125&intTypeId=1] (pubblicata il 23 settembre 2004) emerge che: il
75% della popolazione americana accede ad internet; gli utenti
trascorrono in media on line 12,5 ore la settimana; internet è il
principale mezzo di informazione di chi la usa; si guarda sempre
meno tv (e nella ricerca si pone l'interessante domanda "What will
happen as a nation that once spent an extremely large portion of
time in a passive activity (television) transfers increasingly large
portions of that time to an interactive activity (the Internet)?"); l'e-
commerce cresce passando da una media di 11 acquisti l'anno per
utente nel 2001 ai 30 attuali; la diffusione della banda larga e la
conseguente presenza costante on line ha rivoluzionato la modalità
di fruizione di internet.
L'International Herald Tribune in un articolo del 20 settembre 2004
[www.iht.com/articles/539529.html] sulla crisi del Financial Times
segnala che l'edizione web del giornale ha cominciato a produrre
utili (Il Financial Times è a pagamento su internet dal 2002)
testimoniando un successo dell'editoria on line su quella
tradizionale.
Altro riscontro circa l'erosione dei ricavi dell'editoria tradizionale si
ha da uno studio di Borrell Associates citato da Poynter
[www.poynter.org] sul mercato della pubblicità locale: nel 1997 si
spendevano mediamente 755 dollari per vendere una casa tramite
un annuncio su carta, nel 2004 il costo medio sarà di 605 dollari. La
differenza equivale approssimativamente all'incremento del costo
per il corrispondente annuncio su internet (da 14 a 148 dollari).
Secondo un rapporto del Pew Internet & American Life Project
[www.pewinternet.org/PPF/r/133/report_display.asp] dell’ 1
settembre 2004 sono 53 milioni gli americani adulti che utilizzano i
messenger, popolari software che permettono la comunicazione
sincrona in internet.
Da uno studio dall'Associazione degli Editori on Line Europei
[www.opa-europe.org/pages/article/19.aspx] si ricava che il 65% dei
maggiori siti di informazione on line otterrà profitti nel 2004,
riportando il dato che 190 milioni di europei usano internet oggi. Un
altro studio condotto in Francia, Germania, Italia, Regno Unito e
Spagna dalla stessa associazione e apparso sui siti "La Repubblica"
[www.repubblica.it/2004/j/sezioni/scienza_e_tecnologia/webjob/webj
ob/webjob.html] e "il Corriere della Sera"
[www.corriere.it/Primo_Piano/
Cronache/2004/10_Ottobre/01/lavoroeweb.shtml] sul consumo dei
media nei luoghi di lavoro riporta che per un quarto dei partecipanti
alla ricerca (il 26%) internet è la sola fonte di informazione
consultata durante la giornata.
Data l'importanza di internet nella società attuale, assume una
grande rilevanza lo studio dell'ergonomia dei siti web. Le sempre più
numerose ricerche sulla modalità di navigazione degli individui
determinano le linee guida del webdesign. Ad esempio le numerose
ed interessanti ricerche effettuate dall'istituto Poynter tramite lo
studio dei movimenti oculari e pubblicate in Eyetrack III
[www.poynter.org/resource/public/20040907_151050_26984.pdf]
testimoniano alcuni fenomeni inerenti la navigazione in internet. E'
possibile comprendere meglio questi comportamenti inquadrandoli
nell'ambito degli studi legati alla psicologia cognitiva ed
all'interazione uomo macchina.
In questa ricerca si analizzeranno le modalità di interazione fra
individui e siti internet con riferimento agli studi compiuti nell'ambito
della IUM (Interazione Uomo Macchina), si ricondurranno le
acquisizioni del webdesign alle caratteristiche cognitive degli utenti,
si proporrà una soluzione integrativa alla metafora del desktop
utilizzata negli attuali sistemi operativi, si analizzeranno le tematiche
della comunicazione in internet approfondendo il fenomeno del
banner blindness e verrà presentato un esperimento orientato al
miglioramento delle possibilità di comunicazione dei siti web.
!
Il cognitivismo nasce distaccandosi progressivamente dal
comportamentismo fino a conoscere una prima formulazione teorica
in "Psicologia cognitivista" del 1967 di Neisser. In realtà la psicologia
cognitiva non è mai stata strutturata in una teorizzazione precisa,
configurandosi più come un orientamento generale di pensiero.
Centrale è lo studio delle strategie di elaborazione dell'informazione
ovvero dell'attività mentale dell'individuo, superando gli studi dei
comportamentisti che si limitavano ad analizzare le connessioni
dirette tra stimoli e risposte. La mente non é considerata un
recettore passivo, ma elabora continuamente le informazioni
ricevute dall'esterno verificando la congruenza tra il proprio progetto
comportamentale e la situazione esterna, attraverso operazioni di
filtro (attenzione) e di autocorrezione.
Gli psicologi cognitivisti accettano la possibilità di studiare
scientificamente l'attività mentale fra la percezione dello stimolo e la
risposta dell'organismo, ovvero i processi cognitivi analizzati in
quanto funzioni organizzative (pensieri, immagini mentali, emozioni,
processi elaborativi).
Superando l'approccio stimolo-risposta, il cognitivismo propose il
TOTE (test-operate, test-exit) o "piano di comportamento": il
soggetto non si limita a ricevere passivamente le informazioni ma,
come verificato da Craik, verifica la congruenza fra il proprio piano
comportamentale e le condizioni dell'abiente.
Stretto è il rapporto con l'informatica e la cibernetica che, oltre a
dare un nuovo lessico alla psicologia, propongono un modello che
permette di interpretare l'attività della mente umana come quelle che
avvengono in un computer quando elabora le informazioni in entrata
(input) per ricavarne informazioni in uscita (output).
Nell'ambito dell'approccio cognitivista sono stati effettuati
esperimenti volti a simulare processi mentali superiori attraverso
programmi per computer mostrando come la mente sia in grado di
risolvere problemi anche in caso di informazioni incomplete o
erronee: il rapporto fra mente e computer può dunque essere
considerato una buona analogia, ma non è possibile ridurre l'uno
all'altra.
Il modello di Lindsay e Norman, Human Information Processing and
Performance ha rappresentato la mente umana come un processore
di informazioni ed esecutore di compiti. Alcuni cognitivisti trovarono
nuovi spazi di studio quando l'affermarsi del personal computer
come strumento per le attività quotidiane di una sempre più ampia
quantità di individui fece emergere l'esigenza di studiare le
prestazioni umane nell'ambito dei sistemi di interazione fra l'uomo e
i computer. Iniziava così lo studio dell'ergonomia cognitiva applicata
ai sistemi informativi, ovvero uno spazio di ricerca chiamato
Interazione Uomo Macchina (Human Computer Interaction).
I primi computer vengono progettati nel 1950 con intenti
sperimentali; utilizzati esclusivamente da ricercatori, avevano
un'interfaccia a caratteri che non forniva sostegni cognitivi per
l'utilizzo. La progettazione era determinata dalle caratteristiche del
computer invece che da quelle dell’utente. Nella prospettiva di
un'ampia commercializzazione si riteneva che un'adeguata
formazione avrebbe consentito a qualsiasi soggetto di utilizzarlo
agevolmente.
I chip di silicone (1970) permisero la realizzazione di computer
sempre più piccoli, potenti ed economici. Da allora in poi i Personal
Computer non smisero di diffondersi con velocità crescente in molte
attività umane. I computer smisero di essere usati esclusivamente
da progettisti e programmatori; l'eccessiva necessità di formazione,
la quantità di errori nell'interazione uomo-computer, lo sviluppo degli
studi condotti sulle caratteristiche cognitive umane fanno emergere
la necessità di superare le interfacce a caratteri.
La nuova area di ricerca venne chiamata, come detto, Interazione
Uomo Macchina (Human Computer Interaction) e si costituì dalla
sinergia di studi cognitivi ed informatici.
Centrale è il concetto di usabilità, distanza cognitiva fra il modello
del prodotto (che discende da quello del progettista) e quello che
l'utente si costruisce e che regola l'interazione col sistema. Secondo
Norman e Draper (User centered system design: New perspective
on human-computer interaction", 1986), tanto più i due modelli si
avvicinano, tanto meno l'usabilità è un problema. L'Interazione
Uomo Macchina si occupa dell'usabilità studiando i meccanismi di
funzionamento dell'interfaccia, insieme di strumenti hardware e
software che permettono il dialogo finalizzato ad un compito che
avviene fra computer ed utente.
Negli anni settanta la Xerox Parc tramite il sistema Xerox Star
supera l'interfaccia a caratteri proponendo una soluzione che
determinerà il successivo sviluppo delle interfacce: la GUI
(Graphical User Interface) permette la manipolazione degli oggetti
sullo schermo rappresentati da icone e finestre. Il sistema Xerox
Star è il primo tentativo di mediare le caratteristiche degli artefatti
informatici con quelle del sistema cognitivo umano.
Figura 2.1 - Xerox Star: interfaccia grafica
La sempre maggiore importanza dell'utente e delle sue
caratteristiche cognitive e culturali trova riscontro nel modello di
progettazione "user centered": vengono modificati i processi di
produzione integrando test di usabilità in tutte le fasi produttive. La
User Centered Design è una metodologia di progettazione creata da
Norman e Draper nella metà degli anni '80 che definisce l'iter da
seguire e da attuare in maniera iterativa. Quasi tutte le fasi
prevedono il coinvolgimento dell'utente. In dettaglio sono: analisi dei
requisiti - design architetturale - design del dettaglio - prototipazione
- valutazione e redesign - codifica, integrazione e testing - rilascio e
manutenzione. Questa modalità di sviluppo permette anche un
abbassamento dei costi in quanto scoprire un errore di design
quando il prodotto è già stato realizzato generalmente risulta molto
oneroso.
Nel 1992 viene proposto il concetto di WISIWIH, ovvero "what you
see is what you get", ovvero la "manipolabilità diretta" da Ben
Shneiderman ("Designing the User Interface: Strategies for Effective
Human-Computer Interaction", 1992); si inserisce la possibilità per
l'utente di agire su rappresentazioni grafiche degli oggetti che sono
pertinenti all'esecuzione del suo compito; inoltre le azioni, sostitutive
dei comandi testuali, diventano facilmente reversibili. Le
metodologie di progettazione seguenti riconobbero la centralità dello
studio delle abilità cognitive e delle abitudini dell'utente (Norman
1988). Card, Moran e Newell sono i primi ad applicare un modello
psicologico su larga scala all'interno dei contesti di interazione uomo
computer: nel 1993 propongono un modello semplificato dell'attività
cognitiva umana, il "Model Human Processor" ("Psychology of
human-computer interaction", 1983). Si afferma un approccio
distribuito del processo di scambio di informazioni fra uomo e
macchina.
Figura 2.2 - Model Human Processor: 1993 Card, Moran e Newell
Il primo computer con interfaccia grafica e mouse destinato ad
un'ampia commercializzazione viene prodotto dalla Apple nel 1993.
Anche agli utenti inesperti possono utilizzare i sistemi informatici
data la progettazione orientata all'autoesplicatività. Il computer si
diffonde velocemente in tutti gli ambiti sociali.
Gli studi nell'ambito dell'Interazione Uomo Macchina sono ormai
molto diffusi e vedono la stretta collaborazione di ricercatori con
competenze legate alla psicologia ed all'informatica. Nonostante i
miglioramenti effettuati nei circa dieci anni di diffusione di internet
persistono problemi di usabilità, ovvero distanza fra le caratteristiche
cognitive umane e sistemi informatici documentata nell'Alertbox di
Jackob Nielsen [http://www.useit.com/alertbox].
Migliorare l'usabilità dei siti può agevolare molto più gli utenti
inesperti che quelli esperti. Il ruolo più importante dell'interfaccia è
quello di agevolare l'apprendimento: molti tecnici specializzati
preferiscono utilizzare l'ostica interfaccia a caratteri di linux piuttosto
che la corrispondente interfaccia grafica.
Problemi tipici delle interfacce sono i lunghi tempi di accesso, la
difficoltà della ricerca dell’informazione, le funzionalità non
autoesplicative, il mancato supporto all'orientamento durante la
navigazione, la scarsa leggibilità sul video.
"
#
Nel modello dell'azione proposto da Norman (“La caffettiera del
masochista”, 1990) l'individuo si forma uno scopo e per raggiungerlo
instaura una relazione operativa ricorsiva con il mondo. L'interazione
ha carattere bidirezionale in quanto l'individuo agisce sul sistema
(esecuzione) e ne riceve informazioni per confrontare quanto è
avvenuto con i suoi obiettivi (valutazione). Gli scopi devono essere
tradotti in intenzioni, le quali determinano una precisa sequenza di
azioni che successivamente vengono eseguite; questa prima fase è
chiamata stadio dell'esecuzione. Dallo scopo seguono dunque tre
stadi: intenzione, sequenza d'azione ed esecuzione. Effettuata
l'azione, il soggetto verifica quanto è successo: percepisce lo stato
del mondo, lo interpreta, valuta il risultato. I sette stadi dell'azione
sono: formare lo scopo, formare l’intenzione, specificare l’azione,
eseguire l’azione, percepire lo stato del mondo, interpretare lo stato
del mondo, valutare il risultato.
Per golfo dell'esecuzione Norman intende la distanza esistente in
una interazione fra le intenzioni del soggetto e le operazioni
presentate come possibili dal sistema. Il golfo della valutazione
inerisce invece alla direzione opposta dell'interazione fra utente e
sistema, quella in cui il soggetto cerca un riscontro sull'operazione
effettuata: il sistema dovrebbe offrire informazioni circa il suo stato in
modo semplice da recepire. I due golfi sono la distanza esistente fra
le rappresentazioni mentali del soggetto e le effettive caratteristiche
dello strumento e si verificano quando l'utente ha sviluppato un
modello mentale errato del sistema.
La struttura multistadiale dell'azione viene proposta come sussidio
per una buona progettazione; è in grado di ridurre al minimo i due
golfi, permettendo di individuare principi di buon design. E' così
possibile minimizzare i problemi che seguono dai golfi
dell'esecuzione e della valutazione.
Il progettista deve agevolare la strutturazione del modello mentale
da parte dell'utente sviluppando un'interfaccia coerente e
caratterizzata da visibilità degli elementi funzionalmente rilevanti.
$
Secondo Craick un modello mentale è una rappresentazione del
mondo in scala ridotta e delle azioni possibili costruita dall'individuo
durante l'interazione per guidare il proprio ragionamento o
comportamento ("The nature of explanation, 1943). I modelli mentali
sono alla base dei processi di apprendimento: "Se si capisce che
cosa è l’inflazione, come si svolge una certa dimostrazione
matematica, il modo in cui il computer lavora, il DNA o il divorzio,
allora si deve avere una rappresentazione mentale delle entità
considerate", ossia "una copia mentale interna che possiede la
stessa struttura di rapporti del fenomeno che rappresenta"
(Johnson-Laird, "Mental models", 1983).
Uno strumento è un sistema composto da un artefatto ed un
modello. Obiettivo della fase iniziale della progettazione è favorire la
costituzione del modello che sarà associato all'artefatto e che ne
permetterà l'uso. Il modello mentale organizza l'azione del soggetto.
L'attività di interazione è relativa a come il soggetto si rappresenta il
sistema: la realizzazione di un modello mentale è una attività di
interpretazione funzionale della struttura visibile e delle azioni
percepite come possibili. In caso contrario non si riesce a creare
corrette relazioni fra le azioni possibili e le conseguenza attese e
l'utilizzo dell'interfaccia diviene difficoltoso.
Apprendere una interfaccia è strutturare una rappresentazione
funzionale. I modelli mentali possono nascere rielaborando modelli
già acquisiti. E' possibile affrontare nuove interazioni basandosi sulle
somiglianze con le esperienze pregresse. Per questo motivo è molto
utile standardizzare le interfacce utilizzando connessioni semantiche
che appartengono al patrimonio dell'utente.
I modelli mentali sono spesso il risultato di un processo induttivo di
astrazione originato dalla regolarità di eventi esterni. E' inoltre
possibile ricavare i modelli dalla composizione di acquisizioni
effettuate in altre esperienze. Ad esempio effettuare un'operazione
complessa su Internet, come fare un acquisto di commercio
elettronico, può essere il risultato di altre piccole esperienze ottenute
in siti diversi. Inoltre è possibile ricavarli da esperienze di altri
individui, come nel caso in cui un esperto crea competenza in un
novizio. Il modello mentale non è dunque un patrimonio strettamente
individuale.
I modelli mentali determinano la competenza del soggetto, ovvero la
sua capacità di raggiungere un obiettivo in un determinato contesto
conoscitivo. I soggetti agiscono dunque in base ad una personale
rappresentazione semplificata della realtà.
La strutturazione di organizzazioni mentali permette di risparmiare
risorse cognitive: gli schemi già acquisiti possono essere applicati a
nuovi contesti. L'utilizzo di modelli mentali implica l'impegno di
risorse cognitive. In situazioni in cui è necessario utilizzare dei
modelli complessi si ha sovraccarico cognitivo e si verificano degli
errori. Nel caso di artefatti interni (quelli che non palesano
l'informazione legata al loro utilizzo) la funzionalità di un modello
mentale non è necessariamente legata alla corrispondenza esatta di
ciò che rappresenta. Il modello proposto può discostarsi nettamente
dal funzionamento reale del sistema ma fornire comunque una
rappresentazione utile all'utente. Ad esempio le interfacce dei
computer propongono una rappresentazione molto semplificata di
ciò che avviene a livello hardware. Il progettista deve scegliere quali
aspetti del design rappresentare e quale sia il modo migliore.
%
&
Il mapping naturale (Norman "La Caffettiera del masochista:
Psicopatologia degli oggetti quotidiani", 1990) è la correlazione
naturale tra comandi ed effetti, tra azionamento e risultato e,
sfruttando analogie fisiche e modelli concettuali, permette una
rapida associazione tra azione che si può compiere ed effetti che ne
derivano. Il mapping: agevola l'esecuzione del compito diminuendo
la distanza fra golfo dell'esecuzione e golfo della valutazione.
Basandosi sul riconoscimento piuttosto che sulla rievocazione,
l'utilizzo del mapping naturale agevola l'utente permettendogli di
farsi un'idea circa l'utilizzo del sistema e inoltre facilita la persistenza
del ricordo delle modalità d’uso dei dispositivi.
Una delle applicazioni del mapping nella progettazione dei siti
intenet è la corretta disposizione degli elementi nella pagina in
rapporto alla loro funzione. Le correlazioni in questo caso non sono
fisiche, ma sono percepite dall'utente come naturali perchè coerenti
con uno standard culturale acquisito (Bussolon " Distributed
cognition as a framework for web usability", 2002).
Le interfacce dei sistemi operativi hanno standardizzato la possibilità
di manipolare direttamente gli oggetti sul monitor come se fossero
presenti fisicamente: ad esempio sul desktop di un sistema
operativo è possibile cancellare un documento trascinandolo sul
cestino. Altro esempio di mapping è la realizzazione della mappa di
un sito, che esplicita la struttura del sistema mantenendone le
relazioni topografiche. L'utilizzo del mapping permette di ridurre
notevolmente il tempo necessario all’utente per capire il
funzionamento dei comandi.
'
()
Il feedback è l'informazione di ritorno che il sistema offre all'utente in
conseguenza di un'azione eseguita con lo scopo di comunicare lo
stato del sistema. Viene fornito feeback non solo tramite messaggi
espliciti o segnalazione di errori, ma con qualunque tipo di
segnalazioni visiva o acustica inerente azioni consentite, progresso
nell'esecuzione, effetto dell'azione e nuovo stato del sistema.