente; l’avanzata dei
10
A. Genovese, op. cit., p. 5.
11
Ibidem, p. 6.
10
processi di integrazione economica e politica fra i diversi Stati, nel nostro caso la
costruzione dell’Unione Europea, sono tutti fenomeni che rendono inevitabili i
contatti con culture e persone straniere. La stessa condizione di immigrato (cioè una
persona nata in un paese, ma che vive in un altro) caratterizzerà in futuro un numero
sempre maggiore di persone, a causa della mobilità che ormai molti lavori richiedono.
È quindi chiaro che al giorno d’oggi è pressoché impossibile non avere contatti e
scambi con l’esterno e quindi con altre culture.
È sempre più difficile pensare le nostre società come caratterizzate da una cultura
omogenea e condivisa ugualmente da tutti i cittadini in cui le culture degli immigrati
farebbero “irruzione” (citando l’espressione usata da Francesca Gobbo) producendo
complessità e pluralità culturale, questo perché la nostra stessa cultura è sempre più
variegata al proprio interno.
12
Non esistono più quelle che Stefano Piazza definisce le culture create dal
nazionalismo: un nazionalismo che non si fondava su realtà comunitarie, etniche,
culturali, sociali o politiche preesistenti, ma che anzi le distruggeva per imporre una
cultura omogenea e un’educazione nazionale, entrambe funzionali alla
modernizzazione industriale.
Questo modello generale di società nazionale e di integrazione sociale non
corrisponde più alla realtà sociale odierna, o meglio, la nostra realtà sociale non è più
in grado di adattarvisi, come invece le società investite dalla rivoluzione industriale
nei secoli scorsi furono in grado di fare.
Quali sono i vantaggi e i rischi di una prospettiva interculturale?
Da un lato vi è il riconoscimento positivo della diversità culturale, il cui risvolto sta
nel riconoscimento di una comune umanità.
Dall’altro la credenza che si possa fare un discorso sulla comunicazione, sulla
comprensione, sullo scambio e sulle relazioni culturali senza tenere conto che esiste
la dimensione del potere e che esistono non solamente le differenze culturali, ma
12
S. Piazza, F. Toscani, Cultura europea e diritti umani (nella società globale del rischio), CLEUP, Padova,
2003, p. 112.
11
13
anche differenziali di potere tra una cultura e l’altra. In pratica bisogna tenere il
discorso interculturale saldamente ancorato alla realtà.
L’interculturalità, benché stimolata da motivi concreti, non è soltanto un’esigenza
pratica, dovuta a fattori economici e sociali, ma anche una necessità dal punto di
vista culturale.
L’omogeneità culturale, infatti, oltre ad essere sempre più o meno un’imposizione,
porta più svantaggi che vantaggi, in quanto, come analizzato anche da Francesca
Gobbo, una prospettiva centrata etnicamente o culturalmente in primo luogo riduce
l’esperienza umana ed educativa, dato che non è riconosciuta l’importanza per
ciascuno di noi delle esperienze, credenze e idee delle altre persone; in secondo
luogo l’importanza data a ciò che è noto e già conosciuto porta a sottovalutare
l’imprevedibilità e quindi a rendere impreparati all’incontro con essa; infine “lo
spirito critico, la capacità di valutare e decidere in maniera indipendente non
sopravvivono se l’esigenza di porre in questione e di indagare è limitata da valori e
14
credenze” che per definizione non possono essere messi in discussione.
1.1.2. IL CONCETTO DI CULTURA
Prima di parlar di interculturalità occorre analizzare il concetto di cultura, cercando
di liberarci da pregiudizi e stereotipi.
Nella Pronuncia sull’Educazione Interculturale del Consiglio Nazionale della
Pubblica Istruzione del 23 aprile 1992, si legge:
“secondo il punto di vista interculturale, le culture non debbono essere intese come
corazze che impediscono la crescita né venerate come santuari intoccabili, perché esse
sono pur sempre un prodotto umano e la loro funzione non è solo quella di proteggere,
ma anche di sorreggere lo sforzo che ogni uomo deve fare per affrancarsi dalle
condizioni di partenza, allargando lo sguardo non solo alla varietà dei modelli di
15
umanità esistenti, ma anche a quelli possibili.”
13
F. Gobbo, op. cit., p. 15.
14
Ibidem, p. 43.
15
Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, Pronuncia sull’Educazione Interculturale, 23 aprile 1992.
12