INTRODUZIONE Il presente lavoro si sviluppa a partire da riflessioni di carattere prevalentemente
pedagogico e linguistico circa le pratiche, le esperienze e gli aggiornamenti apportati
nell’ambito scolastico italiano e condotti nel campo dell’accoglienza agli alunni
stranieri e dell’interculturalità, nonché nell’insegnamento e apprendimento
dell’italiano come lingua seconda. Ad oggi interventi di questo tipo si presentano
come passi fondamentali all’interno di una scuola che intende porsi al passo con
cambiamenti non indifferenti, anzi talora radicali, che a ritmo alquanto accelerato
investono il tessuto sociale, stimolati dalla cospicua presenza di alunni di origine
straniera e tuttavia non rigorosamente attribuibili ad essa.
Alla luce della consapevolezza riguardo il dinamismo che caratterizza il mondo
scuola e con l’obiettivo di percepire l’attuale grado di qualità di tale contesto, intendo
trarre e illustrare un quadro d’insieme che sintetizzi le fasi in cui è stata distribuita e
sviluppata l’azione interculturale negli ultimi vent’anni, sia in materia di revisione
organizzativa che di contenuti e approcci alla didattica. Da una tale analisi d’insieme
mi propongo di rilevare e individuare problematiche e punti che necessitano ulteriori
revisioni, nonché di presentare le fasi in cui è stata distribuita un’esperienza da me
personalmente svolta presso due classi di una scuola dell’infanzia.
Il lavoro, articolato in quattro capitoli, prevede una prima parte di carattere
teorico, in cui si cerca di tracciare, anche in termini di cifre e percentuali, le
caratteristiche dell’attuale panorama scolastico attraversato da biografie, storie e
vissuti molteplici e variegati. Di seguito si cerca di mettere in luce i risultati
conseguiti ma soprattutto le problematiche ancora insite nell’azione interculturale,
della quale si percorrono le principali forme di realizzazione. Una di queste è
indubbiamente quella riguardante l’insegnamento e apprendimento dell’italiano L2,
argomento affrontato tenendo conto delle pratiche più diffuse a scuola e delle
biografie linguistiche degli alunni stranieri, sia nati in Italia che altrove.
A una ricognizione di questo tipo dedicata al panorama scolastico italiano segue
nella seconda parte un “ close-up ” su un percorso di pratica “trasversalmente”
interculturale da me intrapreso presso le due classi di una scuola dell’infanzia in
1
provincia di Teramo, appartenenti ad un Istituto Comprensivo presso il quale ho
inoltre tenuto un corso di formazione docenti riguardante l’interculturalità e
l’insegnamento della lingua seconda. Nel rapportarmi a questa precisa realtà
scolastica, ho tenuto conto del contesto in cui essa è immessa e dei diversi riferimenti
culturali e linguistici che, anche se in maniera non del tutto evidente, permeano le
classi. Le osservazioni condotte durante e dopo questo percorso sono pertanto
indicative delle riflessioni teoriche maturate circa il fare intercultura a scuola,
riflessioni che ho avuto la possibilità di trasferire, almeno parzialmente e
trasve rsalmente, nell’esperienza pratica. Ciò che stimola tali osservazioni non è tanto
un interesse circoscritto a contesti educativi in cui siano rappresentate più culture e
nazionalità e limitato a quelli che vengono studiati come “casi-limite”, i quali sono
frequente oggetto di approcci interculturali di tipo esemplare e dimostrativo, ma
piuttosto la propensione a considerare realtà in cui le esigenze a livello di
integrazione e/o accoglienza sono meno marcate e meno urgenti, quasi sotterranee,
ma non per questo meno rilevanti. A sostenere il mio approccio in questo lavoro è
dunque l’esigenza di assumere l’istanza dell’educazione interculturale come
educazione tout court e come compito “continuativo” che permei una realtà
scolastica plurilingue e plurietnica: una convinzione, questa, che appare ormai
consolidata a più di vent’anni dai primi interventi apportati in questo campo, sebbene
molti aspetti dell’azione didattica ed educativa in direzione interculturale sembrino
ancora richiedere ulteriori riflessioni e riformulazioni.
Il primo capitolo accoglie un’analisi delle dinamiche – passate e attuali – del
fenomeno migratorio in Italia, nel tentativo di mettere in luce i quesiti che esso ha
posto e continua a porre: quesiti che si distribuiscono su molteplici livelli e che,
anche a causa della difficile congiuntura economica, sembrano talora acutizzarsi e
non trovare espressione in politiche migratorie del tutto congruenti o non attraversate
da interessi puramente politici ed econo mici. Nel percorso di integrazione dei
cittadini stranieri e dei loro figli, già reso complesso e problematico dalle
legislazioni, dalla qualità dei servizi a loro offerti, dalla frequenza di situazioni di
sfruttamento e marginalità, dalle possibilità di lavoro a loro riservate, a fare da
sfondo rimane comunque la dimensione culturale, anch’essa debolmente considerata .
In una società mobile perché mossa dall’intensificazione delle relazioni, degli scambi
2
e dei contatti e in cui anche i migranti si spostano, si fatica ancora a realizzare le
condizioni perché possa emergere ed essere sollecitato lo sviluppo dell’alterità,
quella che incrociamo quotidianamente e che, se guardata (e non semplicemente
vista) da vicino, si rivela meno distante di quanto sembri. L’appello che continua ad
arrivarci dai complessi ingranaggi sociali rimane quello di una considerazione a
trecentosessanta gradi del ruolo giocato dai cittadini non italiani che possa in qualc he
modo scavalcare un disimpegno e un’incompetenza già ampiamente diffusi.
Protagonisti di tale scenario sono anche bambini e ragazzi impegnati
quotidianamente a trovare un posto e una voce che sembrano per loro non essere del
tutto garantiti. In questa ricerca di affermazione personale, nonché di inclusione
sociale, la scuola si presenta come uno degli ambiti più decisivi e ad essa più
favorevoli, nonché la prima responsabile di un percorso formativo che possa
delinearsi in modo equo per tutti gli alunni.
Il secondo capitolo si presenta come sezione focale e allo stesso tempo
propedeutica alle osservazioni da me condotte: in esso vengono dapprima delineati i
compiti che la scuola ha affrontato negli ultimi anni e che vanno a sommarsi ad
obiettivi e sfide posti da un tessuto sociale in perenne mutazione. Nell’incontro con
colui che viene considerato diverso, ma tanto diverso non è, la scuola si pone da
sempre come protagonista, sia come scenario delle relazioni nate al suo interno che
come partecipe di quelle stesse relazioni. Segue un esame di tipo diacronico degli
orientamenti generali dell’educazione interculturale nel panorama scolastico italiano,
che tiene conto in particolare delle ricerche condotte e delle teorie elaborate in
ambito pedagogico negli ultimi vent’anni, assieme ad una rivisitazione dei
provvedimenti legislativi che hanno interessato la scuola plurietnica e plurilingue,
con l’intento di mettere in luce i riferimenti già in essi esistenti , circa i concetti di
“accoglienza”, “valorizzazione delle culture di provenienza”, “multiculturalità”,
“dialogo e confronto tra culture”. Oltre all’importanza delle pratiche e degli
interventi concreti che coinvolgano in prima persona tutti gli alunni, viene presa in
considerazione la necessità di un cambiamento “a monte” che porti a riconsiderare
gli aspetti “scontati” del sapere e della sua impostazione e che interessi la prospettiva
e l’ottica stessa del docente, lo sguardo con cui accoglie e abbraccia quotidianamente
i suoi allievi, nonché le sue competenze e i contenuti dell’attività didatti ca. Lo
3
stimolo principale è quello di una riflessione che si fermi su “se stessi” e nel
contempo su un “contesto” che impone nuovi approcci e strategie e richiede una
considerazione ponderata delle situazioni di discontinuità culturale (non solo
linguistica) e quelle di continuità che si creano a scuola. T ra i compiti affidati alla
figura docente, da affiancare a quello “tradizionale” della trasmissione del sapere,
risulta nuovamente essenziale il compito riferito alla relazionalità e allo sviluppo di
questa.
Il terzo capitolo affronta la dimensione strettamente linguistica legata alla
presenza di alunni stranieri, quella che può essere considerata, sia dentro che fuori la
scuola, un po’ il “gatekeeper” dell’incontro tra culture, la porta principale attraverso
cui passa l’inclusione sociale. L’apprendimento e l’insegnamento della lingua
seconda costituiscono infatti punti da sempre ineludibili e che tuttavia, con lo
stabilizzarsi progressivo del fenomeno migratorio e con lo scemare di situazioni
emergenziali, stanno allo stesso tempo acquistando nuove facce e introducendo
ulteriori necessità. Anche di fronte al profilarsi di nuovi bisogni, la lingua continua
comunque a presentarsi come potente mezzo non solo di comunicazione e relazione
ma di costruzione e affermazione di se stessi. Se poi l’ottica si restringe al mondo
scuola, l’insegnamento della lingua seconda investe due principali compiti di calibro
diverso: quello di carattere più immediato riferito alla dimensione comunicativa e
relazionale e quello dell’apprendimento di saperi e discipline, più “nascosto” e
bisognoso di un lavoro maggiormente approfondito. Come le pratiche di accoglienza
e di intervento interculturale, anche gli interventi in campo prettamente linguistico
presentano la necessità di consapevolezza da parte dei docenti dei meccanismi e delle
strategie messi in atto da un apprendente non italofono, nonché dei fattori collegati
alla sua specifica individualità che possono influenzare l’acquisizione delle strutture
linguistiche e l’approccio verso l’attività didattica. Nel considerare le priorità
suggerite da ciascun contesto scolastico, è inoltre opportuno discostarsi dalla
sovrapposizione frequentemente operata tra insegnamento L2 e integrazione, della
quale il primo costituisce solamente una parte, seppur significativa.
Il quarto capitolo vuole presentarsi come corollario delle analisi sviluppate nei
capitoli precedenti e accoglie le osservazioni da me raccolte durante e dopo un
percorso conoscitivo elaborato all’interno di due classi di una scuola dell’infanzia in
4
provincia di Teramo, percorso al quale ho deciso di dare il nome di “Esploriamoci”.
Quella che ha preso luogo nelle due classi è stata infatti un’esplorazione non solo
della realtà e delle molteplici personalità alle quali mi sono avvicinata, ma anche
degli strumenti e degli approcci da me adottati, risorse che ho necessariamente
coniugato al le storie, ai vissuti e alle attitudini che ho avuto modo di conoscere.
Attraverso questo particolare lavoro, diretto a bambini di tre e cinque anni,
protagonisti assoluti di un cammino che si è proposto di offrire loro la possibilità di
esprimere la propria specificità e allo stesso tempo di cogliere in questa similarità e
affinità, nella gestione di conflitti vecchi e nuovi e in uno scambio continuo di
percezioni ed emozioni, mi sono prefissata di misurare la temperatura dei legami
stretti in classe, di osservare lo scheletro relazionale e cooperativo che tiene insieme
gli alunni dei due gruppi classe.
5
PRIMA PARTE IMMIGRAZIONE E SCUOLA TRA
PLURILINGUISMO E INTERCULTURA
6
IMMIGRAZIONE E POPOLAZIONE SCOLASTICA
I.1. Il fenomeno migratorio in Italia Cambiare il mondo non basta. Lo facciamo comunque. E, in larga misura, questo
cambiamento avviene persino senza la nostra collaborazione. Nostro compito è
anche interpretarlo. E ciò, precisamente, per cambiare il cambiamento. Affinché il
mondo non continui a cambiare da solo, indipendentemente da noi. E, alla fine, non
si cambi in un mondo senza di noi.
(Gü nther Anders)
Allora se dopo un italiano è stato in Francia, in America, in Polonia, in Cina, in
Africa, in un altro posto del mondo, è giusto che dopo vengono tutti in Italia. Se sono
in vacanza ma anche se non sono in vacanza. Anche se vogliono comprare una casa
in Italia. Non possono? Per me possono. Altrimenti dopo il mondo come diventa? Un
mondo obbligato?
(Raja, 11 anni, in Caliceti 2010: 93 )
Life in Italy is OK 1
Il fenomeno migratorio è elemento costitutivo della società umana: i viaggi, i
grandi spostamenti, gli esodi hanno da sempre caratterizzato la storia dell’umanità,
dimostrando l’innata capacità di adattamento, sia esso di tipo sociale o culturale,
dell’uomo, tanto da renderlo in se stesso, usando le parole di Elio Damiano, “un
Homo Migrans ” 2
. A cambiare è pertanto la natura del rapporto tra l’individuo e la
propria terra, le proprie radici, e con essa i concetti di cittadinanza e di patria, la cui
definizione si fa inevitabilmente più liquida, indefinita e complessa. In una situazione
in cui molteplici fattori “aprono al paradosso del dilatarsi e del contemporaneo
restringersi delle occasioni di contatto e di comunicazione interpersonale” (Pinto
Minerva 2002: 6), la figura dell’uomo contemporaneo si ritrova scissa tra la stabilità
dei luoghi e degli affetti da un lato e la spinta a muoversi e allontanarsi dall’altro, una
tensione alla quale vanno ad aggiungersi gli attuali scenari di guerra e di crisi
1 È l’affermazione di Gloria, paziente presso il Poliambulatorio di Palermo di origini nigeriane, che dà
il titolo a un recente documentario prodotto da Emergency Programma Italia, centrato sulle storie di
migranti, stranieri e cittadini italiani, accomunati dalle difficoltà e dagli ostacoli che si trovano a
fronteggiare quotidianamente, alla ricerca di una vita che possa essere migliore.
2 “Viaggiano l’alto il basso senza abbellimenti [...] Viaggiano i viandanti, viaggiano i perdenti, più
adatti ai mutamenti, viaggia Sua Santità [...] Viaggiano ansie nuove e sempre nuove crudeltà” canta la
voce di Giovanni Lindo Ferretti del gruppo C.S.I. nella canzone In viaggio.
7
internazionali, e la distribuzione, sempre più sproporzionata ed evidente, della
ricchezza nel Nord e nel Sud del mondo.
Oltre a porre quesiti di indubbia importanza da un punto di vista giuridico, storico,
economico e sociale, il processo migratorio porta con sé un notevole impatto
culturale, che vede l’incrociarsi e l’intrecciarsi di popolazioni e comunità, ciascuna
portatrice di una propria cultura: un impatto intraculturale e interculturale che si
traduce in cambiamento, trasformazione, rinnovamento, ma anche in conflitto,
scontro, impermeabilità. Dal punto di vista culturale l’immigrazione pone dunque la
questione della contemporaneità e coesistenza di località e globalità, di tradizione e
innovazione, di differenziazione e omogeneizzazione, poli conciliabili attraverso la
dimensione dell’interculturalità e la media zione tra particolarismo e universalismo,
tra quelle che Riszard Kapuscinski definisce le “due opposte correnti che danno
forma alla cultura del mondo contemporaneo: quella che vuole globalizzare la nostra
realtà e quella che vuole conservare le nostre diversità, le nostre differenze, la nostra
irripetibilità” ( Kapuscinski 2007: 16) . La migrazione è “un fatto sociale totale” e
coinvolge aspetti ed elementi su più livelli per cui è inevitabile che si guardi ai
movimenti migratori come rivelatori “delle più profonde contraddizioni di una
società, della sua organizzazione politica e delle sue relazioni con le altre società”
(Sayad cit in Santerini 200 3: 142).
Le problematiche e gli effetti connessi all’immigrazione si dimostrano ancora più
rilevanti e “inediti” nel momento in cui li si inquadra in una realtà come quella
italiana, che ha visto il proprio popolo essere protagonista di grandi ondate
migratorie, in misura considerevole negli anni a cavallo tra la fine dell’Ottocento e
inizio Novecento 3
, fino al secondo Dopoguerra. Solo dopo essersi distinta per
decenni come terra d’emigranti, e dopo aver assistito a fenomeni di migrazione
interna (dal Sud al Nord, dalla campagna verso la città), l’Italia, come anche gli altri
Paesi europei, è diventata anch’essa polo di attrazione dei movimenti migratori 4
.
Questa sorta di “capovolgersi” delle sorti del nostro paese, passato da terra di
3 L’emigrazione italiana ha coinvolto un totale di 30 milioni di cittadini, di cui 14 milioni solo nel
periodo 1876-1915 (Caritas Migrantes 2011: 8).
4 A proposito dell’esperienza emigratoria e immigratoria italiana, a partire dal 18 novembre 2011 il
Galata Museo del Mare di Genova ospita una mostra dal titolo Memoria e migrazioni , che intende
esplorare l’evento migratorio e il nesso tra l’esodo verso altri Paesi, soprattutto verso gli Stati Uniti
(attraverso l’approdo ad Ellis Island, “l’isola delle lacrime”), di cui il popolo italiano è stato
protagonista dall’inizio del XX secolo, e le più recenti ondate di immigrati giunti in Italia.
8
emigranti a terra d’accoglienza, in molti casi impedisce una presa di coscienza
razionale e completa del fenomeno e non ci fa accorgere, come ha sottilmente
osservato Milena Santerini, che “in realtà siamo in un gioco di specchi”, in cui
“emerge la percezione che l’immigrato ha del giudizio degli altri su di lui («portano
via il lavoro», «potenziali criminali», etc.), mentre si avverte la solidarietà
condizionata e subordinata agli interessi personali da parte di chi lo accoglie”
(Santerini 2003: 136) .
Di contro al carattere meramente emergenziale e temporaneo che si attribuiva a
tale feno meno fino a pochi anni fa, è piuttosto necessario ribadirne la natura
strutturale, quella che Braudel avrebbe definito “la lunga durata” di un processo
storico né effimero né casuale, che costringe la società a ripensare se stessa, la
propria tradizione culturale, il proprio status antropologico, il proprio futuro. Dato un
contesto come quello attuale, “caratterizzato dall’interdipendenza delle economie e
dall’intensità degli scambi a tutti i livelli, dalla rapidità dell’informazione e dei
progressi scientifici e tecnologici, dalla globalizzazione delle merci e dei consumi,
dalle migrazioni e dalla mobilità delle persone tra continenti e paesi” (MIUR 2006:
1), è inevitabile considerare i processi migratori come caratteristica e parte integrante
della nostra società. D’altro lato, nel nostro paese si percepisce ancora una profonda
e radicata difficoltà nel metabolizzare i cambiamenti introdotti nel tessuto sociale ed
economico dalla presenza di soggetti migranti, difficoltà presente nella politica stessa
dell’immigrazione, che dimostra di essere maggiormente concentrata a scoraggiare
l’ingresso nel territorio nazionale e a colpire la presenza irregolare, piuttosto che
tendere ad un programma più attento che combatta le piaghe dell’irregolarità e del
lavoro nero 5
e preveda una regolarizzazione a lungo termine. Ad inasprire tale clima
sono anche quegli atteggiamenti di ostilità, rigidità e remora diffusi tra la
popolazione – soprattutto nei confronti dell’immigrazione clandestina – che, spinti
all’estremo, portano al succedersi di eventi drammatici, quali l’uccisione dei due
cittadini senegalesi Modou Samb e Mor Diop a Firenze da parte di un militante di
5 A riguardo, è utile ricordare quanto avvenuto nel gennaio del 2010 a Rosarno, quando circa 1500
immigrati, tutti impiegati irregolarmente come braccianti agricoli, hanno dato vita a una rivolta in
seguito al ferimento di due extracomunitari ( Corriere della Sera , 07 gennaio 2010), episodio seguito
dall’introduzione nell’agosto 2011 dell’art. 12 nel Decreto di legge n.138 sul reato di caporalato,
punibile con la reclusione da cinque a otto anni. Ad oggi, nonostante i cambiamenti apportati in campo
legislativo, le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori migranti di Rosarno, come denunciato in
particolare da Emergency, risultano praticamente immutate.
9
estrema destra ( La Repubblica , 13 dicembre 2011). A questo riguardo risuonano in
mente le parole di Maria Immacolata Macioti, dirigente del master MIRIS presso la
Sapienza di Roma:
Trent’anni di immigrazione non sono stati sufficienti a far conoscere agli
italiani, in modo approfondito e sufficiente, al di là di stereotipi e pregiudizi, la
tematica, per cui sembra essere ancora lontano un orientamento positivo verso
la presenza e il radicamento degli immigrati nel nostro paese” (Macioti in
Caritas Migrantes 2011: 155) .
In questo senso la logica emergenziale con la quale si è generalmente affrontata la
questione immigratoria e che in molti casi sembra permanere, non può che condurre
alla strumentalizzazione di cifre e percentuali, riguardanti i flussi migratori o
fenomeni più circoscritti come ad esempio la criminalità.
L’allarmismo, l’incertezza e il senso di discontinuità col passato, che nel nostro
paese hanno caratterizzato le misure d’intervento e sostegno nonché gli atteggiamenti
individuali e comunitari sono per lo più attribuibili a due fattori: la velocità con cui
tale fenomeno ha inciso sulla società e la disomogeneità con cui i singoli e le
comunità migranti si sono distribuiti sul territorio nazionale. A differenza che in altri
Stati europei, quali Germania, Francia, Gran Bretagna, che già in precedenza si sono
affermati come paesi di “accoglienza”, in Italia l’inizio dell’immigrazione è da
collocarsi indicativamente alla fine degli anni Settanta, quando gli stranieri
soggiornanti regolarmente sono circa 143.000
6
. Tra il 1979 e il 1980 si passa dalle
circa 205.000 alle 300.000 presenze, con un incremento del 45,4%, per arrivare alle
400.000 unità nel 1984. Nel 1990 viene emanata la legge 39/1990 o anche legge
Martelli, la prima a riconoscere ufficialmente la presenza stabile di stranieri che
vivono e lavorano nel territorio nazionale, con l’obiettivo di regolamentare le
principali questioni riguardanti il fenomeno migratorio. È nel 1991 che gli stranieri
raggiungono l’incidenza dell’1% sull’intera popolazione italiana (625.000 unità su
56.778.000 residenti) ( Caritas Migrantes 2011: 7-8), mentre nel 1997 si supera la
fatidica “soglia psicologica” di 1 milione di unità presenti.
Dall’inizio degli anni Ottanta ad oggi la popolazione immigrata è cresciuta di
6 Nel 1861, anno dell’unità d’Italia, su una popolazione di 22.182.000 abitanti, 88.639 erano stranieri
e rivestivano posizioni socio-occupazionali ragguardevoli: erano commercianti, finanzieri,
imprenditori (Caritas Migrantes 2011: 7).
10
quasi dieci volte, raggiungendo la soglia dei 5 milioni, di cui 3 solo nel corso
dell’ultimo decennio e 1 nell’ultimo biennio. Al 31 dicembre 2010 si è arrivati a
4.570.317 cittadini stranieri residenti in Italia, cifra pari al 7,5% del totale dei
residenti (al 31 dicembre 2009 essi rappresentavano il 6.5%). Nel 2010 l’aumento,
nonostante la crisi economico-politica, è stato di 335.258 unità, al netto delle oltre
100.000 cancellazioni dall’anagrafe (di cui 33.000 per trasferimento all’estero e
74.000 per irreperibilità) e dei 66.00 casi di acquisizione di cittadinanza, mentre si
stima che nel 2011 l’aumento sia stato di 431.000 unità. A questi numeri vanno
aggiunti quello dei permessi di soggiorno scaduti (ben 684.413) e quello relativo agli
stranieri presenti in condizioni di irregolarità, una cifra che ammonterebbe a 550.000
unità (uno straniero irregolare o non ancora iscritto all’anagrafe su 10 in posizione
regolare). Nella popolazione straniera l’età media è di 32 anni (12 meno degli
italiani), l’incidenza dei minori è del 21,7% e la percentuale delle persone in età
lavorativa è del 78,8%, mentre gli ultra 65enni superano di poco il 2% (sono invece
un quinto tra la popolazione italiana e crescono ad un ritmo più intenso rispetto ai
giovani 7
) (Caritas Migrantes 2011: 7-8 ). Q uesto dato sottolinea l’incidenza positiva,
seppur parziale, che in Italia l’immigrazione – “fattore di rinnovamento e
dinamismo” 8
– esercita sull’invecchiamento demografico e sul tasso di fecondità, che
nel 2010 è del 1,29 per le donne italiane e del 2,13 per quelle straniere (si stima che
in Italia nascono meno di 600.000 bambini l’anno, 150.000 in meno di quanto
sarebbe necessario per mantenere l’obiettivo della crescita zero ).
Tale processo di incremento costante, i cui ritmi risultano essere rallentati a partire
dal 2008 a causa della difficile congiuntura economica, è sì legato all’insediamento
immigratorio, ma è nondimeno attribuibile al crescente aumento degli stranieri nati
nel nostro paese: un segno, questo, dei ritmi riproduttivi della popolazione immigrata
e della progressiva trasformazione delle presenze straniere da “lavoratori” a
“famiglie di lavoratori”. Come ha sottolineato il Professor Gian Carlo Blangiardo
dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca durante la presentazione del XVI
Rapporto sulle migrazioni 2010 avvenuta a Milano nel dicembre 2010, nel
quadriennio che va dal 2005 al 2009 la quota di immigrati che vivono in una famiglia
7 “L’Italia è un paese un po’ vecchio, non perché è brutto, ma perché ci sono molti anziani. Almeno
per me. Ci sono più anziani che giovani” (Nabil, 10 anni, in Caliceti 2010: 28).
8 http://www.immigrazioneoggi.it/daily_news/notizia.php?id=003670.
11
di tipo nucleare è aumentata di 5 punti percentuali nei casi di presenza del
coniuge/convivente e di 2,5 punti per i casi di nucleo monogenitore (Blangiardo
2010: 8). Nello stesso arco di tempo sono però aumentati di ben 6 punti i soggetti
soli, mentre si sono dimezzati coloro che vivono, da ospiti, con amici e conoscenti.
Ulteriore indice della diffusa tendenza all’insediamento e alla stabilizzazione nel
territorio da parte di cittadini immigrati è il numero di matrimoni, sia misti che con
entrambi i partner stranieri: 36.918 i matrimoni contratti nel 2008, il 15% di tutte le
celebrazioni (nel 1995 erano pari al 4,8%) ( Istat 2008: 5) . Come sottolinea Rita
Bertozzi nel documento del MIUR e della Fondazione ISMU La condizione dei
minori stranieri in Italia , “gli indicatori principali di questo andamento demografico
straniero sono l’aumento dei nuclei familiari residenti, dei permessi di soggiorno
rilasciati per motivi familiari, l’accresciuta presenza di figli e l’aumento del numero
di minori stranieri nati in Italia” (Giovannini 2004: 11).
Per quanto riguarda la ripartizione territoriale della popolazione straniera
residente, si è già detto come essa si sia caratterizzata fin dall’inizio come
estremamente disomogenea o, come è stata spesso definita, “a macchia di leopardo”:
la concentrazione è infatti notevole nel Centro-Nord e molto meno significativa al
Sud. Secondo quanto riportato dal Dossier Statistico Immigrazione 2011, la
percentuale di distribuzione è al Nord Ovest del 35%, al Nord Est del 26,3%, al
Centro del 25,2% e al Sud e nelle Isole del 13,5% (Caritas Migrantes 2011: 9). A tale
proposito, negli ultimi anni si è rilevata la tendenza da parte degli stranieri a
insediarsi nei comuni non capoluogo, principalmente in comuni che registrano tra i
10.000 e i 20.000 abitanti. Questa diminuzione del numero di immigrati residenti in
comuni “grandi”, ha comportato un calo di quello che Maddalena Colombo ha
definito “indice di metropolitanizzazione” (Colombo in Giovannini 2004: 31), anche
se ciò non equivale a dire che le metropoli o i grandi centri abbiano perso la loro
forza e capacità di attrazione. Milano, Roma, Torino rimangono le città in cui si
concentrano gli immigrati e vengono affiancate da realtà più piccole quali quelle di
Reggio Emilia, Treviso, Vicenza, Verona, Modena, Brescia, Bergamo e Prato. Una
distribuzione territoriale diversificata come quella italiana pone dunque l’esigenza di
una lettura e di un’analisi che tengano conto delle caratteristiche proprie di ciascun
contesto locale.
12
Che la realtà immigratoria sia parte integrante della società italiana ci è suggerito
sì dai numeri e dai ritmi di crescita, ma anche dalla tendenza, da parte dei cittadini
non italiani, a stabilizzarsi sul territorio e a inserirsi in tutti i settori lavorativi 9
,
nonché dal contributo dato al sistema pensionistico e dal supporto demografico che
rappresentano. Si tratta di fattori tuttora non valutati completamente nella loro
positività e ai quali corrispondono invece politiche che non riescono a fornire un
sistema regolarizzazione dei flussi e di coordinamento dei servizi adeguato. Come
espresso da Etienne Balibar nell’articolo “Elogio dell’ospitalità”, l’intervento dello
Stato dovrebbe porsi a metà strada tra un’ospitalità incondizionata e un’inospitalità
generalizzata, seguendo un linea d’azione che crei le condizioni “per una
circolazione degli abitanti della terra correttamente regolamentata o meglio
organizzata, con il concorso di tutti coloro che sono interessati” ( Il Manifesto , 28
aprile 2011). Per creare tali condizioni, o almeno tendere verso di esse, si rende
necessario frenare quella strumentalizzazione delle paure e delle xenofobie praticata
già da tempo nel nostro Paese e allo stesso tempo “sviluppare una discussione aperta
sulle vere dimensioni economiche, culturali e demografiche delle migrazioni”
( Ibidem ), sulle responsabilità e sui cambiamenti, positivi o negativi, che queste
ultime comportano.
Lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sottolineato
l’urgenza di una più profonda presa di coscienza riguardo gli immigrati, i quali
“rappresentano un’energia vitale di cui l’Italia ha bisogno” ( La Repubblica , 15
novembre 2011), ricordando che, senza l’apporto derivante dalla loro presenza, il
paese avrebbe un indice di vecchiaia più elevato e meno possibilità di sviluppo, oltre
a maggiori difficoltà a sostenere il peso del debito pubblico. Nel complesso, la
portata del processo immigratorio si sta dimostrando indiscutibile, soprattutto sul
versante economico-sociale e su quello prettamente culturale: si deve far sì che
l’inquadramento di tale fenomeno da parte della popolazione italiana si sposti verso
un punto di vista meno “precario” e più capace nel valutare l’effettivo contributo
giocato sul piano demografico, economico e professionale e apportato alla nostra
società da parte della popolazione immigrata in termini di competitività e novità.
9 Basta pensare all’ambito dell’assistenza agli anziani, in cui l’apporto degli immigrati è ormai
fondamentale: secondo le stime del Censis un decimo delle famiglie italiane si affida infatti
all’assistenza di colf e badanti stranieri (Caritas Migrantes 2011: 9).
13
Cittadini stranieri. Bilancio demografico anno 2010 e popolazione residente
al 1 gennaio 2011 (Istat 2011: 2)
Maschi Femmine Totale Popolazione straniera
residente all’1 gennaio 2063407 2171652 4235059
Iscritti per nascita 40257 37825 78082
Iscritti da altri comuni 109928 124262 234190
Iscritti dall’estero 188850 235649 424499
Altri iscritti 13653 8619 22272
Totale iscritti 352688 406355 759043
Cancellati per morte 2952 2172 5124
Cancellati per altri
comuni 107440 121373 228813
Cancellati per l’estero 15670 17147 32817
Acquisizioni di
cittadinanza italiana 32567 33371 65938
Altri cancellati 56255 34838 91093
Totale cancellati 214884 208901 423785
Popolazione straniera
residente all’1 gennaio 2201211 2369106 4570317
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